io non mi trovo molto con la « Lectio Divina », mi piace lo studio, la meditazione e la preghiera, ma separatamente, tuttavia è bene conoscerla meglio, dal sito:
http://www.geocities.com/centrotobagi/lectio.html
Il primato della Lectio Divina
Credo opportuno richiamare alcuni principi sul significato, sul valore, sull’importanza della Lectio Divina.
Anche di questo si parla molto, ma non c’è niente di scontato neanche qui. Rivisitando questa prassi, si vede come non è una tecnica, ma è un reale cammino spirituale, una metodologia di vita spirituale cristiana. Ho scritto sul foglio di presentazione del corso: “Bisogna guardare al nuovo millennio aggrappandoci all’unica parola che saprà traghettarci verso la sponda della salvezza”. E questa parola va affrontata seriamente. E lo vedremo ora.
Perché questa importanza? Perché, nonostante nel nostro tempo ci sia un primato dell’occhio, della visione, dell’immagine, la Bibbia, il mondo semitico, ha sempre privilegiato l’udito rispetto alla vista. Dio incontra l’uomo, gli si manifesta specialmente attraverso la Parola. Il Dio dell’Antico Testamento è per definizione l’Invisibile, Colui che l’uomo non può vedere in faccia, non può raffigurare, farsene un’immagine. A Mosè che gli chiede di poter vedere la sua gloria, Dio risponde: “Tu non potrai vedere il mio volto. Nessuno può vedermi e restare vivo”. Potrà solo vederlo di spalle (Es. 33).
Ma se Dio è l’Invisibile, l’uomo può udirne la Parola. La religione biblica è fondata sulla Rivelazione di Dio. Dice la Dei Verbum: “Questa Rivelazione avviene attraverso eventi e parole intimamente connessi”. Questa è una frase del cap. 1 della Dei Verbum: la rivelazione di Dio avviene mediante eventi e parole intimamente connessi. E Dio interviene o agisce nella storia dell’uomo e spiega il senso del suo intervento. Dio parla all’uomo, lo chiama ad un rapporto di comunione, di vita con sé e per questo diviene di primaria importanza da parte nostra l’ascoltare. Quindi per la Bibbia, il vero credente è la persona che si apre all’ascolto, accoglie questa parola e poi risponde, c’è un coinvolgimento, risponde a questo invito. Paolo ai Romani dice che la fede nasce dall’ascolto (Rm 10). Nel Vangelo, la voce di Dio che si fa udire alla Trasfigurazione di Gesù, comanda: Ascoltatelo! Perché la sua è Parola di Vita, Parola di Verità, Parola di Salvezza.
Quindi se la fede nasce dall’ascolto, il pericolo più grave per noi diventa il non ascoltare, il non avere come metodologia di vita cristiana l’ascolto. Sottolineiamo al riguardo l’insistenza del Salmo 94 che la Chiesa ci fa dire ogni mattina nella Liturgia delle Ore: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore”.
Questa importanza prioritaria dell’ascolto è stata ribadita nell’episodio di Marta e Maria proprio da Gesù. Maria, seduta ai piedi Gesù ascoltava le sue parole. Si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta. Non è questione di discutere qui su Marta e Maria, ma qui c’è un’affermazione categorica: tutto il resto ci viene tolto, l’ascolto non ci viene tolto. Perché? Perché l’ascolto è l’inizio di un cammino quotidiano in cui tu interiorizzi la Parola, interiorizzi Dio stesso. E noi sappiamo che alla fine, Dio sarà tutto in tutti. Quindi l’ascolto è un processo di assimilazione di Dio, è un processo di divinizzazione. Maria ha scelto questa parte che non le sarà tolta.
Questo perché? Perché la Parola ha una sua carica intrinseca, non ne facciamo una magìa, ma ha una sua efficacia intrinseca:
è presentata, descritta come parola creatrice, da cui dipende la conservazione stessa del mondo, come dice il salmo 39.
E’ una Parola salvifica capace di risanare, rinnovare l’uomo: La tua parola Signore che tutto risana (Salmo 15).
E’ una Parola fedele, veritiera, perché Dio non può mutare: la tua Parola, Signore, è stabile come il cielo (Salmo 188).
E’ una parola che è vicina: questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca, è nel tuo cuore (Dt.); fa da luce e guida nella tua vita : Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino.
Questo solo per sottolineare la carica intrinseca che c’è in questa parola. Pensate al testo di Is. 55 (“Come la pioggia, come la neve…”), c’è veramente una fecondità assicurata, non ritorna senza aver irrigato la terra; così è della parola. Il Vangelo la paragona al seme che il contadino getta nel solco della terra: sia di notte che di giorno, che vegli o dorma, il seme germoglia e cresce. La lettera agli Ebrei la paragona ad una spada a doppio taglio, capace di penetrare a fondo, di mettere a nudo la coscienza dell’uomo, di svelarne i pensieri. Questo solo per sottolineare l’efficacia intrinseca di questa parola.
Però non agisce magicamente, ci vogliono delle disposizioni. Questa Parola di Dio, proprio perché rivolta e fa appello alla persona, come essere intelligente e libero, non fa violenza alla libertà della persona, né agisce in modo magico, cioè senza un nostro attivo coinvolgimento, ma richiede delle condizioni, delle disposizioni da parte nostra. E tutto questo è già stato messo in evidenza da Gesù stesso nella parabola spiegata ai discepoli da Gesù stesso, quella del seminatore. Dove il seme produce frutti differenti a seconda della qualità del terreno su cui cade. Quindi diventa molto importante il “come” si ascolta.
Quali possono essere queste disposizioni perché la parola possa risanarci, rinnovarci?
Una prima disposizione è che l’ascolto non sia semplicemente esteriore, superficiale, ma anche interiore, profondo. Molte volte la parola entra da una parte e esce dall’altra, scivola via; si ha un ascolto superficiale quando può produrre qualche emozione momentanea, passeggera, ma non è assimilata, non è scesa dentro in modo che diventi adesione del mio cuore. Da qui un discernimento critico.
Un’altra disposizione è che l’ascolto non sia semplicemente teorico, mentale, intellettuale, ma anche pratico, si traduca nella vita, diventi testimonianza coerente. Il pericolo di un ascolto a livello soltanto teorico è quello di un’adesione verbalistica, velleitaria; non basta ascoltare, direbbe S. Giacomo, non è sufficiente conoscere la Parola, bisogna anche viverla. San Giacomo dice: “Mettete in pratica la Parola, non vi accontentate di ascoltarla ingannando voi stessi con falsi ragionamenti”.
Un’altra disposizione è che sia un ascolto non selettivo, non riduttivo della Parola, ma rispettoso della sua integrità, della sua purezza. Tante volte mutiliamo questa Parola, accogliamo solo ciò che ci aggrada, oppure si prende a caso, si apre la Bibbia a caso e leggiamo a caso. Può anche essere vero che il Signore ci voglia dire una certa cosa, però c’è un rispetto della Scrittura, c’è un disegno in ogni libro: aprire a caso mi sembra poco rispettoso.
E poi nella Bibbia noi troviamo dei casi esemplari di reale ascolto della Parola con queste disposizioni, con questa disponibilità, con questa obbedienza alla Parola. Cito sempre il caso di Samuele che ancora giovane, nel cuore della notte sente una voce che lo chiama per nome. All’inizio non la riconosce come voce di Dio, riesce a riconoscerla attraverso il Sacerdote Eli che l’invita a rispondere: “Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta”. E il libro dirà che Samuele “acquistò nella sua vita grande autorità di profeta presso il suo popolo perché non lasciò andare a vuoto una sola delle parole di Dio”.
Un altro caso emblematico è quello di San Paolo, quando è fulminato sulla via di Damasco: Paolo sente una voce: “Saulo Saulo perché mi perseguiti?”. Al che cosa risponde? “Che devo fare, Signore?” Come dire: ti ascolto, sono a tua disposizione. E il persecutore Saulo sotto l’azione di questa parola accolta, diventerà Paolo l’apostolo dei pagani, il testimone fedele di Cristo. E come non citare Maria, la Madre di Gesù che Luca ci presenta come la donna dell’ascolto, dell’accoglienza, della contemplazione della Parola di Dio, a cominciare dalla risposta che dà all’Angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.
Sono tutti casi esemplari che segnano, hanno segnato un orientamento nuovo di vita. Quindi, da quanto abbiamo già detto sull’importanza dell’ascolto della Parola, deriva veramente un bisogno di educarci all’ascolto. E’ sempre necessario questo educarci all’ascolto, ma forse lo è ancor più urgentemente oggi in cui viviamo in questa pseudo civiltà dell’immagine, del computer, dell’internet, immagini che ci bardano, ci sommergono; parole messaggi più diversi si moltiplicano e si sovrappongono, rendono più difficile un discernimento. Il ritmo vorticoso della vita ci toglie spazio, tempo, rende veramente sempre più arduo questo ascolto, a scapito della nostra fede.
Quindi in questa situazione si sente proprio il bisogno di promuovere una pastorale di ascolto, di creare anche una liturgia occasione di ascolto.
Come si impara ad ascoltare, che cosa favorisce e sviluppa una capacità di ascolto?
Volendo tentare alcune risposte, mi pare che dovremmo riservare il primo posto al silenzio, alla concentrazione, a stare un po’ con se stessi. Penso che Dio faccia fatica a entrare nel nostro cuore nel frastuono; affaccendati e distratti come siamo, anche se sentiamo non ascoltiamo veramente! Per cui, nonostante tutto, non bisogna temere, non bisogna aver paura del silenzio. Trovare momenti, spazi di meditazione, anche durante il lavoro. Caterina da Siena parlava della sua “cella interiore”.
Ci si educa all’ascolto anche prendendo coscienza del bisogno che si ha di apprendere. E’ importante anche questo. Io ho bisogno di essere ammaestrato da Dio ogni giorno e chi crede di sapere non è aperto all’ascolto, e nemmeno al dialogo.
Ci si educa ancora all’ascolto coltivando la purezza del cuore, cioè una libertà interiore. Quanti piccoli attaccamenti abbiamo! A volte sono cose molto banali, che ci portano via un sacco di tempo. Se il nostro cuore non è sgombro, ma è ripieno di questi attaccamenti, piccoli idoli, non siamo in situazione seria di ascolto. Sono le “spine” della parola che finiscono per soffocare questo seme germogliato, impedendone la maturazione, la fruttificazione.
Ci si educa all’ascolto attraverso un’umile pazienza. Dare spazio e tempo da innamorati della Parola, lasciandola veramente lavorare nel cuore; e sapere anche accettare la propria debolezza, la propria sconfitta, ma senza venir meno a questo impegno.
Su questa base accenniamo a quella che chiamiamo “Lectio Divina” e che è realmente un cammino. Già gli antichi non avevano dei metodi molto rigidi, molto dettagliati. Era una specie di avvertimento discreto a non soffocare mai la spontaneità, la crescita del cammino di ciascuno verso la libertà e il dialogo dei figli con il Padre.
Nel corso della tradizione si è sviluppata una lettura sapienziale, meditata, che comunemente è chiamata la “Lectio Divina”, secondo la celebre lettera del Priore Guido II della Grande Certosa.
La “lectio”
Il punto di partenza è la lettura, anche perché la nostra fede è una storia di salvezza. Una lettura fatta dopo aver invocato lo Spirito Santo, quindi non è casuale il nostro canto iniziale. Bisogna credere nella presenza viva dello Spirito nella nostra Assemblea, perché noi siamo qui in ascolto di Dio che ci parla. E’ un momento di intensa esperienza religiosa anche questa preghiera allo Spirito, perché l’azione dello Spirito che ha ispirato i libri sacri continua anche in colui che legge. Forse non lo avvertiamo sempre, ma questa azione dello Spirito continua anche in colui che legge; e così il testo; l’uno e l’altro si trovano sotto il tocco dello stesso e medesimo Spirito. E’ veramente un momento di intensa esperienza religiosa!
In questo senso, l’azione rivelativa della verità da parte dello Spirito è tutt’altro che esaurita. Potremmo dire che l’ispirazione è un processo permanente nella vita dei credenti, nella vita della Chiesa e raggiunge chiunque nella fede si accosta alla Parola. E la Bibbia è parola ispirata non solo perché fu scritta nel passato sotto l’azione dello Spirito, ma anche perché nel presente si rivela come libro vivo capace di comunicare, rivelare le verità nascoste. E’ il dono di Dio da conoscere. “Se tu conoscessi il dono di Dio”, dice Gesù alla samaritana. Scegliendola, si sceglie la vita, dice il Deuteronomio. E prima ancora di riflettere, bisogna metterci in questo atteggiamento di preghiera, di ascolto, di disponibilità, di tranquillità interiore, senza fretta.
Il grande Ambrogio ricordava: “Quando preghi, sei tu che parli con Dio, ma quando leggi è Dio che ti parla!” e questo dialogo essenziale per la nostra vita è la Lectio! Un dialogo tra Dio che parla e tu che gli rispondi. E’ una lettura fatta in due. In questo rapporto dialogico di un amico con l’amico. “Non vi chiamo più servi, ma amici, perché conoscete tutto quello che ho udito dal Padre mio”. E San Giovanni ricorda con molta chiarezza il ruolo dello Spirito in rapporto alle parole di Gesù: “Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora sarebbe troppo per voi, ma quando verrà lo Spirito di verità, vi guiderà verso tutta la verità. Non vi dirà cose sue, ma quelle che avrà udito e vi rivelerà le cose che stanno per venire.” (Gv 16). Queste parole mettono in luce la funzione dello Spirito, la sua missione specifica che sarà quella di condurre verso la pienezza della verità. E’ lo Spirito che ci rivelerà il senso vero, autentico della Parola che leggiamo. Ci aiuterà a comprenderla dal di dentro, col cuore, oltre che con l’intelligenza, ce la farà comprendere come rivelazione nuova, personale, in modo che diventi luce, forza, coraggio di testimonianza. Parola e Spirito. Il n. 8 della Dei Verbum dice: “Nella Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo, la comprensione tanto delle cose, quanto delle parole trasmesse cresce, sia con la riflessione e lo studio di tutti i credenti”. Qui ci sarebbe un discorso da fare sul deposito della fede, sulla tradizione che cresce, continua a crescere attraverso la riflessione e lo studio di tutti i credenti. Questo n. 8 è molto importante. Per questo motivo nel momento dell’ascolto della Parola siamo invitati a pregare. E c’è una bellissima preghiera che risale al IX secolo – è un testo siriaco – che dice: domanda con insistenza a Dio di illuminare gli occhi della tua intelligenza, della tua anima, per essere capace di percepire la forza intima, nascosta nelle parole del Signore. Poi mettiti in piedi, prendi il santo Vangelo nelle tue mani, bacialo, posalo affettuosamente sui tuoi occhi, sul tuo cuore e pieno di sacro rispetto, pregalo così: o Cristo, nostro Signore, io che sono tanto indegno ti stringo nelle mie mani impure attraverso il tuo Santo Vangelo. Dimmi, te ne prego, le parole di vita e di consolazione, per la bocca e per la lingua del tuo santo Vangelo. Donami di ascoltarlo con orecchi interiori rinnovati e cantar la tua gloria con la lingua dello Spirito Santo. E’ quindi importante recuperare nella lettura questo senso vivo di una presenza e chiedere come Salomone: “Donami Signore un cuore sapiente, un cuore in ascolto”
Quindi non è sufficiente leggere, bisogna leggere ascoltando, ricevendo l’insegnamento della fede, attraverso una lettura metodica, regolare, quotidiana, magari fissando un tempo strategico nella mia giornata, che può influenzare il resto del giorno: il tempo dell’appuntamento con la Parola; magari anche in un luogo appartato – “quando preghi entra nella tua stanza…” – dove la Bibbia ci attende, ci dà appuntamento durante il giorno. Da qui nasce il senso della nostra vita.
S. Anselmo ci suggerisce di leggere non nel tumulto, ma nella calma, non in fretta, ma lentamente, poco alla volta, sostando in attenta riflessione. Allora il lettore sentirà che è capace di infiammare l’ardore della preghiera.
Questo solo per dire come ci si accosta alla lettura.
Ma, giustamente, non ci fermiamo qui. Perché la nostra fede non rimanga incompleta e superficiale, perché ci sia un’adesione più vitale, più personale al Signore, perché la Parola raggiunga il suo scopo, Gesù ci ammonisce che bisogna sostare, bisogna rimanere sulla Parola: è questa la condizione per diventare autentici discepoli.
“Se rimanete nella mia parola diventerete veramente miei discepoli.” (Gv 8, 30) E aggiunge: “conoscerete la verità…”, indicando così la necessità di una penetrazione profonda della Parola, di un progresso nella conoscenza della Sua Persona, Lui che è “la Verità”. Basta leggere Giovanni 8, 31-32; e rimanere sulla parola significa anche rimanere accanto a Gesù per diventare suoi discepoli. Pensate all’episodio dei discepoli che sono col Battista e passa l’Agnello di Dio. Il Battista indica Gesù: andarono con lui, lo seguirono per tutta la vita, videro dove abitava… è un colloquio molto interessante. Vedono Gesù e lui si volta: “Chi cercate?… Dove abiti?” Sono un po’ imbarazzati e Gesù non può dire dove abita, perché Lui non ha un recapito, non ha dove posare il capo, la sua dimora è il Padre e non può spiegare, devono andare: “Venite e vedrete”. (v. Gv 1, 35-39). Fecero l’esperienza della sua intimità profonda col Padre, dei suoi orientamenti vitali, dei suoi interessi più profondi, della sua dimora abituale e abbandonarono tutto e lo seguirono.
Spesso non si può dire, non si può esprimere, è indicibile questo luogo, non lo si può spiegare a parole. Ecco che rimanere sulla parola, rimanere in Gesù, perché le sue parole trovino spazio in noi, vi dimorino in continuità.
Questo potrebbe essere l’obiettivo della lectio: sostare, rimanere sulla parola, che equivale rimanere in Gesù, perché le sue parole trovino spazio in noi e vi dimorino in continuità.
Ed è ancora attraverso la parola – ricorda Giovanni – che il discepolo rimane contemporaneamente nel Figlio e nel Padre (1a lettera di Giovanni, 2, 24-25).
La meditatio
Però questa parola bisogna accoglierla, assimilarla, interiorizzarla, in modo che diventi regola ispiratrice di vita.
E’ un esercizio tutt’altro che pietistico, non è una pia pratica. Origene dice: questo è il modo attraverso il quale Gesù cresce dentro di noi.
C’è una specie di equazione tra questo masticare questa parola e il crescere di Cristo in noi nel suo Regno. Se ci fermiamo vediamo l’importanza di quanto stiamo dicendo.
Questo esercizio consiste nel riprendere questa parola, nello sminuzzarla, renderla assimilabile, comprendendone le sue tematiche; è un lavoro paziente, laborioso, anche lungo, da svolgere con un minimo di tranquillità interiore.
La tradizione orientale dice infine che la ripetizione prolungata di certi passi lascia dei segni nel cuore del credente. In fondo la tradizione monastica ha imparato a ruminarla in continuità, facendola poi germogliare nella preghiera, nei gesti, nelle parole.
Silvano del monte Athos dice che se il cuore non medita la legge del Signore giorno e notte non può aver pace. Cosa voleva dire? Voleva dire che questa parola iscritta dallo Spirito, dalla Scrittura passa nel discepolo. E in chi ha la capacità di sostare a lungo si crea veramente questa osmosi fra lo Spirito che vibra nelle Scritture e il nostro Spirito e si realizza concretamente quello che dice Paolo in 2 Cor 3, 2-3: “a nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. E’ noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con l’inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori”
E’ un testo formidabile. E i Corinti, nella misura in cui hanno accolto la parola di Paolo e l’hanno interiorizzata, sono diventati l’espressione di Cristo. Come ha potuto avvenire tutto ciò? Hanno incontrato la parola del Vangelo annunciata da Paolo, l’hanno accettata, l’hanno accolta, ora la riesprimono nella vita personale, comunitaria, in termini leggibili, perché sono diventati come una lettera. Quasi a dire che nella maturità dell’ascolto esprimono chiaramente il mistero di Gesù.
Questa dimensione cristologica della vita comincia proprio con l’ascolto della Parola. E questa parola poi viene incisa dallo Spirito che Paolo paragona all’inchiostro; cosa fa l’inchiostro? Ha il potere di rendere chiaro, leggibile un pensiero. Sembra dire: senza l’azione dello Spirito la Parola non prende carne nelle persone, non è leggibile, non affiora. Ecco l’importanza di sostare sulla parola invocando lo Spirito. Che rimane sempre un po’ lo sconosciuto. Mentre qui emerge come figura straordinaria importantissima, perché la Parola si incida veramente nel nostro cuore. E certamente quando Paolo dice queste cose, ha tutto un suo retroterra veterotestamentario. Pensate al Sinai, quando Dio dà il Decalogo: c’è la versione del Targum, la versione che troviamo nell’Esodo: la Parola, quando uscì dalla bocca del Santo era come frecce, come fulmini, come dardi di fuoco che andavano ad incidere sulle tavole dell’Alleanza. Esodo 19 parla di tuoni, di lampi, di suoni di tromba. Il Targum esplicita il mistero del Sinai assimilando le dieci parole a lingue di fuoco. E noi conosciamo la rilettura che fanno gli Atti degli Apostoli alla Pentecoste: e lì è evocata questa pagina. Quindi il dono della nuova legge, della Parola, scende sotto forma di lingue di fuoco e va a incidersi sul cuore delle persone lì radunate. “Metterò dentro di voi uno spirito nuovo…” Così lo Spirito interiorizza il mistero della Parola, della volontà divina, del suo Regno e lo rende leggibile nella nostra vita.
Mi sembra legittimo pensare che dal momento in cui leggiamo la Parola nello Spirito, si rinnova questa Pentecoste nel nostro cuore e mediante la ripetizione cerchiamo di assimilarla più intensamente.
C’è quel famoso testo del Grisostomo che può essere paradossale ma rende l’idea: “quando in un’assemblea si legge un testo, chi non era presente, vedendo uscire la gente dall’assemblea, dovrebbe capire che testo è stato spiegato, dal volto delle persone”. Quasi a dire: Paolo dice che voi siete una lettera di Cristo e queste persone che hanno assimilato questa Parola escono dall’Assemblea con un certo volto che richiama il testo spiegato. E’ esagerata la cosa, ma rende l’idea. I medioevali chiamavano questo discorso “masticazione” della Parola.
Di Antonio il Grande si diceva che la sua maturità era talmente grande da non lasciare più cadere alcuna delle parole che leggeva o udiva. Un modello di tutto questo è Maria, nel testo dell’Annunciazione. Si domandava cosa potesse significare tale saluto. Maria, come Mosè, riflette sulla Parola: “Come avverrà tutto questo?… Lo Spirito Santo verrà su di te, la potenza dell’Altissimo ti coprirà…. Eccomi sono la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua Parola”. (Lc 1, 34-38).
Origene commenta l’evento e fa parlare Maria: Ecco sono una pagina per essere scritta, su cui scrive il Signore dell’universo. E a questa Parola subentra anche l’atteggiamento meditativo di Maria. Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore. Non è un esercizio pietistico; è Cristo che matura, è Cristo che cresce, è Cristo che nasce.
Per quanto riguarda Maria vorrei toccare un altro breve testo: Luca 11: “Beato il ventre che ti ha portato e il petto che hai succhiato”. E’ una donna che grida. Gesù risponde: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola e la custodiscono”. Cosa voleva dire? Non negare l’affermazione entusiasta di questa donna, ma orientarla verso un indirizzo nuovo, misterioso, affascinante. In altre parole Gesù fa questa analogia tra l’esperienza della maternità, dell’allattamento se vogliamo, e la delizia dell’ascolto, della custodia meditativa della Parola paragonabile al succhiare di un bimbo al seno della mamma. Una esperienza tutt’altro che meccanicistica, è il momento in cui il bimbo senso l’affetto vibrante, sensibile della madre ne assapora tutta la dolcezza, un’esperienza ricca di amore, non fredda, non abitudinaria. D’ora in poi dice Gesù, c’è un altro grembo che genera, c’è un altro seno che allatta, la cui beatitudine assomiglia alle delizie della maternità, assorbire la parola, ascoltarla, per custodirla, farla crescere nella meditazione, metterla in pratica.
Questo è un orizzonte nuovo.
La oratio
A questo punto, abbiamo invocato lo Spirito, abbiamo letto il testo, abbiamo sostato sulla Parola. A questo punto nasce la preghiera, necessariamente.
La preghiera non è un fatto volontaristico, a volte facciamo fatica a pregare, non sappiamo cosa dire. Facciamo parlare il Signore. Quindi a questo punto rispondo a tono, a Lui che mi ha parlato e gli restituisco la Parola. Dopo che l’ho incontrato, dopo che la Parola dentro si è fatta carico dei miei problemi, delle mie situazioni, delle mie ansie, anche delle mie gioie, cioè di tutto il mio mondo interiore. Questa Parola è entrata dentro, si è fatta carico di tutta la mia vita e ritorna come parola nostra, nella cui risonanza tutta la mia vita cerca di diventare quella Parola. Dio dice, Dio parla, la persona ascolta in silenzio, medita, cerca di far scendere nel proprio cuore ciò che ha ascoltato, magari mediante la ripetizione litanica di una parola chiave e quando questa si è radicata dentro, ritorna a Dio, portando a Dio tutta la mia vita. Come un grido, magari come un momento di disperazione o di lamento – i Salmi sono fatti anche di queste cose – ritorna a Lui come una lode, come una intercessione, cioè dal cuore la Parola germoglia sulle labbra, diventa voce. E’ questo il gemito dello Spirito. Ecco perché la preghiera è frutto dello Spirito. Quando è entrata dentro e ha preso possesso, ritorna come gemito dello Spirito, Parola da Lui scritta nel nostro cuore, luce interiore della fede, dono di preghiera in noi, forza trasformante la nostra esistenza. Quando la parola germoglia interiormente con questa ricchezza, vuol dire che veramente Dio ha deposto un germe vivo dentro di noi, una preghiera interiore profonda, non più a fior di labbra, distratta; potremmo dire che il segnale, la soglia è vicina: si è formata un’atmosfera spirituale in cui la nostra interiorità viene liberata da pensieri inutili e sottomessa alla verità di Gesù da cui sgorga, come da sorgente di acqua viva, questa parola che esce, questo canto, questa preghiera.
Agostino ammoniva: quando preghi, cerca di non dire niente senza di Lui. Così ci si educa anche alla preghiera che nella sua fase terrena sarà laboriosa, a volte anche dolorosa, però non dobbiamo mai stancarci, perché ha lo scopo di piegare il nostro cuore, renderlo idoneo a ricevere questo dono della preghiera frutto dello Spirito.
La contemplatio
E naturalmente a questo punto nasce la contemplazione che è imparare a vedere le cose come le vede Dio.
Non è un processo puramente tecnico. Se c’è questa prassi, necessariamente si arriva alla contemplazione, cioè a vedere le cose come le vede il Signore. La Parola poi deve diventare la nostra vita. Anche noi siamo questa lettera di Cristo scritta dallo Spirito. Si tratta di tradurre in conversione, collaborando per l’avvento sulla terra del suo Regno.
Questa parola alla fine nutre la preghiera, ci rende trasparenti di Cristo che ci comunica la sua forza attiva, che poi tende ad irradiarsi sulla nostra vita come spinta verso un di più, verso un meglio, verso Dio. E’ una parola che ci mette dentro degli ideali, degli stimoli, cioè tutta la ricchezza dinamica di Cristo Risorto. Questa parola è resa viva dallo Spirito e crea una perenne situazione di conversione, per cui nutrirsi di essa vuol dire mettere dentro di noi cibo solido che alimenta la crescita, ci conduce a quella preghiera che alla fine non è né voce, né immagini, né parole, ma è unicamente gioia dello Spirito, potremmo dire, tensione infuocata della mente, rapimento dell’anima che si effonde davanti a Dio con gemiti inenarrabili come dice Paolo.
Ho cercato soltanto di presentare un itinerario di vita spirituale, un cammino di fede, di vita di Gesù che cresce dentro di noi, in sapienza, in età e grazia, soprattutto cresce come testimonianza dentro di noi proprio mediante lo Spirito che tende ad attualizzare nella nostra vita queste realtà contenute nella Parola. Gregorio Magno dirà: l’intelligenza della Scrittura, la conoscenza della Parola segna il cammino di ogni credente nella ricerca del Dio vivente.
Mi sembrava opportuno recuperare questo discorso per affrontare i testi che vi offrirò con maggior consapevolezza e concentrazione, soprattutto invocando continuamente il dono dello Spirito; è Lui che l’ha ispirato, è Lui che ce la farà conoscere.
Don Franco Mosconi
Eremo di San Giorgio,
Bardolino (Verona)