Archive pour la catégorie 'Lettera ai Colossesi'

DOMENICA 11 LUGLIO 2010 – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 11 LUGLIO 2010 - XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera ai Colossesi 17%20BASSANO%20SCHOOL%20GOOD%20SAMARITAN 

Parable_Good_Samaritan_Bon_Samaritain

http://www.artbible.net/3JC/-Luk-10,25_Parable_Good_Samaritan_Bon_Samaritain/index3.html

DOMENICA 11 LUGLIO 2010 – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO  LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C15page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Col 1, 15-20
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Inizio del trattato «Sui misteri» di sant’Ambrogio, vescovo
(Nn. 1-7; SC 25 bis, 156-158)

Catechesi dei riti pre-battesimali
Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C’è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell’apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi. Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai visto il sommo sacerdote. Non badare all’esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro. E` alla presenza di angeli che tu hai parlato, com’è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può sbagliare, non si può negare. E’ un angelo colui che annunzia il regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall’apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l’importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l’oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.

Responsorio    Cfr. Tt 3, 3. 5; Ef 2, 3
R. Anche noi un tempo eravamo insensati, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda. * Ma Dio ci ha salvati mediante un bagno di rinascita nello Spirito Santo.
V. Tutti noi, un tempo, abbiamo seguito i desideri della carne, eravamo per natura meritevoli della collera divina;
R. ma Dio ci ha salvati mediante un bagno di rinascita nello Spirito Santo.

Salvifici Doloris – sintesi: [Completo nella mia carne, dice l’apostolo Paolo, spiegando il valore salvifico della sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)]

dal sito:

http://www.giullarididio.it/main/index.php?option=com_content&task=view&id=1463&Itemid=81

Salvifici Doloris  (Lettera Apostolica), testo completo:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_11021984_salvifici-doloris_it.html

[Completo nella mia carne, dice l’apostolo Paolo, spiegando il valore salvifico della sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)]

Lettera apostolica sul senso cristiano della sofferenza di Giovanni Paolo II

SINTESI

1. Il mondo dell’umana sofferenza

   “Completo nella mia carne, dice l’apostolo Paolo, spiegando il valore salvifico della sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa”. (Col 1,24) Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo camino, che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell’uomo ed illuminata dalla parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una definitiva scoperta, che viene accompagnata dalla gioia; per questo l’Apostolo scrive: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi” (ibid.). La gioia proviene dalla scoperta del senso della sofferenza, ed una tale scoperta, anche se vi partecipa in modo personalissimo Paolo di Tarso che scrive queste parole, è al tempo stesso valida per gli altri.
   La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme più profondamente radicato nell’umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica: quando duole  il corpo  e sofferenza morale: dolore dell’anima. Si tratta quest’ultima del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione psichica del dolore che accompagna sia la sofferenza morale che quella fisica.
   La Sacra Scrittura è un grande libro sulla sofferenza. Si può dire che l’uomo soffre, allorquando sperimenta un qualsiasi male. Nel vocabolario dell’Antico Testamento il rapporto tra sofferenza e male si pone in evidenza come identità, solo nel Nuovo Testamento la sofferenza non è più direttamente identificabile col male (oggettivo), ma esprime una situazione nella quale l’uomo prova il male e, provandolo, diventa soggetto di sofferenza. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza  si trova sempre un’esperienza del male, a causa del quale l’uomo soffre.
   Così dunque la realtà della sofferenza provoca l’interrogativo sull’essenza del male: che cosa è il male?I
   l cristianesimo proclama l’essenziale bene dell’esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del creatore e proclama il bene delle creature. L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene.
   All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo appare inevitabile l’interrogativo: perché? E’ un interrogativo circa la causa, la ragione, lo scopo, il senso. Un interrogativo che si collega all’altro, a cui rimanda: perché il male?
   Nel Libro di Giobbe questi interrogativi hanno trovato la loro espressione più viva.
   E’ nota la storia di questo uomo giusto, il quale senza nessuna colpa da parte sua viene provato da innumerevoli sofferenze. Egli perde i beni, i figli, le figlie ed infine viene egli stesso colpito da una grave malattia. In questa tragica situazione si presentano nella sua casa tre vecchi conoscenti, i quali cercano di convincerlo che, poiché è stato colpito da una così molteplice e terribile sofferenza, egli deve aver commesso una colpa grave. La sofferenza può avere ai loro occhi un senso come pena per il peccato, esclusivamente sul terreno della giustizia di Dio, che ripaga col bene il bene e col male il male.
   Giobbe tuttavia contesta la verità del principio, che identifica la sofferenza con la punizione del peccato. Infatti egli è consapevole di non aver meritato una tale punizione. Alla fine Dio stesso rimprovera gli amici di Giobbe per le loro accuse e riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua è la sofferenza di un innocente: deve essere accettata come un mistero, che l’uomo non è in grado di penetrare fino in fondo con la sua intelligenza.
   Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione.
   Dall’introduzione del Libro risulta che Dio permise questa prova per provocazione di satana, che aveva contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: “Forse che Giobbe teme Dio per nulla?…Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani….ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti benedirà in faccia.” (Gb 1,9-11)
   E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrare la giustizia. La sofferenza ha il carattere di prova. Il Libro di Giobbe non è l’ultima parola della Rivelazione su questo tema. In un certo modo esso è annuncio della passione di Cristo.
   Un aspetto importante della sofferenza nell’Antico Testamento è che questa deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza.
   La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio.
   L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell’insufficienza ed inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell’amore divino.

2. Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore
   “Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Queste parole, pronunciate da Cristo nel colloqui con Nicodemo, ci introducono nel centro stesso dell’azione salvifica di Dio. Salvezza significa liberazione dal male, e per ciò stesso rimane in stretto rapporto col problema della sofferenza. Questo amore è dimensione diversa da quella che determinava e, in un certo senso, chiudeva la ricerca del significato della sofferenza entro i limite della giustizia. Mentre finora la nostra considerazione si è concentrata sulla sofferenza nella sua molteplice forma temporale, come anche le sofferenze del giusto Giobbe, invece le parole, ora riportate dal colloquio di Gesù con Nicodemo, riguardano la sofferenza nel suo senso fondamentale e definitivo. La missione del Figlio unigenito consiste nel vincere il peccato con la sua obbedienza e la morte con la sua risurrezione. In conseguenza dell’opera salvifica di Cristo l’uomo esiste sulla terra con la speranza della vita e della santità eterne. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali della vita umana né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza. E’ questa la luce del Vangelo, cioè della Buona Novella.
   Cristo nella sua attività messianica in mezzo ad Israele si è avvicinato incessantemente al mondo dell’umana sofferenza, ma soprattutto perché ha assunto su di sé la sofferenza del mondo volontariamente e senza alcuna colpa. Nella passione di Cristo la sofferenza entra in un ordine nuovo: è stata legata a quell’amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo.
   Il Redentore ha sofferto al posto dell’uomo e per l’uomo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Agli occhi del Dio giusto, quanti partecipano alle sofferenze di Cristo diventano degni del Regno. Mediante le loro sofferenze essi, in un certo senso, restituiscono l’infinito prezzo della passione e della morte di Cristo che divenne il prezzo della nostra redenzione: a questo prezzo il Regno di Dio è stato nuovamente consolidato nella storia dell’uomo, divenendo la prospettiva definitiva della sua esistenza terrena. “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.” (1Pt 4,13)
   La sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione del mondo. Questo bene in se stesso è inesauribile ed infinito. Nessun uomo può aggiungervi qualcosa. La redenzione, però, anche se compiuta in tutta la sua pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa come Corpo di Cristo, che è la Chiesa, ed in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell’unione nell’amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa così come la Chiesa completa l’opera redentrice di Cristo.

3. Il Vangelo della sofferenza
   Nella luce dell’inarrivabile esempio di Cristo, riflesso con singolare evidenza nella vita della Madre sua, il Vangelo della sofferenza, mediante l’esperienza e la parola degli apostoli, diventa fonte inesauribile per le generazioni sempre nuove che si avvicendano nella storia della Chiesa. Attraverso i secoli e le generazioni è stato constatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti santi, come ad esempio san Francesco d’Assisi, sant’Ignazio di Loyola, ecc. L’uomo trova nella sofferenza quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E’ lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. E’ lui, come Maestro e Guida interiore ad insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione e dischiude gli orizzonti del Regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell’amore. Il divin Redentore vuole penetrare nell’animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti.
   Non sempre un tale processo interiore si svolge in modo uguale e senza difficoltà. Quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo “perché”. Cristo non risponde direttamente e in astratto a questo interrogativo umano. L’uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale. Di tale gioia parla l’Apostolo nella Lettera ai Colossesi: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi”(1,24). Fonte di gioia diventa il superamento del senso d’inutilità della sofferenza. L’uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La fede nella partecipazione alle sofferenze del Cristo porta in sé la certezza interiore che “l’uomo completa quello che manca ai patimenti di Cristo” (Ef 6,12).
   Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano. Non può l’uomo “prossimo” passare con indifferenza davanti alla sofferenza altrui in nome della fondamentale solidarietà umana. Egli deve fermarsi, commuoversi, agendo come il samaritano della parabola evangelica. Quest’attività in favore degli uomini sofferenti assume nel corso dei secoli forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni.
   Cristo dice: “L’avete fatto a me”. Egli stesso è colui che riceve aiuto, quando questo viene reso ad ogni sofferente.
Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. E’ soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo ed è profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.

COLOSSESI ED EFESINI (Efesini 2, 14-18;Col 2, [19,20])

dal sito:

http://famiglia.diocesidicagliari.it/docum/Colossesi%20e%20Efesini%20-%20Lai.pdf

COLOSSESI ED EFESINI

Efesini 2, 14-18 

[14]Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione che era frammezzo,
cioè l’inimicizia,
[15]annullando, per mezzo della sua carne,
la legge fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
[16]e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo
corpo, per mezzo della croce,
distruggendo in se stesso l’inimicizia.
[17]Egli è venuto perciò ad @annunziare pace
a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.
[18]Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli
altri, al Padre in un solo Spirito. 

Un cantico esultante e gioioso. Cosa c’era di tanto grande e nuovo da suscitare un tale slancio ed un tale vigore? C’era un evento che aveva già prodotto, per esempio, una situazione del tutto unica nel mondo e nella storia: ex giudei ed ex pagani che insieme formavano un’unica Chiesa. Dove le differenze di cultura d’origine, pur senza sparire, venivano superate verso una più grande e piena unità. C’è ben di che sottolineare una tale novità e di che esultarne ! una cosa così nuova da essere essa stessa prova dell’azione salvifica di Dio. 

Il mistero della volontà di Dio. 

Col 2, [19,20]:

Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza [20] e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

Il “desiderio” di Dio è un tuttuno col mysterion di cui parla Paolo. Egli lo ha annunciato da secoli e lo ha realizzato in Cristo. Cristo è la pienezza della verità divina, cosmica e umana. Il mistero è rivelato in Lui, ma resta ancora mistero, verità altra, non totalmente comprensibile all’uomo e tuttavia verità e vita alla quale l’uomo può aderire e partecipare attraverso la fede e l’esperienza che ne consegue. In Cristo il mistero è accessibile e, anche se non totalmente possedibile, esso è totalmente partecipabile. È già e non ancora… Un punto fondamentale nell’adesione al mistero è che esso è per la piena liberazione dell’uomo. Chiamato da Dio, entrando e vivendo nel mistero di Cristo, l’uomo è realmente liberato e integrato nella Vita. Egli è pienamente vivo. Contro questo mistero rivelato e accessibile ci sono le false dottrine. Esse sono frutto della pretesa umana di trovare logicamente le “giuste” e “concrete” soluzioni ai problemi, che tengano conto di tutti i parametri in gioco nella dovuta proporzione. In questa pretesa si insinua e si espande facilmente la volontà diabolica di distinguere, di precisare ambiti e competenze, contrapporre interessi competitivi. Si maschera la sete di possesso e prevaricazione con criteri di giustizia ed eguaglianza, ma questo processo tendenzialmente acuisce ed esaspera le diversità fino allo scontro violento. Frutto dell’essere innestati in Cristo è al contrario la riconciliazione, l’unità nella diversità, la complementarietà, il servizio reciproco. Tutto questo non significa appiattimento noioso, uguaglianza banalizzante. La diversità è vita ed essa non è a scapito dell’unità ma è a servizio di essa nella complementarietà. Uomini diversi, storie diverse, culture diverse hanno senso completandosi a vicenda pur restando distinti. L’unità non è mediata dall’uguaglianza ma dal servizio reciproco. Il primo è colui che serve: la gara al primato è gara ad un servizio più ampio e più profondo, fino al dono totale di sé, come Cristo ha concretamente mostrato. Gareggiare nel dono è gareggiare nella carità, che è amore gratuito. Quando non è più possibile distinguere e tenere il conto di chi più ha dato e chi più ha ricevuto, ciascuno per quello che può, allora si accende l’unità piena. 

L’unità fra uomo e donna. 

La dinamica uomo-donna è forse l’esempio più eclatante di dinamica unità-diversità. Uomo e donna si cercano, si desiderano, hanno bisogno l’uno dell’altra, ma pure si fronteggiano, sono in guerra fra loro. Sono in guerra perché non si capiscono mai pienamente, nessuno dei due può pretendere di “prendere” l’altro in pienezza, anche se lo desiderasse profondamente e per un nobile fine. Nella dinamica tipicamente umana e tipicamente sociale, questo porta spesso a due schieramenti contrapposti, alla rivendicazione di diritti non accordati, alla prevaricazione reciproca, operata ora con prepotenza, con la violenza fisica e non solo, ora con l’inganno ed il sotterfugio. Ciascuna parte può restare ancorata alla sua propria sensibilità, al suo proprio modo di vedere e di essere, ritenersi fondamentalmente non capita, in una solitudine profonda e incolmabile. In questa situazione l’uno o l’altra, e spesso ambedue insieme, cercano di prendere quello che possono a danno dell’altro, perché si sentono ampiamente in credito rispetto alla controparte: mi riprendo solo qualcosa che mi è stata tolta ingiustamente, ma mai ti toglierò abbastanza, perché tu mi hai rovinato la vita! Uomo e donna, pur essendo evidentemente “l’uno per l’altra” per la loro stessa natura, possono essere profondamente
divisi e inconciliabili. La mentalità umana è normalmente guidata dalla paura di non concedersi troppo, per non restare delusi e non rischiare di essere “fregati”, perché l’”altro” – uomo o donna che sia – non se ne approfitti. Questo è il punto di partenza per la creazione di territori ed ambiti distinti e per fondare l’impossibilità di una piena unità. Una unione che in partenza pone delle riserve alla piena donazione reciproca, si mette di fronte ad una salita impervia e piena di buche in cui rischia di inciampare e sprofondare. L’idea di base di questa dinamica è che la gratuità piena non esiste e l’amore non essendo mai pieno, neppure è mai eterno. È un rapporto che si articola sullo stare guardinghi, sul concedere e concedersi ma non troppo, sul riservarsi porzioni private di vita dai quali l’altro è scontatamente escluso. È una vita a due faticosa, complicata ma – si sa – da che il mondo è mondo è sempre andata così. D’altronde a non sposarsi, superata una certa età ci si sente soli, almeno i figli servono a darci un futuro! Oggi le “false dottrine”, le dottrine dell’individualismo e della prevaricazione, dilagano. La coppia esplode. Non è chiaro se ciò dipenda da una maggior forza raggiunta dalle false dottrine o semplicemente perché molti tabù di “decenza” e dignità di facciata sono caduti. Forse ambedue le cose, ma forse la sostanza nel rapporto uomo-donna non è poi così tanto cambiata. È vero, le vecchie false dottrine oggi sembrano avere più forza, una diffusione socialmente più capillare, nuovi mezzi tecnologici all’avanguardia. La vera dottrina ha invece sempre solo un unico mezzo: l’amore gratuito. Qualcuno ha amato per primo così. Qualcun altro si è sentito amato così. Il dono di sé nasce quando si fa esperienza di questo sentirsi amati gratuitamente. Allora si diventa capaci di credere che è possibile fare altrettanto e si è presi dalla sete di ripetere quel gesto del dare e del ricevere all’infinito, perché solo lì si è sperimentata la vera vita, la vera felicità. Scatta la reciprocità, parte la gara del dono. È una dinamica in cui si capitalizza insieme una tale quantità di bene e felicità che questa poi diventa una riserva, un capitale da utilizzare per superare i momenti di carestia, di aridità, che pure ci sono, a causa delle nostre chiusure e ignoranze, degli egoismi, dei sospetti che sempre sono pronti a farsi strada nei momenti di difficoltà. È la dinamica e la logica di Cristo, che non è la logica del mondo. Chi ha sperimentato questa logica del vivere considera l’altra come spazzatura e le persone che vi vivono come dei disgraziati da tirar fuori dalla miseria, come qualcun altro ha già fatto con noi. 

Maschilismo e femminismo in Efesini 5, 21-33. Ovvero: chi è il migliore, il marito o la moglie? 

Quando durante la messa viene letto questo brano le donne si indispettiscono e gli uomini o si gongolano o si imbarazzano. Magari guardano le mogli con un sorrisino tra l’ebete ed il compiaciuto: se le cose andassero così, che stai sottomessa, allora tutto andrebbe meglio, stanne certa! Le più giovani, al limite del disgusto, con un fremito di rabbia mal trattenuto, si guardano fra loro per spirito di corpo. Le meno giovani, ma comunque già ampiamente emancipate, si ripetono: cose di altri tempi – è chiaramente un brano ancorato alla mentalità dell’epoca e S. Paolo qui rivela il suo limite di uomo (maschio) di 2000 anni fa. La chiesa dovrebbe cambiare e ammorbidire certe posizioni ormai sorpassate… Pensieri che salgono come un brusio dalla platea che subisce nervosamente questo scomodo brano… Ma qui non c’è ebreo né gentile, non schiavo né padrone e non c’è uomo né donna, perché tutti sono uno in Cristo. E come sono uno in Cristo? È fondametale il fatto che nell’unione le differenze non svaniscono ma si valorizzano. L’unità avviene non per privazione degli attributi di ciascuna parte ma attraverso il dono reciproco, ciascuno nel suo ruolo: siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Chi dei due, dunque, è il più grande? Colui che fra i due è più “sottomesso”, chi dei due più “serve”. Il più grande fra tutti gli uomini è Cristo non tanto perché figlio di Dio, ma perché, pur essendo Dio, scelse di spogliare se stesso, donandosi totalmente. Se la logica è quella del dono e non del dominio, che è la logica del diavolo, il senso del brano è molto diverso. Quasi mette alla prova il nostro grado di comprensione del mistero. Sembra quasi che Paolo dica: mariti, volete essere i più grandi? bene, buona idea! Potete farcela!, ma sappiate che il prezzo della grandezza è la totalità del dono, è il sacrificio della vostra individualità per la vostra sposa. Mogli, volete essere le più grandi? Bene! Buona idea, potete farcela anche voi! Ma sappiate che il prezzo è l’abbassamento, il servizio per l’altro, l’essere disposte a lavare i piedi anche ad un marito che non vi è superiore, come fece Gesù, inginocchiandosi davanti ai suoi discepoli per lavar loro i piedi. Se voi mariti e mogli non entrerete in questa logica del dono gratuito, non può esserci unità ed il dono di Cristo può essere reso vano. Ma se entrerete, sarete una corpo solo e troverete Cristo stesso, la pienezza della vita, stabilire la sua dimora presso di voi e con voi rimanere sempre fino alla rivelazione totale del mistero, quando tutti potremo vederlo faccia a faccia. 

[21]Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

[22]Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; [23]il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. [24]E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. [25]E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, [26]per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, [27]al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. [28]Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. [29]Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, [30]poiché siamo membra del suo corpo. [31]Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola [32]Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! [33]Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.

DOMENICA 11 APRILE 2010 – II DI PASQUA

 DOMENICA 11 APRILE 2010 - II DI PASQUA dans Lettera ai Colossesi 15%20SIGNORELLI%20THE%20DOUBTING%20OF%20THOMAS%20LORETO%20C

Joh-20,19_Vision_Doubt_Apparition_Doute

http://www.artbible.net/3JC/-Joh-20,19_Vision_Doubt_Apparition_Doute/index2.html

DOMENICA 11 APRILE 2010 – II DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqC/PasqC2Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 3, 1-17
 
La vita nuova in Cristo
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Responsorio   Col 3, 1. 2. 3
R. Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; * pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.
V. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio;
R. pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 8 nell’ottava di Pasqua 1, 4; Pl 46, 838. 841)

Nuova creatura in Cristo
Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell’apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo, né Greco; non c’è più schiavo, né libero; non c’è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. E’ infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riservato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l’ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all’immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).

Responsorio   Col 3, 3-4; Rm 6, 11
R. Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. * Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria, alleluia.
V. Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
R. Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria, alleluia.

St. Paul’s Prayers for Wisdom and Understanding (4 Prayer: Ep 1: 17.23; Ep 3:14-21; Ph 1:1,9-11; Col 1:1,9-11)

dal sito:

http://www.aaidu.org/prayer.html

St. Paul’s Prayers for Wisdom and Understanding  

(Amplified Version)

 Paul’s Prayers  (4 Prayer: Ep 1: 17.23; Ep 3:14-21;  Ph 1:1,9-11;  Col 1:1,9-11   )

   
 First Prayer 

       [For I always pray to] the God of our Lord Jesus Christ, the Father of glory, that He may grant you a spirit of wisdom and revelation [of insight into mysteries and secrets] in the deep and intimate knowledge of Him

     By having the eyes of your heart flooded with light, so that you can know and understand the hope to which He has called you, and how rich is His glorious inheritance in the saints (His set-apart ones).

    And [so that you can know and understand] what is the immeasurable and unlimited and surpassing greatness of His power in and for us who believe, as demonstrated in the working of His mighty strength.

       Which He exerted in Christ when He raised Him from the dead and seated Him at His [own] right hand in the heavenly [places].

       Far above all rule and authority and power and dominion and every name that is named [above every title that can be conferred], not only in this age and in this world, but also in the age and the world which are to come.

     And He has put all things under His feet and has appointed Him the universal and supreme Head of the Church, [a headship exercised throughout the church].

      Which is His body, the fullness of Him who fills all in all [for in the body lives the full measure of Him who makes everything complete, and who will everything everywhere with Himself]. Amen
  
    Ephesians 1:17-23 
  
  
Second Prayer
  
            For this reason [seeing the greatness of this plan by which you are built together in Christ], I bow my knees before the Father of our Lord Jesus Christ,

       For whom every family in heaven and on earth is named [that Father from whom all fatherhood takes its title and derives its name].

      May He grant you out of the rich treasury of His glory to be strengthened and reinforced with mighty power in the inner man by the [Holy] Spirit [Himself indwelling your innermost being and personality]. May Christ through your faith [actually] dwell [settle down, abide, make His permanent home] in your hearts! May you be rooted deep in love and founded securely on love,

     That you may have the power and be strong to apprehend and grasp with all the saints [God's devoted people, the experience of that love] what is the breadth and length and height and depth [of it];

      [That you may really come] to know [practically, through experience for yourselves] the love of Christ, which far surpasses mere knowledge [without experience]; that you may be filled [through all your being] unto all the fullness of God [may have the richest measure of the divine Presence, and become a body wholly filled and flooded with God Himself]!

       Now to Him who, by (in consequence of) the [action of His] power that is at work within us, is able to [carry out His purpose and] do super abundantly far over and above all that we [dare] ask or think [infinitely beyond our highest prayers, desires, thoughts, hopes or dreams]-

      To Him be glory in the church and in Christ Jesus throughout all generations forever and ever. Amen so be it
  
    Ephesians 3:14-21  
 
   Third Prayer

  
        PAUL AND Timothy, bond servants of Christ Jesus (the Messiah) to all the saints (God’s consecrated people) in Christ Jesus who are at Philippi, with the bishops (overseers) and deacons (assistants).

     And this I pray: that your love may abound yet more and more and extend to its fullest development in knowledge and all keen insight [that your love may display itself in greater depth of acquaintance and more comprehensive discernment],

      So that you may surely learn to sense what is vital, and approve and prize what is excellent and of real value [recognizing the highest and the best, and distinguishing the moral differences], and that you may be untainted and pure and unerring and blameless [so that with hearts sincere and certain and unsullied, you may approach] the day of Christ [not stumbling nor causing others to stumble].

      May you abound in and be filled with the fruits of righteousness (of right standing with God and right doing) which come through Jesus Christ (the Anointed One), to the honour and praise of God that His glory may be both manifested and recognized. Amen
  
    Philippians:1:1,9-11 
  
   Fourth Prayer
  
        PAUL, AN apostle (special messenger) of Christ Jesus (the Messiah), by the will of God, and Timothy [our] brother.

     For this reason we also, from the day we heard of it, have not ceased to pray and make [special] request for you, [asking] that you may be filled with the full (deep and clear) knowledge of His will in all spiritual wisdom [in comprehensive insight into the ways and purposes of God] and in understanding and discernment of spiritual things-

     That you may walk (live and conduct yourselves) in a manner worthy of the Lord, fully pleasing to Him and desiring to please Him in all things, bearing fruit in every good work and steadily growing and increasing in and by the knowledge of God [with fuller, deeper, and clearer insight, acquaintance, and recognition].

      [We pray] that you may be invigorated and strengthened with all power according to the might of His glory, [to exercise] every kind of endurance and patience (perseverance and forbearance) with joy.
  
    Colossians:1:1,9-11

“CONSOLAZIONE NELLA TRIBOLAZIONE” (riferimento a: 2Cor 1,3-11, citazione di Rm, 8,26; Gal 4,19; Col 1,24)

dal sito:

http://www.sacrocuoreaigerolomini.it/documenti/consolazione.pdf

LABORATORIO DELLA FEDE
 
“CONSOLAZIONE NELLA TRIBOLAZIONE”

(riferimento a:  2Cor 1,3-11, citazione di Rm, 8,26; Gal 4,19; Col 1,24)
 
Venerdì 28 Marzo 2008 
 
 
Spesso Paolo si è soffermato a contemplare il mistero della sofferenza: quella dei credenti, la propria e quella della creazione, lasciandoci pagine di grande profondità come Rm 8,18-27, in cui con crescente intensità si assiste ai gemiti della creazione, a quelli dei credenti e persino a quelli dello  Spirito;  o  come  il  brano  che  introduce  la  2Cor  1,3-11  dove l’esperienza del pericolo di morte lo induce a benedire il Signore per la sua vicinanza nella consolazione. Ascoltiamo.
 
Lettura 2Cor. 1,3-11
 
Il dolore è inscritto nel DNA dell’esistenza umana… è dentro di noi… ogni giorno si muore un po’.  Il messaggio cristiano non pretende di risolvere il dolore né la tragicità del vivere, ma lo rende persino più evidente sino a concepire in esso il coinvolgimento  misterioso  dello  spirito  che  “  intercede  con  gemiti inesprimibili  ” (cfr. Rm 8,26). Quanti si avvicinano al messaggio cristiano con la richiesta-pretesa di risolvere o addolcire a buon mercato il senso
del dolore, sono destinati a restare delusi, perché questo non ne proclama la  liberazione  ma ne  illustra  l’attraversamento  con  percorsi  tortuosi  di coinvolgimento  e  condivisione.  Come  mai,  dunque,  color  che  sono  stati liberati dal peccato e dalla morte continuano a soffrire? (“non faccio il bene che voglio ma metto in pratica il male che non voglio” Rm. 7,19s). E perché la lotta contro il peccato, pur essendo in gran parte vinta a causa della  croce  di  Cristo  e  dell’azione  dello  Spirito,  prosegue  nella  loro esistenza? Ascoltiamo  la  risposta  di  Paolo  a  riguardo:  “  Ritengo  che  le  attuali sofferenze non contrastano con la gloria che dovrà essere rivelata in noi. L’attesa  della  creazione  è  in  ansia  per  la  rivelazione  dei  figli  di  Dio… sappiamo che tutta la creazione congeme e consoffre fino ad ora nelle doglie del parto. Non soltanto, ma anche noi che possediamo la primizia dello  Spirito  gemiamo  in  noi  stessi,  mentre  siamo  in  attesa  della figliolanza, della redenzione del nostro corpo  ” (Rm 8,15-23). I credenti danno voce alla sofferenza e al gemito della creazione per condividerli, nell’attesa della redenzione definitiva, con la loro esperienza del dolore. 
 
La prossimità di Dio
 
Nella benedizione che introduce la 2Cor, Paolo ringrazia il Signore per la sua prossimità in un momento di estremo pericolo: ricorda che poco prima, nella provincia romana dell’Asia (forse ad Efeso) ha rischiato di morire per una sentenza di morte che gli era stata comminata.  Diremo: non c’era più  nulla  da  fare!  Ma  il  Signore  lo  ha  liberato  da  tale  situazione
permettendogli di riprendere la corsa del proprio ministero a favore del Vangelo. Nel momento della sofferenza il Signore gli è stato vicino e lo ho consolato  con  la  sua  presenza  paterna:  si  è  chinato,  come  il  buon samaritano, e “  ha versato sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della  speranza  ”.  La  consolazione  che  Paolo  ha  ricevuto  ha  superato  la tribolazione che lo ha rafforzato ed esortato a riprendere il cammino con
rinnovata energia.  L’esperienza del dolore è terribile perché può indurre alla perdita della
dignità umana, ma in tali occasioni la vicinanza consolante di Dio diventa il punto  fermo  che  orienta  nel  tunnel  buio  del  dolore.  Il  cristianesimo diventa  così  non  la  religione  dei  vinti  o  di  chi  sconfitto  si  aggrappa  al sonno, ma un imparare ogni giorno a confidare in Lui per riconoscerlo come unica  certezza  nelle  tribolazioni.  Tuttavia  chi  non  si  educa
quotidianamente  a  riporre  in  Lui  la  propria  speranza,  soprattutto  nel tempo della gioia e della serenità, non sarà capace di riconoscerlo come il consolatore nel momento del dolore e della tristezza. Bisogna educarsi ogni  giorno  a  convivere  con  il  dolore  e  a  maturare  nella  fiducia  per  il Signore che consola pur nel silenzio più assordante della sua presenza.
 
Verso la condivisione della sofferenza
 
L’esperienza  del  dolore  trasforma  di  una  trasformazione  molto  più radicale di quanto sia quella prodotta dall’amore. Il credente sperimenta nel dolore una misteriosa condivisione alla croce di Cristo o per meglio dire partecipazione alle sue sofferenze. Per Paolo poi questa condivisione viene  percepita  come  una  delle  credenziali  più  importanti  e  reali  che
gratifica  il  suo  ministero  di  apostolo  di  Cristo.  È  di  fronte  al  suo lamentarsi la risposta di Cristo diventa per lui conferma: ”  ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si compie nella debolezza  ” (2Cor. 12,9). A motivo di tale garanzia altrove Paolo affermerà: “  siamo infatti tribolati da  ogni  parte,  ma  non  schiacciati;  siamo  sconvolti  ma  non  disperati;   
perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la necrosi di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifestata nella nostra carne mortale” (2Cor 4,8-11).    La partecipazione alla morte –resurrezione di Cristo non si realizza in un momento né avviene fuori di noi, ma occupa lo spazio di tutta un’esistenza e  si  compie  nelle  profondità  del  nostro  vissuto.  Ecco  perché  Paolo  non parla  semplicemente  di  morte  di  Cristo  ma  di  necrosi  che  esprime  un progressivo  e  lento  morire  dell’essere.  Paolo  inoltre  motiverà  la
condivisione  della  necrosi  e  della  vita  di  Gesù:  ”  affinché  noi  possiamo consolare  coloro che  sono i  ogni  tribolazione  ”  (2Cor1,4).  La  sofferenza allora rende più fratelli e dona la capacità di farsi carico delle sofferenze altrui. Alla luce di tutto questo penso proprio che uno dei ministeri che abbiamo  bisogno  di  riscoprire  nelle  nostre  comunità  è  quello  della consolazione, citato d Paolo in Rm  12,8: non sappiamo più condividere le gioie e le sofferenze degli altri , reclinati come siamo su noi stessi. 

Maria modello di gestazione
 
Paolo rivolgendosi ai cristiani della Galazia dirà: “  figli miei che di nuovo genero  nel  dolore  finchè  non  sia  formato  in  voi  Cristo  ”  (Gal  4,19).  Il dolore  dei  credenti,  come  di  tutti  gli  esseri  umani,  appartiene all’imperscrutabile disegno divino; la finalità più alta di questo dolore si esprime  nell’aiutare  gli  altri  nel  corso  della  gestazione  di  Cristo  in  se stessi.  Esemplare  a  riguardo  è  il  percorso  della  gestazione  di  Maria, madre di Gesù, realizzato dallo Spirito. Sant’Agostino nel   De Verginitate 3,3   affermerà: “  il fatto di essere madre non sarebbe servito a nulla a Maria se non avesse portato Cristo più felicemente nel cuore che nella carne  ”.  Lo  stesso  Spirito  che  ha  adombrato  Maria  con  la  sua  potenza, adombra la vita della Chiesa e di ogni credente perché Cristo sia formato in noi: se Cristo non si forma in noi e non assumiamo la sua forma, non si realizza alcuna trasformazione cristiana, ma si verificano aborti continui. Non  a  caso  Sant’Ambrogio  conclude  la  propria  riflessione  sui  misteri scegliendo la madre di Gesù come modello esemplare di gestazione per Cristo: “se dunque lo Spirito Santo scendendo sopra una vergine operò il concepimento e compì la funzione generativa, non si deve certo dubitare che lo Spirito, scendendo sul fonte o su quelli che ottengono il Battesimo, operi la realtà della rigenerazione” (I misteri 59). 
Non è difficile partecipare alla vita della Chiesa quando siamo ben accolti o quando ci  è riservato lo spazio che si adatta alle nostre qualità umane, alle nostre attitudini o per meglio dire quando si adatta ai carismi ricevuti dallo  Spirito.  Diventa  quanto  mai  arduo  invece,  sentirsi  membra  della comunità quando non siamo abbastanza corrisposti o quando non lo siamo affatto! Proprio in questi frangenti diventa evangelico “  spendersi  ” per gli altri  (cfr.  2Cor  12,15)  con  tutte  le  incomprensioni  che  il  dono  di  sé comporta:  “  perciò  sono  lieto  delle  sofferenze  che  sopporto  per  voi  e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del  suo  corpo  che  è  la  Chiesa  ”  (Col.  1,24).  Al  culmine  di   addio  monti…Alessandro Manzoni scriverà che Dio “  non turba mai la gioia de’ suoi figli,
se non prepararne loro una più certa e più grande  ” (I promessi sposi 8).
 
Con  don  Tonino  Bello  facciamo  nostro  il  gemito  umano  di  chi  soffre  e
invoca Maria:
 
Santa Maria, vergine della notte,
noi ti preghiamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
e irrompe la prova,
e sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni,
o l’ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell’ora del nostro Calvario,
Tu, che hai sperimentato l’eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
vergine dell’avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l’aurora.
Così sia.
 

MARTEDÌ 5 GENNAIO 2010 – FERIA DEL TEMPO DI NATALE

MARTEDÌ 5 GENNAIO 2010 – FERIA DEL TEMPO DI NATALE

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura    
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 4, 2-18

Esortazione alla vigilanza. Conclusione della lettera
Fratelli, perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.
Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.
Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.
Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni —se verrà da voi, fategli buona accoglienza —e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione. Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. Gli rendo testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli. Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.
Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi. Dite ad Archippo: «Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene».
Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.

Responsorio    Col 4, 3; cfr. Sal 50, 17
R. Preghiamo gli uni per gli altri, perché Dio ci apra la porta della parola, * per annunziare il mistero di Cristo.
V. Il Signore ci apra le labbra, e la bocca proclami la lode di Dio,
R. per annunziare il mistero di Cristo.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 194, 3-4; Pl 38, 1016-1017)

Saremo saziati dalla visione del Verbo
Chi potrà mai conoscere tutti i tesori di sapienza e di scienza che Cristo racchiude in sé, nascosti nella povertà della sua carne? «Per noi, da ricco che era, egli si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (cfr. 2 Cor 8, 9). Assumendo la mortalità dell’uomo e subendo nella sua persona la morte, egli si mostrò a noi nella povertà della condizione umana: non perdette però le sue ricchezze quasi gli fossero state tolte, ma ne promise la rivelazione nel futuro. Quale immensa ricchezza serba a chi lo teme e dona pienamente a quelli che sperano in lui!
Le nostre conoscenze sono ora imperfette e incomplete, finché non venga il perfetto e il completo. Ma proprio per renderci capaci di questo egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell’uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio.
Infatti «noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). Ma che cosa sono quei tesori di sapienza e di scienza, che cosa quelle ricchezze divine, se non la grande realtà capace di colmarci pienamente? Che cosa è quell’abbondanza di dolcezza se non ciò che è capace di saziarci?
Dunque: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8). E in un salmo una voce, che ci interpreta o parla per noi, dice rivolgendosi a lui: «Sarò saziato all’apparire della tua gloria» (cfr. Sal 16, 15). Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. «Il Signore degli eserciti è il re della gloria» (Sal 23, 10). Facendoci volgere a lui, ci mostrerà il suo volto e saremo salvi; allora saremo saziati e ci basterà.
Ma fino a quando questo non avvenga e non ci sia mostrato quello che ci appagherà, fino a quando non berremo a quella fonte di vita che ci farà sazi, mentre noi camminiamo nella fede, pellegrini lontani da lui, e abbiamo fame e sete di giustizia e aneliamo con indicibile desiderio alla bellezza di Cristo che si svelerà nella forma di Dio, celebriamo con devozione il Natale di Cristo nato nella forma di servo.
Se non possiamo ancora contemplarlo perché è stato generato dal Padre prima dell’aurora, festeggiamolo perché nella notte è nato dalla Vergine. Se non lo comprendiamo ancora, perché il suo nome rimane davanti al sole (cfr. Sal 71, 17), riconosciamo il suo tabernacolo posto nel sole. Se ancora non vediamo l’Unigenito che rimane nel Padre, ricordiamo «lo sposo che esce dalla stanza nuziale» (cfr. Sal 18, 6). Se ancora non siamo preparati al banchetto del nostro Padre, riconosciamo il presepe del nostro Signore Gesù Cristo
.

1...678910...13

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01