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DOMENICA 3 OTTOBRE 2010 – XXVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

 DOMENICA 3 OTTOBRE 2010 - XXVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera a Timoteo - prima mustard_seed-1

“….if you have faith the size of a mustard seed, you will say to this mountain, ‘Move from here to there,’ and it will move;”  Matthew 17,20

http://www.clamlynch.com/blog/2007/03/

DOMENICA 3 OTTOBRE 2010 – XXVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C27page.htm

Seconda Lettura   2 Tm 1,6-8.13-14
Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

http://www.bible-service.net/site/379.html

2 Timothée 1,6…14
Commence aujourd’hui la seconde lettre de Paul à Timothée. Le souci de Paul est de maintenir Timothée dans la fidélité à sa vocation. L’apôtre part de l’imposition des mains, geste que Jésus lui-même a utilisé et qui est le signe extérieur d’une réalité plus intérieure.
Signe de guérison et de résurrection dans les Évangiles, l’imposition des mains, dans les Actes, est caractéristique du don de l’Esprit (Actes 9,12-17 ; 6,6 ; 13,3 ; 19,6 ; 28,8). De Jésus aux apôtres, des apôtres à Paul, de Paul à Timothée, de Timothée à d’autres, peu à peu ce geste devient signe de consécration à une mission au moment du baptême, de la confirmation, du sacrement de l’ordre et dans la maladie.
2 Timoteo  1, 6… 14
Comincia oggi la seconda lettera di Paolo a Timoteo. La preoccupazione di Paolo è di mantenere Timoteo nella fede alla sua vocazione. L’apostolo parte dall’imposizione delle mani, gesto che Gesù stesso ha utilizzato e che è il segno esteriore di una realtà più interiore.
Segno di guarigione e di resurrezione nel Vangelo, l’imposizione delle mani, negli Atti est caratteristica del dono dello Spirito (Actes 9,12-17 ; 6,6 ; 13,3 ; 19,6 ; 28,8). Da Gesù agli Apostoli, dagli Apostoli a Paolo, da Paolo a Timoteo, da Timoteo ad altri, poco a poco questo gesto diviene il segno di consacrazione ad una missione, o, al momento del battesimo, alla confermazione, al sacramento dell’Ordine e per la malattia.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera a Timoteo di san Paolo, apostolo 1, 1-20

La missione di Timoteo.  Paolo ministro del Vangelo
Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per sicure.
Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.
Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; tra essi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.

Responsorio    1 Tm 1, 14. 15; Rm 3, 23
R. La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato, insieme alla fede e alla carità. * Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.
V. Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.
R. Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.

Seconda Lettura
Dalla «Regola pastorale» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 2, 4 PL 77, 30-31)

Il pastore sia accorto nel tacere, tempestivo nel parlare
Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo ch’è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio.
Il Signore li rimprovera per mezzo del Profeta, dicendo: «Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare» (Is 56, 10), e fa udire ancora il suo lamento: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore» (Ez 13, 5). Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amor di giustizia, alla guerra dei malvagi.
Cos’è infatti per un pastore la paura di dire la verità, se non un voltar le spalle al nemico con il suo silenzio? Se invece si batte per la difesa del gregge, costruisce contro i nemici un baluardo per la casa d’Israele. Per questo al popolo che ricadeva nuovamente nell’infedeltà fu detto: «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità, per cambiare la tua sorte» (Lam 2, 14). Nella Sacra Scrittura col nome di profeti son chiamati talvolta quei maestri che, mentre fanno vedere la caducità delle cose presenti, manifestano quelle future.
La parola di Dio li rimprovera di vedere cose false, perché, per timore di riprendere le colpe, lusingano invano i colpevoli con le promesse di sicurezza, e non svelano l’iniquità dei peccatori, ai quali mai rivolgono una parola di riprensione.
Il rimprovero è una chiave. Apre infatti la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa. Per questo Paolo dice: «Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono» (Tt 1, 9). E anche il profeta Malachia asserisce: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 2, 7).
Per questo il Signore ammonisce per bocca di Isaia: «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce» (Is 58, 1).
Chiunque accede al sacerdozio si assume l’incarico di araldo, e avanza gridando prima dell’arrivo del giudice, che lo seguirà con aspetto terribile. Ma se il sacerdote non sa compiere il ministero della predicazione, egli, araldo muto qual’è , come farà sentire la sua voce? Per questo lo Spirito Santo si posò sui primi pastori sotto forma di lingue, e rese subito capaci di annunziarlo coloro che egli aveva riempito.

SABATO 21 AGOSTO 2010 – XX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 21 AGOSTO 2010 – XX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN PIO X PAPA (m)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla Costituzione Apostolica «Divino Afflatu» di san Pio X, papa
(AAS 3 [1911], 633-635)

(CENNI A PAOLO : EB; 2TM)

La Chiesa che canta le lodi di Dio
I salmi furono composti per divina ispirazione e si trovano raccolti nelle Sacre Scritture. Risulta che fin dagli inizi della Chiesa sono serviti meravigliosamente a nutrire la pietà dei fedeli. I cristiani mediante i salmi offrivano continuamente a Dio il sacrificio di lode, cioè il frutto delle labbra che rendevano omaggio al suo nome (cfr. Eb 13, 15; Os 14, 3). Una parte ragguardevole della stessa sacra Liturgia e del divino Ufficio, secondo l’uso già accolto nella Legge antica, è costituito da salmi. Da essi nacque quella «voce della Chiesa» di cui parla Basilio, e la salmodia, «figlia di quella innodia», come la chiama il nostro predecessore Urbano ottavo, «che risuona incessantemente davanti al trono di Dio e dell’Agnello». Sono i salmi soprattutto che, secondo sant’Atanasio, insegnano agli uomini consacrati al culto divino, «in che misura si debba lodare Dio, e con quali parole rendergli decorosamente omaggio». Egregiamente dice a tal proposito Agostino: «Per essere opportunamente lodato dall’uomo, Dio stesso si è lodato; e poiché si è degnato di lodare se stesso, per questo l’uomo ha trovato come lo possa lodare».
Nei salmi si trova una sorprendente efficacia per suscitare negli animi di tutti il desiderio delle virtù. Benché, infatti, tutta la nostra Scrittura, e antica e nuova, sia divinamente ispirata e utile all’istruzione (cfr. 2 Tm 3, 16), però il libro dei salmi, secondo sant’Atanasio è, per così dire, il giardino paradisiaco nel quale si possano cogliere i frutti di tutti gli altri testi ispirati. Così il salterio non solo innalza i canti degli altri libri biblici, ma vi unisce anche i suoi, che modula al suono della cetra. Sant’Atanasio aggiunge: «In verità, a me che innalzano canti, i salmi sembrano essere come degli specchi in cui uno contempla se stesso e il suo stato interiore e da ciò si sente animato a recitarli». Sant’Agostino nelle Confessioni esclama: «Quanto ho pianto al sentire gli inni e i canti in tuo onore, vivamente commosso dalla voci della tua Chiesa, che cantava dolcemente! Quelle voci vibravano nelle mie orecchie e la verità calava nel mio cuore e tutto si trasformava in sentimento di amore e mi procurava tanta gioia da farmi sciogliere in lacrime».
Chi non si sentirebbe altamente edificato nel ripetere qualcuno di quei numerosi passi che cantano così liricamente e profondamente l’infinita grandezza di Dio, la sua potenza, la sua eccelsa santità, la sua bontà e misericordia con tutte le altre infinite prerogative divine?
Quell’intenso sentimento religioso che li permea è straordinariamente efficace a muovere il cuore alla gratitudine verso i benefici divini, o ad ispirare l’umile supplica in ordine a nuove grazie, o a suscitare salutari propositi di conversione dal peccato.
I salmi accendono l’amore a Cristo perché sono come un quadro che presenta ben delineata l’immagine del Redentore. Giustamente dunque Agostino  «sentiva in tutti i salmi la voce che esultava e che gemeva, che si allietava nella speranza o che sospirava la meta».

MARTEDÌ 29 GIUGNO 2010 – SS. PIETRO E PAOLO APOSTOLI (s)

MARTEDÌ 29 GIUGNO 2010 – SS. PIETRO E PAOLO APOSTOLI (s)

MESSA VESPERTINA NELLA VIGILIA
LETTURE: At 3,1-10; Sal 18; Gal 1,11-20; Gv 21,15-19
MESSA DEL GIORNO
LETTURE: At 12,1-11; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19

LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA DELLA VIGILIA:

Seconda Lettura   Gal 1,11-20
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre.

Dalla lettera di san Paolo ai Gàlati
Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mentisco.

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10
 
Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare. 

Responsorio   Cfr. Mt 16, 18-19
R. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non la vinceranno. * A te darò le chiavi del regno dei cieli.
V. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
R. A te darò le chiavi del regno dei cieli.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
 
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Responsorio
R. Paolo, apostolo del vangelo e maestro dei popoli, * sei degno di tutta la nostra lode.
V. Tu hai fatto conoscere ai popoli il mistero di Dio:
R. sei degno di tutta la nostra lode.

di Rinaldo Fabris: « Ravviva il dono di Dio » (2Tm 1)

dal sito:

http://www.vocazioni.net/index.php?option=com_content&view=article&id=1476:nelle-lettere-a-timoteo-e-tito-lidentikit-del-sacro-ministro&catid=28:articoli-e-studi-di-esperti&Itemid=128

« Ravviva il dono di Dio » (2Tm 1)

Di Rinaldo Fabris, Presidente dell’Associazione Biblica Italiana

L’invito di Paolo al suo amato discepolo e fedele collaboratore, Timoteo, nella seconda Lettera: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani», sta all’origine del sacramento dell’ordinazione al ministero nella tradizione della Chiesa (2Tm 1,6). Un rimando allo stesso rito si trova nella prima Lettera a Timoteo, dove si riportano le istruzioni dell’apostolo circa i compiti propri di Timoteo, proposto come modello dei pastori: «Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbìteri» (1Tm 4,14). Il rapporto tra l’imposizione delle mani e il dono di Dio, che viene conferito come dono spirituale permanente, sono gli elementi costitutivi del sacramento dell’ordinazione ministeriale. Questo richiamo al rito dell’ordinazione al ministero si colloca nella cornice delle istruzioni ed esortazioni che l’apostolo invia a Timoteo perché sappia come comportarsi «nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). L’analisi dei testi, nel rispettivo contesto, consente di tracciare il profilo ideale del ministro del Vangelo e del pastore, chiamato a prolungare il ruolo dell’apostolo Paolo nella Chiesa di Dio (1).

1. L’imposizione delle mani e il dono dello Spirito di Dio

Il testo più chiaro ed esplicito sul rapporto tra imposizione delle mani e dono dello Spirito di Dio si trova nella seconda Lettera a Timoteo (2Tm 1,6). Nell’intestazione della Lettera, Paolo si presenta come «apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù» (2Tm 1,1). La Lettera è indirizzata a «Timoteo, figlio carissimo» (2Tm 1,1). Nella breve preghiera di ringraziamento, Paolo rende grazie a Dio, ricordando Timoteo nelle sue preghiere «sempre, notte e giorno» (2Tm 1,3). In questo caso l’apostolo aggiunge un tocco che rivela il rapporto profondo e affettuoso con il suo collaboratore: «Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia» (2Tm 1,4). Paolo ricorda in particolare la famiglia di Timoteo, dalla quale ha ricevuto la fede cristiana e una solida formazione religiosa: «Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunice, e che ora, ne sono certo, è anche in te» (2Tm 1,5).
Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che la mamma di Timoteo, residente a Listra, nell’Anatolia, era una credente cristiana di origine ebraica, mentre il padre era greco. Durante il viaggio missionario, che intraprende dopo il Concilio di Gerusalemme, Paolo ripassa nella comunità cristiana di Listra e prende con sé Timoteo che «era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio» (At 16,2). Questa nota dell’autore degli Atti fa capire che Timoteo svolge già un’attività pastorale nelle comunità cristiane della regione anatolica.
Sullo sfondo del ricordo personale della famiglia cristiana di Timoteo si colloca l’invito pressante che Paolo gli rivolge all’inizio delle istruzioni pastorali: «Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani» (2Tm 1,6). Il tenore del testo fa capire che il gesto dell’imposizione delle mani da parte di Paolo per trasmettere il dono di Dio, s’innesta sulla fede familiare di Timoteo. L’apostolo ora lo esorta a «ravvivare il dono di Dio». Il verbo adoperato da Paolo, tradotto in italiano con « ravvivare », evoca l’immagine delle braci sotto la cenere. Perché si sprigioni la fiamma, che illumina e riscalda, il fuoco del focolare deve essere riattizzato. In realtà si tratta del chàrisma toù Theoù, dono che proviene da Dio e che ora è presente in Timoteo, grazie al gesto di imposizione delle mani da parte dell’apostolo.
Nella seconda Lettera a Timoteo, il chàrisma coincide con il dono dello Spirito, che viene da Dio e che ora dimora nell’apostolo e nel suo discepolo. Per incoraggiare Timoteo a condividere la sua testimonianza al Signore e le sue sofferenze nell’annuncio del Vangelo, Paolo rimanda allo Spirito che Dio «ci ha dato», non «uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2Tm 1,7). Egli risale alla chiamata di Dio – klèsis hàgia, « santa chiamata » – che ha come scopo e risultato la salvezza dei credenti. Questa si fonda sull’iniziativa gratuita ed efficace di Dio, che in Cristo Gesù porta a compimento il suo progetto. La grazia di Dio che «ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro» (2Tm 1,9-10). Mediante il dono dello Spirito di Dio, ricevuto con l’imposizione delle mani, Timoteo partecipa e prolunga il ministero di Paolo nella proclamazione e testimonianza del Vangelo di Dio. L’apostolo lo esorta a condividere la sua fede e fiducia nel Signore che è «capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato» (2Tm 1,12).
L’espressione « quel giorno » indica l’incontro finale con il Signore, che, come giusto giudice, gli darà la corona di giustizia, assieme a tutti quelli che ne attendono con amore la manifestazione (2Tm 4,8). Quello che è stato affidato a Paolo, e che egli ha trasmesso a Timoteo, è he kalè parathèke, « il bel/buon deposito », il Vangelo o la sana dottrina della fede. Perciò lo invita a tenere come punto di riferimento ideale «i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù» (2Tm 1,12). Alla fine rimanda esplicitamente alla presenza e all’azione dello Spirito Santo, che dona la forza di conservare il deposito: «Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato» (2Tm 1,14).
Il termine chàrisma, connesso con il gesto di imposizione delle mani, ricorre anche nella prima Lettera a Timoteo, dove Paolo prescrive al discepolo di presentarsi ai fratelli come «un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito dalle parole della fede e della buona dottrina» (1Tm 4,6). Egli paragona l’esercizio della « vera fede », a quello che fanno gli atleti per conseguire un premio di poco conto, «mentre la fede è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente e di quella futura» (1Tm 4,8). Il contenuto della fede, da accogliere e proporre a tutti, è la «speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini» (1Tm 4,10). Paolo invita Timoteo a trasmettere con forza e autorevolezza queste cose ai fedeli, sia con l’insegnamento sia con l’esempio «nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza» (1Tm 4,12). In attesa della venuta dell’apostolo, Timoteo deve dedicarsi «alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento», tre aspetti o diversi momenti del ministero della parola (1Tm 4,13). Le esortazioni che seguono fanno leva su questo evento della « ordinazione » presbiterale. Timoteo deve avere cura di queste cose, dedicarsi ad esse interamente, vigilare costantemente su se stesso e sul suo insegnamento, perché questa è la condizione per salvarsi e salvare quelli lo ascoltano (1Tm 4,15-16).
Sullo sfondo di questo ritratto ideale del « ministro di Cristo » e dei suoi compiti, si colloca il richiamo al chàrisma, che gli è stato conferito mediante l’imposizione delle mani: «Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbìteri» (1Tm 4,14). Qui la novità è rappresentata dal riferimento alla « parola profetica » e al gruppo dei « presbiteri », coinvolti nel gesto di imposizione delle mani. L’espressione dia prophetéias, tradotta « mediante una parola profetica », può indicare sia la preghiera ispirata, che accompagna il gesto di imporre le mani – preghiera liturgica – sia l’intervento dei « profeti » – persone ispirate – che depongono a favore del candidato all’ordinazione (cf 1Tm 1,18; 6,12b). Nella traduzione della CEI (2008) si suppone che i presbiteri come gruppo impongano le mani sul candidato al ministero. Il testo originale greco toù presbyteriou, può essere interpretato diversamente: «Con l’imposizione delle mani per far parte del presbiterio». In ogni caso, con queste espressioni si allude ad un contesto comunitario, dove si fanno preghiere, o si ascoltano le testimonianze ispirate, e i presbiteri, che formano un collegio autorevole, sono partecipi.
L’autore delle Lettere pastorali suppone che i suoi lettori o i destinatari conoscano il significato e la valenza religiosa del gesto di imposizione delle mani. Nella tradizione biblica il gesto di imporre le mani accompagna la preghiera di benedizione o di guarigione, ma è utilizzato anche per trasmettere un incarico. Dio comunica lo spirito di Mose a settanta collaboratori, scelti tra gli anziani di Israele. Nel testo biblico si dice che Dio pone lo spirito su di essi (Nm 11,25.30). Di Giosuè, che prende il posto di Mose nella guida del popolo di Dio, si dice che «era pieno di spirito di saggezza, perché Mose aveva imposto le mani su di lui» (Dt 34,9). Nel Libro dei Numeri si racconta il passaggio dalla guida di Mose a quella del suo successore, Giosuè, mediante il gesto dell’imposizione delle mani. Il Signore ordina a Mose di prendere Giosuè, figlio di Nun, «uomo in cui è lo spirito» (Nm 27,18). Egli deve porre la mano su di lui, farlo comparire davanti al sacerdote Eleazaro e a tutta la comunità e, alla presenza di tutti, deve trasmettergli i suoi ordini e la sua autorità «perché tutta la comunità degli Israeliti gli obbedisca» (Nm 27,19-20). Mose fa come il Signore gli ha ordinato: «Pose su di lui le mani e gli diede i suoi ordini» (Nm 27,23). A questo rito, chiamato in ebraico semikah, si ispira la tradizione giudaica per l’ordinazione dei rabbini.
Tenendo presente la tradizione biblica, si può interpretare il rito di imposizione delle mani nelle lettere pastorali non solo nel senso della trasmissione di un incarico – dall’apostolo al suo successore Timoteo, e da questi ai presbiteri – ma come comunicazione, in un contesto di preghiera, del dono dello Spirito di Dio, corrispondente al compito affidato. Non è casuale che l’autore delle lettere pastorali, per parlare di questo dono, ricorra al termine greco chàrisma, che, nelle lettere autentiche di Paolo, designa sia i doni suscitati dallo Spirito, sia i ministeri disposti da Dio per la nascita e crescita della Chiesa, corpo di Cristo (1Cor 12,4-6.28). Cesare Marcheselli-Casale, nel suo commento, riassume molto bene il significato del gesto di imposizione delle mani quando scrive: «Dio ha dato dunque a Timoteo, attraverso l’imposizione delle mani, un dono speciale che lo ha segnato per l’intero corso della sua vita… Questo dono è lo Spirito di Cristo, fattore funzionale essenziale del e nel ministero di Timoteo. Il compito di guidare la comunità, inoltre, chiede a Timoteo di saper trovare i mezzi e le vie per rendere visibile e concreta la presenza dello Spirito» (2).

2. L’identità del presbitero al servizio del Vangelo

L’apostolo Paolo, che scrive ai suoi discepoli e collaboratori Timoteo e Tito, traccia il profilo del ministro di Cristo, chiamato a servire il Vangelo nella Chiesa. I responsabili della Chiesa in Asia e a Creta devono affrontare una situazione di crisi, provocata dai falsi maestri, che propongono speculazioni sul destino degli uomini genealogie – definite « miti » e favole (1Tm 1,4; 4,7; 2Tm 4,4; Tt 1,14). Il loro insegnamento intacca il patrimonio della fede e minaccia la coesione delle comunità. Il compito del responsabile della comunità è di garantire la trasmissione della fede, richiamandosi alla figura autorevole dell’apostolo Paolo, maestro della verità e araldo del Vangelo. Nel servizio della Parola Dio, identificata con il Vangelo, i responsabili di comunità devono conservare la « sana dottrina » e custodire il « deposito » della fede. Come fedeli discepoli di Paolo, Timoteo e Tito devono scegliere persone fidate, capaci di insegnare la sana dottrina. Paolo esorta Timoteo ad attingere forza dalla grazia che è in Cristo Gesù, per trasmettere le cose che ha udito da lui davanti a molti testimoni, «a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare agli altri» (2Tm 2,1-2). Due esempi di istruzioni per il servizio della Parola si trovano nella prima e seconda Lettera a Timoteo (1Tm 4,8-16; 2Tm 3,10-4,6).
La sezione di 1Tm 4,8-16 è un piccolo manuale di ciò che deve fare il delegato di Paolo, che ha ricevuto un’investitura mediante l’imposizione delle mani. Egli deve esercitarsi nella « pietà », che riassume i doveri dell’uomo di Dio. Come responsabile della comunità deve combattere, con la speranza, fondata nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti. La sua autorevolezza non dipende dall’età, ma dall’incarico e dal carisma ricevuti dall’apostolo. In sua assenza deve dedicarsi « alla lettura » – proclamazione liturgica della Parola del Signore – alla paràklèsis, « esortazione », interpretazione e applicazione della Sacra Scrittura, e alla didaskalia, « insegnamento », catechesi, istruzione, cui si attualizza la Parola di Dio. I compiti specifici di Timoteo – prototipo dei pastori – nella guida della comunità sono concentrati nel ministero della Parola. Per fare questo il discepolo di Paolo può contare sul carisma ricevuto per l’imposizione delle mani dell’apostolo (1Tm 4,14b).
La seconda Lettera a Timoteo è un discorso di addio dell’apostolo, il suo testamento prima di morire come testimone del Vangelo. Timoteo, che lo ha seguito fedelmente nelle sue peregrinazioni e sofferenze, ha imparato come si serve il Vangelo e ha visto chi sono i falsi maestri e quale sarà la loro fine (2Tm 3,10-13). Fin da piccolo ha imparato a conoscere le Sacre Scritture. L’apostolo lo esorta a rimanere fedele e saldo in quello che ha imparato dalla madre e dalla nonna (cf 2Tm 1,5). Le Sacre Scritture offrono la sapienza per la salvezza, che si ottiene «per mezzo della fede in Cristo» (2Tm 3,14-15). Infatti «tutta la Scrittura», in quanto scritta sotto l’azione dello Spirito di Dio – theópneustos – è utile per l’intera opera pastorale, che consiste nell’insegnare, convincere, correggere, formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio – il cristiano – sia preparato ad ogni opera buona. Questo è lo scopo dell’azione pastorale (2Tm 3,16-17). La Parola di Dio, attestata nella Sacra Scrittura, è adatta ed efficace per tutti i compiti pastorali nella comunità dei fedeli (3).
Dato il ruolo preminente della Parola di Dio per la guida e la vita pastorale della comunità cristiana, si comprende il pressante invito di Paolo a Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tm 4,1-2). Sulla base dell’autorità di Dio e di Gesù Cristo, giudice universale, con cinque imperativi si definisce il compito di Timoteo « evangelizzatore », in un contesto dove imperversano i « miti » che rispondono ai gusti e ai capricci degli ascoltatori. Timoteo, prototipo del responsabile della comunità, deve annunciare la Parola di Dio in tutte le forme e in ogni circostanza, poiché è necessario contrastare i falsi maestri. Come modello dei pastori, egli deve vigilare attentamente e svolgere il suo ministero – diakonia – che consiste nell’annuncio del Vangelo (2Tm 4,5).

3. La vocazione del pastore

Nelle Lettere pastorali, che si richiamano alla tradizione dell’apostolo Paolo, si ha un ritratto ideale del pastore, modello e guida della comunità cristiana. Il pastore è l’uomo di Dio, posto al servizio della comunità mediante il « dono spirituale », fonte e fondamento del compito pastorale. Il rito di imposizione delle mani, ripreso dalla tradizione biblica e giudaica, trasmette il chàrisma, « dono » spirituale, corrispondente al compito e al ruolo autorevole dei pastori nella Chiesa (1Tm 4,14; 2Tm 1,6). Paolo incarica i discepoli, Timoteo e Tito di scegliere e stabilire i responsabili nelle singole chiese: episkopos, presbyteroi, diàkonoi (4).
L’episkopos è il sovrintendente o « amministratore di Dio », che deve garantire il buon ordine e l’ortodossia nella chiesa locale. La sua autorità, tramite il discepolo, risale all’apostolo, che traccia il modello del suo compito e del suo stile pastorale. Dato che nelle Lettere pastorali si parla di episkopos al singolare, si pensa che egli sia il rappresentante o presidente del collegio dei presbyteroi. Almeno in un testo si fa riferimento al presbytérion e si menziona anche il ruolo di presidenza dei presbiteri (1Tm 4,14; 5,17). Il modello per questa struttura dell’ordinamento ecclesiale è quello del « consiglio degli anziani » dell’ambiente giudaico.
Anche i diàkonoi, nell’ordinamento ecclesiale delle Lettere pastorali, hanno un ruolo autorevole, perché ai candidati alla diakonia si richiedono qualità analoghe a quelle del candidato all’episokpè e al compito di presbiteri ( 1Tm 3,8-13). La qualifica di « diacono di Gesù Cristo » è data a Timoteo, proposto come modello di tutti i pastori nella Chiesa (1Tm 4,6). La sua attività, come quella dell’apostolo, è presentata come diakonia (1Tm 1,12; 2Tm 4,5.11). Dal momento che si parla di « diaconi » e di « diaconia » solo nella prima e seconda Lettera a Timoteo, si può pensare che questa forma di ministero sia propria di alcuni centri ecclesiali più importanti, con strutture più articolate.
I requisiti del pastore sono quelli di un cristiano maturo, capace di stabilire relazioni positive tra tutti i componenti della comunità. Il candidato all’episokpè deve essere «irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro» (1Tm 3,2-3). Le qualità elencate per il responsabile della comunità cristiana sono quelle che, nell’ambiente greco-romano, si richiedono a quanti svolgono una funzione pubblica. L’episkopos-presbyteros, come capo della comunità cristiana, non solo dà il tono allo stile di vita dei suoi membri, ma la rappresenta all’esterno. Un tratto distintivo dell’episkopos-presbyteros, come quello dei diàkonoi, è di essere uno sposo fedele e un padre di famiglia, che sa educare i propri figli: «Perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» (1Tm 3,5; cf 3,12; Tt 1,7-9). Il modello dei rapporti di comunità è quello della famiglia – óikos – perché la Chiesa è la « casa-famiglia di Dio » (1Tm 3,15) . I rapporti del pastore della comunità con le varie categorie di persone si ispirano al modello delle relazioni familiari: «Non rimproverare duramente un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre, i più giovani come fratelli, le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza» (1Tm 5,1-2; cf Tt 2,3). A tutti i cristiani si propone un ideale di vita spirituale, dove si coniugano insieme i valori umani – saggio equilibrio – e la coerenza tra fede e prassi per una testimonianza credibile.

4. Conclusioni

Come la chiamata alla fede, mediante l’annuncio del Vangelo, risale alla libera e gratuita iniziativa di Dio – chàris -, così il ruolo e il compito di guida responsabile della comunità dei credenti si fondano su un dono, il chàrisma, comunicato mediante l’imposizione delle mani. Nel gruppo delle Lettere pastorali, dove un paio di volte si fa riferimento a questo evento – chàrisma trasmesso con l’imposizione delle mani – si definisce l’identità del responsabile della Chiesa come servizio alla Parola di Dio, adatta ed efficace per ogni attività pastorale. Il pastore, chiamato a guidare la comunità, deve essere una persona capace di relazioni positive, in grado di dare buona testimonianza anche nell’ambiente esterno. Nella Chiesa, « famiglia di Dio », le relazioni si ispirano al modello familiare. Perciò il pastore responsabile deve essere uno sposo fedele e un buon padre, capace di trasmettere il Vangelo di Dio e di educare alla fede.

Note

1. Il gruppo delle Lettere pastorali – due a Timoteo e una a Tito – sostanzialmente omogenee per stile e contenuto, sono state scritte da un discepolo di Paolo, dopo la sua morte, per attualizzare e applicare il messaggio dell’apostolo in un nuovo contesto e in una diversa situazione vitale delle comunità cristiane (R. FABRIS, La tradizione paolina, Dehoniane, Bologna 1995; R. FABRIS – S. ROMANBXO, Introduzione alla lettura di Paolo, Boria, Roma 2006; 22009, pp. 169-173.
2. C. MARCHESELLI-CASALE, Le Lettere pastorali, Dehoniane, Bologna 1995, p. 650; cf P. IOVINO, Lettere a Timoteo. Lettera a Tito, Paoline, Milano 2005, pp. 116.184.
3. R. FABRIS, « LO Spirito santo e le Scritture in 2Tm e 2P ». in E. MANICARDI – A. POTA (edd.), Spirito di Dio e Sacre Scritture nelVautotestimonianza della Bibbia. XXXVSettimana Biblica Nazionale, Ricerche Storico Bibliche 12,1-2 (2000), pp. 297-320.
4. G. DE VIRGILIO (ed.), Chiesa e ministeri in Paolo, Dehoniane, Bologna 2003.

(Rinaldo Fabris, «Ravviva il DONO di DIO» (2Tm 1), Identità ministeriale e pastorale vocazionale, in « Vocazioni », n. 1, Gennaio/Febbraio 2010, pp. 5-14)
 

SABATO 5 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 5 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN BONIFACIO, VESCOVO E MARTIRE (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 4, 1-8
Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo. Io sto già per essere versato in offerta e il Signore mi consegnerà la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero.
Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di san Bonifacio, vescovo e martire
(Lett. 78; MGH, Epistole, 3, 352, 354)

Pastore sollecito che vigila sul gregge di Cristo
La Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com’è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare.
Grandi nocchieri furono i primi padri, quali Clemente e Cornelio e moltissimi altri a Roma, Cipriano a Cartagine e Atanasio ad Alessandria. Essi al tempo degli imperatori pagani, governavano la nave di Cristo, anzi la sua carissima Sposa. Insegnarono, combatterono, faticarono e soffrirono fino a dare il loro sangue.
Al pensiero di queste cose e di altre simili, timore e spavento mi hanno invaso e quasi mi hanno sopraffatto (cfr. Sal 54, 6) le tenebre dei miei peccati. Perciò avrei voluto abbandonare del tutto il timone della Chiesa, se avessi trovato precedenti simili nei Padri o nelle Sacre Scritture. Ma non potendolo fare, l’anima mia stanca ricorre a colui che per mezzo di Salomone dice: «Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri» (Pro 3, 5-6). Ed altrove: «Il nome del Signore è una torre fortissima. Il giusto vi si rifugia ed è al sicuro» (Pro 18, 10).
Stiamo saldi nella giustizia e prepariamo le nostre anime alla tentazione per ottenere l’appoggio di Dio e diciamogli: «O Signore, tu sei stato per noi rifugio di generazione in generazione» (Sal 89, 1).
Confidiamo in lui che ha messo sulle nostre spalle questo peso. Ciò che noi da soli non siamo capaci di portare, portiamolo con il suo aiuto. Egli è onnipotente e dice: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).
Stiamo saldi nella battaglia fino al giorno del Signore, perché ci sono venuti addosso giorni di angustia e di tribolazione. Moriamo, se Dio vorrà, per le sante leggi dei nostri padri, per poter conseguire con essi l’eredità eterna.
Non siamo dei cani muti, non siamo spettatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono il lupo, ma pastori solleciti e vigilanti sul gregge di Cristo. Predichiamo i disegni di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri. Annunziamoli a tutti i ceti e a tutte le età finché il Signore ci darà forza, a tempo opportuno e importuno, a quel modo che san Gregorio scrisse nella sua «Regola Pastorale».

Responsorio   1 Ts 2, 8; Gal 4, 19
R. Per il grande affetto che vi porto, vi avrei dato non solo il vangelo di Dio, ma la mia stessa vita: * siete diventati per me figli carissimi, alleluia.
V. Per voi soffro le doglie del parto, finché non sia formato Cristo in voi:
R. siete diventati per me figli carissimi, alleluia.

VENERDÌ 4 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 4 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 3, 10-16
Tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze. Quali cose mi accaddero ad Antiòchia, a Icònio e a Listra! Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore! E tutti quelli che vogliono rettamente vivere in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannando gli altri e ingannati essi stessi.
Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Trattati» di Baldovino di Canterbury, vescovo
(Tratt. 6; PL 204, 466-467)

Il Signore discerne i pensieri e le intenzioni del cuore
Il Signore conosce i pensieri e le intenzioni del nostro cuore. Senza dubbio egli li conosce tutti, mentre noi solo quelli che ci è concesso di percepire per il dono del discernimento.
Il nostro spirito infatti non conosce tutto ciò che si trova nell’uomo, e riguardo ai suoi pensieri che, consapevole o meno, percepisce, non sempre intende come le cose stiano in realtà.
Anche quelle cose che scopre con gli occhi della mente, non le distingue nitidamente a causa di una certa caligine che ha sempre davanti agli occhi.
Spesso, infatti, o il nostro stesso giudizio o quello di altri o anche il tentatore ci presentano come buono e santo ciò che all’occhio di Dio non è per nulla degno di premio.
Vi sono contraffazioni di vere virtù, come anche di vizi, che ingannano e abbagliano gli occhi della mente con immagini ingannevoli, talmente che spesso appare bene il male e il male bene.
Questo fa parte della nostra miseria e della nostra ignoranza, che dobbiamo molto deplorare e molto temere.
Sta scritto infatti: Vi sono strade che sembrano buone all’uomo, ma che invece conducono all’abisso (cfr. Pro 16, 25).
Per farci evitare questo pericolo, l’apostolo Giovanni ammonisce dicendo: «Mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio» (1 Gv 4, 1).
Chi mai può esaminare le ispirazioni, se vengono da Dio, se non gli è stato dato da Dio il loro discernimento, così da poter esaminare esattamente e con retto giudizio i pensieri, le disposizioni, le intenzioni dello spirito? Il discernimento infatti è come la madre di tutte le virtù ed è necessario a tutti nel guidare la vita, sia propria che altrui.
E’ giusto il proposito di fare le cose secondo la volontà di Dio. E’ virtuosa l’intenzione che si dirige semplicemente verso il Signore. La nostra vita e ogni nostra azione saranno luminose solo se l’occhio sarà semplice. Ora l’occhio semplice è occhio, ed è semplice. E’ occhio perché vede per mezzo di un retto sentire cosa si deve fare, ed è semplice perché agisce con pia intenzione escludendo la doppiezza.
Il retto sentire non cede all’errore. La pia intenzione esclude la finzione. Questo è dunque il discernimento, l’unione del retto pensiero e della virtuosa intenzione.
Tutto quindi si deve fare nella luce del discernimento, come sta in Dio e sotto lo sguardo di Dio.

GIOVEDÌ 3 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

GIOVEDÌ 3 GIUGNO 2010 – IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Ss. CARLO LWANGA E COMPAGNI MARTIRI (m) Beato Papa Giovanni XXIII

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   2 Tm 2, 8-15
Ma la parola di Dio non è incatenata. Se moriamo con lui, con lui anche vivremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sfòrzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura   2 Tm 2, 8-15
Ma la parola di Dio non è incatenata. Se moriamo con lui, con lui anche vivremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
Richiama alla memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sfòrzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità.

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