Archive pour la catégorie 'NATALE (QUALCOSA SUL)'

Giovanni Paolo II, Omelia (citazione mia: « Quando venne la pienezza del tempo… ») (cfr Gal 4,4).

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1998/documents/hf_jp-ii_hom_01011998_it.html

GIOVANNI PAOLO II 

OMELIA ( « Quando venne la pienezza del tempo… ») (cfr Gal 4,4).

1° gennaio 1998  

1. « Quando venne la pienezza del tempo… » (cfr Gal 4,4). Queste parole della Lettera di san Paolo ai Galati corrispondono molto bene al carattere dell’odierna celebrazione. Siamo all’inizio del nuovo Anno. Secondo il calendario civile, oggi è il primo giorno del 1998; secondo quello liturgico, celebriamo la solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.

A partire dalla tradizione cristiana, si è diffuso nel mondo l’uso di contare gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Dunque, in questo giorno la dimensione laica e quella ecclesiale s’incontrano per fare festa. Mentre la Chiesa celebra l’Ottava del Natale del Signore, il mondo civile festeggia il primo giorno di un nuovo anno solare. Proprio in questo modo, di anno in anno, si manifesta gradualmente quella « pienezza del tempo » di cui parla l’Apostolo: è una sequenza che avanza nei secoli e nei millenni in modo progressivo e che avrà il suo definitivo compimento alla fine del mondo.

2. Celebriamo l’Ottava del Natale del Signore. Durante otto giorni abbiamo rivissuto nella liturgia il grande evento della nascita di Gesù, seguendo il racconto che ci viene offerto dai Vangeli. Quest’oggi san Luca ci ripropone la scena del Natale a Betlemme nei suoi tratti essenziali. L’odierna narrazione è, infatti, più sintetica rispetto a quella proclamata nella notte di Natale. Essa viene a confermare e, in un certo senso, a completare il testo della Lettera ai Galati. Scrive l’Apostolo: « … quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; se poi figlio, sei anche erede per volontà di Dio » (Gal 4,4-7).

Questo stupendo testo di san Paolo esprime perfettamente quella che si può definire « la teologia del Natale del Signore ». E’ una teologia simile a quella proposta dall’evangelista Giovanni, il quale nel Prologo al quarto Vangelo scrive: « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… A quanti… l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,14.12). San Paolo esprime la stessa verità ma, possiamo dire, in un certo senso la completa. Questo è il grande annuncio che risuona nell’odierna liturgia: l’uomo diventa figlio adottivo di Dio grazie alla nascita dello stesso Figlio di Dio. L’uomo riceve tale figliolanza per opera dello Spirito Santo – lo Spirito del Figlio -, che Dio ha mandato nei nostri cuori. E’ grazie al dono dello Spirito Santo che possiamo dire: Abbà, Padre! Così san Paolo cerca di spiegare in che cosa consista e come si esprima la nostra figliolanza adottiva nei confronti di Dio.

3. Aiutati nella nostra riflessione teologica sul Natale del Signore da san Paolo e dall’apostolo Giovanni, comprendiamo meglio perché noi siamo soliti contare gli anni in riferimento alla nascita di Cristo. La storia si articola in secoli e millenni « prima » e « dopo » Cristo, poiché l’evento di Betlemme rappresenta la fondamentale misura del tempo umano. E’ la nascita di Gesù il centro del tempo. La Notte Santa è diventata il punto di riferimento essenziale per gli anni, i secoli e i millenni nei quali si sviluppa l’azione salvifica di Dio.

La venuta di Cristo nel mondo è importante dal punto di vista della storia dell’uomo, ma è ancor più importante dal punto di vista della salvezza dell’uomo. Gesù di Nazaret ha accettato di sottomettersi al limite del tempo e lo ha aperto una volta per sempre alla prospettiva dell’eternità. Attraverso la sua vita, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione, Cristo ha rivelato in modo inequivocabile che l’uomo non è un’esistenza « orientata verso la morte » e destinata ad esaurirsi in essa. L’uomo esiste non « per la morte », ma « per l’immortalità ». Grazie all’odierna liturgia, questa fondamentale verità sull’eterno destino dell’uomo viene riproposta all’inizio di ogni nuovo Anno. Vengono in tal modo posti in luce il valore e la giusta dimensione di ogni epoca, come pure del tempo che scorre inesorabile.

4. In questa prospettiva del valore e del senso del tempo umano, su cui si proietta la luce della fede, la Chiesa pone l’inizio del nuovo Anno sotto il segno della preghiera per la pace. Mentre auguro che l’intera umanità possa camminare in modo più deciso e concorde sulle vie della giustizia e della riconciliazione, sono lieto di salutare gli illustri Signori Ambasciatori presso la Santa Sede presenti a questa solenne celebrazione. Rivolgo un cordiale pensiero al caro Cardinale Roger Etchegaray, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ed a tutti i Collaboratori di tale Dicastero, a cui è affidato il compito specifico di testimoniare la preoccupazione del Papa e della Sede Apostolica per le varie situazioni di tensione e di guerra, nonché la costante sollecitudine che la Chiesa nutre per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho voluto soffermarmi su un tema che mi sta particolarmente a cuore: lo stretto legame che unisce la promozione della giustizia e la costruzione della pace. In realtà – come recita il tema scelto per questa giornata – « Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti ». Rivolgendomi ai Capi di Stato ed a tutte le persone di buona volontà, ho sottolineato come la ricerca della pace non possa prescindere dall’impegno per l’attuazione della giustizia. E’ una responsabilità a cui nessuno può sottrarsi. « Giustizia e pace non sono concetti astratti o ideali lontani; sono valori insiti, come patrimonio comune, nel cuore di ogni persona. Individui, famiglie, comunità, nazioni, tutti sono chiamati a vivere nella giustizia e ad operare per la pace. Nessuno può dispensarsi da questa responsabilità » (n. 1).

La Vergine Santissima, che in questo primo giorno dell’anno invochiamo col titolo di « Madre di Dio », rivolga il suo sguardo di amore sul mondo intero. Grazie alla sua materna intercessione, possano gli uomini di tutti i Continenti sentirsi più fratelli e disporre il cuore ad accogliere il suo Figlio Gesù. E’ Cristo l’autentica pace che riconcilia l’uomo con l’uomo e l’intera umanità con Dio.

5. « Dio ci benedica con la luce del suo volto » (Sal. resp.). La storia della salvezza è scandita dalla benedizione di Dio sul creato, sull’umanità, sul popolo dei credenti. Questa benedizione viene continuamente ripresa e confermata nello sviluppo degli eventi salvifici. Fin dal Libro della Genesi vediamo come Dio, via via che si susseguono i giorni della creazione, benedica tutto ciò che ha creato. In modo particolare, Egli benedice l’uomo fatto a propria immagine e somiglianza (cfr Gn 1,1-2,4).

Quest’oggi, primo giorno dell’anno, la liturgia rinnova, in un certo senso, la benedizione del Creatore che segna fin dall’inizio la storia dell’uomo, riprendendo le parole di Mosè: « Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,24-26).

E’ una benedizione per l’anno che sta iniziando e per noi, che ci avviamo a vivere un’ulteriore frazione di tempo, dono prezioso di Dio. La Chiesa, quasi immedesimandosi con la mano provvidente di Dio Padre, inaugura questo nuovo Anno con una speciale benedizione, diretta ad ogni persona. Essa dice: Il Signore ti benedica e ti custodisca!

Sì, riempia Iddio i nostri giorni di frutti di bene. Conceda al mondo intero di vivere nella giustizia e nella pace!

Amen!

Santa Teresa d’Avila : « Simeone prese il bambino tra le braccia »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/29/2008#

Santa Teresa d’Avila (1515-1582), carmelitana, dottore della Chiesa
Il cammino di perfezione, cap 31/33

« Simeone prese il bambino tra le braccia »
Nell’orazione di quiete, il Signore comincia a mostrarci che ascolta la nostra preghiera e ci accorda il suo Regno, affinché possiamo veramente benedirlo e santificare il suo nome, e incitiamo tutti gli uomini a fare lo stesso. Questa è una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci con i nostri sforzi, qualsiasi essi siano.

Qui infatti, l’anima si immerge nella pace, o, per dirlo meglio, il Signore la immerge nella pace, con la sua presenza, come egli ha fatto per il giusto Simeone. Allora tutte le potenze dell’anima si pacificano, e essa capisce, con un modo di comprensione proprio diverso da quello che ci viene dai mezzi esteriori, che è vicinissima al suo Dio e che, poco le manca per essere nell’unione, una sola cosa con lui. Non che essa lo vedesse con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima; anche il giusto Simeone vedeva esternamente soltanto l’augusto Poverello e guardando alle fasce che lo avvolgevano, al piccolo numero di coloro che gli facevano corteo, avrebbe potuto scambiarlo per il figlio di povera gente, piuttosto che per il Figlio del Padre celeste. Ma il Bambino in prima persona gli ha fatto sapere chi aveva di fronte. Qui, in questo stesso modo, l’anima capisce; con meno chiarezza tuttavia, perché non sa ancora come capisce. Soltanto, si accorge di trovarsi nel Regno, o almeno accanto al Re che deve darglielo, ed è commossa da un rispetto così grande da non osare fare alcuna domanda.

San Proclo di Costantinopoli : « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4) (EAQ 1/1/2008)

DAL SITO EAQ,   COMMENTO PER IL 1 GENNAIO 2008, SU Gal 4,4;


http://www.vangelodelgiorno.org/ 

San Proclo di Costantinopoli (circa 390-446), vescovo
Discorsi, 1 ; PG 65, 682

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4) 

Che sussulti di gioia la natura e che esulti tutto il genere umano, anche le donne, infatti, sono elevate all’onore. Che l’umanità danzi in coro…: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Ci ha radunati qui la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, tesoro purissimo della verginità, paradiso spirituale del secondo Adamo, luogo dell’unione delle nature, luogo di scambio in cui si è compiuta la nostra salvezza, stanza nuziale nella quale Cristo ha sposato la nostra carne. Essa è il roveto spirituale che il fuoco del parto di un Dio non ha consumato, la nuvoleta (1 Re 19,44) che ha portato colui che ha il suo trono sui cherubini, il vello purissimo, che ha ricevuto la rugiada celeste (Gdc 6,38)… Maria, serva e madre, vergine, cielo, ponte unico fra Dio e gli uomini, telaio dell’incarnazione sul quale la tunica dell’unione delle nature è stata mirabilmente tessuta: lo Spirito Santo ne è stato il tessitore.

Nella sua bontà, Dio non si è sdegnato di nascere da donna, anche se colui che sarebbe stato formato in lei era la vita stessa. Se però la madre non fosse rimasta vergine, non ci sarebbe stato in questo parto nulla di strano; semplicemente sarebbe nato un uomo. Ma poiché lei è rimasta vergine anche dopo il parto, come non potrebbe trattarsi di Dio e di un mistero inesprimibile? È nato in un modo ineffabile, senza macchia, colui che, dopo, entrerà senza ostacoli, a porte chiuse, e davanti al quale Tommaso esclamerà, contemplando l’unione delle sue due nature: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28).

Per amore nostro, colui che per natura è incapace di soffrire, si è esposto a numerose sofferenze. Cristo non è affatto divenuto Dio a poco a poco; assolutamente! Invece essendo Dio, la sua misericordia l’ha spinto a diventare uomo, come impariamo dalla  fede. Non predichiamo un uomo divenuto Dio, bensì proclamiamo Dio fatto carne. Ha scelto come madre la sua serva, colui che per natura non conosce madre e che si è incarnato nel tempo senza padre.

GIANFRANCO RAVASI – (sul Natale, sul simbolo apostolico e su Gal 4,4)

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_ravasi12.htm

GIANFRANCO RAVASI – (sul Natale, sul simbolo apostolico e su  Gal 4,4)
da »Avvenire », 16/12/’07

Il « Simbolo apostolico » professa la fede del Natale così: «Natus de Spiritu Sancto ex Maria Virgine» e il « Credo Niceno Costantinopolitano » che ogni domenica proclamiamo nella liturgia ripete: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo». I ventun versetti del « Vangelo di Luca » (2,1-21), che descrivono gli eventi che accompagnano la nascita del Cristo erano già stati sintetizzati da Paolo in una sola espressione simile a un piccolo Credo: «Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4).
Prima di iniziare il nostro viaggio spirituale all’interno di questi versetti e dei loro temi principali, fermiamoci davanti all’icona della « Madonna del Natale » per abbozzarne e contemplarne i tratti essenziali attraverso alcuni versi della « XIX Ode di Salomone », appartenente a quei quaranta inni che furono ritrovati nel 1905 in un manoscritto siriaco e che costituiscono un documento importante dell’antica poesia cristiana. Anche nel testo di Luca il racconto della nascita di Gesù si allarga lungo due orizzonti « antitetici »: alla povertà estrema della cornice terrestre si associa un’eco cosmica e celeste. Mentre nella narrazione parallela della nascita del Battista la circoncisione era il dato fondamentale così da occupare ben otto versetti, per Gesù la circoncisione occupa un solo versetto contro i venti della nascita. Il Battista conduce al Cristo l’alleanza della circoncisione, il Cristo con la circoncisione accoglie il popolo della prima alleanza divenendone membro, compimento e salvezza. Il Natale è il centro anche del grandioso inno di apertura del « Vangelo di Giovanni »: «Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi» (1,14).
Il verbo greco che allude alla tenda dell’arca dell’alleanza, « skenoun », contiene le tre consonanti radicali della parola ebraica « Shekinah » (« s-k-n »), il termine con cui il giudaismo definiva la « Presenza » divina nel tempio di Sion, come abbiamo già avuto occasione di ricordare. Il Natale è cantato anche dalla « Lettera agli Ebrei », una potente e monumentale omelia « neotestamentaria », che applica al Cristo il « Salmo 8″, un inno notturno destinato a celebrare l’uomo e la sua grandezza e ora applicato al Cristo, uomo perfetto che entra nella storia per redimerla, strappandola al male.
Il testo di Luca è poi alla base della creatività popolare che sui sobri versetti evangelici ha ricamato arabeschi spesso fantasiosi. Il riferimento scontato è ai vangeli apocrifi, in particolare al « Protovangelo di Giacomo » del III secolo, ma spunti affascinanti si possono cogliere in centinaia di testi cristiani antichi, come in questa dichiarazione messa in bocca a Gesù da parte di uno scritto « gnostico » egizio, l’ »Interpretazione della gnosi »: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti… Io vi porterò sulle mie spalle» (XI, 10,27-34). Solo per evocare la fertilità poetica e spirituale di queste tradizioni popolari, pensiamo che cosa significhi il soggetto del Natale di Cristo nella storia dell’arte, che cosa rappresenti il presepio, quante siano le tipologie orientali e occidentali della Madre Maria col Bambino Gesù! Pensiamo all’accumulo dei particolari attorno a quella scena così essenziale. Ad esempio, il bue e l’asino sono introdotti solo da un apocrifo, lo « Pseudo-Matteo », redatto nel VI-VII secolo; ma già nel IV secolo l’arte li aveva presentati nel sarcofago romano del « Museo Pio » e in quello di « Stilicone » della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano.
Origene nel III secolo rimandava a un passo di Isaia (1,3: «Il bue conosce il padrone e l’asino la greppia del suo padrone»), mentre i Padri della Chiesa trovavano nei due animali un curioso simbolismo che San Gregorio di Nazianzo così definisce: «Tra il giovane toro (bue) che è attaccato alla Legge giudaica e l’asino che è gravato dal peccato dell’idolatria pagana giace il Figlio di Dio che libera da entrambi i pesi». Con Francesco e il suo presepio di Greccio i due animali diventano, invece, espressione dell’adorazione e della gioia cosmica per la nascita del Salvatore di ogni cosa. Un anonimo francescano del ’300, autore delle « Meditazioni sulla vita di Cristo » (« Città Nuova », Roma, 1982), immagina allora «il bue e l’asino piegarsi sulle zampe anteriori, sporgere i musi sulla mangiatoia soffiando con le narici, quasi fossero dotati di ragione e capissero che il bambino, così miseramente riparato in quella freddissima stagione, aveva bisogno di essere riscaldato». Secondo il « Physiologus », poi, nella notte del solstizio d’inverno, gli animali selvatici mandano due volte un forte raglio: sarebbe la reazione del diavolo che nella notte santa s’indigna perché col Bambino Gesù sorge il «nuovo giorno» e viene infranta la «potenza delle tenebre».
Il Natale ha poi alimentato la meditazione dei Padri della Chiesa (pensiamo ai « Sermoni del Natale » di Leone Magno), ha generato musiche colte e popolari (« Stille Nacht »; « Tu scendi dalle stelle »; « Adeste, fideles »…), ha trionfato nella liturgia, e nell’Occidente cristiano è divenuto la festa più sentita.
 
Dopo questa lunga premessa, torniamo al testo lucano per far affiorare lo spirito genuino del Natale del Figlio di Maria, spogliandolo dei rivestimenti fantasiosi e retorici. Cerchiamo anche noi il bimbo di Maria, non tanto per esprimergli tenerezza ma per conoscere il suo mistero. La maternità di Maria ha due coordinate esterne ben dichiarate dall’evangelista.
La prima coordinata è quella « spaziale », legata a Betlemme, «la città di Davide», come dice Luca, nonostante che nell’Antico Testamento questo sia il titolo ufficiale di Gerusalemme (2Sam 5,7.9). Gesù giunge a noi dallo spazio umano, fisico e spirituale della « promessa davidica ». È per questo che in alcune testimonianze dell’arte cristiana non si oppone solo la Gerusalemme terrestre a quella celeste, ma anche la Betlemme terrestre a quella del cielo. Da Betlemme l’umanità viene assunta in Dio. Nello spazio di Betlemme la nostra attenzione si fissa su due punti « topografici ». Il primo è quello del parto di Maria, una mangiatoia per animali probabilmente scavata nella roccia, perché il « katalyma » (in greco «albergo, casa, alloggio, stanza») non aveva spazio per il Signore dello spazio. La tradizione cristiana, sostenuta da San Girolamo che vivrà per decenni a Betlemme, parlerà di una grotta simile a quelle adiacenti alle povere case di allora. Giovanni era nato nella casa sacerdotale del padre, Cristo nasce nell’emarginazione, privo di un guanciale.
Eppure nel racconto di Luca c’è un particolare sottolineato con tenerezza: Maria «avvolse il bambino in fasce e lo depose nella mangiatoia» (v. 7). Del Battista si dice soltanto: «Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio» (1,57).
Attorno a quella grotta, a quel punto dello spazio di Betlemme si erge ora la solenne « Basilica Giustinianea », iniziata però da Elena nel IV secolo. Una basilica ancor oggi intatta perché non mai distrutta, diversamente dalle altre chiese di Terra Santa: i musulmani l’avevano risparmiata perché dedicata anche a Maria, che pure essi veneravano, e i persiani non l’avevano distrutta perché sul frontone avevano visto la sfilata dei Magi coi loro costumi persiani.
L’altro punto topografico che vogliamo evocare è il cosiddetto «campo dei pastori», la campagna circostante a Betlemme percorsa da « seminomadi » pastori. Due residenze provvisorie, due località misere, due segni di quotidiana miseria diventano il centro di una speranza cosmica. È famosa l’iscrizione greca di Priene che usa il termine « evangelo » per la nascita di Augusto: «La nascita del dio (Augusto) ha segnato l’inizio della « buona novella » (« evangelo ») per il mondo». Un evangelo, questo, proclamato in palazzi di marmo e nell’impero più potente del mondo; un evangelo, quello della nascita di Gesù, proclamato in una mangiatoia e tra nomadi: «Vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi, vi è nato un salvatore!» (vv. 10-11). Il primo evangelo ben presto genererà cattive notizie di oppressioni, di tasse, di guerre, di schiavitù: l’evangelo di Cristo è «liberazione per i prigionieri, lieto messaggio per i poveri, vista per i ciechi, libertà per gli oppressi» (Lc 4,18).
C’è una seconda coordinata da considerare, quella « temporale ». Essa è scandita dalle ore dell’imperatore Ottaviano Augusto (31 a.C.-14 d.C.) ed è precisata da Luca con l’indicazione del famoso « primo censimento », ordinato dal legato di Siria Quirinio. Non è il caso ora di entrare nel merito della secolare discussione su questa informazione che apparentemente sembra errata, essendo documentato solo un censimento di Quirinio del 6 d.C., quando Gesù aveva ormai dodici anni. È probabile che si tratti di una « prima » operazione censuale, ordinata durante un incarico straordinario ricoperto da Quirinio prima di essere formalmente nominato legato di Siria. Vogliamo solo ricordare che con questi dati appare nitidamente il valore dell’incarnazione, cioè dell’ingresso di Dio negli eventi e nel tempo umano. Efrem il Siro unirà i due estremi del parto da Maria e della morte in croce per esaltare l’incarnazione nella sua realtà: «La sua morte in croce attesta la sua nascita dalla donna. Infatti se un uomo muore, dev’essere pure nato… Perciò la concezione umana di Gesù è dimostrata dalla sua morte in croce. Se uno nega la sua nascita, venga smentito dalla croce» (« Sermone su Nostro Signore », 2). Il censimento romano, segno di schiavitù, ci ricorda che Cristo nasce da un popolo oppresso e in mezzo a quei poveri che i potenti considerano pedine insignificanti sullo scacchiere dei loro giuochi politici.
Eppure il figlio di Maria sarà il centro del tempo e della stessa famiglia umana. Sarà proprio questo bambino povero a segnare nella storia i secoli in un « prima » e in un « dopo » di lui. La liturgia bizantina canta per il Natale del Signore questa bella antifona…

« L’autore della vita è nato dalla nostra carne dalla madre dei viventi. Un bambino da lei è nato ed è il Figlio del Padre. Con le sue fasce scioglie i legami dei nostri peccati e asciuga per sempre le lacrime delle nostre madri. Danza e sussulta, creazione del Signore, poiché il tuo Salvatore è nato…
Contemplo un mistero strano e inatteso: la grotta è il cielo, la Vergine è il trono dei cherubini, la mangiatoia è il luogo dove riposa l’incomprensibile, il Cristo Dio.
Cantiamolo ed esaltiamolo! ».

Attorno al figlio di Maria si raccoglie una serie di spettatori diversi ma tutti convergenti verso quella scena e quella figura.
I primi sono « i pastori » ai quali è riservata una vera e propria annunciazione come a Maria, Giuseppe e Zaccaria: apparizione dell’angelo, l’invito a «non temere», l’annunzio di una nascita straordinaria, il segno della mangiatoia (vv. 9-12). Eppure i pastori erano considerati impuri dal giudaismo ufficiale di allora e quindi erano esclusi dalla vita religiosa pubblica. Essi cercano e trovano, come è indicato dai molti verbi di movimento che percorrono tutto il racconto: «Andiamo… vediamo… conosciamo… andarono senza indugio… trovarono… videro… riferirono… tornarono…». Una costellazione di verbi di ricerca, di rivelazione, di adorazione che rende i pastori primi missionari del Cristo, suoi « evangelizzatori ».
C’è poi un’altra classe di persone, «tutti quelli che udirono», cioè « la folla ». Essi «si stupiscono», restano solo colpiti, la reazione non ha seguito: «Essi ascoltano la parola, la ricevono con gioia, ma non hanno radici» (Lc 8,13).
Ci sono poi « gli angeli » col loro annunzio a cui fa seguito un inno. L’annunzio, presente nel v. 11, sviluppa cinque dati teologici significativi. Il testo suona così: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore». Innanzitutto l’«oggi», il presente costante della salvezza, vissuto nella liturgia, espressione della pienezza dei tempi. C’è poi la nascita, che è indizio di un inizio e quindi di una storia concreta; il terzo elemento è lo spazio, la «città di Davide». L’«oggi» eterno di Dio penetra nelle dimensioni « spazio-temporali » dell’uomo per fecondarle e trasfigurarle. Il quarto articolo di fede del Credo angelico è l’affermazione che Cristo è Salvatore (vedi Lc 1,69; Gv 4,42). Il quinto elemento è posto al vertice: Cristo è il « Kyrios », il Signore, il titolo che definiva il Dio dell’Antico Testamento. Come si vede, si proclama già la fede pasquale perché Gesù apparirà veramente come Signore nella sua risurrezione. È interessante notare che l’arte orientale ha reso questo aspetto pasquale del Natale in modo curioso: l’icona russa della « Natività », appartenente alla « Scuola di Novgorod » (XV secolo) rappresenta Gesù bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro.
Accanto all’annunzio gli angeli pongono un inno, un altro dei cantici del vangelo dell’infanzia di Gesù secondo Luca. È un « carme » che risuonerà nelle nostre liturgie festive: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (v. 14). La gloria è l’adorazione di Dio; Dio si manifesta agli uomini attraverso il suo amore, la sua « eudokía », la sua «buona volontà», il desiderio ardente del bene della sua creatura. Da questo atto di bontà nasce la «pace», il « shalôm » biblico che abbraccia prosperità, gioia, serenità, tranquillità, pienezza di vita. Il bambino di Maria, «principe della pace» (Is 9,5), «è la nostra pace, colui che dei due ha fatto un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, per creare dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce. Egli è venuto, perciò, ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2,14-17).
L’ultimo personaggio che è presente alla scena del Natale è la figura più importante, è lei, la « Theotókos », la Madre di Dio, come proclamerà il « Concilio di Efeso ». Maria «serbava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore» (v. 19): essa «ha ascoltato la Parola e la conserva in un cuore onesto e buono» (Lc 8,15). Maria conserva e, come dice l’originale greco, «mette insieme», cioè dà un senso a tutto ciò che sta accadendo, scoprendo il piano divino sotteso agli eventi. È la sapiente per eccellenza, che penetra nei segreti della salvezza che Dio ci sta offrendo e che si attuano anche per suo tramite.
 
Concludiamo la nostra descrizione, associandoci al cantore siro Romano il Melode, nato in Siria attorno al 490, convertitosi al cristianesimo e vissuto come diacono tutta la vita presso il santuario mariano del quartiere «di Ciro» a Costantinopoli, ove fu sepolto dopo il 555 e prima del 562. Romano, secondo la tradizione, avrebbe composto un migliaio di inni; i codici ce ne hanno trasmesso solo 85 e non tutti autentici. Eppure anche questi bastano a rivelarci la statura poetica di questo artefice dell’innografia bizantina, venerato come santo dalle Chiese d’Oriente che lo ricordano il 1° ottobre. I suoi inni, appartenenti al genere detto « kontakion », sono in realtà omelie in poesia. Al Natale sono dedicati tre inni. Nel primo, Romano mette sulle labbra di Maria questo dolcissimo « monologo-dialogo » col Figlio…

« Dimmi, o Figlio, come sei stato seminato in me e come sei nato!
Ti vedo, o mie viscere, e stupisco.
Il mio seno è gonfio di latte e non sono sposa. Ti vedo avvolto nelle fasce e scorgo ancora intatto il sigillo della mia verginità.
Sei tu, infatti, che l’hai serbato tale quando ti sei degnato di nascere, o nuovo Bambino, Dio anteriore ai secoli!
O Re eccelso, che cosa c’è di comune tra te e le nostre miserie?
O creatore del cielo, perché vieni tra noi, uomini della terra?
Ti sei lasciato incantare da una grotta e un presepio ti è caro? (I, 2-3).
Lo Spirito stese le sue ali sul grembo della Vergine ed ella concepì e partorì e divenne madre-vergine con molta sollecitudine.
Rimase incinta e partorì senza dolore un figlio… Lo generò in esempio, lo possedette in grande potenza, lo amò in salvezza, lo custodì nella soavità, lo mostrò nella grandezza.
Alleluia! ».

BUONA NATALE A TUTTI

BUONA NATALE A TUTTI dans immagini sacre 14%20MASTER%20AUSTRIAN%20UNKNOWN%20THE%20NATIVITY

14 Master Austrian unknown The Nativity c. 1400

http://www.artbible.net/3JC/-Luk-02,01_Birth_Manger_Naissance_Creche/slides/14%20MASTER%20AUSTRIAN%20UNKNOWN%20THE%20NATIVITY.html

Publié dans:immagini sacre, NATALE (QUALCOSA SUL) |on 24 décembre, 2008 |Pas de commentaires »

San Basilio: Omelia sulla nascita di Cristo: Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre »

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&ordo=&localTime=12/25/2008#

San Basilio (circa 330-379), monaco e vescovo di Cesarea in Cappadocia, dottore della Chiesa
Omelia sulla nascita di Cristo, 6 ; PG 31, 1471s

« Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre »
«Al vedere la stella, i magi provarono un’immensa gioia» (Mt 2,10). Accogliamo anche noi nel nostro cuore quella grande gioia. La stessa gioia annunziano gli angeli ai pastori. Adoriamo insieme ai magi, diamogli gloria coi pastori, esultiamo con gli angeli, «perché oggi ci è nato un Salvatore che è Cristo Signore». «Dio, il Signore è la nostra luce»…

È festa per tutto il creato… Le stelle si affacciano dal cielo, i magi lasciano il loro paese, la terra è tutta raccolta in una grotta. Non ci sia nessuno che non porti qualcosa, nessuno che non sia grato… Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più udire: «Sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen 3,19), ma : «Unito a colui che è venuto dal cielo sarai ammesso in cielo»…

«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità» (Is 9,5)… Unisciti a coloro che dai cieli accolsero festanti il Signore…, che adoravano in lui il grande Dio. La potenza divina, infatti, come raggio attraverso un cristallo, splendeva in quel corpo umano, rifulgendo dinanzi agli occhi puri del loro cuore (Mt 5,8). Potessimo anche noi trovarci con loro a contemplare con sguardo puro, come riflessa «in uno specchio, la gloria del Signore, per essere trasformati anche noi di gloria in gloria» (2 Cor 3,18), per grazia e bontà del nostro Signore Gesù Cristo.

NATALE DEL SIGNORE

NATALE DEL SIGNORE dans immagini sacre 14%20VENEZIANO%20NATIVITY

14 Veneziano Nativity 1380 Artists Formerly attributed to Antonio Veneziano more Formerly attributed to Spinello Aretino

http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.htm

Publié dans:immagini sacre, NATALE (QUALCOSA SUL) |on 24 décembre, 2008 |Pas de commentaires »
1...89101112

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01