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San Giovanni Crisostomo: La preghiera è luce dell’anima (Rm 8,26b, citazione)

dal sito: 

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 6 sulla preghiera; PG 64,462-466)
La preghiera è luce per l’anima

La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo. La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile. La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l’anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l’Apostolo dice: « Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili » (Rm 8,26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l’anima; chi l’ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; ornale sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza.

La preghiera pastorale in San Paolo, Père Jean Lévêque (traduzione) – n. 2

LA PREGHIERA PASTORALE IN SAN PAOLO

di Père Jean Lévêque (traduzione)

(quando ho finito tutta la traduzione, ricontrollo tutto) 

La Lettera agli Efesini presenta, anche essa, una lode ampia e molto personale alla fine di una lunga preghiera di domanda come cerniera della parte dottrinale e quella esortativa:

« 20. A colui che in tutto ha potere di fare

molto più di quanto possiamo domandare o pensare,

secondo la potenza che già opera in noi (questo non l’ha scritto)

21. a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù,

per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen » (Ef 3,20)

La più vibrante e la più adorante delle dossologie paoline è senza dubbio quella che si legge, in maniera inattesa, nel mezzo delle ultime raccomandazioni che da a Timoteo:

« 14. ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,

15. (manifestazione) che al tempo stabilito sarà a noi rivelata

dal beato ed unico sovrano

il re dei regnanti e signore dei signori,

16. il solo che possiede l’immortalità,

che abita una luce inaccessibile;

che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere.

A lui onore e potenza per sempre. Amen. »

È necessario, tuttavia, che torniamo un po’ indietro sulla preghiera che serve di prologo alla Lettera agli Efesini (1,3-4). Si tratta di una lunga benedizione al Dio benedicente, ripresa senza dubbio in parte dalla liturgia cristiana primitiva e ispirata, più primitivamente ancora (tornando ancora più indietro) alla benedizione del rituale ebraico (quella che precede immediatamente la recita dello Shemà Israel)

Più di tutti gli altri passaggi delle lettere questa benedizione ci mostra a quale profondità la preghiera di San Paolo e delle sue comunità si radica nella contemplazione dell’opera di salvezza compiuta in Gesù Cristo. È il , questo piano di Dio per far giungere l’uomo (a lui, ritengo) nel suo Figlio; Paolo non trascura mai di ricordarlo ai cristiani, perché solo se si ricordano gli interventi di Dio è possibile motivare, in definitiva, la conversione morale e gli sforzi missionari che l’Apostolo reclama dai credenti.

« Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei

cieli, in Cristo. » (v. 3)

Benedetto sia Dio che ci ha benedetti! Alla benedizione dell’uomo a Dio risponde la benedizione di Dio a l’uomo, ma con un altro senso e con un altro valore. Perché benedire significa: dire bene; ma Dio e l’uomo lo dicono differentemente. Quando Dio lo fa accadere per gli uomini, attraverso la sua parola che crea e ricrea; mentre l’uomo non può che il bene compiuto da Dio o il bene che Dio sta per fare (può e vuole fare), a seconda che si tratti di una lode o di una preghiera di domanda.

Nel prologo della Lettera agli Efesini, molto ampio, piuttosto solenne, è la lode che domina, e Paolo prende il suo tempo (si sofferma) per guardare l’opera di Dio, che è già entrata in questa opera (ossia, credo, la lode che è già opera di Dio; c’è una citazione: presumo Jn, forse un errore di battitura, cioè Gv: .

La formula di benedizione (v. 3) è spiegata successivamente nelle due metà di una lunghissima frase.

La prima metà va da verso 4 al verso 10, e questa è articolata su tre parole chiave:

- Dio ci ha scelti (v. 4),

- Dio ci ha fatto grazia (v. 6),

- Dio ha fatto sovrabbondare su di noi la sua grazia (v.8):

a questa struttura ternaria corrispondono:

1. una tripla descrizione dell’azione di Dio benedicente:

- elezione e destinazione allo stato di figli (v. 4-6),

- dono della grazia e del perdono (v. 7),

- iniziazione al mistero della sua volontà (v. 8-10).

2. una tripla prospettiva storica:

- il passato: Paolo ritorna indietro e pensa a della creazione del mondo (v. 4);

- il presente, qui è il tempo della prodigalità di Dio, della ricchezza della sua grazia paterna;

- l’avvenire, verso il quale si indirizza l’iniziazione dei cristiani: il , ora rivelato, della

volontà di Dio che consiste di ricapitolare tutto in Cristo, ma questa ricapitolazione non sarà

terminata che con la Parusia del Signore.

3. una prospettiva trinitaria:

- l’elezione è rapportata principalmente al Padre, poiché, nel medesimo tempo che noi siamo

scelti, noi siamo destinati a divenire figli;

- la grazia e il perdono ci vengono dal Figlio;

- infine l’iniziazione alla volontà di Dio e al suo piano di salvezza è opera propria dello Spirito.

quanto alla seconda mezza frase (v. 11-14), essa precisa le relazioni del credente con Cristo:

in LUI – noi siamo stati fatti eredi (v. 11-12)

- voi siete stati segnati (avete ricevuto) un sigillo (v. 13-14)

il del verso 13s (voi, altre volte pagani) risponde al dei versi 11s (noi, i figli d’Israele) come i due momenti dell’alleanza si collegano (corrispondono) nell’unico disegno di salvezza. Lo scopo ultimo di tutta la storia del ricatto dell’uomo, che è, nello stesso tempo, lo scopo di questa lunga dossologia, è richiamato in due riprese con il ritornello che segna la frase: .

Tale è lo estensione della fede di Paolo e della sua preghiera, tale è l’asse sulla quale egli segue la sua ricerca personale di Gesù Cristo, tali sono le prospettive, larghe, positive, universali, davanti alle quali, instancabilmente, ricolloca i convertiti. Paolo ama rileggere nel cuore di Dio tutta la storia dell’umanità; egli ha bisogno di dire sempre e proclamare che Dio, oggi, è al lavoro nell’opera della salvezza del mondo, e che quello che Egli ha fatto risponde in anticipo a quello che farà.

Prima di tutte le letture personali degli avvenimenti, prima di tutte le esortazioni alla autenticità cristiana, l’apostolo Paolo si prende il tempo per il ricordo e l’ascolto nella intimità di se stesso, egli lascia che Dio commenti la sua opera. Con tutto quello che Cristo ha messo sulla sua strada egli si sente (preso) come benedetto, chiamato, perdonato, diventato figlio ed erede. Tutto questo è per lui il reale, che dona senso alla vita e alla morte; è lo spazio della certezza e lo spazio della lode, è la che egli ritorna, continuamente, per incontrare (o ritrovare?) il Cristo, ed è la che egli attinge la speranza dalla quale porta al mondo il messaggio:

III. L’AZIONE DI GRAZIE

L’azione di grazie ha un grande posto nella preghiera personale di Paolo, ed è una risposta (réflexe) che egli prova ad infondere a tutti i convertiti. D’istinto Paolo ringrazia e fa ringraziare.

È al Padre che si indirizza l’azione di grazie, salvo un solo testo dalle lettere pastorali (1Tm 1,12) dove Paolo indirizza chiaramente il suo ringraziamento a Cristo: « Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiama domi al ministero… ».

Per Paolo il Cristo è il mediatore della preghiera d’azione di grazie che sale verso il Padre: Paolo e i suoi cristiani ringraziano (per mezzo) di (Nostro Signore) Gesù Cristo (Rm 1,8; 7,25), o in suo nome (Ef 5,20; cfr. Col 3,17). l’Apostolo non dice mai esplicitamente che i cristiani rendono grazie per mezzo dello Spirito; egli preferisce dire che lo Spirito ispira i salmi, gli inni ed i cantici, attraverso i quali i credenti cantano a Dio la loro riconoscenza. (Col 3,16; Ef 5,19s).

- L’azione di grazie nella vita stessa di Paolo è continua, e questo perché accompagna e colora tutti i suoi ricordi missionari. Appena Paolo riceve delle notizie da una comunità (Col 1,3; Ef 1,16), appena la sua preghiera è visitata dai credenti che il Cristo gli ha fatto incontrare, dai quali evoca la fede o le preoccupazioni di una delle sue chiese, i ricordi risalgono fino a Dio nell’azione di grazie:

« Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere » (Ts 1, »)

« Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera » (Fil 1,3)

« Io rendo grazie a Dio che io servo con coscienza pura come i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; » (2Tim 1,3)

Certo l’uso ebraico, al quale Paolo si conforma, vorrebbe che ogni inizio di lettera comprenda una azione di grazie; ma per Paolo ringraziare Dio è ben altra cosa che un’abitudine di scrivano credente: è (invece) uno dei bisogni profondi della sua preghiera. È per questo che molte delle sue azioni di grazie si trovano nel pieno corpo delle lettere e, talvolta, sotto forma di esclamazione:

« Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo » (Rm 7,25)

« (si renda) Grazie a Dio per questo suo ineffabile dono! » (2Cor 9,15)

- L’azione di grazie di Paolo ha per oggetto tutta l’azione santificante del Padre nella comunità o nella vita di ogni battezzato.

Tutto è cominciato per una misteriosa scelta di Dio: « Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia (nella BJ testo originale francese e nel passo riportato dal professore c’è: vi ha scelto dal principio ) , attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità. » (2Ts 2,13); « 12. ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. 13. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto (de son amour) » (Col 1,12ss).

È il « dono ineffabile » (2Cor 9,15), questa « grazia di Dio donata in Cristo Gesù (1Cor 1,4) di cui sono stati arricchiti tutti i convertiti. Nella testimonianza di un uomo i credenti hanno udito (compreso) il messaggio di Dio e questo anche, per Paolo, è soggetto dell’azione di grazie: « 13a. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente perché (13a non c’è nel testo del professore) 13b. avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione l’avete accolta non quale parola di uomini, ma come è veramente quale parola di Dio » (1Tess 2,13); « ma avete obbedito di cuore a quell’insegnamento che vi è stato trasmesso (Rm 6, 17b).

La vostra fede infatti cresce rigogliosamente (cfr. 2Tess 1,3); in Cristo, i credenti (sono) « … stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza » ; « 6. la testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, 7a. che nessun dono di grazia più vi manca (il professore non ha messo il v. 7a), mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo » (1Cor 1,5ss), e « …a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo… » (Fil 1,4). Paolo conserva i ricordi della loro fede attiva, della loro carità operosa, e della loro costante (perseverante) speranza (1Tess 1,2; cfr. 2Cor 8,16; Col 1,3; Fil 4) e è da tutto questo che egli rende grazie a Dio: « Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio…? » (1Tess 3,9).

Tutto non è altrettanto utopico nelle comunità, ed è a questi stessi cristiani dei quali si loda la fede e la carità (Ef 1,15) che Paolo deve dare le istruzioni morali precise e spesso esigenti (Ef 4,1.14.17-32), ma le sue azioni di grazie così frequenti e così spontanee riflettono bene il suo ottimismo missionario e la sua capacità di meravigliarsi davanti all’opera di Dio. Tutto il dovere di evangelizzazione che incombe ai discepoli di Gesù si sviluppa per Paolo su un fondo di vittoria: « Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza della sua conoscenza per il mondo intero. ». (2 Cor 2,14)

La resurrezione di Cristo da a Paolo la sicurezza che il peccato e la morte sono definitivamente vinti, ed è questa certezza che deve suscitare la gioia e la riconoscenza presso tutti quelli che partecipano alla missione: « Siano rese grazie e Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana per il Signore. » (1Cor 15, 57-58).

- il ringraziamento di Paolo diviene contagioso: sono soltanto egli rende grazie, ma egli fa rendere grazie:

« Rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. » (Ef 5,20; cfr 5,4) (il professore ha utilizzato la traduzione della BJ originale che da: io ho controllato e mi sembra che il testo greco è meglio tradotto dalla CEI; si deve stimare, comunque, che la BJ è valutata come una delle traduzioni migliori.)

« …ma in tutte le necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti. » (Fil 4,6b)

Poiché i cristiani sono oramai ben fermi (radicati, direi) in Cristo e confermati nella fede, essi (in francese non c’è il gerundio: (Col 2,7) e (Col 4,2). Tutto nella esistenza dei cristiani deve riversarsi nell’azione di grazie; il nutrimento che essi ricevono (Rm 14,6;1Cor 10,30; 1Tm 4,3-5), la liberazione di un testimone di Gesù (2Cor 10). la generosità dei fratelli per una colletta: l’efficacia dell’aiuto reciproco non è sufficiente, la riconoscenza deve risalire fino a Dio: « 11. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale poi, farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro. 12. Perché l’adempimento di questo servizio sacro non provvede solo alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti ringraziamenti a Dio. » (2Cor 9, 11-12).

Indubbiamente, il lavoro apostolico stesso, sotto tutte le forme, è ordinato all’azione di grazie. Se Paolo e i suoi compagni: <…1. investiti di questo ministero per la misericordia che ci (gli) è stata usata, non (si perdono) ci perdiamo d'animo> e <10. portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù> questo è in definitiva <…15. perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio> (2Cor 4, 1.10.15.)

Così in questi primi anni di espansione, quando la Chiesa di Cristo raggruppava solo qualche decina di comunità e viveva nella insicurezza continua, senza infrastrutture, senza riconoscimento legale, senza altro potere che quello della verità, Paolo stimava che uno dei primi doveri di tutti i battezzati era di rivolgersi a Dio con riconoscenza, ed egli ricordava ovunque che Dio si aspettava dai suoi fedeli una attitudine risolutamente positiva e gioiosa: <16. Siate sempre lieti, 17. pregate incessantemente, 18. in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.> (1Ts 5, 16-18).

fine secondo post.

LA PREGHIERA PASTORALE IN SAN PAOLO, Père Jean Lévêque (traduzione) – n. 1

LA PREGHIERA PASTORALE IN SAN PAOLO

di Père Jean Lévêque

il testo è abbastanza lungo: sono circa 14 pagine « A4″, la traduzione è mia,  penso che farò 4 post, pubblico mano a mano poi rivedo tutto, non elaboro troppo il testo, lo lascio il più possibile così come l’ha scritto il professore; per le citazioni dalla Bibbia utilizzo la versione CEI; per rileggere il testo francese della Bibbia utilizzo la: « Bible de Jerusalem » originale; per qualche confronto (quei pochi che sono in grado di fare) con il testo greco utilizzo: Nestle-Aland, Novum Testamentum  Graece et Latine, che, comunque, devo traslitterare;

http://perso.jean-leveque.mageos.com/pri.paul.htm

Riguardo i testi del Nuovo Testamento sulla preghiera, le lettere di Paolo meritano una attenzione tutta speciale, perché Paolo, il convertito, è il primo Pastore, nella Chiesa di Gesù, del quale noi abbiamo conservato le confidenze e gli insegnamenti.

È vero che le preghiere si trovano disseminate in tutte le Epistole, e questa dispersione rende malagevole il lavoro di sintesi. Inoltre tutte le lettere sono scritti di circostanza, che non riflettono che una parte delle preoccupazioni e delle speranze d’un uomo, e non si può pretendere di trovare nella corrispondenza di Paolo tutti gli aspetti e tutte le particolarità del suo insegnamento pastorale sulla preghiera. Ma per fortuna Paolo, molto spontaneo di carattere, ci offre volentieri i suoi ricordi e le sua esperienza, e i passaggi dove prega o parla della preghiera sono sufficientemente numerosi e molteplici per permette dei raggruppamenti assai convincenti.

Uno dei fatti il più impressionanti che appaiono all’evidenza di chi percorre le epistole di Paolo è che è impossibile separare, presso di lui (nei suoi scritti), la preghiera dalla vita in Gesù Cristo e l’attività missionaria (ossia la preghiera dalla vita che in Paolo è missionaria). Questa osmosi intensa della vita e della preghiera è l’oggetto della prima parte.

I. L’OSMOSI DELLA VITA E DELLA PREGHIERA

Presso San Paolo la preghiera e la missione non fanno che tutt’uno, e prima di rivelare le grandi scostanti della sua vita di preghiera, è, forse, interessante domandarci quali sono le ragioni di questa armonia tra la vita profonda e la testimonianza dell’Apostolo. Senza voler tracciare un ritratto spirituale completo di Paolo, noi conserviamo quattro tratti, quelli che più caratterizzano la sua fisionomia di pastore.

1. Paolo si è donato irrevocabilmente

Dio, per lui, è sempre un « Qualcuno », il grande presente e il grande vivente, e Paolo non gli ha mai riposto a metà. L’avvenimento sul cammino di Damasco ha molto meno inaugurato una conversione di Paolo che orientato di nuovo (e definitivamente) tutte le sue forze vive verso la testimonianza da rendere a Gesù risuscitato.

Ma questo incontro con Cristo ha creato in lui una novità radicale, e oramai Paolo non vive più per se stesso. Egli non cerca più né felicità, né successo, né potere, né la realizzazione di se stesso fuori di Cristo: « Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. » (Gal 2,20b) « Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare in me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani… » (Gal 1,15-16a); e dal qual giorno Paolo non ha più altro progetto che co-rispondere con il progetto di Dio, il « mistero » per lungo tempo velato e, ora, svelato. Paolo è stato preso da Gesù Cristo e ora, dice: « mi sforzo di correre per conquistarlo » (Fil 3,12). Per lui vivere è Cristo (cfr Fil 1,21); egli vive, certo, ma nella stessa misura con la quale che Cristo vive in lui (cfr. 2,20b): « Se noi viviamo – scrive – viviamo per il Signore (cfr. Rm 14,8).

Sicuro della chiamata di Dio, cosciente di essere, ogni giorno, inviato, Paolo si affretta « perché il tempo si è fatto breve » (1Cor 7,29); il tempo ha « ripiegato le vele » (non conosco il termine esatto) come una nave, un veliero, quando il porto è in vista, e, con tutta l’umanità tutte le « nazioni » che Paolo vorrebbe sbarcare nel porto di Dio: « Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! » (1Cor 9,16)

Non c’è dunque più spazio, nella vita di Paolo,, per una vita parallela a quella dell’evangelizzare (dell’ essere pastore), per dei momenti neutri, staccati dalla missione. Sempre, ovunque, e in tutti i momenti, fino alla impotenza della prigione, Paolo è un ambasciatore per il Cristo (2Cor 5,20; Ef 6,20).

2. Ma se Paolo può identificarsi così con la sua missione, è che lui stesso, una volte per tutte, ha identificato la sua missione a quella di Cristo Servitore di Dio

fermiamoci un momento su questo secondo aspetto.

Come Gesù nella sua prima omelia nella Sinagoga di Nazareth (Lc 4,17-21) Paolo ha visto la sua missione prefigurata in quella del Servo di JHWH chiamato da Dio « al tempo favorevole per essere alleanza delle nazioni » e portare la salvezza alle estremità della terra (cfr. Is 49,6.8; 2Cor 6,1-2; At 13,47; Lc 2.32). Abitato (dentro di se) da questo disegno universale, Paolo ha davanti ai suoi occhi le sofferenze paradossali attraverso le quali il Servo Gesù a compiuto l’opera di salvezza. A questo ricordo, l’amore di Cristo lo spinge (2Cor 5,14), nello stesso tempo l’amore che Cristo a mostrato e l’amore che Paolo vuole donare a Cristo. Questo amore lo « tiene alle strette », lo stringe senza lasciargli riposo, un pensiero si sofferma nello spirito dell’Apostolo: il Cristo è morto per tutti, dunque il vivente, tutti i viventi, non devono più vivere per se stessi, ma per Lui, che è morto e risuscitato per loro. E lui stesso, Paolo, attraverso la sua azione missionaria e pastorale, vuole penetrare a fondo in questo mistero di Gesù Servo, conoscerlo, Lui, con la potenza della sua risurrezione e la comunione alle sue sofferenze (Fil 3,9-11). Dato che la vita opera nei cristiani, egli accetta che la morte operi in lui stesso (2Cor 4,12). Oramai, crocifisso con Cristo (Gal 2,20), quello che manca alle afflizioni di Cristo, egli le completa nella sua carne, nella sua vita d’uomo limitato e fragile, in favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24).

Ugualmente, l’eventualità della morte, è inserita in questa prospettiva missionaria. Paolo non teme la morte, perché egli sa che deve divenire conforme a Cristo anche nella morte alfine di arrivare alla resurrezione (Fil 3,10, il passo di filippesi è così: E questo perché io possa conoscer lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte; in questo senso la morte è un guadagno « andarsene (essere sciolto da corpo in Fil) (Fil 1,21.23). L’importante ai suoi occhi è che il Cristo sia esaltato nel suo corpo d’apostolo, sia nella vita, sia nella morte (Fil 1,20); il fine è che l’esistenza dei convertiti divenga un sacrificio che Dio gradirà. Allora Paolo non avrà corso invano, né sofferto invano: « Se anche il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi » (Fil 2,17)

3. Questo ministero della nuova alleanza, questa diaconia della riconciliazione, che è il suo orgoglio, questo tesoro del Vangelo a lui affidato da Cristo, Paolo sa che egli lo porta in un vaso di creta; e questa umiltà di fronte alla missione e di fronte a Dio che lo invia è una costante della spiritualità pastorale di Paolo.

Paolo si considera come il più piccolo degli apostoli, nato alla fede cristiana come un aborto (« un peu en catastrophe » scrive il professore, a me viene da tradurre: nato come un aborto, un po’ come una disgrazia, ma non sono sicura), anche se egli lavora più di tutti (1Cor 15,10), anche se egli è stato, con Barnaba e tutto il gruppo di Antiochia, l’iniziatore de la missione presso i gentili, anche se ha udito nella sua preghiera delle parole indicibile che non è lecito ad alcuno pronunziare (2Cor 12,4), egli è cosciente in modo doloroso delle sue debolezze, e mantiene nella sua vita personale una disciplina d’atleta, « anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato. » (1Cor 9,27)
Paolo non vuole altro titolo di gloria che la Croce di Gesù Cristo (Gal 6,14). Tutto quello che resta, tutte le ragioni che avrebbe per appoggiare la sua fiducia in se stesso, tutto questo non è che spazzatura (Fil 3,8). Tuttavia questa diffidenza di Paolo per una vanagloria e una fama troppo facili non è dettata né da disfattismo, né a causa di un disprezzo sistematico della sua opera di testimone, la sua umiltà resta gioiosa: è il suo modo di riconciliarsi con i suoi limiti e con le sue insicurezze; Paolo mette il suo orgoglio nella debolezza (2Cor 12,8), perché dimori in lui la potenza di cristo (v. 9).

4. Un ultima riflessione che è bene rimarcare, per meglio rendere conto della preghiera missionaria di Paolo, è la sua fiducia inalterabile nella potenza di Dio, di Cristo, o dello Spirito.

È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo (2Cor 5,19), e ora, ancora, egli è all’opera; Dio non è soltanto spettatore, ma attore nella storia degli uomini; Dio ha un progetto, e Dio riuscirà. Tali sono le certezze che su cui poggia l’ottimismo missionario di Paolo. Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa?…Ma in tute queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita…né presente, né avvenire…(niente) potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rm 8,31ss; 37ss)

Ugualmente è la certezza della vittoria di Gesù che è la fonte della grandezza dell’anima di Paolo. Certo, egli ha le sue idee, egli ama i suoi metodi, egli ha orrore che si costruisca in argilla (torchis, materiale da costruzione fatto di argilla, paglia, fibre vegetali, un materiale debole, credo) (vedere 1Cor 3, 12-13) la dove egli ha posto delle solide fondamenta, ma egli rifiuterà sempre che lo si opponga a gli altri missionari come un eroe o un maestro di scuola. Anche le piccolezze e i tradimenti non arrivano a turbarlo a lungo « quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiunger dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene (Fil 1,17ss).

Alla fine, Paolo ne è convinto, solo la potenza dello Spirito può muovere le nazioni all’obbedienza della fede, solo essa (potenza/Spirito Santo) può fare abbondare la speranza (Rm 15, 13.16) ed è lo stesso Spirito che ha già santificato l’offerta dei popoli.

Ma se lo Spirito di Gesù collabora così attivamente al lavoro missionario, è ancora più vero dire testimone di Gesù nella testimonianza dello Spirito; e è per questo, agli occhi di Paolo, il servizio del Vangelo costituisce già una prestazione sacra, una « liturgia » della Parola (Rm 15,16).

Così è la presenza vivente dello Spirito di Gesù che unifica nella vita di Paolo la testimonianza e la preghiera. Ora noi vedremo, in questa parte come vive e reagisce Paolo, testimone di Gesù, ora a noi non resta che ascoltarlo pregare (comprenderlo nella preghiera)

II.  LE DOSSOLOGIE 

La preghiera di Paolo si spiega innanzitutto su l’asse dossologico, quella della lode pura. 

Questo traspare già dal modo sorprendente, nella maniera in cui Paolo parla di Dio. Se si raggruppano i diversi qualificativi che l’Apostolo unisce al nome di Dio si ottiene, non una fredda litania, ma una vera meditazione sul Padre e sul suo atteggiamento verso l’uomo.. Il Dio di Paolo est, quindi, secondo i testi: 

il Creatore (Rm 1,26), 

il Dio beato (1Tm 1,11), 

il Dio vivente e vero (1Tess 1,9), 

il Padre della gloria (Ef 1,17), 

il Dio fedele (1Cor 10,13) che non fa preferenze di persone, 

il Dio della pace (Rm 15,33; 16,20; cfr 1Tess 5,25), (Gal 2,6), 

il Dio dell’amore e della pace (2Cor 13,11), 

il Dio della speranza (Rm 15,3),  il Dio della perseveranza e della consolazione (Rm 15,5), 

e, nelle Lettere Pastorali, Dio nostro salvatore (1Tm 1,1; 2,3; 4,1; Tt 1,3; 2,10; 3,4). 

Tuttavia è necessaria a Paolo tutta una frase per fissare una fisionomia nuova dell’essere e dell’agire di Dio, e ognuna di queste frasi est il condensato di una preghiera. Dio è: 

Colui che dona la vita a tutte le cose (1Tm 6,13), 

Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento (2Cor 9,10), 

il Re dei secoli, il Dio immortale, invisibile ed unico (1Tm 1,17, sulla Bibbia CEI invece di immortale c’è incorruttibile, sulla Bibbia di Gerusalemme, originale francese ugualmente: « incorruptible », ma in greco trovo « aionon » che dovrebbe significare eterno), 

il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione  (2Cor 1,3), 

Dio nostro Padre che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza (2 Tess 2,16), 

Dio che da vita ai morti e che chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono (Rm 4,17) 

Le Lettere di Paolo sono così disseminate di brevi dossologie che l’Apostolo ama concluderle con l’Amen ebraico tradizionale, soprattutto quando « benedetto » e « gloria » si presentano in fine di frase: 

Rm 1,25 …(i pagani)…hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è  benedetto nei secoli. Amen! 

Gal 1,5  …secondo la volontà di Dio e Padre nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.  Un Amen simile accompagna qualche volta dei brevi auguri che Paolo indirizza ai « suoi » cristiani:  « Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen » (Rm 15,33) 

Paolo ama ugualmente concludere uno sviluppo dottrinale importante con una dossologia solenne: 

Così, nella Lettera si Romani, i capitoli appassionati che Paolo consacra al rigetto di Israele e alla sua conversione finale (Rm 9-11) finiscono con una sorta  di inno alla sapienza divina, ispirata in parte ad Isaia 40, 10-13 e Giobbe 41, 3:

« 33. O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi  e inaccessibili le sue vie! 34. Infatti chi ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? 35. O chi gli ha dato qualcosa per primo? si che abbia a riceverne il contraccambio? (cfr. Is 40, 13,28)  Perché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

A questa lunga dossologia fa pendant quella che chiude l’Epistola in 16,25-27. Essa è indirizzata a Dio « solo saggio » che porta il suo « mistero (il suo piano d’amore) alla conoscenza di tutte le nazioni.

fine primo post;

dal CCC: stralcio sulla preghiera cristiana

stralcio alcuni capitoli dal Catechismo della Chiesa Cattolica, si tratta di quelli riguardanti la preghiera, il CCC presenta le varie forme di preghiera, si vede chiaramente quanto attinge, in questa autorevole lettura, dall’apostolo Paolo, come ho detto in altro post, il tema della preghiera in San Paolo è particolarmente difficile da estrapolare dai suoi scritti, mano a mano che studio anche io, presento alcune fonti dalle quali si può cominciare a comprendere la preghiera in San Paolo;

DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

PARTE QUARTA LA PREGHIERA CRISTIANA

SEZIONE PRIMA
LA PREGHIERA NELLA VITA CRISTIANA

CAPITOLO PRIMO
LA RIVELAZIONE DELLA PREGHIERA

articolo 3:

Nel tempo della Chiesa

I. La benedizione e l’adorazione

2626 La benedizione esprime il moto di fondo della preghiera cristiana: essa è incontro di Dio e dell’uomo; in essa il dono di Dio e l’accoglienza dell’uomo si richiamano e si congiungono. La preghiera di benedizione è la risposta dell’uomo ai doni di Dio: poiché Dio benedice, il cuore dell’uomo può rispondere benedicendo colui che è la sorgente di ogni benedizione.

2627 Due forme fondamentali esprimono questo moto: talvolta la benedizione si eleva, portata, nello Spirito Santo, da Cristo verso il Padre (lo benediciamo per averci benedetti); 104 talvolta implora la grazia dello Spirito Santo che, per mezzo di Cristo, discende dal Padre (lui che ci benedice). 105

2628 L’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore. Essa esalta la grandezza del Signore che ci ha creati 106 e l’onnipotenza del Salvatore che ci libera dal male. È la prosternazione dello spirito davanti al « re della gloria » 107 e il silenzio rispettoso al cospetto del Dio « sempre più grande di noi ». 108 L’adorazione del Dio tre volte Santo e sommamente amabile ci colma di umiltà e dà sicurezza alle nostre suppliche. 

II. La preghiera di domanda

2629 Il vocabolario della supplica è ricco di sfumature nel Nuovo Testamento: domandare, implorare, chiedere con insistenza, invocare, impetrare, gridare e perfino « lottare nella preghiera ». 109 Ma la sua forma più abituale, perché la più spontanea, è la domanda: proprio con la preghiera di domanda noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio: in quanto creature, non siamo noi il nostro principio, né siamo padroni delle avversità, né siamo il nostro ultimo fine; anzi, per di più, essendo peccatori, noi, come cristiani, sappiamo che ci allontaniamo dal Padre. La domanda è già un ritorno a lui.2630 Il Nuovo Testamento non contiene preghiere di lamentazione, frequenti invece nell’Antico Testamento. Ormai, in Cristo risorto, la domanda della Chiesa è sostenuta dalla speranza, quantunque siamo ancora nell’attesa e dobbiamo convertirci ogni giorno. Scaturisce da ben altra profondità la domanda cristiana, quella che san Paolo chiama il gemito: quello della creazione « nelle doglie del parto » (Rm 8,22); ma anche il nostro, nell’attesa della « redenzione del nostro corpo; poiché nella speranza noi siamo stati salvati » (Rm 8,23-24); infine i gemiti inesprimibili dello stesso Spirito Santo, il quale « viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare » (Rm 8,26).2631 La domanda del perdono è il primo moto della preghiera di domanda (cf il pubblicano: « O Dio, abbi pietà di me peccatore », Lc 18,13). Essa è preliminare ad una preghiera giusta e pura. L’umiltà confidente ci pone nella luce della comunione con il Padre e il Figlio suo Gesù Cristo, e gli uni con gli altri: 110 allora « qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui » (1 Gv 3,22). La domanda del perdono è l’atto preliminare della liturgia eucaristica, come anche della preghiera personale.2632 La domanda cristiana è imperniata sul desiderio e sulla ricerca del Regno che viene, conformemente all’insegnamento di Gesù. 111 Nelle domande esiste una gerarchia: prima di tutto si chiede il Regno, poi ciò che è necessario per accoglierlo e per cooperare al suo avvento. Tale cooperazione alla missione di Cristo e dello Spirito Santo, che ora è la missione della Chiesa, è l’oggetto della preghiera della comunità apostolica. 112 È la preghiera di Paolo, l’Apostolo per eccellenza, che ci manifesta come la sollecitudine divina per tutte le Chiese debba animare la preghiera cristiana. 113 Mediante la preghiera ogni battezzato opera per l’avvento del Regno.2633 Quando si condivide in questo modo l’amore salvifico di Dio, si comprende come ogni necessità possa diventare oggetto di domanda. Cristo, che tutto ha assunto al fine di tutto redimere, è glorificato dalle domande che noi rivolgiamo al Padre nel suo nome. 114 È in forza di questa certezza che Giacomo 115 e Paolo ci esortano a pregare in ogni circostanza. 116

III. La preghiera di intercessione

2634 L’intercessione è una preghiera di domanda che ci conforma da vicino alla preghiera di Gesù. È lui l’unico intercessore presso il Padre in favore di tutti gli uomini, particolarmente dei peccatori. 117 Egli « può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore » (Eb 7,25). Lo Spirito Santo stesso « intercede [...], poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio » (Rm 8,26-27).2635 Intercedere, chiedere in favore di un altro, dopo Abramo, è la prerogativa di un cuore in sintonia con la misericordia di Dio. Nel tempo della Chiesa, l’intercessione cristiana partecipa a quella di Cristo: è espressione della comunione dei santi. Nell’intercessione, colui che prega non cerca solo « il proprio interesse, ma anche quello degli altri » (Fil 2,4), fino a pregare per coloro che gli fanno del male. 118

2636 Le prime comunità cristiane hanno intensamente vissuto questa forma di condivisione. 119 L’Apostolo Paolo le rende così partecipi del suo ministero del Vangelo, 120 ma intercede anche per esse. 121 L’intercessione dei cristiani non conosce frontiere: « per tutti gli uomini, [...] per tutti quelli che stanno al potere » (1 Tm 2,1), per coloro che perseguitano, 122 per la salvezza di coloro che rifiutano il Vangelo. 123

IV. La preghiera di ringraziamento

2637 L’azione di grazie caratterizza la preghiera della Chiesa, la quale, celebrando l’Eucaristia, manifesta e diventa sempre più ciò che è. In realtà, nell’opera della salvezza, Cristo libera la creazione dal peccato e dalla morte, per consacrarla nuovamente e farla tornare al Padre, per la sua gloria. Il rendimento di grazie delle membra di Cristo partecipa a quello del loro Capo.2638 Come nella preghiera di domanda, ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento. Le lettere di san Paolo spesso cominciano e si concludono con un’azione di grazie e sempre vi è presente il Signore Gesù. « In ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi » (1 Ts 5,18). « Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie » (Col 4,2).V. La preghiera di lode

2639 La lode è la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio! Lo canta per se stesso, gli rende gloria perché EGLI È, a prescindere da ciò che fa. È una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella gloria. Per suo mezzo, lo Spirito si unisce al nostro spirito per testimoniare che siamo figli di Dio, 124 rende testimonianza al Figlio unigenito nel quale siamo adottati e per mezzo del quale glorifichiamo il Padre. La lode integra le altre forme di preghiera e le porta verso colui che ne è la sorgente e il termine: « un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui » (1 Cor 8,6).2640 San Luca annota spesso nel suo Vangelo l’ammirazione e la lode davanti alle meraviglie operate da Cristo; le sottolinea anche per le azioni dello Spirito Santo che sono negli Atti degli Apostoli: la vita della comunità di Gerusalemme, 125 la guarigione dello storpio operata da Pietro e Giovanni, 126 l’esultanza della folla che glorifica Dio per l’accaduto, 127 la gioia dei pagani di Pisidia che « si rallegravano e glorificavano la parola di Dio » (At 13,48).2641 « Siate ricolmi dello Spirito intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore » (Ef 5,19). 128 Come gli scrittori ispirati del Nuovo Testamento, le prime comunità cristiane rileggono il libro dei Salmi cantando in essi il mistero di Cristo. Nella novità dello Spirito, esse compongono anche inni e cantici ispirandosi all’evento inaudito che Dio ha realizzato nel Figlio suo: la sua incarnazione, la sua morte vincitrice della morte, la sua risurrezione, la sua ascensione alla propria destra. 129 È da questa « meraviglia » di tutta l’Economia della salvezza che sale la dossologia, la lode di Dio. 130

2642 La rivelazione delle « cose che devono presto accadere », l’Apocalisse, poggia sui cantici della liturgia celeste, 131 ma anche sull’intercessione dei « testimoni » (martiri). 132 I profeti e i santi, tutti coloro che furono uccisi sulla terra per la testimonianza da loro data a Gesù, 133 l’immensa folla di coloro che, venuti dalla grande tribolazione, ci hanno preceduto nel Regno, cantano la lode di gloria di colui che siede sul trono e dell’Agnello. 134 In comunione con loro, anche la Chiesa terrestre canta questi cantici, nella fede e nella prova. La fede, nella domanda e nell’intercessione, spera contro ogni speranza e rende grazie al Padre della luce, dal quale discende ogni dono perfetto. 135 La fede è così una pura lode.2643 L’Eucaristia contiene ed esprime tutte le forme di preghiera: è « l’oblazione pura » di tutto il corpo di Cristo a gloria del suo nome. 136 Secondo le tradizioni d’Oriente e d’Occidente, essa è « il sacrificio di lode ».

(109) Cf Rm 15,30; Col 4,12.

(110) Cf 1 Gv 1,7–2,2.

(111) Cf Mt 6,10.33; Lc 11,2.13.

(112) Cf At 6,6; 13,3.

(113) Cf Rm 10,1; Ef 1,16-23; Fil 1,9-11; Col 1,3-6; 4,3-4.12.

(114) Cf Gv 14,13.

(115) Cf Gc 1,5-8.

(116) Cf Ef 5,20; Fil 4,6-7; Col 3,16-17; 1 Ts 5,17-18.

(117) Cf Rm 8,34; 1 Gv 2,1; 1 Tm 2,5-8.

(118) Cf santo Stefano che prega per i suoi uccisori come Gesù: cf At 7,60; Lc 23,28.34.

(119) Cf At 12,5; 20,36; 21,5; 2 Cor 9,14.

(120) Cf Ef 6,18-20; Col 4,3-4; 1 Ts 5,25.

(121) Cf 2 Ts 1,11; Col 1,3; Fil 1,3-4.

(122) Cf Rm 12,14.

(123) Cf Rm 10,1.

(124) Cf Rm 8,16.

(125) Cf At 2,47.

(126) Cf At 3,9.

(127) Cf At 4,21.

(128) Cf Col 3,16.

(129) Cf Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 5,14; 1 Tm 3,16; 6,15-16; 2 Tm 2,11-13.

(130) Cf Ef 1,3-14; 3,20-21; Rm 16,25-27; Gd 24-25.

(131) Cf Ap 4,8-11; 5,9-14; 7,10-12.

(132) Cf Ap 6,10.

(133) Cf Ap 18,24.

(134) Cf Ap 19,1-8.

(135) Cf Gc 1,17.

riguardo la preghiera in San Paolo

 COME HO SCRITTO NELLA CORNICE « PREGHIERA » STO TRADUCENDO QUESTO TESTO, TRADUCO TUTTO, FRA QUALCHE GIORNO QUESTO POST LO TOLGO 

riguardo la preghiera in San Paolo sto cercando di studiare meglio tutto prima di elaborare una proposta di lettura, ho trovato, su un sito francese, una bella presentazione della « preghiera pastorale di San Paolo » vorrei tradurla, ma per non fare una scortesia ho scritto al professore, Jean Lévêque, per chiedergli il permesso, dovrebbe essere a Parigi, ma non sono sicura di avere trovato la mail giusta, se risponde, e positivamente, traduco tutto altrimenti faccio una sintesi; è interessante quello che scrive all’inizio del suo studio, traduco questo per il momento perché coglie la difficoltà di mettere insieme ed in ordine o catalogare per temi la preghiera in San Paolo, cosa che a me, infatti fa un po’ di difficoltà (se coglie la difficoltà lui figurarsi io!), il titolo è:

« La preghiera pastorale in San Paolo

http://perso.jean-leveque.mageos.com/pri.paul.htm

Riguardo i testi del Nuovo Testamento sulla preghiera, le lettere di Paolo meritano una attenzione tutta speciale, perché Paolo, il convertito, è il primo Pastore, nella Chiesa di Gesù, del quale noi abbiamo conservato le confidenze e gli insegnamenti.

È vero che le preghiere si trovano disseminate in tutte le Epistole, e questa dispersione rende malagevole il lavoro di sintesi. Inoltre tutte le lettere sono scritti di circostanza, che non riflettono che una parte delle preoccupazioni e delle speranze d’un uomo, e non si può pretendere di trovare nella corrispondenza di Paolo tutti gli aspetti e tutte le particolarità del suo insegnamento pastorale sulla preghiera. Ma per fortuna Paolo, molto spontaneo di carattere, ci offre volentieri i suoi ricordi e le sua esperienza, e i passaggi dove prega o parla della preghiera sono sufficientemente numerosi e molteplici per permette dei raggruppamenti assai convincenti.

Uno dei fatti il più impressionanti che appaiono all’evidenza di chi percorre le epistole di Paolo è che è impossibile separare, presso di lui (nei suoi scritti), la preghiera dalla vita in Gesù Cristo e l’attività missionaria (ossia la preghiera dalla vita che in Paolo è missionaria). Questa osmosi intensa della vita e della preghiera è l’oggetto della prima parte. »

qui io mi fermo e non traduco oltre, se il professore riceve la mail e mi risponde faccio come dice lui altrimenti traduco per conto mio e faccio una sintesi; come avete visto il professore mi ha risposto ed ho tradotto, c’è ancora qualche testo molto bello;

Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: San Paolo e l’ecumenismo – Prima Lettera ai Tessalonicesi

dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/weeks-prayer-doc/rc_pc_chrstuni_doc_20080117_fortino-ecumenismo_it.html

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

RIFLESSIONE DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO*

Prima lettera ai Tessalonicesi
San Paolo e l’ecumenismo

L’attualità dell’iniziativa di padre Paul Wattson e
i fondamenti teologici nel Concilio Vaticano II

« Ancora e ancora preghiamo il Signore ». Quest’invito del diacono, spesso ripetuto nel corso delle celebrazioni bizantine, sembra fare eco al tema scelto per la Settimana di preghiera per l’unità di quest’anno. A cento anni dall’inizio della prassi organizzata di una preghiera per l’unità dei cristiani, viene rivolto l’invito a « pregare continuamente », incessantemente, « senza interruzione » (1 Tessalonicesi 5, 17).

1. Il Decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo si chiude con l’affermazione che « questo santo proposito di riconciliare tutti i Cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane », e « perciò » il Concilio « ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa » (UR, 24). Quando il Decreto tratta l’esercizio dell’ecumenismo, chiede di situare le preghiere private e pubbliche in quel nucleo centrale che indica come « l’anima di tutto il movimento ecumenico », sottolineando che « queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità » (UR, 8). 2. In quest’anno 2008 ricorre il centenario dell’inizio della prassi di pregare regolarmente per l’unit

à dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society of the Atonement (Comunità dei frati e delle suore dell’Atonement) a Graymoor (Garrison, New York), che in seguito aderì alla Chiesa cattolica; la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma la Congregazione dei Frati francescani dell’Atonement è presente e impegnata nella promozione della ricerca dell’unità dei cristiani attraverso il « Centro Pro Unione ».

Proprio per commemorare questo avvenimento, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell’Atonement di Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero. Dal 1908 la prassi della preghiera per l’unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella diffusione nel mondo. La Settimana di preghiera per l’unit

à dei cristiani nel 2008 celebra il centenario dell’istituzione dell’Ottavario per l’unità della Chiesa. Questo titolo scelto da padre Wattson è stato trasformato in Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in seguito all’impostazione data dall’abbé Paul Couturier (1936). Il cambiamento di terminologia rispecchia lo sviluppo della storia della preghiera per l’unità. Per la Chiesa cattolica, il Decreto del Concilio Vaticano II ha dato un’impostazione teologicamente fondata ed ecumenicamente aperta tanto da rendere possibile un’ampia partecipazione degli altri cristiani alla preghiera comune. Dal 1968 si è instaurata una feconda collaborazione con il Consiglio ecumenico delle Chiese, elaborando e divulgando insieme i sussidi su un tema concordato, diverso di anno in anno.

In relazione a questo centenario, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Commissione ecumenica dei vescovi degli Stati Uniti di scegliere e di proporre un primo progetto per i sussidi dell’anno 2008. È stato scelto il tema « Pregate continuamente », indicando come testo base una breve pericope della Lettera di san Paolo ai primi cristiani di Tessalonica (1 Ts 5, 12a.13b-18), una delle più antiche lettere di Paolo. La prima comunità cristiana di Tessalonica era stata fondata da Paolo; in seguito egli aveva sentito che serie difficoltà, provenienti dall’esterno, ma anche da divisioni interne, agitavano quella comunità provocando divisioni e opposizioni. Informato, Paolo si indirizzò a quella comunità con due lettere. 3. Il breve ma denso testo biblico contiene una serie di consigli, esortazioni, ordini paterni emananti dall’amore che Paolo nutriva per questa comunit

à sorta dalla sua predicazione. Egli si rivolge ai Tessalonicesi con « Vi prego … vivete in pace tra voi » (1 Ts 5, 13b). I cristiani riconciliati in Cristo devono dare testimonianza della redenzione ricevuta e della comunione ristabilita con Dio. Il tema della riconciliazione e della pace tra i discepoli di Cristo è dominante nell’insegnamento di Paolo.

Anche ai primi cristiani di Efeso egli ricorda questo tema fondamentale e lo collega direttamente a quello della vocazione cristiana. « Vi scongiuro di tenere una condotta degna della vocazione a cui siete stati chiamati … studiandovi di conservare l’unità di spirito nel vincolo della pace » (Ef 4, 3). E ripresenta loro il fondamento teologico: « Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4, 5). La pace è un dono di Dio che i discepoli ricevono e che sono chiamati a tradurre nelle espressioni concrete della vita personale e comunitaria. 4. Nel corpo del testo scelto, Paolo d

à alcune « indicazioni per risolvere le tensioni » della comunità di Tessalonica, indicazioni che vengono proposte come utili anche per la situazione attuale dei cristiani per la ricerca della loro riconciliazione e della loro piena unità. La divisione, e spesso le contrapposizioni polemiche tra i cristiani nel nostro tempo, vanno risolte per mezzo del dialogo teologico, ma vi è un grande spazio di relazioni fraterne da istituire e realizzare per creare nuove condizioni di vita fraterna e pacifica.

Il brano si conclude con l’affermazione che « questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi », verso i discepoli: fare il bene reciprocamente, evitare le ritorsioni al male ricevuto, sostenere i deboli, esercitare la pazienza con tutti, vivere nella letizia, rendere grazie a Dio in ogni cosa. Il testo paolino dà altre indicazioni valide pure come metodo per l’ecumenismo e come apertura al futuro: « Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono » (1 Ts 5, 19). Quest’ultima indicazione favorisce un atteggiamento positivo verso il patrimonio delle altre Chiese e Comunità ecclesiali con cui si può avere uno scambio di beni per la crescita cristiana e quindi ecumenica comune. Un tale processo nella storia dell’ecumenismo recente è stato indicato come « dialogo della carità« , essenziale per ristabilire il clima di fraternità, necessario per una cooperazione di tutti verso l’unità. Paolo non presenta questo orientamento come semplice strumento utilitaristico di politica ecclesiastica, ma lo riconduce a Dio stesso. Questa è la volontà di Dio in Cristo verso l’insieme dei discepoli. In questa prospettiva Paolo auspica che « il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione » (1 Ts 5, 23). 5. Tra le indicazioni date da san Paolo vi

è il consiglio che è stato proposto come titolo del tema della preghiera per l’unità di quest’anno: « Pregate continuamente » (1 Ts 5, 17), pregate di continuo, « senza interruzione » (adialèiptos), « incessantemente », « senza intermissione », secondo altre traduzioni. In « ogni tempo e luogo », come richiede la preghiera delle ore nella Chiesa bizantina. Il paradossale consiglio di san Paolo – pregare senza interruzione – ha fatto molto riflettere gli uomini spirituali. I Racconti di un pellegrino russo hanno inizio proprio con questo problema: « Come è possibile pregare senza interruzione? ». Eppure il consiglio di san Paolo si riferisce a tutti i discepoli di Cristo. Il Comitato misto che ha proposto il tema applica il consiglio della preghiera ininterrotta anche alla promozione dell’unità di tutti i cristiani. La proposta della preghiera non è limitata ad « una » settimana, ma si estende all’intero anno.

In un’indicazione sull’uso dei sussidi, il Comitato misto, che ha preparato i testi, afferma: « Incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l’arco dell’anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le Chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso. Il testo viene proposto nella convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica ». Cento anni or sono ha avuto inizio la pratica della preghiera per l’unit

à. Quest’anno si celebra quell’inizio per una nuova sollecitazione. Si incoraggia a continuare la preghiera per l’unità e a farla « senza interruzione ». Il pellegrinaggio verso la piena unità ha bisogno assoluto del viatico della grazia di Dio da invocare ogni giorno. La piena unità è dono di Dio.

6. La prassi della preghiera per l’unità offre l’opportunità a tutti i battezzati di partecipare al movimento ecumenico e non si limita a coloro che vivono in contesti interconfessionali, ma a tutti coloro che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Nell’enciclica sull’ecumenismo (UUS, 22) il servo di Dio Giovanni Paolo II ha sottolineato l’importanza della preghiera comune e continua: « Sulla via ecumenica verso l’unità, il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso ».

* Sottosegretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

Saint Paul, homme de prière (San Paolo uomo di preghiera) francese

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dal sito: 

http://www.esprit-et-vie.com/article.php3?id_article=650

Claude TASSIN  Saint Paul, homme de prière 

P. Paul Bony 

Paris, Éd. de l’Atelier, coll. « Vivre, Croire, Célébrer, Recherches », 2003. –

Esprit et Vie n°94 – novembre 2003 – 2e quinzaine, p. 22-23. 

Le sous-titre, Originalité d’une prière d’Apôtre, dit bien l’angle d’approche spécifique de la prière paulinienne. Après tout, on pouvait s’y attendre, tellement la vocation apostolique de Paul est déterminante de son existence chrétienne. « Une conviction sous-tend les pages qui suivent : en lisant Paul, nous découvrons une prière apostolique spécifique, non point un supplément d’âme s’ajoutant à l’apostolat, mais une action qui fait partie intégrante du service de l’Évangile et, en cela, digne d’intérêt pour quiconque a aujourd’hui, d’une manière ou d’une autre, mission de servir la parole de Dieu » (p. 14). 

L’auteur procède par l’analyse de textes-clés, à partir desquels il élabore quelques propositions de synthèse sur la prière apostolique. Plutôt que de suivre les quatre chapitres de l’ouvrage – où alternent, dans un plan qui pourrait être plus cohérent : analyse de textes pauliniens, rappel de l’enracinement biblique et juif de la prière paulinienne, synthèses provisoires et nouvelle analyse de texte -, cherchons à rendre compte des points de vue majeurs qui traversent tout le livre. 

1. Une remarque préliminaire : Paul ne livre pas sa prière elle-même, mais ce qu’elle lui a permis de reconnaître de l’œuvre de Dieu à travers son ministère (d’où l’action de grâces) et ce qu’elle lui désigne maintenant comme progrès à attendre et favoriser dans l’existence des communautés qu’il a évangélisées (d’où la supplication). Paul ne nous livre pas sa prière en direct, cela reste le secret de son intimité avec Dieu, mais des comptes-rendus de sa prière : ce qu’il est profitable d’en communiquer à ses destinataires. Il ne dit pas : « Je te rends grâces, Dieu, pour l’Évangile qu’ils ont reçu » (je-tu-ils), mais : « Je rends grâces à Dieu pour l’Évangile que vous avez reçu » (je-lui-vous). C’est pourquoi le « compte-rendu » de prière tourne facilement à l’enseignement et anticipe en début de lettre, de manière allusive, ce qui en constituera les grandes préoccupations. 

2. En effet les deux pôles de la prière apostolique, action de grâces et supplication, sont enracinés dans les événements et les situations du ministère apostolique et des communautés. On peut le vérifier dans l’analyse de Ph 1 et de Rm 1 : dans un cas, la participation active des Philippiens à la grâce apostolique de Paul dès les débuts de l’Évangile ; dans l’autre, l’accueil de l’Évangile chez les Romains, parmi les nations, mais en communion avec la foi judéo-chrétienne des origines. La prière de l’Apôtre n’est pas une addition externe au ministère ; elle est « un acte de justice » qui fait droit à la reconnaissance de « la justice de Dieu », laquelle est à l’origine de l’Évangile et de sa fécondité spirituelle, bien plus qui en est la substance même, ce qui fait que la prière d’action de grâces est encore l’annonce de la grâce. La prière de l’Apôtre est aussi discernement et accueil de ce que Dieu veut continuer de faire dans les communautés comme dans le ministère apostolique. Elle maintient ministère et communauté sous l’horizon du Jour du Christ. Elle désenclave les réalisations présentes de leurs limites et entretient l’espérance. Ainsi l’action de grâces pour le passé et la supplication dans le présent espèrent déboucher sur la louange de Dieu lors de l’avenir eschatologique, lourd « de ce fruit de justice » que nous aurons porté par le Christ Jésus »

3. Dans la prière de l’Apôtre s’opère un acte de discernement qui relève de la dimension prophétique du ministère apostolique. Ce point de vue est fortement et judicieusement mis en valeur par Claude Tassin : « Disons que l’expérience de Paul fait de la prière un lieu de discernement prophétique de l’agir chrétien » (p. 14). En effet, Paul est conscient de la dimension prophétique de son apostolat : il est apôtre à la manière des prophètes. En annonçant l’Évangile, il discerne l’œuvre de Dieu dans l’histoire. En conséquence, il appelle à la conversion. Et comme les prophètes, il intercède pour le peuple dont il est chargé, afin qu’il parvienne à la plénitude du salut. Ce discernement prophétique, recherché dans la prière, est en premier lieu l’apanage de l’Apôtre, mais il est aussi partagé par l’ensemble des croyants, qui sont en mesure de s’exhorter et de s’entraîner mutuellement dans la fidélité à l’Évangile. De cette prière de la communauté, Paul souhaite bénéficier lui aussi pour le discernement et l’accomplissement de sa mission. L’intercession n’est pas à sens unique, elle est mutuelle, même si elle n’est pas symétrique. 

4. Ce que Jeremias disait de Jésus : « Jésus et ses disciples sont issus d’un peuple qui savait prier », est aussi vrai de Paul. Claude Tassin n’a pas de peine à relier les démarches de la prière apostolique non seulement à la responsabilité prophétique, mais plus largement aux grands axes de la prière biblique et juive, spécialement des Psaumes : louange, action de grâces, cris de détresse. C’est bien cela que Paul reprend, bien que ce ne soit pas dans le même ordre : on va de l’action de grâces à la louange en passant par la supplication pour traverser la crise qui va du salut pascal au salut final. Cette trajectoire est bien visible dans le compte-rendu de la prière en Ph 1, 3-11. Au passage, Claude Tassin remarque comment Jésus, dans la parabole du pharisien et du publicain, à la différence de l’inflation des « bénédictions » et de l’action de grâces dans les confréries pharisiennes, donne l’avantage à la prière de demande, parce qu’elle maintient l’orant dans l’humilité de l’accueil et dans l’ouverture au don futur de Dieu. Paul, en tout cas, ne s’arrête jamais à l’action de grâces, si « juste » lui paraît-elle et nécessaire, mais il y joint toujours la prière de demande qui interdit la satisfaction des gens arrivés.  5. Claude Tassin aborde en finale le texte bref mais significatif de Rm 8, 26-30 sur l’intercession de l’Esprit. Celle-ci concerne tous les croyants et pas seulement l’Apôtre. Mais ne livrerait-elle pas la clé de toute prière chrétienne à commencer par la prière apostolique ? En effet, l’intercession de l’Esprit ne vise rien d’autre que le discernement et l’accomplissement ultime de l’Évangile annoncé et reçu. N’est-ce pas justement cela même qui est l’objet de la prière apostolique, en ce qu’elle a de plus spécifique, à l’image de l’intercession prophétique ? Constatant la figure exceptionnelle de l’Esprit dans ce texte de Rm 8, comme « super-intercesseur », Claude Tassin en cherche justement l’explication et l’origine dans le rôle que joue l’Esprit, selon la tradition juive, chez les prophètes, pour discerner l’œuvre de Dieu et pour en rendre grâces – ce que Luc a repris dans son Évangile et dans les Actes (voir Zacharie, Syméon, la communauté primitive de Jérusalem). L’Esprit est à la fois celui qui permet de relire les événements présents à la lumière des Écritures, et celui qui est reçu de Dieu comme fruit de la prière, pour rendre les bénéficiaires à nouveau capables de l’annonce. Paul, quant à lui, intériorise fortement ce rôle de l’Esprit. Il n’est pas le destinataire de la prière, il en est l’inspirateur. Il est celui qui ajuste, qui « met au point » le désir des croyants, pour les conformer au dessein de Dieu : les configurer au Christ, les conduire ainsi à la gloire eschatologique. L’intercession de l’Esprit est la visée même de l’Esprit au cœur des enfants de Dieu. Elle est la seule intercession qui puisse correspondre à la vérité et à la profondeur de l’Évangile. 

Ce parcours paulinien met bien en valeur l’unité intérieure du ministère de l’Évangile et la prière de ceux qui le portent. Rien d’artificiel dans leur rapport, mais justesse et justice. Cela est important à redire aujourd’hui, à l’encontre de toute dichotomie entre vie spirituelle et vie apostolique. On pourrait seulement demander si cette dimension prophétique de la prière apostolique rend compte de toute la richesse spirituelle de la prière paulinienne. Mais l’auteur nous avait prévenus de son angle d’approche. On ne peut lui reprocher de ne pas avoir tout dit. Heureusement ! D’autant plus que ce qu’il dit est déjà d’une grande richesse. Sans minimiser la dimension contemplative inhérente à la relecture de l’œuvre de Dieu dans l’annonce de l’Évangile et dans la fondation des communautés, on peut se demander, quand on lit l’ouvrage d’Alan Segal, Paul le converti (qui fera l’objet d’une importante présentation dans un prochain numéro d’Esprit et Vie), s’il ne faudrait pas faire droit aussi à la dimension « apocalyptique » et « mystique » de la prière de l’Apôtre Paul. Même s’il ne veut pas faire état de son rapt au troisième ciel pour fonder l’authenticité de son apostolat et s’il se hâte de « crucifier » cette élévation par l’évocation de ses handicaps et de ses faiblesses, Paul laisse entrevoir qu’il a connu une vie de prière peu commune, dans laquelle vie en Christ et vie dans l’Esprit ont fait de lui l’émule des plus grands mystiques : le voile de Moïse est tombé. « Et nous tous qui, le visage découvert, réfléchissons comme en un miroir la gloire du Seigneur, nous sommes transformés en cette même image, allant de gloire en gloire, comme de par le Seigneur, qui est l’Esprit » (2 Co 3, 18). 

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