« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio… » (Galati 4,4). (Card. Tettamanzi)
al sito:
http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/apps/docvescovo/files/1205/Ottava_nella_Circoncisione.doc
CHIESA DI MILANO
Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Ottava del Natale nella Circoncisione del Signore
41ª Giornata per la Pace
Omelia
Milano — Duomo, 1° gennaio 2008
Da Dio il grande dono della pace attraverso la famiglia
« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio… » (Galati 4,4).
« Quando si compirono gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù… » (Luca 2,21).
Questi due passi, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura e nel vangelo di oggi, ci ricordano che siamo qui riuniti a celebrare l’incarnazione di Dio, ossia l’ingresso della persona del Figlio nella nostra storia umana attraverso il popolo dell’alleanza, come inizio di un giorno nuovo, di un tempo pieno.
Carissimi, Cristo Signore in questa celebrazione ci doni luce e slancio per vivere le relazioni personali e sociali, che siamo chiamati ad avere con Dio e tra noi, sempre nel segno dell’amore e della pace.
L’ottavo giorno: giorno dello shalom eterno
Il Figlio mandato da Dio, Cristo -ricorda san Paolo ai Galati — è « nato da donna », più precisamente da madre ebrea; ed è « nato sotto la legge », perché si è sottomesso al cammino religioso del popolo ebraico (cfr Galati 4,4). Per questo oggi, ottavo giorno di celebrazione del Natale, noi facciamo anche memoria della circoncisione di Gesù, che avvenne precisamente otto giorni dopo la sua nascita, in conformità alla legge giudaica che la prescriveva come segno nella sua carne dell’appartenenza al popolo di Dio (cfr Luca 2,21).
Ora, nel simbolismo del linguaggio biblico, l’ottavo giorno allude al « giorno dopo il sabato », al « sabato senza tramonto » dello shalom eterno, al giorno della risurrezione di Cristo che lo inaugura. In realtà è in tale giorno che nella storia umana hanno fatto irruzione le energie rigeneratrici del Risorto, dando inizio ad una nuova creazione, che solo alla fine dei tempi si manifesterà per sempre come pienezza di vita, di pace e di amore.
Ma all’uomo interiore già oggi è data la possibilità di anticipare e di pregustare qualcosa della pienezza dello shalom: gli occhi dello Spirito gli permettono di poter vedere al di là delle apparenze e di scoprire la segreta bellezza dell’opera di Dio nascosta nei cuori umani. E questo dono dell’interiorità e della vita dello Spirito — dello Spirito che nei nostri cuori grida Abbà, Padre (cfr Galati 4,6) — è la benedizione per eccellenza. Carissimi, non dimentichiamolo mai! Anche per costruire la pace nel mondo l’unica via feconda è quella che incomincia dalla ricerca di riconciliazione e di pacificazione interiore a partire da se stessi e dal proprio cuore.
Qual è, dunque, la benedizione che da Dio riceviamo e che da lui invochiamo? E’ quella dello Spirito santo che opera nell’uomo interiore: tenendoci sotto la mano paterna e propizia di Dio, la benedizione irradia su di noi la luce del suo volto e in noi effonde amore, gioia e pace. È pertanto risuonata oggi in modo particolarmente significativo e pregnante la berakah biblica di Dio sul suo popolo, cioè la « benedizione sacerdotale » affidata da Dio ai figli di Aronne, come abbiamo ascoltato nella prima lettura: « Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Numeri 6,24-26). In questa triplice formula di benedizione ricorre solennemente per tre volte il Nome santo e impronunciabile di Dio, il Tetragramma sacro che nella lettura delle Scritture viene sostituito dagli ebrei con il termine Adonai, il « Signore » nella nostra traduzione.
Ora, pronunciare tre volte il Nome santo di Dio in questa solenne benedizione aveva ed ha per il popolo ebraico — e oggi anche per noi — il significato di rinnovare l’alleanza con il Signore.
Così, all’inizio di un nuovo anno civile, giunge a noi la parola che ci invita a rinnovare l’alleanza con Dio, soprattutto rispetto al nostro impegno per la pace nella vita sociale della città, della nazione, del mondo intero. È dunque particolarmente significativo far coincidere oggi — con questa liturgia dell’ottavo giorno di Natale, che appare così ricca di suggestioni — la Giornata mondiale della Pace, che quaranta anni fa Paolo VI ebbe la felice intuizione di istituire nella data del 1° gennaio.
Riuniti per invocare il dono della pace
Proprio per invocare con particolare intensità il dono della pace siamo qui riuniti insieme ai Rappresentanti delle Confessioni che aderiscono al Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano. A voi in particolare, fratelli e sorelle in Cristo, rivolgo il mio affettuoso saluto e vi ringrazio per la vostra gradita e importante presenza, una presenza che ci onora e ci dà gioia. Anche sul cammino del Consiglio milanese delle Chiese, che in questo gennaio 2008 compie dieci anni di vita, invochiamo insieme la benedizione di Dio, perché, all’interno della città, coltivi in modo ecumenico la cura pastorale della dimensione interiore dei cristiani di ogni confessione e sappia promuovere un comune annuncio del « Vangelo della pace » a quanti non l’hanno conosciuto, o stanno cercando un senso per la propria vita, o vorrebbero impegnarsi per un mondo nuovo e diverso da quello attuale. Come Chiesa ambrosiana, intendiamo continuare nel cammino di testimonianza intrapreso e dare particolare rilievo alla comunicazione della fede da parte delle famiglie, che svolgono la loro missione a servizio del Vangelo. Esso sono il luogo primordiale e privilegiato per la trasmissione del sentire, del pensare e del vivere da cristiani.Concludendo la Lettera pastorale alla Diocesi Famiglia comunica la tua fede, esprimevo un auspicio che desidero ripetere all’inizio del nuovo anno: « Lo Spirito santo ci doni le parole per raccontare Gesù, per farlo incontrare ai bambini e ai ragazzi, per renderlo credibile ai giovani e agli adulti, per sentirlo vicino nella carità e per testimoniarlo nella carità. Ci insegni a credere all’amore che è stato riversato nei nostri cuori e a diffonderlo con misura traboccante di tenerezza e profondità » (n. 42).
In particolare rivolgevo l’appello alla famiglia perché, come « scuola dell’amore e del dono di sé », aprisse ogni giorno le sue porte facendo risuonare una « voce di speranza » per la ricostruzione di un tessuto sociale di giustizia, di solidarietà e di pace. Scrivevo, tra l’altro: « Oggi, in modo del tutto particolare, la nostra società ha forte la necessità di riscoprire la famiglia come risorsa insostituibile e decisiva per il suo futuro. Le nostre famiglie, d’altra parte, ricordino che il vincolo di libertà e d’amore che le costituisce è loro donato non solo per se stesse, ma per la vita del mondo » (n. 34). L’amore di Dio è in mezzo a noi: questo è l’annuncio del regno che il Signore ci chiede non solo di approfondire nelle nostre comunità, ma di portare all’intera famiglia umana, perché divenga comunità di pace.
Famiglia umana, comunità di pace
Proprio Famiglia umana, comunità di pace è il tema che Benedetto XVI ha proposto per la celebrazione dell’odierna Giornata mondiale della pace.Il messaggio per questa giornata trova il suo cuore nella singola famiglia considerata come « la prima e insostituibile educatrice alla pace ». In realtà, « in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo » (n. 3). Il messaggio si chiede: « Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il ‘sapore’ genuino della pace meglio che nel ‘nido’ originario che la natura gli prepara? ». E risponde: « Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella ‘grammatica’ che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole » (n. 3). Per questo, come recita la stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, la famiglia « ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato » (Art. 16/3). E’ un’affermazione, questa, che tocca inevitabilmente il problema della pace, come rileva il messaggio: « Chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale ‘agenzia’ di pace. E’ questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebolire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima responsabile dell’educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’essenziale risorsa a servizio della pace » (n. 5).
Il riferimento alla famiglia — ad una realtà domestica — non impedisce al Papa di richiamare con forza le grandi questioni mondiali, come la proliferazione delle armi nucleari, l’ambiente inquinato, lo sfruttamento irresponsabile delle risorse energetiche a scapito dei Paesi poveri, l’ingiusta distribuzione delle ricchezze, ecc. Al contrario il riferimento alla famiglia diviene paradigmatico, nel senso che in essa la grande famiglia umana deve trovare i veri criteri e le giuste linee di sviluppo per una convivenza dalla fisionomia « familiare », e dunque solidale e pacifica. « Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare » (n. 6).
La legge morale comune e il dialogo via alla pace
In realtà, come umanità siamo « una grande famiglia », viviamo tutti « in quella casa comune che è la terra », siamo responsabili gli uni degli altri perché « non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle » (cfr. n. 6). In questa prospettiva si deve rilevare come punto fondamentale e decisivo il riconoscimento di una legge morale comune: « Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l’individualismo egoistico e a legare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l’operosità finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale. Per avere la pace c’è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad essere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio e che protegga il debole dal sopruso del più forte » (n. 11). Sono in questione, certo, le norme giuridiche che regolano i rapporti delle persone tra loro, ma ancor prima è in questione la norma morale basata sulla natura delle cose.
La grande sfida — sempre aperta e sempre più complessa in un mondo globalizzato e pluralista — riguarda le modalità con cui possiamo giungere alla conoscenza consensuale e universalmente condivisa di una legge morale comune a tutti gli uomini, su cui fondare anche le norme giuridiche. Sono convinto che il dialogo è e resta la grande, l’unica via di pace per poter arrivare a mete di pace e a rilevare, nello stesso tempo, come un consenso unanime sui principi fondamentali, che presiedono alla convivenza sociale sulla terra e che è indispensabile siano condivisi da parte di tutti, è una meta di pace non facile né ovvia. Proprio per questo oggi è del tutto irrinunciabile ed urgente promuovere il dialogo intessuto di reciproco ascolto e rispetto tra persone che rappresentano ed esprimono visioni e tradizioni differenti, legate alla diversità di etnie, culture, filosofie, teologie, religioni, confessioni, ecc. Sì, persino tra noi cristiani, nelle non facili questioni dell’etica, non abbiamo sempre unanimità di visioni. Si tratta di constatarlo senza irrigidimenti, si tratta di cercare di capire le ragioni altrui senza peraltro sbiadire le proprie o persino rinunciarvi, si tratta di testimoniare la genuinità della fede senza cadere in fondamentalismi confessionali. Dobbiamo aiutarci, tra cristiani di diverse tradizioni confessionali, a non confondere la testimonianza personale e comunitaria, alla quale ci chiama la radicalità del Vangelo, con la testimonianza del nostro apporto civile e laicale alla ricerca del bene comune, che in una società democratica e pluralista è da discernere in dialogo con i contributi espressi dalle diverse sensibilità e visioni. Il Signore ci aiuti nel rinnovare l’impegno — espresso dalla Charta Oecumenica che lo scorso aprile abbiamo firmato come Chiese di Milano e che la terza Assemblea ecumenica europea ha ribadito a Sibiu in Romania nel settembre scorso — « ad essere aperti al dialogo con tutte le persone di buona volontà, a perseguire con esse scopi comuni e a testimoniare loro la fede cristiana », perché « Gesù Cristo, Signore della Chiesa una, è la nostra speranza di riconciliazione e di pace » (Charta Oecumenica 12, conclusione).
Cristo, nostra speranza!
Siamo seguaci del Dio dell’Incarnazione ed è proprio della fede cristiana di essere « realistica »: di non nascondersi le « ombre cupe » che pesano sul futuro dell’umanità, le « tensioni crescenti » in Africa e nel Medio Oriente, l’aumentare della corsa agli armamenti, ecc. Ma il realismo dei cristiani non li conduce al pessimismo, perché una grande speranza pervade il loro cuore e la loro vita: è la speranza che crede nella presenza di Dio e del suo amore in ogni stagione storica dell’umanità, che è alimentata dalle tante famiglie che nella quotidianità assolvono il loro compito di « educatrici alla pace », che è sostenuta dall’impegno umile e coraggioso dei moltissimi « operatori di pace ».Confessiamo con gioia a tutti questa nostra fede: Cristo Signore, sei tu la nostra speranza, speranza di riconciliazione e di pace. Non saremo confusi in eterno!
