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MERCOLEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 2 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 1, 1-3. 6-12
Ravviva il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.
Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno.
Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro.
È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 23, 23-24; PL 76, 265-266)

La vera scienza rifugge dalla superbia
«Ascolta, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l’orecchio» (Gb 33, 1). L’insegnamento delle persone arroganti ha questo di proprio, che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono, non riescono a comunicarle rettamente. Quando insegnano danno l’impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembra vogliano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi.
Ben a ragione, dunque, il Signore dice a costoro per bocca del profeta: «Li avete guidati con crudeltà e violenza» (Ez 34, 4). Comandano con durezza e violenza coloro che si danno premura non di correggere i loro sudditi, ragionando serenamente, ma di piegarli con imposizioni e ordini perentori.
Invece la vera scienza fugge di proposito con tanta più sollecitudine il vizio dell’orgoglio, quanto più energicamente perseguita con le frecciate delle sue parole lo stesso maestro della superbia. La vera scienza si guarda dal rendere omaggio con l’alterigia della vita a colui che vuole scacciare con i sacri discorsi dal cuore degli ascoltatori. Al contrario, con le parole e con la vita si sforza d’inculcare l’umiltà, che è la maestra e la madre di tutte le virtù, e la predica ai discepoli della verità più con l’esempio che con le parole.
Perciò Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, quasi dimenticando la grandezza della sua dignità di apostolo, dice: «Ci siamo fatti bambini in mezzo a voi» (1 Ts 2, 7 volgata). Così l’apostolo Pietro raccomanda: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» e ammonisce che nell’insegnare vanno osservate certe regole, e soggiunge: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza» (1 Pt 3, 15-16).
Quando poi Paolo dice al suo discepolo: «Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità» (Tt 2, 15), non chiede un atteggiamento autoritario, ma piuttosto l’autorità della vita vissuta. Si insegna infatti con autorità, quando prima si fa e poi si dice. Si sottrae credibilità all’insegnamento, quando la coscienza impaccia la lingua. Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita veramente chi parla molto più dell’elevatezza del discorso. Anche del Signore è scritto: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7, 29). Egli solo parlò con vera autorità in modo tanto singolare ed eminente, perché non commise mai, per debolezza, nessuna azione malvagia. Ebbe dalla potenza della divinità ciò che diede a noi attraverso l’innocenza della sua umanità.

Omelia per il 3 giugno 2010 – prima lettura 2Tm 2,14

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7399.html

Omelia (08-06-2006) 
Eremo San Biagio

Commento su 2 Tm 2,14

Dalla Parola del giorno
Scongiurali, davanti a Dio, di evitare le vane discussioni che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta.

Come vivere questa Parola?
Paolo ha ricordato a Timoteo, suo discepolo e collaboratore nell’evangelizzazione, che Gesù è risuscitato dai morti ed è per Lui che egli soffre la prigionia. Però, aggiunge con l’audacia di chi crede, « la Parola di Dio non è incatenata ». E con la forza di questa Parola Paolo « sopporta ogni cosa » perché, in Cristo Gesù, siano molti gli eletti: quelli cioè che accettano di « morire » al male (che sono tutte le spinte egoiche) dentro e fuori di noi e di « perseverare » con Lui nell’amore. Ancora afferma che, pur se noi a volte siamo deboli nella fede, Egli « rimane fedele ». Ed è questa la certezza che dà senso a tutto! Ma allora, se è questo quello che conta, perché dar corda a discussioni: causa o frutto della nostra bellicosità egoica? L’apostolo è perentorio e fortissimo nel dire « Scongiurali davanti a Dio ». E varrà la pena di tenerne conto perché, se vogliamo essere davvero seguaci e testimoni di Gesù Cristo per tanti sconosciuto, da molti ignorato e da molti malamente inteso dentro le confusioni e le menzogne massmediali, bisogna che, anzitutto, viviamo la bellezza del suo precetto: « Da questo capiranno che siete miei discepoli, se vi amate ». E allora via, assolutamente al bando, le « vane discussioni » che dividono i cuori, le famiglie, le parrocchie, le comunità, la Chie-sa.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi soffermo sulla verità solare della fedeltà di Dio nei miei confronti. Egli non tiene conto della mia fragilità, dovrei io perdere la pace perché altri dissente da quello che io penso e dico?

Signore, rendimi cosciente che io non sono mai detentore della verità tutta intera. Fammi uomo, donna di pace che con la parola e con la vita alimenta l’unione, mai la divisione-perdizione.

La voce di un Padre apostolico
Perché ci sono tra voi la contesa, il dissenso, la divisione, la guerra? Non abbiamo un solo Dio, un solo Cristo, un solo Spirito di carità diffuso sopra di noi, un’unica vocazione al cristianesimo? Perché strappiamo e laceriamo le membra di Cristo, e ci rivolgiamo contro il nostro proprio corpo, giungendo a tale eccesso di pazzia da dimenticarci che siamo membra gli uni degli altri?
San Clemente 

MARTEDÌ 26 GENNAIO 2010 – III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MARTEDÌ 26 GENNAIO 2010 – III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SANTI TIMOTEO E TITO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura  2 Tm 1,1-8

Mi ricordo della tua fede schietta.
 
Dalla seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, per annunziare la promessa della vita in Cristo Gesù, al diletto figlio Timòteo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.
Ringrazio Dio, che io servo con coscienza pura come i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te.
Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza.
Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio.

Oppure:  Tt 1,1-5

A Tito, mio vero figlio nella fede comune.

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito
Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà ed è fondata sulla speranza della vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non mentisce, e manifestata poi con la sua parola mediante la predicazione che è stata a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore, a Tito, mio vero figlio nella fede comune: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore.
Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del Deuteronomio 26, 1-19

La professione di fede dei figli di Abramo
In quei giorni Mosè parlò al popolo dicendo: «Quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio ti darà in eredità e lo possiederai e là ti sarai stabilito, prenderai le primizie di tutti i frutti del suolo da te raccolti nel paese che il Signore tuo Dio ti darà, le metterai in una cesta e andrai al luogo che il Signore tuo Dio avrà scelto per stabilirvi il suo nome. Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni e gli dirai: Io dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono entrato nel paese che il Signore ha giurato ai nostri padri di darci. Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore tuo Dio e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato. Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio; gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia.
Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l’anno delle decime, e le avrai date al levita, al forestiero, all’orfano e alla vedova perché ne mangino nelle tue città e ne siano sazi, dirai dinanzi al Signore tuo Dio: Ho tolto dalla mia casa ciò che era consacrato e l’ho dato al levita, al forestiero, all’orfano e alla vedova secondo quanto mi hai ordinato; non ho trasgredito, né dimenticato alcuno dei tuoi comandi. Non ne ho mangiato durante il mio lutto; non ne ho tolto nulla quando ero immondo e non ne ho dato nulla per un cadavere; ho obbedito alla voce del Signore mio Dio; ho agito secondo quanto mi hai ordinato. Volgi lo sguardo dalla dimora della tua santità, dal cielo, e benedici il tuo popolo d’Israele e il suolo che ci hai dato come hai giurato ai nostri padri, il paese dove scorre latte e miele!
Oggi il Signore tuo Dio ti comanda di mettere in pratica queste leggi e queste norme; osservale dunque, mettile in pratica, con tutto il cuore, con tutta l’anima. Tu hai sentito oggi il Signore dichiarare che Egli sarà il tuo Dio, ma solo se tu camminerai per le sue vie e osserverai le sue leggi, i suoi comandi, le sue norme e obbedirai alla sua voce. Il Signore ti ha fatto oggi dichiarare che tu sarai per lui un popolo particolare, come egli ti ha detto, ma solo se osserverai tutti i suoi comandi; egli ti metterà per gloria, rinomanza e splendore, sopra tutte le nazioni che ha fatte e tu sarai un popolo consacrato al Signore tuo Dio com’egli ha promesso».

Responsorio   Cfr. 1 Pt 2, 9. 10; Dt 7, 7. 8
R. Voi siete il popolo che Dio si è acquistato; voi, un tempo eravate non-popolo, ora siete il popolo di Dio. * Voi, un tempo esclusi, ora avete ottenuto misericordia.
V. Il Signore vi ha scelto perché vi ama, vi ha riscattato e liberato dalla schiavitù.
R. Voi, un tempo esclusi, ora avete ottenuto misericordia.

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 2, Panegirico di san Paolo; PG 50, 480-484)

Ho combattuto la buona battaglia
Paolo se ne stava nel carcere come se stesse in cielo e riceveva percosse e ferite più volentieri di coloro che ricevono il palio nelle gare: amava i dolori non meno dei premi, perché stimava gli stessi dolori come fossero ricompense; perciò li chiamava anche una grazia divina. Ma sta’ bene attento in qual senso lo diceva: Certo era un premio essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo (cfr. Fil 1, 23), mentre restare nel corpo era una lotta continua; tuttavia per amore di Cristo rimandava il premio per poter combattere: cosa che giudicava ancor più necessaria.
L’essere separato da Cristo costituiva per lui lotta e dolore, anzi assai più che lotta e dolore. Essere con Cristo era l’unico premio al di sopra di ogni cosa. Paolo per amore di Cristo preferì la prima cosa alla seconda.
Certamente qui qualcuno potrebbe obiettare che Paolo riteneva tutte queste realtà soavi per amore di Cristo. Certo, anch’io ammetto questo, perché quelle cose che per noi sono fonti di tristezza, per lui erano invece fonte di grandissimo piacere. Ma perché io ricordo i pericoli e i travagli? Poiché egli si trovava in grandissima afflizione e per questo diceva: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che io non ne frema?» (2 Cor 11, 29).
Ora, vi prego, non ammiriamo soltanto, ma anche imitiamo questo esempio così magnifico di virtù. Solo così infatti potremo essere partecipi dei suoi trionfi.
Se qualcuno si meraviglia perché abbiamo parlato così, cioè che chiunque avrà i meriti di Paolo avrà anche i medesimi premi, può ascoltare lo stesso Apostolo che dice: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4, 7-8). Puoi vedere chiaramente come chiama tutti alla partecipazione della medesima gloria.
Ora, poiché viene presentata a tutti la medesima corona di gloria, cerchiamo tutti di diventare degni di quei beni che sono stati promessi.
Non dobbiamo inoltre considerare in lui solamente la grandezza e la sublimità delle virtù e la tempra forte e decisa del suo animo, per la quale ha meritato di arrivare ad una gloria così grande, ma anche la comunanza di natura, per cui egli è come noi in tutto. Così anche le cose assai difficili ci sembreranno facili e leggere e, affaticandoci in questo tempo così breve, porteremo quella corona incorruttibile ed immortale, per grazia e misericordia del Signore nostro Gesù Cristo, a cui appartiene la gloria e la potenza ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

Responsorio   Cfr. 1 Tm 6, 11-12; Tt 2, 1
R. Tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza; * combatti la buona battaglia della fede, per raggiungere la vita eterna.
V. Insegna tutto ciò che è conforme alla sana dottrina;
R. combatti la buona battaglia della fede, per raggiungere la vita eterna.

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 – SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 - SANTI  PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità dans FESTE DI SAN PIETRO E PAOLO

http://www.santiebeati.it/

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 – SANTI  PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità

MESSA VESPERTINA E MESSA DEL GIORNO, PRESENTAZIONE DEGLI APOSTOLI, LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA VESPERTINA:

Seconda Lettura   Gal 1,11-20
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre.

Dalla lettera di san Paolo ai Gàlati
Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mentisco.

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
 
PREFAZIO LATINO E ITALIANO

Prefazio

Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre,
nos tibi semper et ubíque grátias ágere:
Dómine, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus.
Quia nos beáti apóstoli Petrus et Paulus
tua dispositióne lætíficant: hic princeps
fídei confiténdæ, ille intellegéndæ clarus assértor;
hic relíquiis Isræl instítuens Ecclésiam primitívam,
ille magíster et doctor géntium vocandárum.
Sic divérso consílio unam Christi famíliam congregántes,
par mundo venerábile, una coróna sociávit.
 Et ídeo cum Sanctis et Angelis univérsis te collaudámus,
sine fine dicéntes:

(testo italiano ufficiale della liturgia)

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli:
Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo,
Paolo, che illuminò le profondità del mistero;
il pescatore di Galilea,
che costituì la prima comunità con i giusti di Israele,
il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti.
Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa,
e associati nella venerazione del popolo cristiano
condividono la stessa corona di gloria.
E noi, insieme agli angeli e ai santi,
cantiamo senza fine l’inno della sua lode:

Santo, Santo, Santo …

PRIMI VESPRI

Lettura Breve   1 Rm 1, 1-3a. 7
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo; a quanti sono in Roma amati da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10
 
Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare. 

Responsorio   Cfr. Mt 16, 18-19
R. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non la vinceranno. * A te darò le chiavi del regno dei cieli.
V. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
R. A te darò le chiavi del regno dei cieli.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
 
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Responsorio
R. Paolo, apostolo del vangelo e maestro dei popoli, * sei degno di tutta la nostra lode.
V. Tu hai fatto conoscere ai popoli il mistero di Dio:
R. sei degno di tutta la nostra lode.

SECONDI VESPRI

Lettura breve  1 Cor 15, 3-5. 8
Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. Ultimo fra tutti apparve anche a me.

LUNEDÌ 26 GENNAIO 2009 – III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

LUNEDÌ 26 GENNAIO 2009 – III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SS. TIMOTEO E TITO (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura  2 Tm 1,1-8

Mi ricordo della tua fede schietta.
 
Dalla seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, per annunziare la promessa della vita in Cristo Gesù, al diletto figlio Timòteo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.
Ringrazio Dio, che io servo con coscienza pura come i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te.
Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza.
Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. 

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 2, Panegirico di san Paolo; PG 50, 480-484)

Ho combattuto la buona battaglia
Paolo se ne stava nel carcere come se stesse in cielo e riceveva percosse e ferite più volentieri di coloro che ricevono il palio nelle gare: amava i dolori non meno dei premi, perché stimava gli stessi dolori come fossero ricompense; perciò li chiamava anche una grazia divina. Ma sta’ bene attento in qual senso lo diceva: Certo era un premio essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo (cfr. Fil 1, 23), mentre restare nel corpo era una lotta continua; tuttavia per amore di Cristo rimandava il premio per poter combattere: cosa che giudicava ancor più necessaria.
L’essere separato da Cristo costituiva per lui lotta e dolore, anzi assai più che lotta e dolore. Essere con Cristo era l’unico premio al di sopra di ogni cosa. Paolo per amore di Cristo preferì la prima cosa alla seconda.
Certamente qui qualcuno potrebbe obiettare che Paolo riteneva tutte queste realtà soavi per amore di Cristo. Certo, anch’io ammetto questo, perché quelle cose che per noi sono fonti di tristezza, per lui erano invece fonte di grandissimo piacere. Ma perché io ricordo i pericoli e i travagli? Poiché egli si trovava in grandissima afflizione e per questo diceva: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che io non ne frema?» (2 Cor 11, 29).
Ora, vi prego, non ammiriamo soltanto, ma anche imitiamo questo esempio così magnifico di virtù. Solo così infatti potremo essere partecipi dei suoi trionfi.
Se qualcuno si meraviglia perché abbiamo parlato così, cioè che chiunque avrà i meriti di Paolo avrà anche i medesimi premi, può ascoltare lo stesso Apostolo che dice: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4, 7-8). Puoi vedere chiaramente come chiama tutti alla partecipazione della medesima gloria.
Ora, poiché viene presentata a tutti la medesima corona di gloria, cerchiamo tutti di diventare degni di quei beni che sono stati promessi.
Non dobbiamo inoltre considerare in lui solamente la grandezza e la sublimità delle virtù e la tempra forte e decisa del suo animo, per la quale ha meritato di arrivare ad una gloria così grande, ma anche la comunanza di natura, per cui egli è come noi in tutto. Così anche le cose assai difficili ci sembreranno facili e leggere e, affaticandoci in questo tempo così breve, porteremo quella corona incorruttibile ed immortale, per grazia e misericordia del Signore nostro Gesù Cristo, a cui appartiene la gloria e la potenza ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

Responsorio   Cfr. 1 Tm 6, 11-12; Tt 2, 1
R. Tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza; * combatti la buona battaglia della fede, per raggiungere la vita eterna.
V. Insegna tutto ciò che è conforme alla sana dottrina;
R. combatti la buona battaglia della fede, per raggiungere la vita eterna.

LODI

Lettura Breve   Eb 13, 7-9a
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine.

LE LETTERE PASTORALI: 1 E 2 TIMOTEO, LETTERA A TITO – INTRODUZIONE

LE LETTERE PASTORALI:

LETTERE 1 E 2 A TIMOTEO

LETTERA A TITO

riguardo le lettere pastorali l’autenticità di esse è discussa, non solo in passato, ma mi sembra ancora oggi, ossia se siano di Paolo o di qualche suo discepolo, cioè pseudoepigrafiche; presento, per prima cosa, uno stralcio della introduzione dal libro sotto citato, tuttavia trovo delle dissonanze, dei pareri diversi, propongo qualcosa anche di questi, ma brevemente,

dal libro di: Reynier C., Trimaille M., Vanhye A., Lettere di Paolo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000; Trimaille M., Lettere 1 e 2 Timoteo e Tito;

« INTRODUZIONE

L’insieme formato dalle due lettere a Timoteo e dalla lettera a Tito ha ricevuto, nel corso del XVIII secolo, il nome di , perché sono le uniche a essere indirizzate a pastori e a trattare di quella che a noi oggi chiamiamo .

I destinatari

Timoteo e Tito sono due tra i compagni più noti di Paolo. Secondo Atti 16, 1-3, Paolo ha conosciuto Timoteo passando da Listra, nel corso del suo secondo viaggio. Deciso ad associarlo alla sua équipe (con Sila o Silvano), lo fece circoncidere, dal momento che, se la madre era ebrea, il padre era pagano (in Atti: per riguardo ai Giudei). La sua presenza a fianco di Paolo è quasi costante: è cofondatore delle chiese di Tessalonica, Berea, Corinto; è con Paolo mentre questi è prigioniero ad Efeso (Fm 1) e si trova a Corinto quando l’Apostolo vi scrive la lettera ai Romani (Rm 16,21). Paolo ne fa il coautore di quattro lettere: 1Tessalonicesi, Filippesi, Filemone e 2 Corinzi.

Di Tito, un greco convertito, l’autore degli Atti degli Apostoli non parla mai, ma sappiamo che Paolo lo condusse a Gerusalemme (Gal 2), dove le autorità rinunciarono a farlo circoncidere. È l’uomo di fiducia di Paolo nell’ambito dei suoi difficili rapporti con la chiesa di Corinto (2Cor 2,13; 7,6-7.13-16) e sarà lui a condurre in porto la colletta per Gerusalemme (2Cor 8,6.16-24).

La successione delle lettere pastorali

(Trimaille scrive che l’ordine che troviamo nelle nostre Bibbie non è quello nel quale furono scritte, seguendo alcune considerazioni propone questa successione di redazione: Tito, 1Timoteo e 2Timoteo.)

La critica storica

Si può riscrivere secondo quest’ordine la sequenza degli avvenimenti evocati nelle tre lettere: Paolo ha soggiornato a lungo a Creta dove ha lasciato Tito (Tt 1,5), probabilmente mentre si sta recando ad Efeso…Da Efeso Paolo parte per la Macedonia (1Tm 1,3), poi per Nicopoli, sulla costa albanese (Tt 3,12), dove Tito lo raggiunge (2Tm 4,10). In 2 Tm Paolo è a Roma, detenuto in attesa della condanna e della morte. Queste soste e questi spostamenti fanno pensare a un periodo di tempo di almeno tre anni. »

il professore prosegue valutando la storicità di questi dati, ritiene, però, difficile collocarli nella vita di Paolo in quanto, ad esempio, l’imprigionamento in 2Tm non può essere la residenza di Atti 28, i tempi non sono verosimili, il racconto richiederebbe un tempo maggiore di quello che si conosce degli ultimi anni della vita romana di Paolo;

il titolo successivo della introduzione è: « Deuteropaolinismo o pseudoepigrafia »;

praticamente l’autore propende per la pseudeoepigrafia di queste lettere che è un artificio letterario, conosciuto già nella letteratura greco-romana, per conferire autorità ad un documento, non è, come si potrebbe ritenere oggi, un falso, ma un modo per presentare un argomento, attribuendolo ad un autore autorevole, dal testo: « per attualizzare il pensiero di un maestro celebre del passato, uno scrittore gli faceva affrontare problemi nuovi. Allo stesso modo in cui nell’Antico Testamento il Deuteronomio si presenta come una nuova versione della legge di Mosè, così le pastorali sono una nuova espressione del pensiero paolino in circostanze ulteriori di qui il nome di deuteropaolinismo »

devo dire che, consultando la presentazione delle lettere paoline in alcune Bibbie – non trascrivo perché è lungo – alcuni le ritengono autentiche, ossia vengono fatti i confronti con i tempi storici della vita di Paolo e, per alcuni, è possibile concordare i fatti conosciuti dagli scritti sicuramente autentici con quelli di queste lettere, non tutti, quindi, concordano con la pseudoepigrafia, ma credono nella possibilità che siano paoline;

anche la Bibbia di Gerusalemme, però, sembra ritenerle non autentiche, il testo originale francese introduce le tre lettere in questo modo (traduco dal francese): « Indirizzate a due dei più fedeli discepoli di Paolo, le due lettere a Timoteo e la lettera a Tito offrono delle direttive per l’organizzazione e la condotta della comunità che era a loro affidata. L’autenticità di queste lettere « pastorali » è discussa. Se la « 1Timoteo può essere stata scritta la Paolo, le preoccupazioni quasi burocratiche di rispettabilità e di integrazione alla società (all’ambiente, atmosfera) dei ministri della Chiesa che si esprime in 1Tm e Tt contrasta con il dinamismo missionario e l’entusiasmo nello Spirito della Chiesa di Paolo »

Buscemi presenta le due posizioni, tuttavia ritiene che vadano valutate caso per caso: « … ci riportano…elementi decisamente genuini molto utili per ricostruire la vita di Paolo, l’ambiente in cui è vissuto e gli sviluppi del suo pensiero »;

questo è quello che sono riuscita a capire;

MONS. GIANFRANCO RAVASI (2003): TIMOTEO, PREZIOSO COLLABORATORE DI PAOLO

dal sito:

http://www.novena.it/ravasi/2003/262003.htm

 

MONS. GIANFRANCO RAVASI (2003)

 

TIMOTEO, PREZIOSO COLLABORATORE DI PAOLO (2 Tim 4,6-8; Eb 13,23; 1Cor 16,10-11)

 

Certo, le figure dominanti di questa domenica sono Pietro e Paolo. Ma per tracciare accuratamente il profilo di ciascuno di loro non basterebbero alcune decine di puntate della nostra rubrica, che, tra l’altro, vuole far emergere solo personaggi di secondo piano. Così, abbiamo deciso di presentare uno dei discepoli più cari a Paolo, quel Timoteo a cui indirizza ben due lettere: anzi, nel brano della seconda, letto nella liturgia di questa domenica, gli consegna anche uno splendido e struggente testamento, mentre l’Apostolo sente avvicinarsi la sua ultima ora (4,6-8).

Timoteo, dal nome greco (“colui che onora Dio”), era nato a Listra di Licaonia, nell’attuale Turchia centrale, da padre greco e da madre giudeocristiana. Le sue origini familiari sono così rievocate da Paolo stesso: «Ricordo la tua fede schietta, che pervase prima tua nonna Loide e poi tua madre Eumce» (2 Timoteo 1,5). La sua figura emerge abbastanza nitidamente nel libro degli Atti degli Apostoli ove è registrato un fenomeno abbastanza curioso. Divenuto suo collaboratore, Paolo decise di far circoncidere Timoteo e questo «per riguardo ai giudei che risiedevano in quelle regioni: tutti, infatti, sapevano che suo padre era greco», cioè pagano (16,3).

È noto che per Paolo «la circoncisione non contava nulla, come l’incirconcisione» (1 Corinzi 7, 19); anzi, egli si era strenuamente battuto perché ai pagani convertiti al cristianesimo non fosse richiesto di transitare prima nel giudaismo circoncidendosi. Ora, però, per realismo pastorale e per quieto vivere, si rassegna a questa soluzione per non provocare i giudeo-cristiani e quell’area dell’Asia minore con la presenza di un predicatore non circonciso. Tuttavia è da notare che l’Apostolo non accetterà questa scelta per l’altro collaboratore più caro, Tito, che, «sebbene fosse greco, non fu obbligato a circoncidersi» (Galati 2,3).

Il nostro Timoteo è di scena ripetutamente nei capitoli 16-20 degli Atti degli Apostoli, durante il secondo viaggio missionario che conduce Paolo prima nella Turchia centrale, poi in Macedonia (a Filippi e a Tessalonica), per approdare infine a Corinto.
In ben sei lettere Paolo lo associa a sé nel saluto iniziale rivolto ai destinatari, corinzi, filippesi, colossesi, tessalonicesi (due lettere), e all’amico Filemone. Fa capolino anche nella finale della Lettera agli Ebrei, che non è però di Paolo: qui si legge che «il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà» (13,23). Forse si fa riferimento alla condivisione della prigionia romana di Paolo.

Certo è che questo prezioso collaboratore fu incaricato dall’Apostolo di missioni delicate, sia a Tessalonica, sia soprattutto a Corinto. In questa turbolenta comunità cristiana fu inviato per «richiamare alla memoria le vie indicate (da Paolo) in Cristo» (1Corinzi 4,17). Anzi, l’Apostolo presenta calorosamente questo suo «figlio amato e fedele nel Signore» perché venga trattato bene: «Quando verrà Timoteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l’opera del Signore. Nessuno, allora, gli manchi di riguardo; al contrario, accomiatatelo poi in pace, quando ritornerà da me: io lo aspetto coi fratelli» (1 Corinzi 16,10-11).

Infine, Paolo lo incaricherà ufficialmente di gestire la comunità di Efeso (la tradizione lo considera il primo vescovo di quell’importante città della Turchia costiera). Scrive, infatti, nella prima Lettera a lui indirizzata: «Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere a Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole…» (1,3-4). La leggenda vuole che egli morisse martire sotto l’imperatore Domiziano, mala notizia non ha fondamento storico ed è solo in un testo apocrifo, gli Atti di Timoteo (IV sec.) 

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