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Le grandi antifone dell’Avvento

dal sito:

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Le grandi antifone dell’Avvento

Argomento: Oblatio munda

Le grandi antifone
dell’Avvento
dagli scritti di Dom Prosper Guérager O.S.B, Abate di Solesmes (1805-1875)

17 DICEMBRE

INIZIO DELLE GRANDI ANTIFONE

La Chiesa apre oggi la serie settenaria dei giorni che precedono la Vigilia di Natale, e che sono celebrati nella Liturgia con il nome di Ferie maggiori. L’Ufficio ordinario dell’Avvento assume maggiore solennità; le Antifone dei Salmi, alle Laudi e alle Ore del giorno, sono proprie del tempo e hanno un rapporto diretto con la grande Venuta. Tutti i giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia e nella quale gli si dà ogni giorno qualcuno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura.

Il numero di queste Antifone, che sono dette comunemente antifone O dell’Avvento, perché cominciano tutte con questa esclamazione è di sette nella Chiesa romana, una per ciascuna delle sette Ferie maggiori, e si rivolgono tutte a Gesù Cristo. Altre Chiese, nel medioevo, ne aggiunsero ancora due: una alla Santissima Vergine, O Virgo Virginum! e una all’Angelo Gabriele, O Gabriel! Oppure a san Tommaso, la cui festa cade nel corso delle Ferie maggiori. Quest’ultima comincia così: O Thomas Didime! (i). Vi furono anche delle Chiese che portarono fino a dodici il numero delle grandi Antifone, aggiungendone alle nove di cui abbiamo parlato altre tre, e cioè: una a Cristo, O Rex pacifice! una seconda alla Santissima Vergine, O mundi Domina! e infine un’ultima a mo’ d’apostrofe a Gerusalemme, O Hierusalem!
Il momento scelto per far ascoltare questo sublime appello alla carità del Figlio di Dio è l’ora dei Vespri, perché è alla sera del mondo, vergente mundi vespere, che è venuto il Messia. Si cantano al Magnificat, per denotare che il Salvatore che aspettiamo ci verrà. da Maria. Si cantano due volte, prima e dopo il Cantico, come nelle feste Doppie, in segno della maggiore solennità; ed era anche antica usanza di parecchie Chiese cantarle tre volte, cioè prima del Cantico stesso, prima del Gloria Patri e dopo il Sicut erat. Infine, queste meravigliose Antifone che contengono tutto il midollo della Liturgia dell’Avvento, sono adorne d’un canto armonioso e pieno di gravità, e le diverse Chiese hanno conservato l’usanza di accompagnarle con una pompa tutta speciale, le cui manifestazioni sempre espressive variano secondo i luoghi. Entriamo nello Spirito della Chiesa e riceviamole per unirci, con tutta l’effusione del nostro cuore, alla stessa santa Chiesa, allorché fa sentire al suo Sposo questi ultimi e teneri inviti ai quali egli infine si arrende.

(1) Quest’antifona è più moderna; ma a partire dal XIII secolo sostituì quasi universalmente quella: O Gabriel! Il lettore intelligente saprà cogliere la sostanza di queste riflessioni, nonostante calendario e rubriche siano ó in questo caso – leggermente cambiate.

17 DICEMBRE – I ANTIFONA

O Sapienza, che sei uscita dalla bocca dell’Altissimo, che attingi l’uno e l’altro estremo, e disponi di tutte le cose con forza e dolcezza: vieni ad insegnarci le vie della prudenza.

O Sapienza increata che presto ti renderai visibile al mondo, come si vede bene in questo momento che tu disponi tutte le cose! Ecco che, con il tuo divino permesso, è stato emanato un editto dell’imperatore Augusto per fare il censimento dell’universo. Ognuno dei cittadini dell’Impero deve farsi registrare nella sua città d’origine. Il principe crede nel suo orgoglio di aver mosso a suo vantaggio tutto il genere umano. Gli uomini si agitano a milioni sul globo, e attraversano in ogni senso l’immenso mondo romano; pensano di obbedire a un uomo, e obbediscono invece a Dio. Tutto quel grande movimento non ha che uno scopo: di condurre cioè a Betlemme un uomo e una donna che hanno la loro umile dimora in Nazareth di Galilea, perché quella donna sconosciuta dagli uomini e amata dal cielo, giunta al termine del nono mese dalla. concezione del suo figliuolo, dia alla luce a Betlemme il figlio di cui il Profeta ha detto: « La sua origine è fin dai giorni dell’eternità; o Betlemme, tu non sei affatto la più piccola fra le mille città di Giuda, poiché da te appunto egli uscirà ». O sapienza divina, quanto sei forte, per giungere così ai tuoi fini in un modo insuperabile per quanto nascosto agli uomini! Quanto sei dolce, per non fare tuttavia alcuna violenza alla loro libertà! Ma quanto sei anche paterna nella tua premura per i nostri bisogni i Tu scegli Betlemme per nascervi, perché Betlemme significa la Casa del Pane. Ci mostri con ciò che tu vuoi essere il nostro Pane, il nostro nutrimento, il nostro alimento di vita. Nutriti d’un Dio, d’ora in poi non morremo più. O Sapienza del Padre, Pane vivo disceso dal cielo vieni presto in noi, affinché ci accostiamo a te, e siamo illuminati dal tuo splendore; e dacci quella prudenza che conduce alla salvezza.

18 DICEMBRE – II ANTIFONA

O Adonai, Signore, capo della casa d’Israele, che sei apparso a Mosè nella fiamma del roveto ardente e gli hai dato la legge sul Sinai, vieni a ricattarci nella forza del tuo braccio.

O Supremo Signore, Adonai, vieni a riscattarci, non più nella tua potenza, ma nella tua umiltà. Una volta ti sei manifestato a Mosè, tuo servo, in mezzo ad una divina fiamma; hai dato la Legge al tuo popolo tra fulmini e lampi. Ora non è più tempo di spaventare, ma di salvare. Per questo la tua purissima Madre Maria, conosciuto, al pari dello sposo Giuseppe, l’editto dell’Imperatore che li obbligherà ad intraprendere il viaggio di Betlemme, si occupa dei preparativi della tua prossima nascita. Dispone per te, o divino Sole, gli umili panni che copriranno la tua nudità, e ti ripareranno dal freddo in questo mondo che tu hai fatto, nell’ora in cui apparirai nel profondo della notte e del silenzio. Così ci libererai dalla servitù dei nostro orgoglio, e il tuo braccio si farà sentire più potente quando sembrerà più debole e più immobile agli occhi degli uomini. Tutto è pronto, o Gesù! I tuoi panni ti attendono. Parti dunque presto e vieni a Betlemme, a riscattarci dalle mani del nostro nemico.

19 DICEMBRE – III ANTIFONA

O rampollo di Iesse, che sei come uno stendardo per i popoli; davanti al quale i re ammutoliranno e le genti offriranno le loro preghiere: vieni a liberarci, e non tardare.

Eccoti dunque in cammino, o Figlio di Iesse, verso la città dei tuoi avi. L’Arca del Signore s’è levata ed avanza, con il Signore che è in essa, verso il luogo del suo riposo. « Quanto sono belli i tuoi passi, o Figlia del Re, nello splendore dei tuoi calzari » (Cant 7,1), quando vieni a portare la salvezza alle città di Giuda! Gli Angeli ti scortano, il tuo fedele Sposo ti circonda di tutta la sua tenerezza, il cielo si compiace in te, e la terra trasalisce sotto il dolce peso del suo Creatore e della sua augusta Regina. Avanza, o Madre di Dio e degli uomini, Propiziatorio onnipotente in cui è racchiusa la divina Manna che preserva l’uomo dalla morte! I nostri cuori ti seguono e ti accompagnano, e al seguito del tuo Regale antenato, giuriamo « di non entrare nella nostra casa, di non salire sul nostro letto, di non chiudere le nostre palpebre e di non concederci riposo fino a quando non abbiamo trovato nei nostri cuori una dimora per il Signore che tu porti, una tenda per il Dio di Giacobbe ». Vieni dunque, così velato sotto i purissimi fianchi dell’Arca santa, o rampollo di Iesse, finché ne uscirai per risplendere agli occhi del popolo, come uno stendardo di vittoria. Allora i re vinti taceranno dinanzi a te, e le genti ti rivolgeranno i loro omaggi. Affrettati, o Messia; vieni a vincere tutti i nostri nemici e liberaci!

2O DICEMBRE – IV ANTIFONA

O chiave di David e scettro della casa d’Israele, che apri, e nessuno può chiudere; che chiudi, e nessuno può aprire: vieni e trai dalla prigione il misero che giace nelle tenebre e nell’ombra della morte.

O figlio di David, erede del suo trono e della sua potenza, tu percorri, nella tua marcia trionfale, una terra sottomessa un tempo al tuo avo, e oggi asservita dai Gentili. Riconosci da ogni parte, sul tuo cammino, tanti luoghi testimoni delle meraviglie della giustizia e della misericordia di Dio tuo Padre verso il suo popolo, nel tempo di quell’antica Alleanza che volge verso la fine. Presto, tolta la virginea nube che ti ricopre, intraprenderai nuovi viaggi su quella stessa terra, vi passerai beneficando e guarendo ogni languore ed ogni infermità, e tuttavia senza avere dove posare il capo. Oggi almeno il seno materno ti offre ancora un asilo dolce e tranquillo, nel quale non ricevi che le testimonianze dell’amore più tenero e più rispettoso. Ma, o Signore, bisogna che tu esca da quel beato ritiro; bisogna che tu, o Luce eterna, risplenda in mezzo alle tenebre, poiché il prigioniero che sei venuto a liberare languisce nella sua prigione. Egli giace nell’ombra della morte, e vi perirà se non vieni prontamente ad aprirne le porte con la tua Chiave onnipotente! Il prigioniero, o Gesù, è il genere umano, schiavo dei suoi errori e dei suoi vizi. Vieni a spezzare il giogo che l’opprime e lo degrada! Il prigioniero è il nostro cuore troppo spesso asservito a tendenze che esso sconfessa. Vieni, o divino Liberatore, a riscattare tutto ciò che ti sei degnato di rendere libero con la tua grazia, e a risollevare in noi la dignità di fratelli tuoi.

O Gabriele, messaggero dei cieli, tu sei entrato da me a porte chiuse e mi hai detto quelle parole: Concepirai e partorirai un figlio e sarà chiamato Emmanuele!

21 DICEMBRE – V ANTIFONA

O Oriente, splendore della luce eterna! Sole di giustizia! Vieni, ed illumina coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte!

O divin Sole, o Gesù, tu vieni a strapparci alla notte eterna. sii per sempre benedetto! Ma come provi la nostra fede, prima di risplendere ai nostri occhi in tutta la tua magnificenza! Come ti compiaci di velare i tuoi raggi, fino all’istante segnato dal Padre tuo celeste, nel quale devi effondere tutti i tuoi fuochi! Ecco che attraversi la Giudea, ti avvicini a Gerusalemme, e il viaggio di Maria e Giuseppe volge al termine. Sul cammino, incontri una moltitudine di uomini che vanno in tutte le direzioni, e che si recano ciascuno alla sua città d’origine per soddisfare all’Editto del censimento. Di tutti quegli uomini nessuno pensa che tu gli sia vicino, o divino Oriente! Maria, Madre tua, è ritenuta una donna comune; tutt’al più, se notano la maestà e la modestia incomparabile dell’augusta regina, sentiranno vagamente lo stridente contrasto fra la suprema dignità e l’umile condizione; ma hanno presto dimenticato quel felice incontro. Se guardano con tanta indifferenza la madre, rivolgeranno forse un pensiero al figlio ancora racchiuso nel suo seno? Eppure quel figlio sei tu stesso, o Sole di giustizia! Accresci in noi la Fede, ma accresci anche l’amore. Se quegli uomini ti amassero, o liberatore dell’universo, tu ti faresti sentire ad essi; i loro occhi non ti vedrebbero ancora, ma almeno s’accenderebbe loro il cuore nel petto, ti desidererebbero e solleciterebbero il tuo arrivo con i loro voti e i loro sospiri. O Gesù, che attraversi così quel mondo che tu hai fatto, e che non forzi l’omaggio delle tue creature, noi vogliamo accompagnarti per il resto del tuo viaggio; baciamo sulla terra le orme benedette dei passi di colei che ti porta nel seno, e non vogliamo lasciarti fino a quando non siamo arrivati con te alla dolce Betlemme, a quella Casa del Pane in cui finalmente i nostri occhi ti vedranno, o Splendore eterno, nostro Signore e nostro Dio.

22 DICEMBRE – VI ANTIFONA

O re delle genti, oggetto dei loro desideri! Pietra angolare che riunisci in te i due popoli! Vieni e salva l’uomo che hai formato dal fango.

O Re delle genti! Tu ti avvicini sempre più a quella Betlemme in cui devi nascere. Il viaggio volge al termine, e la tua augusta Madre, che il dolce peso consola e fortifica, conversa senza posa con te lungo il cammino. Adora la tua divina maestà e ringrazia la tua misericordia; si rallegra d’essere stata scelta per la sublime missione di servire da Madre a un Dio. Brama e teme insieme il momento in cui finalmente i suoi occhi ti contempleranno. Come potrà renderti i servigi degni della tua somma grandezza, quando si ritiene l’ultima delle creature? Come ardirà sollevarti fra le braccia, stringerti al cuore, allattarti al suo seno mortale? Eppure, quando pensa che si avvicina l’ora in cui, senza cessare d’essere suo figlio, uscirai da lei ed esigerai tutte le cure della sua tenerezza, il suo cuore vien meno e mentre l’amore materno si confonde con l’amore che porta verso Dio, è sul punto di spirare in quella lotta troppo impari della fragile natura umana contro i più forti e i più potenti di tutti gli affetti riuniti in uno stesso cuore. Ma tu la sostieni, o Desiderato delle genti, perché vuoi che giunga al felice termine che deve dare alla terra il suo Salvatore, e agli uomini la Pietra angolare che li riunirà in una sola famiglia. Sii benedetto nelle meraviglie della tua potenza e della tua bontà, o divino Re, e vieni presto a salvarci, ricordandoti che l’uomo ti è caro poiché l’hai formato con le tue stesse mani. Oh, vieni, poiché l’opera tua è degenerata, è caduta nella perdizione, e la morte l’ha invasa: riprendila nelle tue potenti mani, rifalla, salvala, perché l’ami sempre, e non arrossisci della tua creazione.

O Re Pacifico, tu che sei nato prima dei secoli, affrettati ad uscire dalla porta d’oro: visita coloro che devi riscattare, e falli risalire al luogo donde il peccato li ha precipitati.

23 DICEMBRE – VII ANTIFONA

O Emmanuele, nostro Re e nostro Legislatore, attesa delle genti e loro salvatore, vieni a salvarci, Signore Dio nostro!

O Emmanuele, Re della Pace, tu entri oggi in Gerusalemme, la città da te scelta, perché è là che hai il tuo Tempio. Presto vi avrai la tua Croce e il tuo Sepolcro, e verrà il giorno in cui costituirai presso di essa il tuo terribile tribunale. Ora tu penetri senza rumore e senza splendore in questa città di David e di Salomone. Essa non è che il luogo del tuo passaggio, mentre ti rechi a Betlemme. Tuttavia Maria Madre tua e Giuseppe, suo sposo, non l’attraversano senza salire al Tempio per offrire al Signore i loro voti e i loro omaggi; e si compie allora, per la prima volta, l’oracolo del Profeta Aggeo il quale aveva annunciato che la gloria del secondo Tempio sarebbe stata maggiore di quella del primo. Quel Tempio, infatti, si trova in questo momento in possesso d’un’Arca d’Alleanza molto più preziosa di quella di Mosè, e soprattutto non paragonabile a nessun altro santuario e anche al cielo, per la dignità di Colui che essa racchiude. Vi è il Legislatore stesso, e non più soltanto la tavola di pietra su cui è scritta la Legge. Ma presto l’Arca vivente del Signore discende i gradini del Tempio, e si dispone a partire per Betlemme, dove la chiamano altri oracoli. Noi adoriamo, o Emmanuele, tutti i tuoi passi attraverso questo mondo, e ammiriamo con quanta fedeltà osservi quanto è stato scritto di te, affinché nulla manchi ai caratteri di cui devi essere dotato, o Messia, per essere riconosciuto dal tuo popolo. Ma ricordati che Sta per suonare l’ora, tutto è pronto per la tua Natività, e vieni a salvarci. Vieni, per essere chiamato non più soltanto Emmanuele, ma Gesù, cioè Salvatore.

O Gerusalemme, città del gran Dio, leva gli occhi intorno a te, e guarda il tuo Signore, poiché egli presto verrà a liberarti dalle tue catene.

24 DICEMBRE

Consideriamo la purissima Maria, sempre accompagnata dal suo fedele sposo Giuseppe, che esce da Gerusalemme e si dirige verso Betlemme. Essi vi giungono dopo alcune ore di cammino e, per obbedire al volere celeste, si recano alla sede del censimento secondo l’editto dell’Imperatore. Sul pubblico registro si nota così il nome dell’artigiano Giuseppe, falegname a Nazareth di Galilea; senza dubbio vi si aggiunge anche il nome della sposa Maria che l’ha accompagnato nel viaggio; forse è stata qualificata anche come donna incinta al nono mese: questo è tutto. O Verbo incarnato, agli occhi degli uomini, tu non sei dunque ancora un uomo? Visiti questa terra e vi sei sconosciuto; tuttavia tutto quel movimento, tutta l’agitazione che porta con sé il censimento dell’impero, non hanno altro scopo che di condurre Maria, Madre tua, a Betlemme per darti alla luce.
O Mistero ineffabile! Quanta grandezza in questa apparente bassezza! Tuttavia il sommo Signore non ha ancora toccato il fondo del suo abbassamento. Ha percorso le dimore degli uomini, e gli uomini non l’hanno ricevuto. Cercherà ora una culla nella stalla degli animali senza ragione: è qui che nell’attesa dei canti angelici, degli omaggi dei pastori e delle adorazioni dei Magi, troverà « il bue che conosce il suo Padrone, e l’asino che vien legato alla mangiatoia del suo Signore ». O Salvatore degli uomini, o Emmanuele, o Gesù, anche noi ci recheremo alla stalla; non lasceremo compiersi solitaria e derelitta la nuova Nascita. A quest’ora, tu vai bussando alle porte di Betlemme, senza che gli uomini vengano ad aprirti, e dici alle anime, con la voce del divino Cantico: « Aprimi o sorella mia, amica mia, poiché il mio capo è pieno di rugiada e i miei capelli imbevuti delle gocce della notte ». Noi non vogliamo che tu abbia a passare oltre la nostra dimora: ti supplichiamo di entrare, e ci teniamo vigilanti alla nostra porta. « Vieni dunque, o Signore Gesù, vieni ».

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Testo tratto da: Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, vol. I Avvento e Natale, Alba 1956, pp. 359-75 passim.

Meditazione di frère Alois: L’Avvento: saper aspettare…

dal sito:

http://www.taize.fr/it_article8058.html

Meditazione di frère Alois

L’Avvento: saper aspettare…

E se il tempo dell’Avvento venisse a rinnovare la speranza in noi? Non un ottimismo facile che chiude gli occhi sulla realtà, ma quella speranza forte che getta l’ancora in Dio e permette di vivere pienamente l’oggi.

L’anno cristiano comincia con l’Avvento, il tempo dell’attesa. Perché? Per rivelare a noi stessi l’aspirazione che ci abita e approfondirla: il desiderio di assoluto, verso il quale ciascuno tende con tutto il suo essere, corpo, anima, intelligenza; la sete d’amore che arde in ciascuno, dal lattante all’anziano, e che anche la più profonda intimità umana non può interamente placare.

Quest’attesa, la sentiamo spesso come una mancanza o un vuoto di cui farsi carico è difficile. Ma, lungi dall’essere un’anomalia, fa parte della nostra persona. È un dono, ci conduce ad aprirci noi stessi, orienta tutta la nostra persona verso Dio.

Osiamo credere che il vuoto può essere abitato da Dio e che possiamo già vivere l’attesa con gioia. Sant’Agostino ci aiuta quando scrive: “Tutta la vita del cristiano è un desiderio santo. Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende capace di ricevere… Se desideri vedere Dio, hai già la fede”.

Frère Roger amava questo pensiero di Agostino ed in questo spirito pregava: “Dio che ci ami, quando abbiamo il desiderio di accogliere il tuo amore, questo semplice desiderio è già l’inizio di una fede molto umile. Poco a poco nell’intimo della nostra anima si accende una fiamma. Essa può essere molto fragile, ma arde sempre”.

La Bibbia valorizza il lungo cammino del popolo d’Israele e mostra come Dio abbia lentamente preparato la venuta del Cristo. Ciò che è appassionante nella Bibbia, è che racconta tutta la storia d’amore tra Dio e l’umanità. Comincia con la freschezza di un primo amore, poi arrivano i limiti e anche le infedeltà. Ma Dio non si stanca di amare, cerca sempre il suo popolo. In realtà, la Bibbia è la storia della fedeltà di Dio. “Si dimentica forse un donna del suo bambino? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15).

Leggere questa lunga storia può evocare in noi il senso delle lente maturazioni. A volte vorremmo tutto, subito, senza capire il valore del tempo della maturazione! Ma i salmi ci aprono un’altra prospettiva: “Nelle tue mani sono i miei giorni, Signore” (Sal 31,16).

Saper aspettare…Esserci, semplicemente, gratuitamente. Mettersi in ginocchio per riconoscere, anche con il corpo, che Dio agisce in tutt’altro modo rispetto a quanto immaginiamo. Aprire le mani, in segno d’accoglienza. La risposta di Dio ci sorprenderà sempre. Preparandoci al Natele, l’Avvento ci prepara ad accoglierlo.

Anche se non riusciamo sempre ad esprimere il nostro desiderio interiore a parole, fare silenzio è già l’espressione di un’apertura a Dio. Durante questo tempo d’Avvento, ci ricordiamo che Dio stesso è venuto, a Betlemme, in un grande silenzio.

La vetrata dell’Annunciazione, che si trova nella chiesa di Taizé, mostra la Vergine Maria raccolta e disponibile, che resta in silenzio nell’attesa che si realizzi la promessa dell’angelo di Dio.

Come la lunga storia che ha preceduto il Cristo è stata il preludio alla sua venuta sulla terra, allo stesso modo l’Avvento ci permette ogni anno un’apertura progressiva alla presenza del Cristo in noi. Gesù riconosce la nostra attesa come un giorno ha riconosciuto quella di Zaccheo. E come a lui, ci dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Luca 19,5).

Lasciamo nascere in noi la gioia di Zaccheo. Allora i nostri cuori, come il suo, s’apriranno agli altri. Lui decide di donare la metà dei suoi beni ai poveri. Noi, oggi, sappiamo che una gran parte di umanità ha sete di un minimo di benessere materiale, di giustizia, di pace. Durante il tempo dell’Avvento, possiamo farci carico di qualche opera di solidarietà?

I testi che si leggono nella liturgia durante l’Avvento esprimono una sorta di sogno di pace universale: “abbonderà la pace, finché non si spenga la luna” (Sal 72,7), “la pace non avrà fine” (Is 9,6), una terra in cui “il lupo dimorerà insieme con l’agnello” e non ci sarà più violenza (Is 11,1-9).

Sono testi poetici, ma risvegliano in noi un ardore. E vediamo che “la pace sulla terra” può germogliare nelle riconciliazioni che si realizzano, nella fiducia che gli uni ritrovano negli altri. La fiducia è come un granellino di senape che sta per crescere e, poco a poco, diventare il grande albero del regno di Dio su cui si stende una “pace senza fine”. La fiducia sulla terra è un umile inizio della pace.
Il giornale «La Croix» ha chiesto a frère Alois di scrivere, durante l’anno 2008-2009, una meditazione per ogni grande festa cristiana.Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2009

Il Tempo Liturgico dell’ Avvento

dal sito:

http://www.pasomv.it/index_file/Page1516.htm

Il Tempo Liturgico dell’ Avvento

1. INTRODUZIONE: SENSO DELL’ANNO LITURGICO

Cos’è l’anno liturgico? È l’azione della Chiesa che nel tempo ricorda e vive quanto il suo Signore ha fatto per lei permettendo a tutti i fedeli un incontro esistenziale con Lui morto e risorto.

Quest’azione celebrativa della Chiesa è essenzialmente celebrazione del mistero pasquale di Gesù Cristo, mistero che essendo troppo denso e ricco per essere da noi compreso e vissuto in maniera immediata e totale, viene – per così dire – spezzettato nel tempo perché possiamo gustarne e assimilarne i diversi aspetti e le diverse dimensioni.

Ogni celebrazione liturgica della Chiesa è celebrazione del mistero pasquale di Gesù, ma nei vari tempi liturgici questa celebrazione viene enfatizzata in alcuni suoi aspetti particolari.

Ogni celebrazione liturgica è celebrazione di fede, speranza, carità e queste tre virtù ci aiutano anche a capire tre dimensioni sempre presenti in ogni celebrazione liturgica.

La fede ci riporta al passato, la speranza al futuro, la carità al presente.

Ogni celebrazione liturgica è ricordo o memoria di un evento storico passato, con la virtù teologale della fede noi crediamo veramente accaduto quanto ricordiamo.

Ogni celebrazione liturgica non è solo ricordo o memoria di un evento passato, ma è anche memoriale, cioè presenza sacramentale dell’evento. Cioè quanto noi crediamo avvenuto un tempo si rende presente nell’oggi della liturgia permettendo così a chi vi partecipa non solo un ricordo psicologico di esso, ma un contatto esistenziale con quanto ricordato che viene reso presente per la forza del sacramento. Questa presenza richiede un’accoglienza amorosa che il fedele opera attraverso la virtù teologale della carità che lo spinge a vivere ciò che celebra nel rito anche con la partecipazione dell’offerta della propria persona.

L’accoglienza amorosa di quanto il Padre ha fatto per l’umanità in Cristo spinge il fedele a vivere in un amore donante e consegnante ciò che celebra, donandosi e consegnandosi con Gesù al Padre.

Ogni celebrazione non è solo ricordo e presenza sacramentale di un evento passato, ma è anche anticipo e pegno di quell’incontro definitivo col Cristo glorioso che faremo quando Lui tornerà a chiudere la storia. Quindi ogni celebrazione è carica di una tensione di speranza dell’incontro definitivo, è tesa verso Gesù che ritorna.

Ogni celebrazione è un rinnovare con forza e amore quel ‘Vieni Signore Gesù – Maranatah (Ap 22,17) con cui si chiude la Bibbia.

2. SENSO DEL TEMPO D’AVVENTO

Quest’ultimo aspetto della tensione verso il futuro, è proprio di tutte le celebrazioni liturgiche e quindi di tutto l’anno liturgico, ma lo è in modo specifico del tempo dell’Avvento che enfatizza proprio questa attesa.

Il tempo d’Avvento è il tempo della speranza, della viva attesa di Gesù. Per ridestare una speranza viva nel ritorno del suo Signore la Chiesa si fa aiutare dal ricordo di quell’attesa che pulsava nel cuore di ogni israelita che attendeva il Messia, la salvezza. E così, ad esempio, la Chiesa rileggendo Isaia e le sue profezie di speranza al popolo ebreo schiavo a Babilonia, rinnova nel cuore del cristiano il suo desiderio che Gesù Signore venga presto a salvare questo mondo e a regnare sull’universo: ‘Se tu squarciassi i cieli e scendessi!’ (Is 63,19)

Per questo è cosa buona rileggersi in questo tempo l’AT, soprattutto quei brani che ci raccontano i periodi più difficili e angosciosi della storia ebraica in cui più esplodeva nel cuore del pio israelita la speranza e il desiderio che si realizzasse quella salvezza promessa dai profeti nell’annuncio di un Salvatore venturo.

La Chiesa in questo tempo contempla e medita dunque quel desiderio di quel popolo che Dio si scelse per preparare la venuta del Salvatore, in particolare in questo tempo siamo chiamati a guardare verso quella figura di quel popolo che condensò nel suo cuore, al massimo grado, tutte le speranze di Israele, questa figura è Maria. Nel tempo d’Avvento guardiamo particolarmente verso di lei, entriamo nel suo cuore così desideroso di vedere quel Salvatore che mirabilmente in Lei aveva preso lineamenti umani e avrebbe partorito nella povertà del presepe.

Celebrando quindi l’attesa del ritorno di Gesù, l’Avvento ci fa rivivere l’attesa della sua nascita a Betlemme e l’ansia di Maria di vedere il suo Figlioletto divino.

L’ansia della salvezza vissuta dal popolo santo di Dio nella sua storia di salvezza mi deve rimandare ad entrare in profondità in due realtà per invocare con più forza e desiderio la salvezza:

· La prima è la realtà della mia personale e soggettiva storia della salvezza che è la storia della mia vita personale. Entriamo in questo Avvento in profondità nella nostra storia personale, entriamo in profondità in quella realtà di tenebre, di malizia, di peccato che ci portiamo dietro come una più o meno pesante zavorra, prendiamo coscienza della nostra personale miseria per poter invocare con più desiderio, con più forza, con più confidenza la mia salvezza e gridare così a Gesù, mio Salvatore, a Gesù mio Redentore: Vieni Signore Gesù! (Ap 22.17.20). Vieni presto a salvarmi! Ho bisogno di Te! Ho bisogno di essere guarito dentro! Ho bisogno di essere toccato, guardato, amato, perdonato da Te! Ecco l’Avvento con il suo grido: MARANATAH: Vieni Signore Gesù!… Vieni a salvarmi!· 

· La seconda realtà che devo approfondire nella fede, speranza e carità, è la realtà del mondo che mi circonda e nel quale vivo, la realtà del mio piccolo mondo nel quale sono inserito esistenzialmente: il mondo della mia famiglia, del mio parentado, delle mie amicizie, del mio lavoro, delle persone che incontro, ecc.; la realtà del grande mondo che mi circonda con i suoi travagli, le sue problematiche, i suoi mali, le sue ingiustizie, le sue guerre, le sue miserie, le sue angosce, ecc. La vista quotidiana di tanti mali e sciagure dovrebbe suscitare nel nostro cuore il desiderio che questo mondo sia salvato, fatto nuovo dalla misericordia di Dio e perciò che venga presto il Signore Gesù a chiudere la storia e presentare questo mondo rifatto nuovo al Padre (cf 1Cor 15,25-28). Ecco l’Avvento con il suo grido: MARANATAH: Vieni Signore Gesù!… Vieni a salvarci!

L’Avvento ci spinge ad “attendere con amore la manifestazione del Signore” (2Tm 4,8), se non L’attendiamo con amore, se non preghiamo perché venga presto, significa chiaramente che non l’amiamo, che preferiamo che il suo regno per ora non ci sia. Che amore è il nostro se da un lato affermiamo di amarLo e d’altra parte siamo ben contenti di non vederLo arrivare! Quanto siamo veramente piccoli nell’amore!

Diversi affermano che loro sarebbero contenti, solo che pensano ai loro cari che vivono lontani da Lui e hanno paura che venendo Lui presto loro sarebbero nei guai… Ma questi sono ragionamenti piccoli piccoli che denotano una poca conoscenza del Signore, del suo amore infinito per noi, per ciascuno di noi. Certamente dobbiamo pregare perché i nostri cari si convertano a Lui prima che venga, ma siamo certi che Lui nel suo amore per noi non mancherà di dare a tutti le grazie sufficienti per convertirsi e che quindi quando verrà avrà ben bussato forte forte al cuore di tutti perché si possano salvare. D’altra parte poi, tutti possono sempre accettare o rifiutare le sue grazie, il suo amore, la sua salvezza. A noi quindi, se L’amiamo, pregare che venga presto, che regni presto, che faccia presto tutto nuovo, cominciando da noi, ci penserà poi Lui al resto, perché Lui ama i nostri cari molto, ma molto più di noi e si è fatto mettere in croce per salvarci, non per dannarci. Per cui tutto quello che Lui può fare perché i nostri cari si salvino, lo fa e lo farà.

3. AVVENTO: CELEBRAZIONE DELLE TRE VENUTE DI GESÙ

L’Avvento è celebrazione liturgica delle due venute di Gesù: quella avvenuta nella povertà del presepe da noi creduta con fede; quella ventura, quando Gesù verrà nella sua gloria, venuta da noi attesa nella speranza. Nello stesso tempo l’Avvento ci spinge a saper scoprire e accogliere nell’amore quella continua venuta del Signore nella nostra personale storia.

Si racconta di un anziano rabbi – un maestro del giudaismo – che una volta, mentre osservata dei ragazzini che si divertivano a giocare a nascondino, improvvisamente si mise a piangere… Uno di loro allora gli si avvicinò e gli chiese perché piangesse. “Anche Dio si nasconde, come nel vostro gioco – rispose – ma non c’è nessuno che si metta a cercarlo”.

Ecco l’Avvento è quel tempo liturgico che ci invita a scoprire la presenza nascosta in mezzo a noi di Gesù Signore che viene in vari modi nel nostro oggi ecclesiale per salvarci.

Gesù viene a noi in modo assolutamente mirabile nell’Eucarestia e si nasconde in essa. Gesù nascosto – così lo chiamava Francesco, uno dei tre fanciulli di Fatima. Gesù nascosto! Gesù si nasconde per darci la gioia di scoprirlo! L’Avvento è tempo di Eucaristia!

Ma Gesù non si nasconde solo nell’Eucarestia, Gesù ha un altro nascondiglio nel quale ama essere scoperto: la sua Parola. L’Avvento è tempo di riscoperta della Parola

Ma sono diversi ancora i nascondigli di Gesù, Gesù si nasconde nei suoi ministri, mirabile nascondiglio! Quanta fede alle volte ci vuole per poterLo scoprire, ma quanta gioia ci riserva questa scoperta! Quanta pace! Quanta luce! Quanta serenità Gesù ci trasmette attraverso quel povero uomo che Lui ha preso come suo nascondiglio: ‘Va in pace, i tuoi peccati ti sono perdonati’ e attraverso le mani di quel povero uomo veniamo toccati da Gesù, guariti da Gesù, perdonati da Gesù.

E poi ci sono quegli altri nascondigli di Gesù di cui Lui stesso ci ha parlato nel suo Vangelo: ‘Avevo fame… avevo sete… ero nudo… forestiero…malato… carcerato… quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! … L’avete fatto a me!’ (Mt 25,31ss): Gesù nascosto nel povero, nel malato, nel bisognoso… Gesù nascosto nel parente…, nel collega…, dove spesso è così ben nascosto che proprio non riesco umanamente a vederlo… eppure Lui c’è, basta attivare un po’ di fede per scoprirLo e un po’ di amore per accoglierLo.

L’Avvento è dunque tempo di quella carità che ci fa accogliere questa presenza nella mia vita.

Ma, infine, c’è ancora un nascondiglio di Gesù, che vi invito a scoprire per incontrarvi con gioia con Lui in questo tempo d’Avvento. Gesù è lì nascosto così vicino a noi e noi così distratti ce ne accorgiamo così raramente. Ma qual’è quest’ultimo nascondiglio di Gesù? Gesù si nasconde nel tuo cuore, nel mio cuore… Se ci fermassimo un attimo a pensare la grandezza e l’importanza di questo: sono io il nascondiglio preferito di Gesù, sono io! La mia persona è il nascondiglio di Gesù: quanto Gesù ama essere costretto ad uscire da questo nascondiglio! Facciamo uscire fuori Gesù! Facciamolo vedere questo Gesù, facciamolo crescere questo Gesù. L’Avvento è il tempo gioioso di questa rinnovata scoperta di Gesù nel nostro cuore scoperto dalla nostra vita di preghiera: cos’è la preghiera se non un contatto vivo con questo Gesù risorto e vivo presente nel nostro cuore che ci invita a dire nel suo Santo Spirito: ‘Padre nostro’? L’Avvento è dunque, infine, tempo di preghiera fervorosa, intima e amorosa.

Il Signore Gesù dia a ciascuno di noi in questo prossimo Avvento la grazia di una rinnovata scoperta della sua presenza e di un rinnovato desiderio di abbracciarlo nella fede, nella speranza e nell’amore.

4. MARIA NEL TEMPO DI AVVENTO: nn. 3-4 della Marialis Cultus di Paolo VI I

3. Così, nel tempo di avvento, la liturgia, oltre che in occasione della solennità dell’8 dicembre – celebrazione congiunta della concezione immacolata di Maria, della preparazione radicale (cf. Is 11,1,10) alla venuta del Salvatore, e del felice esordio della chiesa senza macchia e senza ruga -, ricorda frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il Natale, nella quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla Vergine Maria e sul Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo precursore.

4. In tal modo i fedeli, che vivono con la liturgia lo spirito dell’avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, « vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode ». Vogliamo, inoltre, osservare come la liturgia dell’avvento, congiungendo l’attesa messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale, che può essere assunto quale norma per impedire ogni tendenza a distaccare – come è accaduto talora in alcune forme di pietà popolare – il culto della Vergine dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo; e faccia sì che questo periodo – come hanno osservato i cultori della liturgia – debba esser considerato un tempo particolarmente adatto per il culto alla Madre del Signore: tale orientamento noi confermiamo, auspicando di vederlo dappertutto accolto e seguito.

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino : Epifania del Signore

dal sito:

http://www.augustinus.it/varie/natale/natale_epifania.htm

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 199, 1.1-2)

Epifania del Signore 

« Entrati nella casa,
(i Magi) videro il Bambino con Maria sua madre,
e prostratisi lo adorarono ».
(Mt 2, 11)

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione

Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai Giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché la salvezza viene dai Giudei (Gv 4, 22); ma questa salvezza (sarà portata) fino agli estremi confini del mondo (Is 49, 6). In quel giorno lo adorarono i pastori, oggi i magi; a quelli lo annunciarono gli angeli, a questi una stella. Tutti e due l’appresero per intervento celeste, quando videro in terra il re del cielo, perché ci fosse gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo (Ef 2, 14). Già, fin da quando il bambino è nato e annunziato, si presenta come pietra angolare (Cf. Mt 21, 42), tale si manifesta già nello stesso momento della nascita. Già cominciò a congiungere in sé le due pareti poste in diverse direzioni, chiamando i pastori dalla Giudea, i magi dall’Oriente: Per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani tanto a quelli che erano vicini (Ef 2, 15.17). I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo (Mt 2, 2). Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Cf. 2 Cor 5, 7). Non erano già nati tante volte in Giudea altri re dei Giudei? Come mai questo viene conosciuto da stranieri attraverso segni celesti e viene cercato in terra, risplende nell’alto del cielo e si nasconde umilmente? I magi vedono la stella in Oriente e capiscono che in Giudea è nato un re. Chi è questo re tanto piccolo e tanto grande, che in terra non parla ancora e in cielo già dà ordini? Proprio per noi – perché volle farsi conoscere da noi tramite le sue sante Scritture – volle che anche i magi credessero in lui attraverso i suoi profeti, pur avendo dato ad essi un segno così chiaro in cielo e pur avendo rivelato ai loro cuori di essere nato in Giudea. Nel cercare la città nella quale era nato colui che desideravano vedere e adorare, fu per essi necessario informarsi presso i capi dei Giudei. E questi, attingendo dalla sacra Scrittura che avevano sulle labbra ma non nel cuore, presentarono, da infedeli a persone divenute credenti, la grazia della fede, menzogneri nel loro cuore, veritieri a loro proprio danno. Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete.

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio (anche Gal 4,4)

dal sito:

http://www.custodia.org/spip.php?article4744

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio (anche Gal 4,4)

Pietro Kaswalder, ofm
Messo on line il venerdì 26 dicembre 2008 a 09h20

Il tempo è ormai pieno, siamo alla Notte del Natale: più che la Novena, questa è una introduzione immediata al Mistero che si è compiuto a Betlemme, secondo le Scritture; e che si compie nella Liturgia della Chiesa: Dio si incarna, e viene a piantare la sua tenda tra gli uomini.

Questo è il primo paradosso, primo nel senso di princiale, da cui ne dipendono molti altri.

Il paradosso, usato dagli Autori Sacri, vuole sorprendere, certo, per far nascere meraviglia e stupore. E qui vediamo che il paradosso fà parte della Rivelazione biblica, e della Teologia: spiega il comportamento divino, sempre sconcertante e stupefaciente. Perché così si rivela un Dio semplicemente al di là delle attese umane.

Per vivere con frutto questo momento mi lascio guidare da S. Paolo, che non parla espressamente del Natale di Betlemme: ecco un altro paradosso! Ma che ci parla del Natale del Signore, Gal 4,4-5: nato da donna, nato sotto la Legge… (e da passi complementari nella Lettera ai Romani. E mi lascio guidare da uno spirito grande del secolo scorso: R. Guardini, Il Signore, Milano 1976, che io trovo sempre profondo e sempre utile nelle meditazioni dei Misteri della Liturgia.

Il paradosso viene usato in tutta la Bibbia: Abramo, vecchio e senza figli, con Sara, vecchia e sterile: sono i genitori di una stirpe infinita di discendenti, tra cui anche il Bambino di Betlemme! Per il NT: il più grande paradosso, è proprio la Natività: quel Gesù Bambino che nasce a Betlemme, di Giudea, è il Figlio di Dio! Ma allora, il paradosso non è soltanto un artificio letterario, impiegato dagli Autori Sacri per attirare l’attenzione del lettore: (Paolo ad esempio, è maestro del paradosso: quando sono debole, è allora che sono forte!). Fà parte della pedagogia divina che sempre

Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozone a figli, Gal 4,4-5.

Il tempo si è fatto pieno, cioè gravido: è una gravidanza singolare, pure questa! È la nascita di questo Figlio che rende gravido il tempo; ma gravido di che cosa? della attesa! Questo di cui parla Paolo è ancora il tempo dell’attesa (è un chronos), diverso dal tempo del compimento, il kairos, (cf. Mc 1,1: il tempo, il kairos, è compiuto). L’accostamento più facile che ci viene in mente è Isaia, il Profeta dell’attesa:

Tu Signore sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro Redentore. Perchè Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie, e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Se tu squarciassi i cieli, e scendessi! (Is 63,16-19).

Nato da Donna: equivale per intensità e significato al proglogo di Gv 1,14: e il Verbo si fece carne. E questo è il paradosso più scovolgente di tutta la nostra storia: l’Incarnazione, il farsi Uomo del Figlio di Dio. Gesù Bambino è Uomo: ciò significa che esperimenta tutta la condizione dell’umanità, nel bene e nel male.

Nascere uomini non è solo positivo, vedi Giobbe 14,1: L’uomo nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore, spunta e si secca!

Nato da Donna di Gal 4,4, significa, che Gesù accetta le regole dell’umanità, fino alla morte. Significa ancora, che Gesù nasce dentro la storia del suo popolo, Israele.

R. Guardini riguardo al prendere corpo di Gesù, si rivolge alle genealogie: vi troviamo i grandi e i santi, come Davide e Abramo (non troviamo però Acaz perché il Profeta Isaia lo aveva maledetto). Su, su fino a Lamech, e Adamo, per arrivare a Dio creatore, cf. R. Guardini, Il Signore: 21-24.

Le genealogie portano anche il valore della regalità e della santità: Gesù è seme di Davide secondo la carne, cf. Rom 1,13. È il Cristo secondo la Carne di Rom 9,5: egli che è sopra ogni cosa, Dio bendetto nei secoli.

Ma vi troviamo anche i peccati di Giuda con Tamar; di Davide con Bersabea; e Rahab la prostituta (ostessa); la moabita-straniera Ruth; il castigo di Babilonia; e infine l’attesa degli ultimi, definiti da R. Guardini, i poveri: Giacobbe, padre di Giuseppe, lo sposo di Maria, così povero che può offrire soltanto due tortore per la purificazione!

È passato per ogni prova, commenta R. Guardini, richiamando Ebr 4,15, tranne il peccato. « Ha sperimentato tutto ciò che significa umanità. I nominativi delle genealogie ci palesano che cosa vuol dire essere entrato nella storia dell’umanità, con il suo destino e con il suo debito. Meditado su questi nomi anche Gesù deve aver sentito profondamente cosa vuol dire: storia dell’uomo », cf. R. Guardini, Il Signore: 24

Ma il paradosso ricompare: Nato sotto la Legge per riscattare quelli che erano sotto la Legge. Sotto la Legge: è un aspetto non tanto positivo, significa essere soggetti alla Legge. È una sudditanza dalla quale abbiamo bisogno di essere liberati! e questo vale per gli israeliti, soprattutto.

Ma poi Paolo passa oltre al linguaggio giuridico (cf. il riscatto del minore che diventa maggiorenne; o dello schiavo che viene liberato) e ci rivela che a Natale noi diventiamo figli: e allora ci accorgiamo che Paolo passa decisamente al linguaggio salvifico.

Perché ricevessimo l’adozione a figli. Con questa affermazione Paolo sale ad un secondo livello di rivelazione, aperto a tutti, universale: dopo la discesa (kenosis) il movimento risale verso al Figliolanza divina. È questo è il nostro regalo di Natale più bello, che riscopriamo nelle parole di Paolo. La sua prospettiva è duplice: non solo affranca chi è schiavo della Legge, ma rende divini tutti gli uomini (i nati da donna, come Lui). Ecco la nostra speranza più grande.

Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono Figli di Dio; e voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo, Abba! Padre, Rom 8,14-15.

R. Guardini dice che l’Incarnazione è la pupilla dei misteri del Cristianesimo. Perciò và circondata di pacata, trepida e supplice vigilanza, cf. R. Guardini, Il Signore: 33.

La pupilla dell’occhio è anzitutto una cosa preziosa, e delicata. Ma la pupilla è anche lo strumento che illumina e che viene illumiato dalla luce esterna. Non per niente la luce è un segno esteriore del Natale; ma la pupilla ci pure mostra l’interiore, l’anima. e dall’interno dell’anima credente si

Da un canto popolare trentino: Sorgete pastori, che al pari del giorno, con i raggi d’intorno, la notte spuntò! L’ultimo è il paradosso della notte, simbolo dell’oscurità che a Natale sorge come il giorno della salvezza, e con i suoi raggi illumina tutti i credenti.

Adamo di Perseigne, Discorso 4 per Natale: « I genitori portarono al Tempio il bambino Gesù »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/30/2008#

Adamo di Perseigne ( ?-1221), abate cistercense
Discorso 4 per Natale

« I genitori portarono al Tempio il bambino Gesù »
La carne si avvicini al Verbo fattosi carne oggi, per farvi dimenticare ciò che è la carne e insegnarvi a passare, a poco a poco, dalla carne allo Spirito. Ci si avvicini dunque oggi, perché un nuovo sole brilla più del solito. Finora rinchiuso a Betlemme nelle ristrettezze di un presepe e conosciuto solo da un piccolo numero di persone, oggi viene a Gerusalemme nel Tempio del Signore; è presentato davanti numerose persone. Finora, Betlemme, da sola ti rallegravi della luce che era stata data per tutti; fiera del privilegio di una nascita inaudita, potevi rivaleggiare con l’Oriente stesso per la tua luce. Meglio, cosa incredibile a dirsi, c’era da te, in un presepe, più luce di quanta ne possa diffondere il sole di questo mondo al suo sorgere… Ma oggi, il Sole si dona per irradiare il mondo. Oggi, viene offerto nel Tempio di Gerusalemme, il Signore del Tempio.

Quanto sono felici coloro che si offrono a Dio come Cristo, come una colomba, nella solitudine di un cuore tranquillo! Questi sono maturi per celebrare con Maria il mistero della purificazione… Non è la madre di Dio, la quale non ha mai consentito al peccato, ad essere stata purificata in quel giorno. È l’uomo macchiato dal peccato ad essere oggi purificato dalla nascita e dall’offerta volontaria di lui… È stata così ottenuta, per mezzo di Maria, la nostra purificazione… Se abbracceremo con fede il frutto del suo seno, se ci offriremo con lui nel Tempio, ci purificherà il mistero che celebriamo.

Mons. Bruno Forte: Omelia per il Natale 2006

Natale, festa del sì di Dio all’uomo,
alla sua vita, al suo futuro

Omelia del Natale 2006

+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi/55/2006-12/31-195/Natale2006mattina.doc

 Natale, festa del Dio che nasce fra noi, facendosi uno di noi, per aprirci un futuro pieno di speranza, è annuncio di una grandissima gioia, la gioia che nasce dal sì di Dio, detto nella tenerezza e nella fragilità di quel Dio Bambino. Un sì che è il sì all’uomo, il sì alla vita e il sì a un futuro luminoso e bello per tutti. « Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio », e quel Figlio dell’uomo è il Figlio di Dio venuto nella nostra carne: ecco il sì di Dio all’uomo, che rivela tutta la dignità del nostro essere uomini e ci mostra quanto ognuno di noi sia importante per Lui. Natale vuol dire che Dio non è stanco degli uomini, che vuole anzi ancora impegnarsi per loro e che ognuno, anche il più piccolo fra gli esseri umani, ha per Lui un valore così grande da non esitare a mandare il Suo unico Figlio ad assumerne le gioie e i dolori, le speranze e le angosce, il presente e il futuro, la vita e la morte. A Natale impariamo da Dio ad essere e a volerci veramente umani: e proprio così impariamo a riconoscere in ogni persona l’immagine di Dio, la creatura che merita l’assoluto rispetto, a prescindere dalle sue qualità o capacità, dalla sua storia o dalla sua cultura. Chiunque sia l’essere umano che abbiamo davanti, giovane o vecchio, adulto o bambino, povero o ricco, sano o ammalato, qualunque sia il suo grado di cultura e la sua provenienza, il colore della sua pelle o la lingua che parla, l’impegno di giustizia e l’amore che gli è dovuto non ammettono eccezioni. Natale ci chiede di servire tutto l’uomo in ogni uomo, la dignità di ciascuno nella giustizia per tutti, il domani di ognuno nella pace per tutti. Il sì alla dignità della persona è allora il no alla guerra e alla sua potenza di distruzione, è il rifiuto della legge della forza perché si riconosca sempre la forza della legge. Natale ci ricorda che non ci sarà pace senza giustizia, senza volontà di dialogo con tutti, senza perdono richiesto e offerto a tutti.
 Il sì di Dio all’uomo si rivela così a Natale anche come il sì alla vita: questo sì alla vita di ogni essere umano, in ogni sua fase e in ogni sua espressione, risuona in questo Natale particolarmente vibrante, di fronte a una cultura della morte che sembra volersi fare strada nelle coscienze. Se Dio ci ha dato la vita, chi ha il diritto di togliercela al di fuori di Lui, che solo sa qual è per ciascuno il bene più grande? Se Lui ha detto sì alla nostra vita facendola sua, chi può arrogarsi il diritto di togliere la vita a sé o ad un altro? La drammatica vicenda di Piergiorgio Welby – l’ammalato di distrofia che ha più volte chiesto di cessare di vivere ed è stato esaudito in questi giorni non dal proprio medico curante, ma da un medico venuto da fuori a sedarlo e a staccare la spina – è stata fin troppo strumentalizzata, facendo di questa morte uno spettacolo che va ben oltre la discrezione dovuta di fronte alla fine di una vita. Ferma restando la « pietas » nei confronti di una sofferenza così grande, va detto con chiarezza che la vita di Welby aveva un valore infinito e lo avrebbe avuto in ogni istante, fino all’ultimo respiro che una morte non indotta gli avesse consentito. Se il Figlio di Dio è nato anche per Welby, se la vita si è fatta visibile in tutto il suo valore nel Bambino divino, chi è l’uomo per arrogarsi il diritto di decidere anche di un solo istante della vita propria o altrui? Chi ha pregato per Welby sa che il no al suo funerale in Chiesa non è stato il no alla pietà, né tanto meno il no alla fiducia nella misericordia divina, ma una forma di rispetto della verità per ricordare a tutti che rifiutare la vita è contro l’identità più profonda di ogni persona umana, quale Dio l’ha voluta. A nessuno è lecito supporre che la Chiesa possa approvare quanto è avvenuto nell’epilogo della vita di Welby: il no detto alle esequie religiose è un sì alla vita, per dare incoraggiamento ai tanti che soffrono come lui, per aiutarli a non staccare la spina, a credere nel valore di ogni istante di vita, anche del più doloroso. Alleviare la sofferenza con ogni mezzo medico, psicologico e spirituale è la sfida che ci viene posta davanti, mentre resta inaccettabile sopprimere la vita che ci è stata data e che non abbiamo alcun diritto di rifiutare, in noi come in ogni altro essere umano.
 Il sì alla vita si offre così a Natale come il sì alla speranza ed alla gioia per tutti: se Dio si è impegnato con gli uomini fino a farsi uno di noi, costruire il futuro dell’uomo vuol dire celebrare la gloria di Dio. Il sì alla vita, è inseparabile da questo sì al domani dell’uomo nel domani di Dio. Il Bambino che nasce è l’inizio di questo nuovo futuro: accoglierlo, è impegnarsi a rendere più bella e più degna la vita di tutti, e a credere che questo sia possibile, nonostante tutto e contro ogni apparenza contraria. La ragione di questo impegno e di questa speranza non è in qualcosa, ma in Qualcuno, in Colui che « ha dato se stesso per noi ». Il domani non è più un orizzonte oscuro: « Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse ». Non siamo soli in questa vita, non siamo soli in questo mondo: il Dio che è venuto fra noi, è il Dio con noi, e il Suo amore « ha moltiplicato la gioia, ha aumentato la letizia ». Come i pastori – poveri di tutto, ma liberi da tutto per potersi aprire pienamente alle sorprese dell’Eterno – anche noi siamo invitati ad accogliere il Bambino: al sì di Dio, ci è chiesto di rispondere col sì della nostra libertà, con un sì che sia detto insieme a Lui come sì all’uomo, alla vita e alla speranza, che può trasformare il dolore e vincerà la morte. Chiediamo al Signore del sì la fede e il coraggio necessari per questo nostro sì, pregando con le parole semplici e belle del Corale di Bach che è risuonato in questa Cattedrale proprio in preparazione a questo Natale nella splendida esecuzione dello struggente e insieme dolcissimo Oratorio di Natale del grandissimo Musicista, che ogni nota intese scrivere unicamente « zur Ehre Gottes » – « per la gloria di Dio »:
 
Come potrò accoglierTi,
in che modo incontrarTi,
o anelito di tutto il mondo,
o tesoro dell’anima mia?
Gesù, Gesù, poni
accanto a me la Tua fiaccola,
affinché ciò che Ti dà gioia
sia a me noto, da me riconosciuto.
Oh mio amato, piccolo Gesù,
preparati una culla pura e morbida
per riposare nello scrigno del mio cuore
affinché mai io mi dimentichi di Te!
…O mio Gesù, quando morrò
io so che non andrò perduto,
perché il Tuo nome sta scritto nel mio cuore
ed ha scacciato la paura della morte.
…O Gesù, sii Tu solo il mio desiderio,
o Gesù, siimi sempre nel pensiero,
o Gesù, non permettere che io vacilli!
…Io vengo a Te, Ti porto
quel che Tu mi hai donato,
il mio spirito, i miei sentimenti,
il mio cuore, l’anima mia, il mio coraggio:
accetta tutto
e fa’ che Ti sia gradito!
Amen!

 (da J.S.Bach, Oratorio di Natale, 5. 9. 38. 42.59)

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