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Inseguendo l’Agnello
Ritiro spirituale
“Risorti con Cristo” Col 3,1
Con il Triduo Pasquale siamo entrati nel tempo liturgico più forte dell’anno: il Tempo Pasquale che si protende per cinquanta giorni concludendosi con la Solennità di Pentecoste. Cinquanta giorni in cui la Chiesa è tutta focalizzata nella celebrazione della Pasqua di Gesù. Tutto questo periodo è come se fosse un solo giorno, infatti le domeniche che esso comprende non sono chiamate Domeniche dopo Pasqua, ma Domeniche di Pasqua.
La risurrezione di Gesù che è propriamente la sua Pasqua, cioè il suo passaggio dalla morte alla vita, è la chiave di volta di tutto il cristianesimo e se Lui non fosse veramente risorto “noi saremmo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). I cinquanta giorni della celebrazione pasquale sono in un certo senso una festa ininterrotta che si compie nella Pentecoste. Il santo Triduo Pasquale che inaugura il Tempo Pasquale è celebrazione di un unico mistero di cui passione-morte-sepoltura-risurrezione sono le fasi o tappe di realizzazione. Nella granitica unità del Triduo Pasquale si notano due movimenti:
– Col primo la condiscendenza di Dio si abbassa fino a noi. Col secondo la fragilità della nostra natura umana è innalzata fino ai fastigi di Dio. Nascita, passione, morte, discesa agli inferi: ecco le tappe di quella progressiva discesa con cui Dio entra nel nostro mondo, si annienta nell’abisso della nostra miseria. Toccando il fondo è iniziato il movimento inverso di esaltazione: il Figlio è nuovamente «rapito presso Dio e il suo trono» (Ap 12,5). Giovanni riprende in questo testo riprende il prologo del suo Vangelo: Era presso Dio (Gv 1,1). Le tappe di questo movimento ascendente sono: la risurrezione, l’ascensione, lo stare alla destra del Padre. Ma il Verbo non risale da solo presso il Padre: trascina con sé tutta l’umanità con la quale si è reso solidale nel movimento di discesa. «E così – dice s. Giovanni Crisostomo – l’uomo che si trova così in basso da non poter ulteriormente discendere, è stato portato così in alto da non poter ulteriormente salire». Con l’incarnazione era il cielo che scendeva sulla terra. Con l’ascensione è la terra stessa che entra nel cielo. Il risultato dei due movimenti è che il cielo ha invaso la terra, il dolore è stato svuotato, la vita ha annientato la morte: «La morte è stata assorbita dalla vittoria» (1Cor 15,34). – Nuovo Messale Feriale LDC.
Il senso di tutto l’anno liturgico che la Chiesa celebra è quello di introdurre i suoi figli in questo movimento. In realtà nel santo Battesimo ogni cristiano ha realizzato per grazia di Dio, a livello del sacramento ricevuto, la sua partecipazione piena al Mistero Pasquale di Gesù: l’immersione e l’emersione del battezzando nel fonte battesimale stanno a significare simbolicamente proprio questa sua piena e completa partecipazione.
Il battezzando partecipa al movimento discendente della condiscendenza divina, manifestata a noi dall’Incarnazione, passione e morte di Gesù, in quanto, nella consapevolezza delle proprie miserie e peccati, riconosce Gesù come il suo unico Salvatore a cui si affida in uno sguardo amoroso di fede viva nella potenza salvifica del suo Sangue sparso per amore.
Partecipa invece al movimento ascendete nell’esperienza concreta di una vita nuova vissuta sotto la spinta e la forza gagliarda dello Spirito Santo.
Ma questo dono del sacramento del s. Battesimo, essendo un dono che viene fatto ad una persona libera, necessita della nostra corrispondenza personale, corrispondenza che, a causa dei limiti umani e del retaggio del peccato originale, non è mai piena, assoluta e totale, corrispondenza che è, inoltre, soggetta a decadere nella sua permanenza nel tempo se non viene continuamente rinnovata. Per questo Gesù ci ha raccomandato di tener vivo costantemente al nostro spirito il ricordo costante di quanto Lui ha fatto per noi e, istituendo la s. Eucaristia ci ha donato l’opportunità di rinnovarci nell’immersione in quel Sangue salvifico che ci redime e ci fa nuovi ogni volta che l’assumiamo: “Fate questo in memoria di Me!” (Lc 22,20). Per questo il cristiano, nel suo pellegrinaggio nel tempo, rinnovando continuamente la sua partecipazione al Mistero Pasquale di Gesù, di domenica in domenica realizza la propria santificazione nella continua spogliazione dell’uomo vecchio di cui ancora non si è pienamente spogliato, per rivestirsi sempre più intimamente di Gesù Cristo a lode e gloria del Padre.
Immersione e emersione battesimale sono quindi rinnovati ogni domenica e volendo ogni giorno nella partecipazione alla s. Eucaristia. Per cui la generazione soprannaturale che ci ha fatti figli di Dio una volta per sempre nel s. Battesimo, viene continuamente rinnovata e rigenerata in noi in ogni s. Messa. Per questo ogni Pasqua è diversa, diversa non per l’amore di Dio che celebriamo, ma per l’amore nostro con cui stiamo corrispondendo:
– E così la Pasqua di Cristo diventa la nostra Pasqua, la Pasqua della Chiesa e del mondo. Con la risurrezione Dio chiama e inizia una nuova creazione. È come l’aprirsi di una diga misteriosa che fino allora impediva alla vita di Dio di conquistare il mondo. Cristo abbatte vittoriosamente questo «muro di separazione» (Ef 2,14). A quel punto l’eternità di Dio irrompe nel tempo, l’oceano immenso della sua gloria dilaga e sommerge ogni cosa, la sua luce trasfigura ogni realtà. La vita del Risorto entra con forza sempre più grande nella vita terrena e conquista spazio per Sé. – Nuovo Messale Feriale LDC.
Ma queste parole come risuonano nel mio cuore? Si tratta di parole belle, ma che rimangono solo belle parole o ci comunicano di più? Sono parole che mi parlano di qualcosa di cui ho esperienza intima o solo una vaga nostalgia? Dove concretamente le vediamo realizzarsi?
– Ma dove tutto questo si realizza? Dove è possibile vederlo? Nei Santi, in quelli cioè che con fiducia illimitata si abbandonano al Risorto, accolgono il suo Spirito – Nuovo Messale Feriale LDC.
Ciò che ci fa essere propriamente cristiani è il fatto che abbiamo accolto lo Spirito di Gesù, lo Spirito del Risorto, lo Spirito Santo, l’effusione dello Spirito Santo è il completamento del Mistero Pasquale di Cristo. È questa effusione dello Spirito sulla Chiesa, su ciascun battezzato, su di noi, che ci permette di entrare in un intimo e vitale rapporto di conoscenza e amore con il Risorto:
– Con la Pasqua inizia una mirabile e sovrumana corrente di vita, che parte da Gesù Cristo e giunge a ciascuno di noi per darci forza e per segnare il principio dell’immortalità – Antonio Mistrorigo.
Nella teologia sottesa nel Vangelo di Giovanni, il Mistero Pasquale di Gesù si realizza in pienezza già sulla croce: Gesù Crocifisso è già glorificato, è già risorto, è già asceso al Cielo ed effonde già il suo Santo Spirito (cf Gv 8,28; 12,23-33; 19,30). L’evangelista Giovanni non fa distinzioni cronologiche tra morte, risurrezione, ascensione ed effusione dello Spirito Santo, Giovanni vede tutto il mistero realizzato già nel Crocifisso. La sua è una visione che legge in un’altra profondità e in un’altra altezza, e così quello che gli altri evangelisti mostrano nel suo susseguirsi cronologico, lui lo legge nell’unica visione sintetica di Gesù Crocifisso. Gesù Crocifisso, per Giovanni, già innalzato (cf Lc 24,51) e quindi glorificato (cf Gv 12,23) nella sua elevazione da terra sulla croce. La croce diventa così manifestazione della sua gloria. In Giovanni l’Ascensione non deve aspettare 40 giorni come negli altri evangelisti: Gesù Crocifisso è già innalzato e glorificato. La successione cronologica dell’Ascensione e della Pentecoste, 40 e 50 giorni dopo la Pasqua è data, dalla pedagogia divina, per la comprensione più facile del mistero che viene, per così dire, spezzettato perché possa essere meglio assimilato dagli apostoli e dai discepoli. Giovanni, illuminato dallo Spirito, coglie il mistero nella sua unità e lo trasmette in quest’immagine di Gesù Crocifisso, già innalzato e glorificato che effonde il suo Spirito già da lì, già dalla croce.
Croce e Risurrezione sono due eventi talmente legati tra loro che non è possibile parlare di uno omettendo l’altro. Si tratta di un unico mistero ineffabile d’amore realizzato pienamente in Gesù Cristo come Capo del suo Corpo che è la Chiesa (cf Col 1,18) e che deve estendersi ad ogni membro vivo di questo corpo.
Completezza in atto e attuazione nel tempo, sono due elementi costantemente presenti nel Mistero Pasquale di Gesù Cristo: già pienamente attuato in Lui, nostro Capo, non ancora pienamente attuato in noi sue membra: già e non ancora. Per cui tutto il mistero è da una parte compiuto pienamente e da un’altra deve compiersi: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). E poiché Gesù Cristo nella pienezza del suo Mistero Pasquale realizzato vive in noi e ci partecipa Se Stesso, noi siamo già morti e risorti in Lui, ma non ancora pienamente.
Nel santo Battesimo siamo stati inseriti nel Mistero Pasquale di Gesù Cristo, siamo entrati cioè in quel vortice d’amore che si è abbassato a noi per innalzarci in Lui. Bisogna che ciascuno di noi capisca bene questo: tutto ha origine eterna nell’amore del Padre che nella pienezza dei tempi ci amò talmente da mandare il suo Unico Figlio a salvarci morendo in croce per noi. Gesù ci ha meritato la salvezza con la sua morte ignominiosa, terribile, orrenda voluta per manifestarci qualcosa dell’ineffabile follia del loro amore per noi. Ma questa salvezza meritata deve essere applicata, comunicata personalmente e singolarmente a coloro che si accosteranno a questo mistero d’amore con fede. Questa comunicazione personale della salvezza, questa intima partecipazione al vortice d’amore che si è inabissato nelle miserie dell’umanità e si è innalzato al di sopra dei cieli, è opera peculiare dello Spirito Santo. La salvezza oggettiva ottenuta per tutti in genere, diventa salvezza personale per via della comunicazione dello Spirito Santo.
Per questo il Tempo Pasquale è anche il tempo dello Spirito. Qual è il compito dello Spirito? È duplice, come duplice è la fonte da cui Esso sgorga e dirompe: il Padre e il Figlio. Lo Spirito Santo è l’Amore vicendevole del Padre e del Figlio. In quanto è lo Spirito del Padre, Egli ci attira verso il Figlio e ci sollecita all’adesione di fede nei suoi confronti e ci unisce a Lui in un solo Corpo. In quanto è lo Spirito del Figlio, Egli ci protende verso il Padre, come Gesù è sempre proteso amorosamente verso il Padre.
Lo Spirito Santo è il protagonista della nostra santificazione che ci sollecita interiormente alla santità ed Egli si rattrista (Ef 4,30) quando noi non corrispondiamo alle sue mozioni, e “intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26) nei nostri cuori. Ma cosa vuole da noi lo Spirito Santo? Egli desidera mano libera per poter agire a suo piacere. Infatti essendo Spirito di libertà, nulla opera con la forza e la prepotenza, è Spirito di ineffabile amore che si propone e mai impone. E se non gli si danno con chiarezza i dovuti permessi, Lui se ne sta lì, in fondo al cuore e piange soffocato dalle nostre mancanze di fiducia e di amore.
Ma qual è la finalità di questo suo agire? Formare in ciascuno Gesù Cristo. Questo è il compito della Chiesa che viene realizzato dallo Spirito Santo: formare Gesù Cristo nei cuori dei fedeli: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!” (Gal 1,19). Ogni cristiano deve crescere fino alla sua propria maturità, “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).
Questo significa che, attraverso il suo Santo Spirito, il Verbo – in un certo qual modo – si incarna in ogni uomo e ogni donna che si unisce a Lui nella fede, per mezzo di questa fede Egli abita nei loro cuori (cf Ef 3,17) e vuole rivivere in essi e attraverso essi la sua esperienza terrena, la sua storia di amore per il Padre e per l’umanità. Propriamente questa è la finalità ultima di tutti i Sacramenti della Chiesa: operare un innesto divino nella vita degli uomini perché essi possano vivere la propria esistenza come figli di Dio, fatti figli nel Figlio: loro in Lui e Lui in loro (cf Gv 14,20): noi viviamo la sua vita e Lui la nostra. Diventiamo come un prolungamento della sua umanità:
– O mio amato Gesù, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa del tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti… fino a morirne!… Ma sento la mia impotenza e ti prego di rivestirmi di Te, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli dell’anima tua, di sommergermi, d’invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un riflesso della Tua Vita.
Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi docilissima ad ogni tuo insegnamento, per imparare tutto da Te; e poi, nelle notti dello spirito, nel vuoto, nell’impotenza, voglio fissarti sempre e restare sotto il tuo grande splendore. O mio Astro amato, affascinami, perché io non possa più sottrarmi alla tua irradiazione.
O Fuoco consumatore, Spirito d’amore, discendi sopra di me, perché si faccia nella mia anima quasi un’incarnazione del Verbo! Che io Gli sia un prolungamento d’umanità in cui Egli possa rinnovare tutto il suo mistero.
E Tu, o Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura, coprila della tua ombra e non guardare in essa che il Figlio amato nel quale hai posto le tue compiacenze. – B. Elisabetta della Trinità.
Io sia un prolungamento d’umanità in cui Egli possa rinnovare il suo mistero. Questo rinnovarsi del suo mistero non avviene in modo magico, lo Spirito Santo realizza l’attualizzazione del mistero di Gesù in ciascuno di noi nella dinamica dell’amore che fugge ogni costrizione e che trova nel desiderio il suo canale e strumento di realizzazione. Come possiamo descrivere questa dinamica? Essa è molto semplice: lo Spirito Santo suscita in noi l’attrazione amorosa verso Gesù Cristo, Egli ci affascina il cuore, la bellezza della sua Persona divina incarnata, la squisitezza della sua anima umana, lo splendore eccelso delle sue virtù, la tenerezza ineffabile con cui ci ha amato e ci ama, ci fanno desiderare di stare con Lui, ascoltare Lui, vivere di Lui, di essere in Lui, di essere Lui e non più noi. Ora man mano che questo desiderio cresce e si orienta verso i singoli lineamenti spirituali del Verbo incarnato, il suo Santo Spirito che abita nei nostri cuori (cf 1Cor 3,16; ecc.) ci comunica quanto ci ha fatto desiderare. Per questo è importantissimo, vitale alla nostra vita spirituale meditare e contemplare la vita di Gesù, perché è proprio da questo contatto vivo con Lui che si potenzia nel nostro cuore il desiderio che viviamo non più noi, bensì solo Lui in noi (cf Gal 2,20).
E così le varie tappe della storia della vita terrena del Figlio di Dio diventano le tappe della nostra storia e vengono suggellate dai Sacramenti: nel nostro s. Battesimo Egli rinnova nel cuore del fedele il mistero del suo incarnarsi nel seno della Vergine Maria, lì, nel nostro cuore rinnova il mistero della sua crescita (cf Lc 2,52) e così Egli cerca spazio e cresce nella misura che noi gli cediamo il terreno, nella misura in cui noi diminuiamo, Lui cresce (cf Gv 3,30). È uno spogliarsi e un rivestirsi: spogliarsi dell’uomo vecchio per rivestirsi di quello nuovo (cf Col 3,10; Ef 4,24). Spogliarsi e rivestirsi comunque non esprimono la realtà spirituale che lo Spirito Santo opera in noi, spogliarsi e rivestirsi infatti rimandano ad un qualcosa di esteriore che è il vestito, mentre la realtà spirituale che vogliamo significare non è esteriore a noi, ma intima a noi stessi. Si tratta di un rivestimen-to interiore, cioè di una trasformazione interiore (cf 2Cor 2,18) che va desiderata e invocata incessantemente:
– Unite il vostro cuore e la vostra azione a quella di Gesù per trarne forza e vigore, e per farla nel suo spirito, assicurandovi così di essere nelle sue vedute, nei suoi intenti e nella sua perfezione. Pregate che Egli metta la sua mano sulla vostra, che Egli lavori con voi. Fate che Egli sia, per una vostra dolce applicazione a Gesù operante e conversante, effettivamente il vostro Emanuele per la presenza e per l’influsso del suo spirito nel vostro. Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio [Ct 8,6]. Immaginatevi che Egli vi inviti ad incidere il suo sigillo ben dentro il vostro cuore, pregateLo che lo incida lui stesso, che si imprima questo sigillo ai vostri occhi per santificare i vostri sguardi, alla vostra bocca per consacrare tutte le vostre parole, alla vostra mente per santificare tutti i vostri pensieri, alla vostra volontà per regolare tutte le vostre affezioni, al vostro corpo e alla vostra anima per imprimervi il contrassegno inconfondibile della sua umiltà, della sua purezza e della sua innocenza. – P. Pio Bruno Lanteri, Scritti ascetici, 3403: T 8-9
Questa dinamica spirituale del diminuire perché Lui cresca (cf Gv 3,30) ha avuto delle risonanze fisiche nella persona di s. Gemma Galgani, che sentiva a livello fisico come il petto dovesse far spazio al Cuore di Gesù che non riusciva a starci comodo e pressava le sue costole fino ad alzarle:
– «Ci sono dei giorni che Gesù allora sta con me tanto tanto e mi si fa sempre sentire nel cuore; e allora il mio cuoretto piccino, che non è capace a nulla, si muove tutto e mi fa soffrire infinitamente, e allora via col pensiero al Paradiso. Bene, babbo mio, in Paradiso! Vede: se io avessi un cuore grosso grosso, che Gesù ci stasse largo largo, io non mi sentirei mai male; e poi io non lo so, babbo mio, non mi so spiegare, mi ha capito? mi risponda presto…». – Lettera 54.
– Ieri sera una voce internamente mi disse che andrò in peggio con le mie costole; io ho paura che mi si spacchino. […] La preparazione alla s. Comunione non la faccio, e il ringraziamento neppure, non mi riesce; io sto zitta e Gesù sta zitto. Vado per farla col cuore mi si alzano le costole; vado con la mente… ma se non ho più neppure la mente; non mi ricordo più nulla del passato. Il pensiero è sempre o Gesù, o la Mamma; ma non so dirgli una parola, né chiedergli una grazia […]. – Lettera 37.
È proprio così! Quello che Gemma visse in un modo assolutamente straordinario, noi lo viviamo nell’ordinarietà della nostra vita dove Gesù preme, pressa, spinge con il suo Santo Spirito perché noi acconsentiamo alla sua proposta di amore e Gli permettiamo di agire in noi a suo piacimento. Arrendiamoci a Gesù, arrendiamoci all’Amore e lasciamoci potare (cf Gv 15,2) e lavorare (cf Lc 13,8). Leviamo ogni condizione alla nostra donazione, leviamo ogni misura al nostro amore, non lasciamoci condizionare dai nostri difetti, dalle nostre miserie, dalle nostre debolezze e eleviamo in alto la nostra anima con il desiderio. Fissiamo il nostro sguardo interiore su Gesù (cf Eb 12,1-4), distogliamolo da noi stessi, impariamo a non guardare noi, ma solo Lui, invocando continuamente il suo aiuto, la sua grazia: “Signore, salvami!” (Mt 14,30). Noi stentiamo a farci santi unicamente per un motivo: perché fissiamo lo sguardo su di noi e non su di Lui, se fissassimo lo sguardo su di Lui, le nostre mancanze e debolezze non impedirebbero la nostra più veloce santificazione che, invece, impediscono perché noi ci fermiamo su di esse e ci lasciamo condizionare da esse, dimenticandoci che siamo risorti con Cristo, che abbiamo ricevuto il suo Santo Spirito e che Lui ci ha già fatti nuovi: “Ecco, Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Se noi fossimo veramente convinti che le nostre mancanze non impediscono la nostra santificazione, saremmo santi molto presto. Occorre fiducia in Lui non in noi. Finché ci crediamo virtuosi non saremo mai santi, ma quando capiremo che la virtù è sua e affatto nostra, allora non faremo più neanche tanto caso alle mancanze che commettiamo ogni giorno, le mettiamo già in bilancio e l’unico nostro proposito sarà quello di guardare Lui, pensare a Lui, seguire Lui, vivere di Lui, amare Lui nonostante tutto e di lasciarci amare da Lui così come siamo, non come vorremmo essere. Certamente che le mancanze e i peccati che commettiamo ci amareggiano il cuore, ma è un attimo, poi ci riprendiamo immediatamente perché non ci fermiamo sopra, ma riprendiamo il cammino tutti presi da Lui, non cessando di desiderare di riuscire ad amarLo di più. Desiderio che non cessa, ma anzi aumenta e si intensifica ogni volta che cadiamo o manchiamo in qualche modo all’amore. In questa dinamica si inserisce l’azione ineffabile dello Spirito Santo che attraverso il desiderio provocato dalle nostre sconfitte, dalle nostre cadute, dall’esperienza continua delle nostre debolezze, ci santifica, crea sempre maggior spazi interiori in noi perché Gesù possa crescere e noi diminuire a noi stessi. In questo modo Egli ci santifica senza che noi ce ne accorgiamo, ci santifica di peccato in peccato, ci santifica attraverso l’amaraezza dell’esperienza della nostra debolezza, in questo modo ci eleva in alto senza che ce ne accorgiamo e quindi senza che ce ne vanagloriamo, avendo noi ogni giorno davanti ai nostri occhi i nostri continui sbagli. Santa Caterina da Genova così racconta l’opera dell’Amore in lei:
– Avevo dato così le chiavi di me stessa all’Amore con l’ampia potestà di fare tutto quello che era necessario, senza alcun rispetto, per gli amici o per il mondo, affinché in tutto quello che la legge del puro Amore ricercasse, niente le mancasse. E quando vidi che accettò la cura e andava conseguendo lo scopo, quieta mi voltai verso questo Amore guardando le sue necessarie e graziose operazioni che faceva con tanto amore, e con tanta sollecitudine e con tanta giustizia, che né più né meno operava con soddisfazione della natura interiore ed esteriore, se non per quello che era necessario (e stavo così occupata nel vedere questa sua opera, che, se mi avesse gettata con l’anima e con il corpo nell’Inferno, non mi sarebbe sembrato se non tutto amore e consolazione). Vedevo questo Amore avere l’occhio tanto aperto e puro e la vista sottile da vedere tanto lontano, che restavo stupefatta per le tante imperfezioni che trovava, e me le mostrava talmente chiare, che le dovevo confessare. Mi faceva vedere molte cose, che a me e agli altri sarebbero sembrate giuste e perfette, mentre l’Amore le considerava all’opposto, di modo che in ogni cosa trovava difetto. – S. Caterina da Genova, ,Vita Mirabile, 128