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SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO 1976 – OMELIA DI PAOLO VI

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1976/documents/hf_p-vi_hom_19761225_it.html

SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 25 dicembre 1976

Fratelli e Figli, accorsi a questa convocazione notturna!

Voi sapete perché!

È la ricorrente memoria d’un fatto estremamente umile e immerso in un povero paese lontano (ma era un paese predestinato), e inseriti in una ignota vicenda del tempo (ma era anch’esso un tempo profeticamente calcolato); d’un fatto si direbbe insignificante quale la nascita d’un Bambino in condizioni poverissime, prive d’ogni importanza esteriore e d’ogni interesse ambientale (ma era l’arrivo nel mondo, nel genere umano, del Verbo di Dio, del Figlio consustanziale del Padre Creatore e Signore dell’universo, che rimanendo qual era, si faceva Figlio di Maria; Figlio così di Dio e Figlio dell’uomo).
È questo fatto ambivalente umile e immenso, umano e divino, che nell’unica Persona del Verbo unisce due nature, di cui una, l’umana, sì, rispecchia costituzionalmente (Cfr. Gen. 1, 26-27) una meravigliosa, ma certo sempre remota immagine dell’altra, la divina, l’eterna, l’infinita; immagine ineffabile dell’invisibile Iddio (Cfr. Col. 1, 15; 2 Cor. 4, 4) e pone nell’abissale mistero della divinità questa simbiosi ch’è Cristo Gesù; «natus est Christus; . . . de Padre, Deus; de Matre, homo» (S. AUGUSTINI Sermo 184: PL 38, 997). Essa lo pone nell’umanità e nella storia, centro in cui si ricollegano tutte le cose celesti e terrestri (Cfr. Eph. 1, 10), ed a cui ogni singolo essere umano può avere accesso e salvezza (Cfr. Luc. 3, 6); è questo il fatto, il mistero che noi ora ricordiamo e celebriamo.

«Lux in tenebris lucet», la luce splende nelle tenebre (Io. 1, 5).

Non ci fermeremo a considerare questo aspetto del mistero del Natale, cioè il modo scelto da Dio per rivelarsi nel suo Messia; quasi volesse nascondersi nell’atto stesso in cui si manifestava personalmente e umanamente agli uomini, che pur lo attendevano. È un aspetto che lascia intravvedere molte altre divine intenzioni, degne d’essere in altro momento esplorate e meditate. Voleva il Signore che noi, anche davanti alla sua suprema rivelazione temporale, non fossimo esonerati dal dovere di ricercarlo? voleva Egli che la nostra ricerca ci obbligasse a curvarci sui sentieri dell’umiltà, per correggere l’ostacolo principale che ci impedisce un autentico incontro col Cristo rivelatore, non altrimenti possibile che nella mortificazione del nostro fallo capitale, l’orgoglio? o voleva che non per altro interesse egoista lo avessimo a cercare, ma per quello del puro amore?
Come si debba infatti cercare la divina rivelazione ce lo ricordano le memorabili parole di S. Agostino «amore petitur, amore quaeritur, amore pulsatur, amore revelatur . . .»: «con l’amore si domanda, con l’amore si cerca, con l’amore si bussa, con l’amore si rivela» (S. AUGUSTINI De moribus Ecclesiae Catholicae, 1, c. XVII: PL 32, 1321).
Ma ci fermeremo sul fatto stesso, sul mistero del Natale. Ancora ascoltiamo S. Agostino, che anticipa sui Concilii posteriori la formula conclusiva: «Homo verus Deus verus, Deus et homo totus Christus, Hoc est catholica fides» (IDEM Sermo 92, 3: PL 38, 573). Ci fermeremo con quell’adesione della nostra fede, che celebrando con la Messa di questa notte i santi misteri noi stiamo a Lui tributando. Sì, noi confermiamo con questo rito natalizio la nostra piena, ferma, cordiale adesione a Cristo Gesù. Noi crediamo in Lui! Egli solo è il Salvatore nostro e del mondo (Cfr. Act. 4, 12).
Lasciamo che questo atto religioso e cosciente confermi e rinnovi la nostra accettazione di quella fede in Gesù Cristo, che abbiamo ereditato dalle generazioni cristiane a noi precedenti, e che il magistero della Chiesa sigilla in formule limpide e indiscutibili, e insieme feconda di perenne vitalità di effusione spirituale, di operosità evangelica, di predicazione missionaria, di cattolicismo sociale. E lasciamo che la fede stessa della Madonna, la Madre di Gesù, Colei che fu predicata «beata . . . per aver creduto nell’adempimento di ciò che le era stato detto da parte del Signore» (Luc. 1, 45) «con fede non inquinata da alcun dubbio», come insegna il Concilio (Lumen Gentium, 62), penetri nelle nostre anime, e conforti la nostra schietta conversazione col mondo presente, vacillante d’insanabili dubbi. Lasciamo che la nostra certezza nel mistero cristiano ci abiliti al duplice atteggiamento reclamato da chi si professa cristiano, quello della logica di pensiero e di azione, coerente e sapiente, proprio di chi appunto cristiano si qualifica, e quello della leale capacità comprensiva comunicativa d’ogni giusto ed amichevole rapporto sociale.
E procuriamo infine d’onorare la grande festa del Natale con l’espressione nel cuore e nel culto dei sentimenti che scaturiscono dalla sua realtà religiosa; della nostra meraviglia dapprima, che per quanto essa cerchi di ammirare il prodigio dell’Incarnazione, del Verbo di Dio che si fa uomo, non troverà mai una sufficiente misura, per iperbolica ch’essa si faccia, per adeguare l’espressione dello stupore e della gioia alla realtà che la suscita. Ancora S. Agostino che esorta: «Svégliati, uomo; per te Dio si è fatto uomo!: «expergiscere, homo: pro te Deus factus est homo!» (S. AUGUSTINI Sermo 185: PL 38, 907). Sentimento questo che accompagnerà poi sempre, anche nelle ore amare della vita e nelle celebrazioni dolorose della liturgia ogni altro sentimento, come una inesauribile riserva di ottimismo contemplativo ed attivo proprio di chi è stato ammesso a pregustare la trascendente fortuna del mistero cristiano (Cfr. Eph. 5, 14). Riascoltiamo S. Paolo per fare delle sue parole stile della nostra vita cristiana, augurio e ricordo della nostra celebrazione di questo Natale: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi!» (Phil. 4, 4; 2, 18; 3, 1). L’Angelo del presepio ha intonato dal cielo il messaggio della nuova letizia, anche per noi: «Non temete! Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2, 10-11).

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Il Testamento Cosmico e l’Incarnazione – Verso la convergenza finale: l’Incarnazione del Verbo

http://www.saluzzo.chiesacattolica.it/gris/chi_siamo/gris_saluzzo/religioni_cristianesimo.html

Il Testamento Cosmico e l’Incarnazione

(anche San Paolo)

TRATTO da Foglio di Collegamento n. 2/1999 dell’ Associazione Informazioni su Cristo -
Rubrica RELIGIONI e RELIGIOSITA’ NEL MONDO
Articolo a cura di Laura ROSSI.

Verso la convergenza finale: l’Incarnazione del Verbo

Nel precedente articolo abbiamo trattato del Testamento cosmico – o religioni cosmiche – cioè di tutte le esperienze religiose dell’umanità che già i Padri della Chiesa definivano « preparazione evangelica a Gesù Cristo ». Vogliamo ora concludere il tema vedendo il rapporto esistente tra il Testamento cosmico e l’Incarnazione del Verbo.
Abbiamo detto, sulla base della Rivelazione, riferendoci in particolar modo a San Paolo (cfr. Atti 17,26-27), che l’anelito religioso presente nel cuore di ogni uomo fu da sempre suscitato, sostenuto, purificato dall’opera incessante del Verbo di Dio. Ora, sulla stessa base della Rivelazione possiamo affermare che l’evoluzione religiosa raggiunse il suo culmine nell’unica manifestazione del Verbo di Dio, nell’Incarnazione del Figlio eterno del Padre nella natura umana, carne e spirito. Con l’Incarnazione del Verbo la stessa natura umana h rigenerata, anzi « liberata ». Fin dalle origini essa fu tratta dal movimento dello Spirito che tendeva verso l’Incarnazione e la Pienezza del Corpo di Cristo: come dice S. Paolo, essa geme per il desiderio che si manifesti in lei la gloriosa libertà di coloro che sono nati da Dio (cfr. Rm 8,19 ss).
Quale conseguenza per il credente? che anche il suo corpo fisico è associato con la gloria dell’anima e risorge come spirituale (1 Cor 15,44): « si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale ». Ma la Rivelazione ci dice che non solo l’uomo sarà rinnovato assumendo il corpo glorioso della resurrezione, ma anche la creazione sarà rinnovata: « Vidi poi un cielo nuovo e una nuova terra ». (Ap 21,1).
Possiamo fare un passo oltre e affermare che il cristiano vive già in un universo redento. Segno di questa redenzione già avvenuta è l’Eucaristia.
L’Eucaristia è l’anamnesis (memoriale) di tutto ciò che fu e di tutto ciò che sarà. È il memoriale dell’Incarnazione, della Passione, della Resurrezione e anche della Creazione poiché le preghiere eucaristiche tradizionali cominciano di regola con la lode a Dio creatore. L’Eucaristia è la promessa e insieme la pregustazione qui e ora, dell’ultimo giorno, del ritorno al Padre nello Spirito di tutto ciò che fu creato, della conclusione del ciclo dell’amore. È il segno che ogni movimento dell’universo e ogni tentativo umano si dirigono verso l’offerta finale, in cui il Cristo renderà tutte le cose al Padre (1 Cor 15,24).
Qui è importante constatare che lo Spirito del Signore che riempie l’universo (cfr Sap 1,7) si serve di qualsiasi elemento per manifestarsi, ed è per questo che nei sacramenti della Chiesa le cose materiali, anche le più semplici e comuni, possono diventare mezzi della grazia, che la parola del sacerdote pur consacrare, che l’autorità della Chiesa non è un semplice istituto giuridico, ma ha il potere di legare e di sciogliere nel tribunale intimo della coscienza degli uomini. Lo Spirito mostra la propria presenza nell’acqua, nel fuoco, nell’olio…. 
In conclusione, tutte le vie spirituali seguite dagli uomini si integrano e si compiono nel Cristo che è la Via. Tutte le esperienze spirituali mondiali sono assunte e trasfigurate nell’esperienza del Cristo. Nel culto cristiano trovano compimento tutte le forme di culto della Religione cosmica e molti suoi elementi espressivi vi ricevono un significato superiore e più completo. È la logica dell’Incarnazione. In particolare il sacrificio cristiano dell’Eucaristia autentica tutto ciò che di puro e di genuino sia stato espresso nei sacrifici che lo hanno preceduto. La misteriosa continuità fra la Religione cosmica e l’adorazione cristiana si svela quando nella liturgia eucaristica si ricorda non soltanto il sacrificio del patriarca Abramo, ma anche quello di Abele il giusto, e, con enfasi ancora maggiore, quello di Melchisedek, sacerdote d’El-’elyon (Dio Altissimo): egli h senza dubbio il precursore di quei sacerdoti che seguitano ad offrire a Dio la quotidiana oblazione di riso, di fiori, di luci e d’incenso nei templi e nei luoghi sacri di tutto l’Oriente (fine).        

L. ROSSI                                               

Bibliografia:

CONCILIO VATICANO II Dichiarazione Nostra aetate.
GIOVANNI PAOLO II Lettera enciclica Redemptoris Missio.
GIOVANNI PAOLO II Lettera enciclica Dominum et vivificantem.
GIOVANNI PAOLO II Lettera enciclica Fides et Ratio.
CASTRO QUIROGA LUIS AUGUSTO, In mezzo a chi siamo inviati. Missione e religioni non cristiane, E.M.I., Bologna, 1995.
J.DUPUIS, Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi, 1991.

AsiaNews, il canto del Natale e le vetrate delle cattedrali

http://www.asianews.it/notizie-it/AsiaNews,-il-canto-del-Natale-e-le-vetrate-delle-cattedrali-26609.html

12/12/2012

ASIA       

AsiaNews, il canto del Natale e le vetrate delle cattedrali

di Bernardo Cervellera

In un mondo che cerca di soffocare la nostalgia e la presenza di Dio, sono uno strumento di missione perché portano in chiesa anche non cristiani. Il « canto » del vescovo ausiliare di Shanghai, agli arresti domiciliari per la sua fedeltà al Papa e della giovane Rimsha Masih, la 14enne cristiana disabile, accusata di blasfemia in Pakistan, e scagionata sono solo alcune delle « melodie » che durante l’anno abbiamo presentato nelle pagine di AsiaNews; le loro testimonianze splendono nel buio come le vetrate di una cattedrale.
Roma (AsiaNews) – I canti natalizi e le vetrate delle cattedrali sono un importante strumento di missione. Nei miei Natali passati a Pechino, la notte della Veglia, le chiese si riempivano – e si riempiono – di giovani universitari non cristiani, attirati dalla bellezza dei canti, dallo splendore delle luci, dal calore e dall’amicizia dei fedeli. Da lì, molti di loro cominciano a chiedersi chi è questo Dio Bambino che si celebra in quella notte e iniziano il catechismo che li porterà a farsi cristiani.
Anche durante la mia missione ad Hong Kong, non passava anno senza preparare dei cori per i « Christmas Carols », da intonare alle fermate del traghetto o sulla strada principale, vicino a un supermercato. La gente stanca del lavoro o della spesa, di solito frettolosa, si fermava a godere dello splendore armonico delle voci, con una nostalgia di bellezza che è strada alla nostalgia di Dio.
Benedetto XVI, nel suo libro uscito in queste settimane, « L’infanzia di Gesù », dice che i canti natalizi dei cristiani di oggi sono la continuazione del canto degli angeli la notte del primo Natale a Betlemme: « «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento »» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano».  Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente.  E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato… Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata » (pp. 87-88).
Nel nostro mondo si è persa la semplicità dei bambini a guardare la meraviglia del Natale, ma soprattutto si tenta di soffocare la nostalgia di Dio e la sua presenza, riempiendoci di presunzione, di autonomia, di potere, di consumi: tutti modi per sfuggire al vuoto e alla disperazione. Il separarsi da Dio ha reso la natura meno bella e la convivenza fra noi più difficile. Il nostro sguardo al mondo ha un tono catastrofista: disastri naturali e operati dall’uomo, guerre, distruzioni, oppressioni, torture. Il canto degli angeli a Natale e il nostro canto ci ricorda che Dio è presente per iniziare insieme all’uomo la redenzione della bellezza.
Fra gli « angeli » che danno speranza in questo anno che volge al termine, vorrei ricordare mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai, tuttora agli arresti domiciliari. Mons. Ma, 44 anni, ha avuto il coraggio di opporsi a una politica che dura da oltre 60 anni, che vede i vescovi cinesi ostaggio dell’Associazione patriottica. Ubbidendo alla fede e al papa, mons. Ma, appena ordinato, si è dimesso dall’Associazione patriottica, per rispondere meglio alle esigenze pastorali del suo mandato. Per tutta risposta, le autorità lo hanno segregato nel seminario di Sheshan, impossibilitato a compiere il suo ministero. Ma la sua testimonianza, il suo canto, supera ogni muro o prigione e giunge a tutti come segno di speranza di libertà per la Chiesa in Cina e per le Chiese del mondo.
Un altro « angelo » – e un altro canto – è Rimsha Masih, la 14enne cristiana disabile, accusata di blasfemia in Pakistan, che nelle scorse settimane è stata scagionata. Al suo posto è stato arrestato un imam che aveva inscenato l’incendio di alcune pagine del Corano per condannare Rimsha e la sua famiglia. Ciò che impressiona è che in Pakistan, una volta tanto, abbia vinto la giustizia e la verità. Lo sesso Paul Batthi, fratello di Shahbaz, ucciso per la sua lotta contro la blasfemia, ha definito l’episodio di Rimsha Masih un segno che « la società pakistana sta cambiando ».
Il « canto » di mons. Ma e di Rimsha sono solo alcune delle « melodie » che durante l’anno abbiamo presentato nelle pagine di AsiaNews; le loro testimonianze splendono nel buio come le vetrate di una cattedrale.  Cari amici, alla fine dell’anno, vi chiediamo ancora una volta di sostenere la nostra missione, il nostro « canto »: senza di voi e senza AsiaNews, molte vetrate rimarrebbero spente.

Il Natale nei testi letterari

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=130492

Il Natale nei testi letterari

Si sente dire in giro che questo sarà un Natale triste, perché c’è la crisi, perché ci sono troppe tasse da pagare, come se il Natale fosse allegro solo a condizione di poter spendere un po’ di soldi. Ma è davvero così? Riscoprirne il senso attraverso le storie di ogni tempo. Da Collodi a Calvino, i racconti natalizi.
          Finalmente un Natale senza soldi! Finalmente perché, anche se può sembrare banale e retorico e senza voler sdrammatizzare la gravità della crisi, questo Natale ci costringerà, ob torto collo, a concentrarci su cose che non siano i regali, i cenoni e tutte le altre classiche consuetudini festive. Ma anche a riscoprire certi aspetti della festa di cui ormai si sente parlare solo nei racconti dei nonni o nelle storie di Collodi.

La Festa di Natale di Collodi
          I tre figli della contessa Maria, racconta lo scrittore fiorentino nella Festa di Natale, arrivato il Natale, avevano facoltà di rompere il salvadanaio personale e destinare il gruzzolo risparmiato a soddisfare un proprio desiderio. Arrivato il gran giorno, il più grande acquistò un’elegante gualdrappa e una briglia nuove per il suo adorato cavallo di legno. La più piccola investì i suoi risparmi in scarpe da ballo per la sua bambola. Il mezzano, Alberto, che pur sognava di comprare vesti nuove per il suo amico burattino, donò invece la somma ad una donna perché acquistasse abiti caldi ad un piccolo orfano, salvato dalla strada, meritando così il regalo più bello ed ambito: il bacio della mamma.

I Figli di Babbo Natale di Calvino
          E non serve andare indietro nel tempo fino al 1800, anche la letteratura più recente offre spunti di riflessione ed inviti a riscoprire il vero senso del Natale.
          Nel novembre del 1963 Calvino scrisse Le stagioni in città, una raccolta di novelle il cui protagonista è Marcovaldo, un manovale con problemi economici. Nella storia intitolata I figli di Babbo Natale Michelino, suo primogenito, è intenzionato a fare un regalo ad un bimbo povero e sceglie, per questo, il figlio di un noto industriale, viziato e ricchissimo quanto solo e triste. In lui Michelino, figlio di un uomo non abbiente, vede un vero bambino povero e gli dona un martello, un tirasassi e una scatola di fiammiferi.

Un Lieto Natale di Alcott
          Tra le pagine più suggestive della letteratura natalizia, non si può tralasciare il romanzo di Louisa May Alcott, Piccole donne. L’autrice nel capitolo intitolato Un lieto Natale descrive la mattina di Natale delle sorelle March e della loro madre che, rinunciando ai regali e all’attesa colazione, decidono di andare a dare conforto ad una famiglia molto povera.
          « Buon Natale a voi, figlie mie! … prima di sederci, devo dirvi una cosa. Poco lontano da qui, una donna ha appena avuto un bimbo. Ne ha già altri sei, che stanno rannicchiati in un unico letto per non gelare. Infatti, non hanno né legna per il fuoco, né qualcosa da mangiare… Bambine mie, vorreste donare loro la vostra colazione come regalo di Natale? » L’indecisione durò per poco… “Vengo io ad aiutarti?”, chiese Beth con premura. “Io porto la crema e le focaccine”, soggiunse Amy. “Sapevo che le mie bambine avrebbero fatto questo piccolo sacrificio – disse sorridendo la signora March. – Verrete tutte con me e” … in pochi minuti tutte furono pronte per uscire”.

L’agrifoglio di Noventa
          Gina Marzetti Noventa scrive di un pastorello che si sveglia all’improvviso nel cuore della notte. “In cielo v’è una luce nuova: una luce mai vista a quell’ora….Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affrettati, si dirigono verso una grotta. “Dove andate?”, chiede il pastorello.
“Non lo sai? – risponde, per tutti, una giovane donna. – È nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso”.
          Il pastorello si unisce alla comitiva: anch’egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare quando si così poveri?
Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono.
          Ahi! Tanti spini gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: – Oh, un arbusto ancor verde! È una pianta di agrifoglio …il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d’agrifoglio sarà il suo omaggio”.

Racconto di Natale di Tolstoj
          Nel Racconto di Natale Leone Tolstoj narra di un ciabattino che, avendo avuto in sogno l’anticipazione di una visita del Signore per il girono seguente, si mette in sua attesa dal mattino e si prepara a riceverlo nel migliore dei modi.
          Ma quel dì davanti alla sua casa passarono solo un uomo infreddolito e una donna sola con un neonato. E lui, che aveva preparato la minestra per accogliere Gesù ed accesso il fuoco, non mancò di accogliere, sfamare e scaldare i due viandanti. A fine giornata prese il Vangelo e lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. … Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.

Sogno di Natale di Pirandello
          Insomma, si sente dire in giro che questo sarà un Natale triste, perché c’è la crisi, perché ci sono troppe tasse da pagare, come se il Natale fosse allegro solo a condizione di poter spendere un po’ di soldi. Ma è davvero così? Nessuna risposta può essere migliore di quella contenuta nel Sogno di Natale di Pirandello. “Cerco un’anima, in cui rivivere” disse Gesù “Tu vedi ch’ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà”.

Publié dans:LETTERATURA, NATALE (QUALCOSA SUL) |on 18 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Natale: il giorno dello stupore, di Enzo Bianchi

http://www.ariberti.it/scuola/irc/natale/riflessioni/riflessioni_natale.htm#bianchi_2004

(scusate le lettere scitte con altri caratteri, sono del sito, non ho molto tempo per correggere, ma si capisce)

Natale: il giorno dello stupore

 di Enzo Bianchi

La Stampa, 24 dicembre 2004

Ancora una volta � Natale: una festa che ancora oggi in occidente coinvolge in qualche modo tutti. Non che, come invece un tempo, l’intera societ� sia cristiana, ma Natale � pur sempre la memoria del Dio che si � fatto uomo, piccolo, alla nostra portata e quindi da un lato tutti possono accostarsi a lui ma, d’altro canto, tutti possono anche impossessarsene: non dimentichiamo che anche Erode voleva “andare ad adorare” il bambino nato a Betlemme… Siamo in un’epoca di tale indifferenza – anche perch� la “differenza” cristiana non si vede pi� nel quotidiano – che tutti possono far festa a Natale: da chi si pu� rallegrare per le benefiche ricadute economiche a chi, come molti di quelli che un tempo si sarebbero definiti anticlericali, carica questa festa di significato culturale, facendone un insieme di usanze da gridare per dare tono alla “nostra” identit�, occidentale e cristiana. Cos� vediamo alcuni aspetti esteriori del Natale ostentati come stemma, simbolo, emblema da opporre a quanti sono diversi per cultura o religione, cos� assistiamo al grottesco agitarsi di persone che rifiutano concretamente a qualsiasi coppia di immigrati una semplice mangiatoia, per poi brandire metaforicamente le figure del presepe come corpi contundenti contro i poveri e gli stranieri che in quelle statuine sono raffigurati.
Eppure Natale conserva intatti i suoi valori e le sue valenze, sia quelli pi� strettamente legati al mistero della fede, sia quelli maggiormente in sintonia con un ambiente socio-culturale che sta s� scomparendo dai nostri orizzonti, ma che ha dalla sua una grande forza evocatrice. Penso, per esempio, al mondo dei bambini, capaci ancora e sempre di attendere nel sogno e di accogliere nello stupore un evento festoso gratuito; penso al mondo rurale, quello della mia infanzia e adolescenza, ormai rarefatto da noi, ma ricco di elementi basilari che attraversano praticamente inalterati secoli e confini geografici, etnici e culturali; penso al messaggio degli angeli nella notte di Betlemme – “pace in terra agli umani, amati da Dio” – buona notizia che rid� vitalit� a sentimenti nascosti, storditi o repressi nella competizione globale che ci travolge a tutti i livelli.
Per chi, come me, ha vissuto il Natale per tanti decenni e lo vive ancora oggi da credente non � facile accettare le derive cui accennavo sopra: non certo per la nostalgia di un passato che non ritorna, ma per la frustrazione del desiderio di un Natale autentico, vissuto seriamente, come mistero della fede che prende corpo in una realt� umanissima. Non posso non ricordare cos’era il Natale nella mia infanzia in un paesino del Monferrato: una festa che quando si profilava all’orizzonte era attesa non tanto per i regali – ben scarsi in quel difficile immediato dopoguerra… – ma per quell’aria di autenticit� che portava con s�. Nell’imminenza del Natale, si misurava infatti la qualit� dei rapporti con gli altri: amicizia o discordia, solidariet� o rottura in casa, tra parenti, con i vicini. E i preti allora a questo erano particolarmente attenti, e su questo ritornavano con insistenza nelle loro prediche: “tornate ad andare d’accordo, fate pace, lasciate da parte i rancori, riallacciate i contatti…”; impresa non certo facile, n� si poteva pretendere che, automaticamente, il Natale portasse pace e dialogo, eppure quella festa era sentita come un’opportunit� preziosa per riflettere sui rapporti umani quotidiani, sull’amicizia o sull’indifferenza o l’ostilit� verso gli altri. Natale, capodanno, l’Epifania erano anche tra le rare occasioni di festa collettiva nei paesi e nelle borgate: nonostante il freddo ci si attardava per strada a scambiarsi auguri, si stava insieme attorno a un bicchiere di vino, chi lavorava lontano ritornava al paese, si approfittava dell’atmosfera per dissipare malintesi, per chiedere scusa senza sentirsi umiliati.
Simbolo di tutto questo clima – che oggi alcuni liquidano infastiditi come “buonismo” – era il ceppo, “el s�c ‘d Nadal”, quel groviglio di tronco e radici tagliato alla base degli alberi che veniva lasciato seccare almeno un paio d’anni sotto il portico. Un ceppo grosso che la sera della vigilia di Natale veniva messo nel camino prima che tutti quanti andassero in chiesa per la messa di mezzanotte: ardendo lentamente avrebbe aspettato il ritorno dei padroni di casa a notte fonda e li avrebbe accolti con il suo tepore e la luce della brace per riscaldare un po’ i corpi infreddoliti assieme all’ultimo bicchiere prima di andare a letto. Quella notte anche gli uomini entravano in chiesa fin dall’inizio delle funzioni, non restavano fuori a chiacchierare per comparire solo dopo la predica – perch� tanto la messa “valeva” se la si “prendeva” dal Credo in poi… No, quella notte tutti entravano subito per assistere allo “scoprimento” del Bambino sulla paglia, e non solo per il freddo e il buio: un semplice presepe, qualche candela accesa in pi�, due nastri colorati bastavano a evocare la bont� umana del Natale. Certo, Natale era innanzitutto la festa di chi si diceva cristiano, pi� o meno convinto, ma per tutti era il tempo della pace, della concordia, dell’amicizia ritrovata o da ritrovare. Questo era il grande desiderio e, infatti, se al ritorno dalla messa si trovava il ceppo che ardeva di un fuoco robusto si diceva: “buon segno, ci sar� pace in famiglia e con i vicini”; se invece faticava a bruciare ci si rammaricava: “eh, quest’anno non andr� tanto bene…”.
I cristiani, e forse � quello che oggi meno si riesce a far trasparire, cercavano di cogliere il senso del mistero della loro fede, di stupirsi di fronte a un Dio potente che erano soliti “temere” e che invece si mostrava loro in un bambino, in una condizione cos� semplice e comune per tante famiglie piene di bambini e che ben conoscevano la tenera fragilit� di un parto nella povert�. Il Dio che benediceva e puniva, che premiava chi era buono e castigava chi non era fedele alla sua legge, quel Dio severo era in realt� un bambino fragile e indifeso, un infante che sorrideva da una culla di paglia attorniata da qualche luce e da strisce dorate. Chiss� cosa davvero si riusciva a cogliere del mistero cristiano, cos� difficile a dirsi, cos� arduo da spiegare… Eppure, dopo la nascita di Ges�, Dio lo si pu� vedere in un uomo, Dio � ormai tra di noi, ha un volto, l’unico visibile dai nostri occhi, ed � quello di Ges� di Nazaret, un uomo come noi, ma cos� conforme a come Dio lo ha sempre desiderato che solo Dio stesso ha potuto darcelo quale suo racconto fedele, sua spiegazione autentica.
Dio si � fatto uomo, ma anche l’uomo � stato fatto Dio in quella nascita a Betlemme: questa � la buona notizia, il vangelo del Natale. E da questo non pu� che discendere la “pace” per l’umanit� amata da Dio, che la tradizione latina ha chiamato “uomini di buona volont�”, persone disponibili al bene. Ecco Natale � la festa che i cristiani vivono nello stupore sempre rinnovato di accostarsi a un Dio che si � fatto uomo, prossimo a noi, che � venuto a stare in mezzo a noi, a condividere le nostre semplici vite, a soffrire delle nostre fatiche e a gioire delle nostre gioie. Proprio per questo Natale � anche la festa di quanti, anche senza riconoscere in quel figlio di un’umile coppia di Nazaret il figlio di Dio, perseguono vie di pace, di riconciliazione, di perdono per vivere insieme nella solidariet� e rendere cos� questo mondo migliore e pi� abitabile. “Uomini di buona volont�” sono quelli che non si abituano al male della guerra, del terrore, della violenza, quelli che non accettano di vedere nell’altro, nel diverso un nemico, quelli che non si sottraggono alle esigenze dell’amore e della comunione, quelli che senza ostentazione sanno perdonare e vorrebbero che il perdono non fosse solo una disposizione personale ma diventasse anche una prassi collettiva, politica. S�, a Natale stringiamoci attorno a questi uomini e a queste donne di pace: ci scopriremo tutti pi� vicini tra noi e i cristiani vedranno il volto del loro Dio che si � fatto vicino all’umanit� che ama.
Enzo Bianchi

VERSO IL NATALE con San Paolo

http://www.stpauls.it/coopera/0810cp/0810cp02.htm

VERSO IL NATALE con San Paolo   

Cari cooperatori e amici,

quest’anno la festività del Natale cade nel mezzo dell’Anno dedicato a San Paolo, voluto da papa Benedetto XVI per la ricorrenza del bimillenario della nascita dell’Apostolo. Al riguardo, nel giugno scorso, ho già proposto su queste pagine alcune riflessioni, richiamando il mandato del beato Giacomo Alberione alla Famiglia Paolina a essere « San Paolo vivo oggi » e invitando « a mostrare, nei fatti e nelle riflessioni, che San Paolo incarna anche oggi un modello affascinante di vivere e comunicare l’esperienza di Cristo ». Aggiungevo che il « farsi tutto a tutti » dell’Apostolo è di indirizzo per la nostra attività pastorale che « valorizza in pieno tutte le forme e i linguaggi della comunicazione attuale per permettere che il Cristo integrale, Via e Verità e Vita, si incontri con la totalità della personalità, mente e cuore e volontà ».
« Quando venne la pienezza del tempo »
Ora, attraverso alcuni testi paolini della liturgia natalizia, vogliamo farci accompagnare da San Paolo e con lui accostarci al mistero che contempliamo: « Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge… perché ricevessimo l’adozione a figli » (Gal 4,4-5). L’Apostolo medita sul mistero, che vela e rivela « la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini » (Tt 2,11); si coinvolge nel mirabile scambio per il quale il Figlio di Dio assume la nostra umanità e la eleva alla dignità divina; vive in sé la gioia dell’uomo fatto figlio di Dio.
Nell’Incarnazione – giacché il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo – trova vera luce il mistero stesso dell’uomo: « Se uno è in Cristo è una creatura nuova »(2Cor 5,17); nell’Incarnazione è radicata l’unità e la solidarietà della famiglia umana: « Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28); la creazione stessa, sottomessa alla caducità (Rm 8,20), è reintegrata nel disegno divino di « ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10).
Annota il nostro Fondatore: « Il Figlio di Dio si fa uomo, si umanizza, e la Chiesa vuole che noi domandiamo la grazia di diventare consorti della divinità, mentre il Figlio di Dio ha voluto essere partecipe della nostra umanità » (Per un rinnovamento spirituale, p. 314).
« Vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo »
Risuoneranno nella Notte santa queste parole dell’Apostolo, che costituiscono un vero programma di vita cristiana. La venuta del Figlio di Dio non può lasciare indifferente il suo discepolo, anzi – dice San Paolo – lo impegna alla conversione: « c’insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo »; e all’orientamento costante della vita verso Dio: « nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo » (Tt 2,12-13).
Commenta Don Alberione: «È volontà di Gesù Cristo che noi viviamo in questo mondo con temperanza, con giustizia e con pietà. Con temperanza: mortificare, cioè, le passioni sregolate; frenare gli occhi, la lingua; frenare ogni cupidigia; frenare l’orgoglio, la sensualità. Bisogna che la letizia sia sempre temperata da quello che è giusto, da quello che è il limite segnato da Dio stesso. Con giustizia. Giustizia verso Dio: « A Dio l’onore e la gloria » (1Tm 1,17). Giustizia verso il prossimo: rispetto vicendevole, rispetto nelle parole e nelle opere. Giustizia che riguarda l’onore e i doni spirituali e i beni corporali. Con pietà: vivere piamente! Questi devono essere giorni di grande pietà: buone Confessioni, buone Comunioni. Sobrie et iuste ac pie vivamus» (Per un rinnovamento spirituale, pp. 308-309).
« Annunziare a tutti le imperscrutabili ricchezze di Cristo »
Mentre i Magi s’appresseranno alla grotta di Betlemme, ci accompagnerà l’assillo di San Paolo per far risplendere il mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, e ora rivelato: « i pagani sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo » (Ef 3,6). Non ci è difficile immaginare l’Apostolo « con l’occhio al panorama geografico del mondo pagano, l’anima tesa giorno e notte agli uomini tutti per comunicare a tutti l’ardore santo che lo consuma e lo trasforma in Gesù Cristo », come scrive il nostro Fondatore (L’Apostolato dell’Edizione, p.350).
Nella missione Paolo sposa le prospettive universali di Gesù, il cui cuore è aperto a tutti; « Venite tutti a me », egli ripete con Gesù percependo la fame spirituale dei popoli e delle nazioni. Direi che il suo ardore deve divorare ciascuno di noi, suoi discepoli e cooperatori nell’apostolato; è lui stesso a dirci: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo » (1Cor 11,1).
Guardando all’Apostolo delle genti nell’Anno a lui dedicato (cf Proposizioni 1 e 49), il recente Sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ha sollecitato il compito dell’annuncio ai vicini e ai lontani. « I laici – ha detto – sono chiamati a riscoprire la responsabilità di esercitare il loro compito profetico, che deriva loro direttamente dal battesimo, e testimoniare il Vangelo, nella vita quotidiana: in casa, nel lavoro e dovunque si trovino » (Proposizione 38). E riferendosi ai mezzi di comunicazione sociale: « L’annuncio della Buona Notizia trova nuova ampiezza nella comunicazione odierna caratterizzata dall’intermedialità… Il nuovo contesto comunicativo ci consente di moltiplicare i modi di proclamazione e di approfondimento della sacra Scrittura. Questa, con la sua ricchezza, esige di poter raggiungere tutte le comunità, arrivando ai lontani anche attraverso questi nuovi strumenti… Sono, in ogni caso, forme che possono facilitare l’esercizio dell’ascolto obbediente della Parola di Dio (Proposizione 44).
Come vedete, ci sta davanti un campo immenso. Alla nostra ricchezza interiore e creatività pastorale, intinte nella passione paolina per Dio e per l’uomo, è dato il dono di raggiungere i cuori e disporli all’ascolto dell’unico Maestro, Gesù, Via Verità e Vita.
Vi auguro un santo Natale e un proficuo Anno 2009, mentre prego per voi e ringrazio Dio « a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo » (Fil 1,3).

Don Silvio Sassi
Superiore generale SSP

Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme…

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=1999

Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme…

Quanto tempo sarà durato il viaggio? Difficile stabilirlo. Forse mesi, date le distanze e le disagevoli condizioni di quel tempo, ma essi non sembrano affaticati o scoraggiati. Al contrario appaiono animati, nel loro peregrinare senza sosta, dalla stessa gioiosa premura che…

Ciascuno di noi accostandosi alla Greppia sente accendersi nel petto sentimenti nuovi e sacri, rivestiti di tenerezza e gratitudine, quelli stessi che fecero esclamare a San Paolo: ‘Mi ha amato e ha dato se stesso per me’ (Gal 2,20). ‘Per me’… un orizzonte così intimo e personale che non può farci, tuttavia, perdere di vista la dimensione universale del Natale. Quel ‘per me’ è di ogni uomo, di ogni popolo, di ogni lingua e cultura. Cristo, Salvatore del mondo, è per tutti, anche per coloro che non lo attendono, non lo cercano, o addirittura, lo rigettano. Questo è il messaggio che ci giunge dal brano che oggi desideriamo ascoltare e accogliere (cf. Mt 2,1-12).
‘Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode’.
Gesù nasce a Betlemme, piccola città della Giudea, in un tempo storico ben definito, indicato, come era costume dell’epoca, col nome dell’autorità regnante. Si tratta del re Erode, un israelita di dubbia moralità, asceso al potere con il favore dei dominatori romani. Le coordinate spazio-temporali delimitano, così, il miracolo dell’Incarnazione, lasciando intuire lo spessore dell’umiltà di Dio che accoglie tutti i limiti della condizione umana.
Ma ecco che tale evento, circoscritto nello spazio e nel tempo, trasborda, fin dal suo sorgere, superando tutti i confini e spalancandosi su orizzonti universali: ‘Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme’. Tre personaggi misteriosi, forse sapienti, forse astronomi, appartenenti ad un mondo e ad una cultura molto distanti da Israele, si mettono in cammino, sospinti da una segreta intuizione dello Spirito, alla ricerca ‘del re dei giudei che è nato’.
Quanto tempo sarà durato il viaggio? Difficile stabilirlo. Forse mesi, date le distanze e le disagevoli condizioni di quel tempo, ma essi non sembrano affaticati o scoraggiati. Al contrario appaiono animati, nel loro peregrinare senza sosta, dalla stessa gioiosa premura che, prima della nascita di Gesù, aveva sospinto sua madre, Maria, a visitare la cugina Elisabetta.
Lo rivela la loro domanda carica di attesa e desiderio: ‘dov’è il re dei giudei che è nato?’; lo rivela la loro prontezza nel seguire il ‘segno’, la sua stella: una scia di luce che ha catturato la loro attenzione selettiva di esperti osservatori del cielo; lo rivela la loro disposizione interiore a piegare le ginocchia in adorazione davanti ad un Bimbo sconosciuto, ma che il cuore dice loro essere l’Atteso delle genti.
A ben pensarci si è trattato di una follia: mettersi in viaggio e percorrere migliaia di chilometri, seguendo una stella! Ma questa non è una stella come le altre. É una luce che brilla in modo differente, penetrando nelle profondità dei cuori, infondendo calore e pace, dissipando le tenebre: ‘é la Luce vera che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9). Chi la incontra non può stare fermo, non può accomodarsi. Quella Luce lo chiama.
‘Dov’è il re dei giudei?’ Nell’attesa, nella ricerca, nel cammino percorso dai tre Magi si concentra l’attesa dei popoli, di tutte le genti che vivono immerse nelle tenebre e anelano alla Luce. In questa ricerca si manifesta il desiderio di incontro con la Vita vera presente in ogni uomo, a cui lo Spirito addita Gesù come Stella che orienta i cammini tortuosi della storia, dando loro una nuova direzione: il cuore del Padre.
Ma non tutti sono aperti a questo annuncio di gioia. C’è chi, come Erode, si sente disturbato da questa Presenza, infastidito dalla Luce che potrebbe mettere a nudo le sue opere inique.
‘All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme’.
Che contrasto tra la trepidazione dei tre Magi e il turbamento del potente che avverte come una minaccia la notizia della nuova Vita! É la perenne lotta delle tenebre che contrastano la Luce, ma esse ‘non prevarranno’ perché non vi è proporzione di forze: Dio è più grande, proprio nella sua infinita piccolezza e umiltà.
‘Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia…; si fece dire con esattezza dai Magi il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: ‘Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo ».
L’indagine meticolosa del sovrano, travestita di devozione, cela, in realtà, gli interessi meschini dell’uomo preoccupato di salvaguardare il suo potere. Il re dei giudei, infatti, era lui; egli riteneva di essere il punto di riferimento e di unità del suo popolo. Ora questa ‘stella’, apparsa improvvisamente nel cielo, viene a sconvolgere le sue prospettive, viene a competere con la sua autorità, la sua ricchezza, il suo prestigio.
Anche lui, come israelita, era a conoscenza delle antiche profezie riguardo al Cristo, l’Unto di Dio; anche lui, come i suoi connazionali, lo immaginava, tuttavia, come un capo politico, rivestito di forza e potere, un pericoloso concorrente, dunque, che occorreva eliminare prima che fosse troppo tardi.
Nel cammino di luce, percorso dai Magi seguendo la stella, l’incontro con Erode rappresenta il confronto tra la vita di Dio, che umilmente si propone all’uomo e l’attacco del male che vuole distruggerla, screditarla. È il momento della tentazione, quando essa si affaccia nella nostra esistenza insinua il dubbio che è vano operare il bene, che a niente giova essere figli della luce.
Il cammino del Magi è simbolo dell’itinerario verso la fede dei singoli e di interi popoli, fatto di luci e ombre, rivelazione e mistero, certezze e prove, fortezza e fragilità. La stella che li aveva condotti fin là, ora è scomparsa. È il momento del buio…
Essi, tuttavia, non si scoraggiano; si rimettono in cammino, fiduciosi nella promessa. E, inaspettatamente, la stella ricomincia a brillare: ‘Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva… Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia’.
La sua vista li riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all’uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
La stella brilla di nuovo nel misterioso cielo dei Magi, è la stella dell’esodo, della missione, è la forza segreta della fede che sospinge uomini e donne fuori dai loro confini con un unico grande annuncio: ‘Abbiamo trovato il Bambino…’; e con un invito pressante: ‘Venite ad adorarlo!’ Lo troverete nella sua casa, la Chiesa, casa di tutti i popoli, nella quale tutti sono chiamati ad entrare per camminare alla sua Luce.
‘Aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra’. Il ‘faccia a faccia’ con la Luce, di cui la stella era solo presagio, conduce i Magi a tale gesto non formale, ma profondissimo.
Le ricchezze di ogni popolo: cultura, tradizione, senso del sacro, della vita, della storia, simboleggiate dall’oro, l’incenso e la mirra, si aprono alla Luce e giungono alla loro pienezza nell’incontro con il Cristo.
E dopo questo momento, durato pochi istanti, i tre riprendono il loro cammino. Una rivelazione interiore, avvenuta nel sogno, li sospinge per altri percorsi, fuori dal tiro minaccioso del male, ma la meta non cambia: ‘fecero ritorno al loro paese’.
Essi ritornano sui loro passi, ormai divenuti uomini nuovi, recando il lieto annuncio del Natale, fino ai confini della terra: per Dio non esistono differenze tra popoli eletti e popoli non eletti; tutti sono ormai il suo popolo ed Egli è il Dio di tutti.

(Teologo Borèl) Gennaio 2006 – autore: Comunità Missionaria di Villaregia

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