Archive pour la catégorie 'Lettera ai Romani'

Mons. Gianfranco Ravasi: I tre ineffabili (Rm 8)

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/ravasi.htm

MONS. GIANFRANCO RAVASI I TRE INEFFABILI – (Romani capitolo 8)

Questo nostro viaggio nella lettera ai Romani, lo scritto più celebre di Paolo, intrapreso già da alcune settimane, sosta ora in una pagina di grande bellezza, il capitolo 8. Esso affascina soprattutto per la sua visione cosmica della salvezza.
Il gesuita scienziato e filosofo Pierre Teilhard de Chardin (1888-1955) nel suo Inno all’universo cantava sulla scia dell’Apostolo: «Immergiti nella materia, figlio della terra, bagnati nelle sue falde ardenti perché essa è la sorgente e la giovinezza della tua vita e anche in lei risuona il gemito dello Spirito».
Ebbene, è proprio attraverso l’immagine del gemito che esce dalle labbra di una donna partoriente che Paolo compone una specie di parabola della redenzione: essa non coinvolge solo l’umanità ma tutto il creato. Tre sono i gemiti che s’intrecciano. C’è innanzitutto quello della natura intera che «a capo eretto attende da lontano la rivelazione dei figli di Dio» (8,19): «tutta la creazione geme e soffre fin da ora le doglie del parto» (8,22).
C’è, poi, il gemito dell’uomo che anela alla salvezza piena: « La creazione non è sola ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito gemiamo interiormente attendendo da lontano l’adozione a figli di Dio» (8,23). C’è, infine, lo stesso gemito dello Spirito divino che vuole condurre a pienezza la redenzione:
«Lo Spirito stesso viene in aiuto alla nostra debolezza… intercedendo per noi con gemiti ineffabili» (8,26). Questi tre gemiti sono il segno di una tensione viva che è in tutto l’essere, proteso verso la salvezza piena, desideroso di essere rigenerato così da essere « nuova creatura ».
È quel destino ultimo glorioso che il cristianesimo chiama « risurrezione » , di cui la Pasqua di Cristo è anticipazione e «caparra » o « primizia», per usare espressioni paoline. L’apostolo Paolo descriveva così ai Corinzi questa meta che ci attende: «Ciò che semini non prende vita se prima non muore. Quello che semini non è il corpo che nascerà ma un semplice chicco… Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile, si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge potente, si semina un corpo animale e risorge un corpo animato dallo Spirito» (1 Corinzi15, 36-37.42-44).
Ebbene, questa grandiosa vicenda di salvezza e di rinascita che coinvolge noi e il creato fa parte di un progetto divino che Paolo descrive proprio nel capitolo 8 con una cascata di verbi posti in successione.
Essi riguardano il nostro destino glorioso che è già prefigurato nel disegno eterno della mente di Dio. Leggiamo, perciò, con attenzione questi verbi che scandiscono le tappe della nostra chiamata alla fede e alla gloria: « Quelli che Dio ha pre-conosciuto li ha anche pre-destinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia primogenito tra molti fratelli; quelli che ha pre-destinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (8,29-30).

Mons. Gianfranco Ravasi: Le sette parole di Paolo

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/ravasi.htm 

MONS. GIANFRANCO RAVASI 

LE SETTE PAROLE DI PAOLO 

Avevamo lascialo Paolo che nella prima parte del suo capolavoro teologico, la lettera ai Romani, descriveva la drammatica situazione dell’uomo, dominato da tre stelle oscure: la sarx-carne, l’hamartía-peccato, il nómos legge.
Ma quest’uomo non è abbandonato a sé stesso.
Entrano in scena – soprattutto nella seconda parte dello scritto paolino (capitoli 6-8) – quattro stelle luminose che incarnano la salvezza offerta da Dio.
La prima è espressa con la parola greca cháaris, « grazia », un termine che è rimasto nel nostro « caro-carezza », nel francese « charme » e nell’inglese « charm » (« fascino »): è l’apparire gioioso e amoroso di Dio nella notte dell’anima.
Egli squarcia la nostra solitudine, mettendosi lui per primo alla nostra ricerca, incamminandosi sulle nostre strade.
In principio c’è l’amore divino che non abbandona l’uomo a sé stesso.
È questo il senso del grido finale del celebre romanzo Diario di un curato di campagna di Georges Bemanos (1888-1948): «Tutto è grazia!».
Illuminato dalla grazia, l’uomo deve rispondere con la sua libertà di adesione o di rifiuto.
Ecco allora la seconda stella luminosa, la pístis, « fede ».
Essa è simile a braccia aperte che accolgono la cháris, cioè l’amore divino donato.
È afferrare una mano sicura che ci impedisce di sprofondare nel terreno molle della nostra carne e del nostro peccato.
È a questo punto che s’accende la terza stella, quella del pneuma, lo « Spirito ».
Ora, questo vocabolo può indicare anche il respiro della vita.
Potremmo, perciò, dire che, con l’abbraccio d’amore tra la grazia divina e fede umana sopra descritto, Dio infonde in noi il suo stesso respiro, il suo Spirito, cioè la sua vita.
È per questo che noi lo possiamo considerare come padre e ci possiamo sentire come fratelli di suo figlio, Gesù Cristo.
Tra lui e noi corre la stessa vita: «Voi avete ricevuto uno spirito (pneuma) di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo Abba’, padre» (8,16).
L’uomo che, attraverso la fede, ha accolto la grazia e ha ricevuto lo Spirito della vita divina acquista una nuova condizione che è descritta con la quarta e ultima parola greca che Paolo usa in modo originale, la dikaiosyne, la « giustificazione ».
Essa è la stella terminale che sigilla la vicenda della nostra salvezza, partita dalle tenebre e approdata alla luce: l’uomo è ora « giustificato’, cioè reso giusto e perfetto: è – per usare un’immagine paolina – una « creatura nuova ». Le opere giuste che egli compirà saranno il frutto della salvezza ottenuta.
Attraverso sette parole, usate dall’Apostolo in modo creativo, abbiamo così ricostruito l’avventura della redenzione compiuta da Cristo e che Paolo precisa nelle pagine molto dense della lettera ai Romani. Ricordiamole ora in finale, distribuendole nei due ambiti. Innanzitutto quello negativo: sarx-carne, hamartía-peccato, nómos-legge.
Poi quello positivo: cháris-grazia, pístis-fede, pneuma-Spirito, dikaiosyne-giustificazione. 

Mons.Gianfranco Ravasi : Paolo ai cristiani di Roma

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/ravasi9.htm

GIANFRANCO RAVASI (2001)

Paolo ai cristiani di Roma

Se stiamo al computo dei versetti – la cui numerazione è stata introdotta per la prima volta nel 1528 da Sante Pagnini in un’edizione della Bibbia pubblicata a Lione -, le tredici lettere che portano il nome di Paolo ne contano 2.003 su un totale di 5.621 dell’intero Nuovo Testamento.
Siamo, quindi, in presenza di un vasto materiale che però, nonostante sia letto a brani ogni domenica e spesso durante le settimane dalla liturgia, rimane lontano da una conoscenza approfondita da parte dei cristiani.
Eppure l’apostolo ha esercitato un influsso profondo non solo sulla teologia, ma anche sull’intera cultura dell’Occidente.
Noi ora durante la Quaresima vorremmo dedicare la nostra rubrica alla lettera più importante, quella ai Romani, considerata come il capolavoro teologico paolino, ma anche come uno dei testi capitali della storia della cristianità e della stessa civiltà occidentale.
Uno dei commentatori di questo scritto, Paul Althaus, affermava: «Le grandi ore della storia della Chiesa sono state le grandi ore della lettera ai Romani».
Basti solo pensare alle lezioni che Lutero tenne su queste pagine paoline nel 1515- 16, alle soglie di quella svolta che sarà la riforma protestante.
È curioso notare che l’autografo di quelle note che sono state tradotte e commentate ottimamente da un mio amico e collaboratore, Franco Buzzi per le edizioni San Paolo – è stato, sì, scoperto, Berlino nel 1908, ma una copia era già venuta alla luce nel 1889 nientemeno che nella Biblioteca Vaticana.
Ed è altrettanto curioso osservare che la lettera ai Romani causa di divisione e tensione nella cristianità, è divenuta ai nostri giorni uno strumento di dialogo ecumenico: è. infatti, con la versione di questa lettera che è iniziata nel 1967 in Francia la pubblicazione della Traduzione ecumenica della Bibbia.
Quest’opera paolina, considerata da Filippo Melantone (uno dei padri con Lutero della Riforma protestante) «il compendio della dottrina cristiana», «è attraversata, come un cielo da lampi, da grida di dolore e di gioia, da dialoghi concreti e da confessioni drammatiche» (così la descriveva un noto esegeta cattolico ora scomparso, Salvatore Garofalo).
Paolo la scrive da Corinto tra il 55 e il 58 con l’aiuto di uno scriba di nome Terzo che si firma in 16,22 («Vi saluto nel Signore anch’io, Terzo, che ho scritto la lettera»).
Noi ovviamente non potremo né vorremmo offrire un commento ai 432 versetti di questa lettera indirizzata alla Chiesa insediata nel cuore dell’impero, in una Roma che allora ospitava forse un milione di abitanti, tra i quali si contavano cinquantamila ebrei con ben tredici sinagoghe.
Il nostro sarà solo uno sguardo dall’alto, cercando di cogliere i temi e i simboli delle pagine più intense ed esaltanti, attingendo soprattutto alla prima parte dell’opera, quella che esprime il cuore del pensiero paolino (capitoli 1-11).

BENEDETTO XVI – SAN PAOLO APOSTOLO: DALLA « SPE SALVI » 26

BENEDETTO XVI – SAN PAOLO APOSTOLO 

DALLA « SPES SALVI » 26: 

« Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito puramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grande amore, quello è un momento di « redenzione » che dà senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l’amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’esser umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: , qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha . Per mezzo di Lui siamo diventi certi che Dio – di un Dio che nostituisce una lontana del mondo, perché il suo figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: (Gal 2,20) »

San Paolo all’inizio della « Spe Salvi »

San Paolo all'inizio della

All’inizio della Enciclica del Papa « Spe Salvi« , Salvati nella speranza, il Papa riprende il pensiero di San Paolo sulla speranza:

INTRODUZIONE (pag 3 Libreria editrice Vaticana)

« SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice San Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 88,24). La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, puo essere vissuto ed accetato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Ora, si impone immediatamente la domanda: ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l’affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c’è, noi siamo redenti? E di  quale tipo di certezza si tratta »

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