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PICCOLA STORIA DELLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DEL CARMINE

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PICCOLA STORIA DELLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DEL CARMINE

La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 d. C. un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia.
Si iniziò così un culto verso Maria, che divenne la ‘Stella Maris’ del popolo cristiano.
Verso la seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo che, proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme Sant’Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254.
Una conferma più solenne dell’importanza dell’Ordine veniva data nel 1273 con Concilio di Lione che aboliva tutte le nuove Congregazioni, facendo però rimanere in vita solo Domenicani, Francescani, Carmelitani e Agostiniani.
A questo punto giova ricordare due fatti prodigiosi.
Il 16 Luglio 1251 appariva la Vergine circondata da angeli e con il Bambino in braccio a San Simone Stock d’origine inglese, che da qualche anno reggeva le sorti dell’Ordine e, porgendogli lo Scapolare, gli diceva: “Prendi, o figlio dilettissimo, questo Scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita. Ecco un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza e di pace con voi in sempiterno. Chi morrà vestito di questo abito, non soffrirà il fuoco eterno.”
Queste parole della Madonna non ci dispensano dal vivere secondo la legge di Dio; ci promettono soltanto l’intercessione della Vergine per una santa morte.
Un secolo dopo l’apparizione a San Simone Stock, la Vergine del Carmine appariva al Pontefice Giovanni XXII e, dopo avergli raccomandato l’Ordine del Carmelo, gli prometteva di liberare i suoi confratelli dalle fiamme del Purgatorio il sabato successivo alla loro morte.
Questa seconda promessa della Vergine porta il nome di Privilegio Sabatino che ha origine dalla Bolla Sabatina dello stesso Pontefice Giovanni XXII e datata in Avignone il 3 marzo 1322.
Sua Santità Pio X con decreto della S. Congregazione del S. Ufficio del 16 dicembre 1910 concesse che lo Scapolare si potesse sostituire con una medaglia che portasse da una parte la effige del Sacro Cuore e dall’altra quella della Madonna (preferibilmente del Carmine).
Per usufruire della Grande Promessa (fatta a San Simone Stock), bisogna ricevere lo Scapolare da un sacerdote autorizzato, portarlo sempre addosso devotamente e iscriversi nei registri della Confraternita.
Per godere del Privilegio Sabatino bisogna inoltre osservare la castità del proprio stato e recitare alcune preghiere che il sacerdote determina nell’atto di consegnare lo Scapolare.
Lo Scapolare della Madonna del Carmine
« Lo scapolare è segno dell´amore materno, permanente e stabile, di Maria verso i fratelli e le sorelle carmelitani. Nel seguire la sua tradizione, soprattutto a partire dal secolo XVI, il Carmelo esprime la vicinanza amorosa di Maria al popolo di Dio mediante la devozione dello scapolare: segno di consacrazione a lei, veicolo dell´aggregazione dei fedeli all´Ordine, e mediazione popolare ed efficace di evangelizzazione. »
[Costituzioni Carmelitane, n. 27]
La sequenza Flos Carmeli è già presente, in forma incompleta nella prima Messa solenne alla Madonna del Carmine, precisamente nel messale di Londra scritto tra il 1387 e il 1393. Riassume i punti fondamentali della devozione mariana del Carmelo: Maria , fiore del Carmelo, viene chiamata Vergine e Madre singolare, e a Lei, Stella del mare (ricordiamo che il monte Carmelo, in Palestina si protende sul mare) i Carmelitani chiedono guida e soccorso nella tempeste della vita.

Flos Carmeli, vitis florigera / splendor coeli, Virgo puerpera / singularis.
Mater mitis, sed viri nescia / carmelitis esto propitia / stella maris.
Radix Iesse, germinans flosculum / hic adesse me tibi servulum / patiaris.
Inter spinas quae crescis lilium / serva puras mentes fragilium / tutelaris!
Armatura fortis pugnantium / furunt bella tende praesidium / scapularis.
Per incerta prudens consilium / per adversa iuge solatium / largiaris.
Mater dulcis, Carmeli domina / plebem tuam reple laetitia  / qua bearis.
Paradisi clavis et ianua / fac nos duci quo, Mater, gloria / coronaris. Amen

Fior del Carmelo, vite fiorita / splendore del cielo / tu solamente sei vergine e madre.
Madre mite, pura nel cuore / ai figli tuoi sii propizia / stella del mare.
Ceppo di Jesse, che produce il fiore / a noi concedi di rimanere / con te per sempre.
Giglio cresciuto tra alte spine / conserva pure le menti fragili / e dona aiuto.
Forte armatura dei combattenti / la guerra infuria, poni a difesa / lo scapolare.
Nell’incertezza dacci consiglio / nella sventura, dal cielo impetra / consolazione.
Madre e Signora del tuo Carmelo / di quella gioia che ti rapisce / sazia i cuori.
O chiave e porta del Paradiso / fa’ che giungiamo dove di gloria / sei coronata. Amen.

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 16 juillet, 2013 |Pas de commentaires »

VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA (31/05/2013)

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VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA (31/05/2013)

VANGELO: LC 1,39-56  

Nell’Antico Testamento, la visita di Dio era di vera salvezza, ma anche di severo giudizio sull’uomo peccatore. Dio visita Abramo e gli porta la lieta notizia del figlio che sarebbe nato a breve. Dio visita la città di Sodoma e annunzia per essa il castigo.

Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione (Gen 18,16-33).
Oggi la Beata Trinità, presente tutta in Maria, si reca a visitare la Elisabetta per recarle il conforto della santificazione del suo bambino ancora nel suo grembo. Il saluto di Maria inonda di Spirito Santo quella casa. Il suo canto di lode a Dio è rivelatore del giudizio di Dio sopra ogni uomo. Veramente il Signore è il Giudice Sovrano.
Noi tutti cristiani siamo adoratori di un falso Dio, un falso Cristo, un falso Spirito Santo. Adoriamo uno Spirito Santo fuori di noi e non in noi, come era nella Vergine Maria. Adoriamo un falso Cristo, perché Cristo non è concepito in noi come era concepito nella Vergine Maria. Adoriamo un falso Dio perché Lui non è il nostro Giudice così come viene cantato oggi dalla Vergine Maria. Noi adoriamo un Dio privato della sua eterna e divina verità. Adoriamo un Dio fatto e pensato dalla mente dell’uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci adoratori del vero Dio.

25 MARZO (2013: 8 aprile): ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

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25 MARZO (2013:  8 aprile): ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE                                     

Festa del Signore, l’Annunciazione inaugura l’evento in cui il figlio di Dio si fa carne per consumare il suo sacrificio redentivo in obbedienza al Padre e per essere il primo dei risorti.
La festa dell’Annunciazione del Signore ha un suo significato originale.
E’ in stretto rapporto con la festa di Natale.
E’ prima di tutto e sostanzialmente un avvenimento e come tale deve essere privilegiato su altre celebrazioni.
 La visita del Signore al suo popolo era stata pronunciata con insistenza; non v’era dubbio sulla sua venuta.
Restava un mistero il modo con cui il Signore sarebbe apparso. Qui si è manifestata la novità.
Non è passato fra gli uomini, ma si è fermato; non si è rivolto agli uomini dall’esterno, si è fatto umanità ed ha assunto tutto dall’interno.
Un Dio di uomini, che parla ed agisce nel cuore stesso dell’esperienza umana. Pur restando il tutt’altro, Dio si è fatto uomo e va perciò cercato nella realtà degli uomini.
La storia della salvezza è dominata e caratterizza da una scelta sconvolgente di Dio: l’incarnazione, per questo la solennità liturgica dell’Annunciazione del Signore è la chiave di lettura e di comprensione di tutto quello che viene dopo.
Maria è grande perché è stata associata, come nessun altro, al mistero del Dio delle misericordie e invitata alla gioia messianica come vera figlia di Sion, è oggetto del favore di Dio perché l’ha scelta da sempre ad essere madre del Verbo.
Il suo stesso essere è messo ‘in relazione con’ qualcun altro; essa è con tutta se stessa la ‘madre di Gesù’. Può diventare madre perché ‘ha trovato grazia presso Dio’. Nel delineare il volto interiore della Madonna, Dio non può fare altro che rivelare se stesso e il suo piano di grazia.
La grandezza della persona umana, assunta nel piano di Dio, sorpassa di gran lunga ogni nostra prospettiva. C’è una persona che è stata scelta e preparata per essere tabernacolo escatologico del Dio presente fra gli uomini, posta costantemente sotto l’ombra dell’Altissimo. Essa è stata chiamata alla collaborazione più alta, con tutto il suo essere. Il Verbo si è fatto carne quando ella, spinta dalla luce e dalla forza dello Spirito, si è offerta con piena disponibilità alla parola e al disegno di Dio.
Bisogna tenere sempre presente che i doni e le chiamate di Dio sono da sempre e per sempre ed è proprio della inesauribile mediazione di Cristo, suscitare altre mediazioni subordinate. Maria non oscura o diminuisce l’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia.
Si può infine sottolineare un aspetto di viva attualità.
L’irruzione di Dio sulla Vergine ha tutte le caratteristiche della chiamata profetica.
Dio sradica, nel corso della storia, persone e famiglie dalla loro esistenza ordinaria per farle protagoniste della storia della salvezza. Non c’è per costoro altra sicurezza che la parola di Dio, non c’è altro appoggio che quello della sua fedeltà.
L’avvenire è tutto carico di mistero; domanda una costante risposta di fede.
Maria non ha potuto prevedere quello che conteneva il mistero dell’annunciazione; si è trovata nelle condizioni di ragazza-madre; non ha compreso certi atteggiamenti e parole del Figlio; anch’essa ha avanzato nel cammino della fede ed ha conservato fedelmente la sua unione con il Figlio fino alla morte.
L’annunciazione e gli anni che l’hanno seguita sono stati l’esodo della figlia di Sion, l’esperienza della povertà senza progetti, la chiamata a vivere la radicalità di Dio, la famiglia di Nazareth non è ‘sacra’ perché immersa in una luce ed atmosfera ultraterrena, ma perché è autentica profezia. L’Annunciazione del Signore è quindi « festa congiunta di Cristo e della Vergine » come indicato nella Marialis cultus.
(Tratto dal Nuovo dizionario di Mariologia, Ed. Paoline 1986)
L’annuncio a Maria è anzitutto annuncio di Gesù: « Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù », la Sua grandezza sta nell’essere al servizio del mistero che viene così rivelato.
Il modo con cui Maria viene interpellata, il dialogo con l’angelo e la sua risposta, la situano, e a un titolo eccezionale, tra coloro che Dio chiama ad una missione specifica nell’ambito della storia della salvezza.
Maria apprende dall’angelo che ella ha « il favore di Dio », favore che è segno contemporaneamente di una qualità personale e di una scelta divina in vista di una missione.
La seconda parte del saluto contiene un tono precisamente vocazionale « il Signore è con te ». E’ così che Dio assicura la sua presenza a quelli che sceglie in vista di una missione speciale, promettendo loro di agire con essi a favore del suo popolo.
Maria è ‘turbata’ e chiede al messaggero di illuminarla sul ‘come’ della sua missione. La replica dell’angelo « Non temere, Maria » è la preparazione immediata dell’annuncio d’una missione: Maria partorirà un figlio e sarà lei ad imporgli il nome.
Si tratta di una vocazione ad una maternità tutta intera sotto il segno dello Spirito Santo e sarà la manifestazione della presenza attiva di Dio nel suo popolo.
La risposta di Maria significa la sua accettazione libera e totale della vocazione che le è stata rivelata.
(Tratto dal Piccolo dizionario mariano)

Dall’omelia di Giovanni Paolo II nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth
Nazareth, 25 marzo 2000)
«…Il disegno divino è rivelato gradualmente nell’Antico Testamento, in particolare nelle parole del profeta Isaia, che abbiamo appena ascoltato: « Pertanto il Signore stesso vi darà un segno.
Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele » (7, 14).
Emmanuele: Dio con noi. Con queste parole viene preannunciato l’evento unico che si sarebbe compiuto a Nazareth nella pienezza dei tempi, ed è questo evento che celebriamo oggi con gioia e felicità intense.
Il nostro pellegrinaggio giubilare è stato un viaggio nello spirito, iniziato sulle orme di Abramo, « nostro padre nella fede » (Canone Romano; cfr Rm 4, 11-12). Questo viaggio ci ha condotti oggi a Nazareth, dove incontriamo Maria, la più autentica figlia di Abramo.
È Maria, più di chiunque altro, che può insegnarci cosa significa vivere la fede di «nostro padre». Maria è in molti modi chiaramente diversa da Abramo; ma in maniera più profonda « l’amico di Dio » (cfr Is 41, 8) e la giovane donna di Nazareth sono molto simili. Entrambi ricevono una meravigliosa promessa da Dio. Abramo sarebbe diventato padre di un figlio, dal quale sarebbe nata una grande nazione. Maria sarebbe divenuta Madre di un Figlio che sarebbe stato il Messia, l’Unto del Signore. Dice Gabriele « Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce … il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre … e il suo regno non avrà fine » (Lc 1, 31-33). Sia per Abramo sia per Maria la promessa giunge del tutto inaspettata. Dio cambia il corso quotidiano della loro vita, sconvolgendone i ritmi consolidati e le normali aspettative. Sia ad Abramo sia a Maria la promessa appare impossibile. La moglie di Abramo, Sara, era sterile e Maria non è ancora sposata: « Come è possibile? », chiede all’angelo. « Non conosco uomo » (Lc 1, 34). Come ad Abramo, anche a Maria viene chiesto di rispondere «sì» a qualcosa che non è mai accaduto prima. Sara è la prima delle donne sterili della Bibbia che a concepire per potenza di Dio, proprio come Elisabetta sarà l’ultima. Gabriele parla di Elisabetta per rassicurare Maria: « Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio » (Lc 1, 36). Come Abramo, anche Maria deve camminare al buio, affidandosi a Colui che l’ha chiamata. Tuttavia, anche la sua domanda « come è possibile? » suggerisce che Maria è pronta a rispondere « sì », nonostante le paure e le incertezze. Maria non chiede se la promessa sia realizzabile, ma solo come si realizzerà. Non sorprende, pertanto, che infine pronunci il suo fiat: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1, 38). Con queste parole Maria si dimostra vera figlia di Abramo e diviene la Madre di Cristo e Madre di tutti i credenti. Per penetrare ancora più profondamente questo mistero, ritorniamo al momento del viaggio di Abramo quando ricevette la promessa. Fu quando accolse nella propria casa tre ospiti misteriosi (cfr Gn 18, 1-15) offrendo loro l’adorazione dovuta a Dio: tres vidit et unum adoravit. Quell’incontro misterioso prefigura l’Annunciazione, quando Maria viene potentemente trascinata nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Attraverso il fiat pronunciato da Maria a Nazareth, l’Incarnazione è diventata il meraviglioso compimento dell’incontro di Abramo con Dio. Seguendo le orme di Abramo, quindi, siamo giunti a Nazareth per cantare le lodi della donna « che reca nel mondo la luce ». A Nazareth, dove Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico, chiedo a Maria di aiutare la Chiesa ovunque a predicare la « buona novella » ai poveri, proprio come ha fatto Lui (cfr Lc 4, 18). In questo « anno di grazia del Signore », chiedo a Lei di insegnarci la via dell’umile e gioiosa obbedienza al Vangelo nel servizio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, senza preferenze e senza pregiudizi. « O Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare la mia preghiera, ma benigna ascoltami ed esaudiscimi. Amen »»

OMELIA PER LA SOLENNITÀ DI MARIA SS. MADRE DI DIO: DIO MANDO’ SUO FIGLIO, NATO DA DONNA… -

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/02-Natale-2012/Omelie/03-Maria-Madre-di-Dio-C-2013-BF.html

DIO MANDO’ SUO FIGLIO, NATO DA DONNA…

Il sentimento prevalente di questa giornata è quasi certamente quello del tempo. Un nuovo anno inizia. Anche Gesù è venuto quando il tempo era « pieno », ci spiega San Paolo:

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna,
nato sotto la legge,
per riscattare coloro che erano sotto la legge,
perché ricevessimo l’adozione a figli.

La pienezza del tempo è un’espressione magnifica. Significa il momento giusto, il tempo fissato da Dio, il « grande giorno ».
Se vogliamo incontrare Gesù, anche il nostro deve essere un tempo « pieno ». Non è facile però riempirlo.
Un romanzo termina con questa frase: « Non so neppure che cos’è la bontà. Sto con voi perché mi fa piacere. La vostra presenza mi rende ora lieto ora triste, qualche volta mi fa soffrire molto. Ma sempre mi tiene vivo, mi fa godere di più della gioia, rende più acuti i miei occhi e più sensibili le mie orecchie; la mia mente è più desta; e se mai occorresse, avrei più coraggio. Senza di voi, forse non soffrirei, ma vivrei di meno. E la vita è tutto quello che abbiamo ».
La vita è tutto quello che abbiamo!
L’anno è appena cominciato e già comincia a correre. Che fine fa il tempo che viviamo? Ma soprattutto a che serve? Il passato diventa così facilmente solo un’ombra o peggio un rimpianto.
Sulle lapidi del cimitero, tra la data di nascita e quella di morte c’è di solito un trattino di pochi centimetri. Quel trattino è la vita? Una vita ricca di amore, lavoro, preoccupazioni, gioie in pochi centimetri?
Le frasi più tristi dell’esistenza sono: « Avrebbe potuto andare diversamente », « Ah, se soltanto… », « Ah! se mia moglie non mi avesse lasciato! », « Ah! se non fossimo stati costretti a traslocare! ». Chi le pronuncia vive essenzialmente il proprio ambiente come un luogo ostile, che non gli consente di agire, di realizzare i propri ideali, le proprie scelte, di essere se stesso. Vive uno stato di frustrazione e di sofferenza perché l’ »Ah!, se … » dà l’idea che l’essere umano non possa scegliere né decidere alcunché. « Sono obbligato a… « , « Non ho altra scelta… ».
Dopo una conferenza, una signora testimoniò il contrario:
Mi hai chiesto se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ci ho pensato un po’ su.
Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato meno e ascoltato di più.
Non avrei rinunciato ad invitare a cena gli amici soltanto perché il mio tappeto aveva qualche macchia e la fodera del divano era stinta.
Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto buono e mi sarei preoccupata molto meno dello sporco prodotto dal caminetto acceso.
Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno, quando rievocava gli anni della sua giovinezza.
Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate, che i finestrini della macchina fossero alzati perché avevo appena fatto la messa in piega.
Non avrei lasciato che la candela a forma di rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sgabuzzino. L’avrei consumata io, a forza di accenderla.
Mi sarei stesa sul prato con i bambini senza badare alle macchie d’erba sui vestiti.
Avrei pianto e riso di meno guardando la televisione e di più osservando la vita.
Avrei condiviso maggiormente le responsabilità di mio marito.
Mi sarei messa a letto, quando stavo male, invece di andare febbricitante al lavoro quasi che, mancando io dall’ufficio, il mondo si sarebbe fermato.
Invece di non veder l’ora che finissero i nove mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la cosa stupenda che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo.
A mio figlio che mi baciava con trasporto non avrei detto: « Su, su, basta. Va’ a lavarti che la cena è pronta ».
Avrei detto più spesso: « Ti voglio bene » e meno spesso:  » Mi dispiace »… ma soprattutto, potendo ricominciare tutto daccapo, mi impadronirei di ogni minuto… lo guarderei fino a vederlo veramente… lo vivrei… e non lo restituirei mai più.

Le persone che vogliono riempire il tempo sono pronte a cogliere i segni dei cambiamenti e ad anticiparli in modo da non trovarsi spiazzate. Si collocano al comando della cabina di pilotaggio della vita, tengono conto delle caratteristiche dell’apparecchio, del bollettino meteorologico, della propria esperienza di pilota, degli obiettivi e anche della necessità, qualche volta, di modificare il piano di volo.
Questo tempo che ci è dato è l’unica occasione che abbiamo quaggiù. Non ce ne sarà data un’altra. Eppure lasciamo che tutto scorra tra gesti d’impazienza e tanta noia. Che cosa ci tiene così spesso in uno stato di torpore? Abitudini, attaccamenti, la vischiosità e il grigio del tutto uguale. Ci accorgiamo che la vita se ne andata e non abbiamo vissuto.
Grandi cose ci sfiorano, ci passano nell’anima come acqua sulle pietre.
Vivere in pienezza, significa avere il gusto di vivere, assaporarne la miracolosa bellezza. Vivere, non lasciarsi vivere.
Il vero guaio del nostro tempo è la velocità eccessiva che ha preso la vita. Così finiamo per vivere crocifissi tra due ladroni, come Gesù, il passato da una parte e il futuro dall’altra. Il presente è divorato dal nulla. Ma non si può vivere per niente. Non si può vivere di vuoto.
Non basta semplicemente vivere. Occorre precisare per che cosa si vive. Non basta guardare il calendario, 1′orologio. Bisogna dare un significato ai giorni, alle ore, ai minuti.
Non basta, come ha fatto osservare acutamente qualcuno, aggiungere anni alla vita. È necessario aggiungere vita agli anni. La vita corre veloce. Non si può sbrigare la vita come una faccenda di ordinaria amministrazione. È magnifico vivere. A patto sia veramente vita. Non una rappresentazione, un’apparenza, un funzionamento. Non si tratta di far passare il tempo. Si tratta di far passare il tempo nella vita.
All’inizio del nuovo anno, molta gente è curiosa di sapere in anticipo ciò che succederà nella propria vita e nel mondo. Si consultano, in proposito, i maghi più o meno famosi. Persino i giornali più contegnosi ospitano e azzardano previsioni per il futuro.
Probabilmente tutti prenderemo in mano un calendario. Dovremmo guardare i singoli foglietti o le pagine con un senso di venerazione. Renderci conto che a ognuno di quei foglietti sono appese diverse speranze.
Le speranze di Dio, prima di tutto. Ogni giornata che arriva e Dio che ci fa segno… Ogni nuova giornata è « segno » della speranza di Dio nei nostri confronti.
Ogni foglietto, ogni spazio bianco accanto al giorno, contiene, non un numero, ma una notizia:  » Ti informo che c’è un Dio che spera, che oggi attende qualcosa di buono da te… « 
Ma i fogli del calendario vanno letti anche come « segno » delle attese degli uomini. La nostra vocazione cristiana, non dobbiamo dimenticarlo, non è un fatto individuale, ma è « dono per la felicità di tutti ». Quindi tutti gli uomini hanno diritto di aspettarsi qualcosa da noi.
Il miglior augurio che possiamo formulare è che nel prossimo anno siamo in grado di comunicare a tutti una « buona notizia », come i pastori di Betlemme:

In quel tempo, i pastori andarono senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.

La buona notizia è questa: qualcuno sta cercando di prendere sul serio il Vangelo, qualcuno ha deciso di riempire il suo tempo con il messaggio di Gesù di Nazaret.
Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
« Frate portinaio », disse il contadino, « sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna? ».
« Forse all’abate o a qualche padre del convento ».
« No. A te! ».
« A me? ». Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. « Lo vuoi dare proprio a me? ».
« Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia ». La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un’idea: « Perché non porto questo grappolo all’abate per dare un po’ di gioia anche a lui? ».
Prese il grappolo e lo portò all’abate.
L’abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: « Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco ». Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro. Finché, di frate in frate, il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia). Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.
Non possiamo aspettare che inizi qualche altro. Tocca a ciascuno di noi, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare.

BRUNO FERRERO sdb

LA STORIA STRAORDINARIA DELLE APPARIZIONI E DELL’IMMAGINE MIRACOLOSA

http://www.tanogabo.it/religione/Guadalupe.htm

Nostra Signora di Guadalupe

 LA STORIA STRAORDINARIA DELLE APPARIZIONI E DELL’IMMAGINE MIRACOLOSA

Un giorno in cui contemplava una riproduzione dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, Papa Giovanni Paolo II fece questa confidenza:
«Mi sento attirato da quest’Immagine, perché il viso è pieno di tenerezza e di semplicità; mi chiama…».
Più tardi, il 6 maggio 1990, in occasione di un pellegrinaggio in Messico, il Santo Padre beatificava il messaggero di Nostra Signora, Juan Diego, e diceva:
«La Vergine ha scelto Juan Diego fra i più umili, per ricevere quella manifestazione affabile e benigna che fu l’apparizione di Nostra Signora di Guadalupe. Il suo viso materno sulla santa Immagine che ci lasciò in dono ne è un ricordo imperituro».
Nel secolo XVI, la Santa Vergine, piena di pietà per il popolo azteco che, vivendo nelle tenebre dell’idolatria, offriva agli idoli innumerevoli vittime umane, si è degnata di prendere in mano essa medesima l’evangelizzazione degli Indiani dell’America Centrale che erano anch’essi suoi figli.
Un dio degli Aztechi, cui era attribuita la fertilità, si era trasformato, con l’andar del tempo, in dio feroce.
Simbolo del sole, quel dio, in lotta permanente con la luna e le stelle, aveva bisogno – così si credeva – di sangue umano per restaurare le proprie forze, poiché, se fosse perito, la vita si sarebbe spenta.
Sembrava dunque indispensabile offrigli, in perpetuo sacrificio, sempre nuove vittime.

Un’aquila su un cactus
I sacerdoti aztechi avevano profetizzato che il loro popolo nomade si sarebbe insediato nel luogo in cui si fosse mostrata un’aquila che, appollaiata su un cactus, divorasse un serpente.
L’aquila figura sulla bandiera del Messico attuale. Giunti su un’isola palustre, in mezzo al lago Texcoco, gli Aztechi vedono compiersi il preannunciato presagio: un’aquila, appollaiata su un cactus, sta divorando un serpente; siamo nel 1369.
Fondano quindi lì la città di Tenochtitlán, che diventerà Città del Messico. Essa si sviluppa fino a diventare una vasta città su palafitte con numerosi giardini in cui abbondano fiori, frutti e verdure.
L’organizzazione progressiva del regno azteco fa di esso un impero gerarchizzato e molto strutturato.
Le conoscenze dei matematici, degli astronomi, filosofi, architetti, medici, artisti ed artigiani sono molto avanzate per l’epoca. Ma le leggi fisiche rimangono poco note.
La potenza e la prosperità di Tenochtitlán sono dovute soprattutto alla guerra. Le città conquistate devono pagare un tributo di derrate varie e di uomini per la guerra e per i sacrifici. I sacrifici umani e l’antropofagia degli Aztechi hanno pochi riscontri analoghi nel corso della storia.
Nel 1474, nasce un bambino cui vien dato il nome di Cuauhtlatoazin («aquila parlante»). Alla morte di suo padre, è lo zio che si incarica del piccolo. Fin dall’età di tre anni, gli si insegna, come a tutti i bambini aztechi, a partecipare ai lavori domestici ed a comportarsi dignitosamente. A scuola, impara il canto, la danza e soprattutto la religione con i suoi molteplici dèi. I sacerdoti hanno una grande influenza sulla popolazione, che mantengono in una sottomissione che va fino al terrore.
Cuauhtlatoazin ha tredici anni, quando si procede alla consacrazione del gran Tempio di Tenochtitlán. Nel corso di quattro giorni, i sacerdoti sacrificano al loro dio 80.000 vittime umane. Dopo il servizio militare, Cuauhtlatoazin si sposa con una ragazza della sua condizione. Insieme, conducono una modesta vita di agricoltori.
Nel 1519, lo spagnolo Cortés sbarca nel Messico, alla testa di più di 500 soldati. Conquista il paese per conto della Spagna, ma non senza zelo per l’evangelizzazione degli Aztechi; nel 1524, ottiene la venuta a Città del Messico di dodici Francescani. I missionari s’integrano facilmente nella popolazione; la loro bontà contrasta con la durezza dei sacerdoti aztechi e con quella di certi conquistatori. Si cominciano a costruire chiese. Tuttavia, gli Indiani si mostrano assai refrattari al Battesimo, soprattutto a causa della poligamia che dovrebbero abbandonare.
Cuauhtlatoazin e sua moglie sono fra i primi a ricevere il Battesimo, ed assumono rispettivamente i nomi di Juan Diego e Maria Lucia. Alla morte di quest’ultima, nel 1529, Juan Diego si ritira a Tolpetlac, a 14 km da Città del Messico, presso lo zio Juan Bernardino, diventato pure lui cristiano.
Il 9 dicembre 1531, come sempre il sabato, egli parte prestissimo la mattina per assistere alla Messa celebrata in onore della Santa Vergine, presso i Frati francescani, vicino a Città del Messico.
Passa ai piedi della collina di Tepeyac (vicino alla odierna Città del Messico, denominate di Guadalupe, vocabolo spagnolo derivato per semplice somiglianza di suono dalla parola azteca Cuatlaxupeh = colei che calpesta il serpente).
. Improvvisamente, sente un canto dolce e sonoro che gli sembra provenga da una gran moltitudine di uccelli. Alzando gli occhi verso la cima della collina, vede una nuvola bianca e sfavillante. Guarda intorno a sé e si chiede se non stia sognando. Improvvisamente il canto tace ed una voce di donna, dolce e delicata, lo chiama:
«Juanito! Juan Dieguito!»
S’inerpica rapidamente sulla collina e si trova davanti ad una giovane bellissima, le cui vesti brillano come il sole.

«Un tempio in cui manifesterò il mio amore»

Rivolgendosi a lui in nahuatl, la sua lingua materna, gli dice:
«Figlio mio, Juanito, dove vai? – Nobile Signora, mia Regina, vado a Messa a Città del Messico per apprendervi le cose divine che ci insegna il sacerdote. – Voglio che tu sappia con certezza, caro figlio, che io sono la perfetta e sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio da cui proviene ogni vita, il Signore di tutte le cose, Creatore del cielo e della terra. Ho un grandissimo desiderio: che si costruisca, in mio onore, un tempio in cui manifesterò il mio amore, la mia compassione e la mia protezione. Sono vostra madre, piena di pietà e d’amore per voi e per tutti coloro che mi amano, hanno fiducia in me e a me ricorrono. Ascolterò le loro lamentele e lenirò la loro afflizione e le loro sofferenze. Perché possa manifestare tutto il mio amore, va’ ora dal vescovo, a Città del Messico, e digli che ti mando da lui per fargli conoscere il grande desiderio che provo di veder costruire, qui, un tempio a me consacrato».
 Juan Diego si reca immediatamente al vescovado. Monsignor Zumárraga, religioso francescano, primo vescovo di Città del Messico, è un uomo pio e pieno di zelo il cui cuore trabocca di bontà per gli Indiani; ascolta attentamente il pover’uomo, ma, temendo un’illusione, non gli dà credito. Verso sera, Juan Diego prende la via del ritorno. In cima alla collina di Tepeyac, ha la felice sorpresa di ritrovare l’Apparizione; rende conto della sua missione, poi aggiunge:
«Vi supplico di affidare il vostro messaggio a qualcuno più noto e rispettato, affinché possa essere creduto. Io sono solo un modesto Indiano che avete mandato da una persona altolocata in qualità di messaggero. Perciò non sono stato creduto ed ho potuto soltanto causarvi una gran delusione. – Figlio carissimo, risponde la Signora, devi capire che vi sono persone molto più nobili cui avrei potuto affidare il mio messaggio, e tuttavia è grazie a te che il mio progetto si realizzerà. Torna domani dal vescovo… digli che sono io in persona, la Santa Vergine Maria, Madre di Dio, che ti manda».
La domenica mattina dopo la Messa, Juan Diego si reca dal vescovo. Il prelato gli fa molte domande, poi chiede un segno tangibile della realtà dell’apparizione. Quando Juan Diego se ne torna a casa, il vescovo lo fa seguire discretamente da due domestici. Sul ponte di Tepeyac, Juan Diego scompare ai loro occhi, e, malgrado tutte le ricerche effettuate sulla collina e nei dintorni, essi non lo ritrovano più. Furenti, dichiarano al vescovo che egli è un impostore e che non bisogna assolutamente credergli. Durante il medesimo tempo, Juan Diego riferisce alla bella Signora, che lo aspettava sulla collina, il nuovo colloquio avuto con il vescovo: «Torna domattina a prendere il segno che reclama», risponde l’Apparizione.

Rose, in pieno inverno!
Tornando a casa, l’Indiano trova lo zio malato e il giorno seguente deve rimanere al suo capezzale per curarlo. Poiché la malattia si aggrava, lo zio chiede al nipote di andare a cercare un sacerdote.
All’alba, il martedì 12 dicembre, Juan Diego si avvia verso la città. Quando si avvicina alla collina di Tepeyac, giudica preferibile fare una deviazione per non incontrare la Signora. Ma, improvvisamente, la vede venirgli incontro. Tutto confuso, le espone la situazione e promette di tornare non appena avrà trovato un sacerdote per dare l’olio santo allo zio.
«Figliolo caro, replica l’Apparizione, non affliggerti per la malattia di tuo zio, perché egli non morirà. Ti assicuro che guarirà… Va’ fin in cima alla collina, cogli i fiori che ci vedrai e portameli».
Arrivato in cima, l’Indiano è stupefatto di trovarvi un gran numero di fiori sbocciati, rose di Castiglia, che spandono un profumo quanto mai soave. In questa stagione invernale, infatti, il freddo non lascia sussistere nulla, ed il luogo è troppo arido per permettere la coltura dei fiori. Juan Diego coglie le rose, le deposita nel mantello, o tilma, poi ridiscende dalla collina.
«Figlio caro, dice la Signora, questi fiori sono il segno che darai al vescovo… Questo lo disporrà a costruire il tempio che gli ho chiesto». Juan Diego corre al vescovado.
 Quando arriva, i domestici lo fanno aspettare per lunghe ore. Stupiti che sia tanto paziente, e incuriositi da quel che porta nella tilma, finiscono per avvertire il vescovo, il quale, malgrado si trovi in compagnia di parecchie persone, lo fa entrare immediatamente. L’Indiano racconta la sua avventura, apre la tilma e lascia sparpagliarsi per terra i fiori ancora brillanti di rugiada. Con le lacrime agli occhi, Monsignor Zumárraga cade in ginocchio, ammirando le rose del suo paese. Ad un tratto, scorge, sulla tilma, il ritratto di Nostra Signora. Vi è Maria, come impressa sul mantello, bellissima e piena di dolcezza. I dubbi del vescovo lasciano il posto ad una solida fede e ad una speranza incantata. Prende la tilma e le rose, e le deposita rispettosamente nel suo oratorio privato. Il giorno dopo, si reca con Juan Diego sulla collina delle apparizioni. Dopo aver esaminato i luoghi, lascia che il veggente torni dallo zio. Juan Bernardino è effettivamente guarito. La guarigione si è prodotta all’ora stessa in cui Nostra Signora appariva a suo nipote. Racconta: «L’ho vista anch’io. È venuta proprio qui e mi ha parlato. Vuole che le si eriga un tempio sulla collina di Tepeyac e che si chiami il suo ritratto «Santa Maria di Guadalupe». Ma non mi ha spiegato perché». Il nome di Guadalupe è ben noto agli Spagnoli, poiché esiste nel loro paese un antichissimo santuario consacrato a Nostra Signora di Guadalupe.
La notizia del miracolo si sparge rapidamente; in poco tempo, Juan Diego diventa popolare: «Accrescerò la tua fama», gli aveva detto Maria; ma l’Indiano rimane sempre altrettanto umile. Per facilitare la contemplazione dell’Immagine, Monsignor Zumárraga fa trasportare la tilma nella cattedrale. Poi intraprende la costruzione di una chiesetta e di un eremo, per Juan Diego, sulla collina delle apparizioni. Il 25 dicembre seguente, il vescovo consacra la cattedrale alla Santissima Vergine, al fine di ringraziarla per i favori insigni di cui Ella ha ricolmato la diocesi; poi, in una magnifica processione, l’Immagine miracolosa viene portata verso il santuario di Tepeyac, che è appena stato ultimato. Per manifestare la loro gioia, gli Indiani tirano frecce. Una di esse, lanciata senza precauzioni, trafigge la gola di uno dei presenti che cade a terra, ferito mortalmente. Subentra un silenzio impressionante ed una supplica intensa sale verso la Madre di Dio. Improvvisamente, il ferito, che è stato depositato ai piedi dell’Immagine miracolosa, riprende i sensi e si rialza, pieno di vigore. L’entusiasmo della folla è al colmo.

Milioni d’Indiani diventati Cristiani
Juan Diego si sistema nel piccolo eremo e veglia alla manutenzione ed alla pulizia del luogo. La sua vita rimane molto modesta: coltiva con cura un campo messo a sua disposizione presso il santuario. Riceve i pellegrini, sempre più numerosi, parlando loro con molto piacere della Santa Vergine e raccontando senza stancarsi i particolari delle apparizioni. Gli vengono affidate intenzioni di preghiere di ogni genere. Ascolta, compatisce, conforta. Passa una gran parte del suo tempo libero in contemplazione davanti all’immagine della sua Signora; i suoi progressi sulla via della santità sono rapidi. Un giorno dopo l’altro, compie la sua missione di testimone, fino alla morte che avverrà il 9 dicembre 1548, diciassette anni dopo la prima apparizione.
Quando gli Indiani appresero la notizia delle apparizioni di Nostra Signora, si sparsero fra loro un entusiasmo ed una gioia indicibili. Rinunciando agli idoli, alle superstizioni, ai sacrifici umani ed alla poligamia, molti chiesero il Battesimo. Nei nove anni che seguirono le apparizioni, nove milioni di loro furono convertiti alla fede cristiana, vale a dire 3000 al giorno!
I particolari dell’Immagine di Maria colpiscono profondamente gli Indiani: quella donna è più grande del “dio-sole”, poiché appare in piedi davanti al sole; supera il “dio-luna”, poiché tiene la luna sotto ai suoi piedi; non è più di questo mondo, poiché è circondata di nuvole ed è tenuta al di sopra del mondo da un angelo; le mani giunte la mostrano in preghiera, il che significa che c’è qualcuno di più grande di lei…
Ma, ancora oggi, il mistero dell’Immagine miracolosa è grande. La tilma, vasto grembiule tessuto a mano con fibre di cactus, porta l’Immagine sacra di un’altezza di 1,43 m. Il viso della Vergine è perfettamente ovale e di un color grigio che tende al rosa. Gli occhi hanno un’intensa espressione di purezza e di dolcezza. La bocca sembra sorridere. La bellissima faccia, simile a quella di un’Indiana meticcia, è incorniciata da una chioma nera che, vista da vicino, comporta capelli di seta. Un’ampia tunica, di un rosa incarnato che non si è mai potuto riprodurre, la copre fino ai piedi. Il mantello, azzurro-verde, è bordato di un gallone d’oro e cosparso di stelle. Un sole di vari toni forma uno sfondo magnifico in cui brillano raggi d’oro.
La conservazione della tilma, dal 1531 ad oggi, rimane inspiegabile. In capo a più di quattro secoli, la stoffa, di qualità mediocre, conserva la stessa freschezza, la stessa vivacità di toni che aveva in origine. In confronto, una copia dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, dipinta con gran cura nel secolo XVIII e conservata nelle stesse condizioni climatiche di quella di Juan Diego, si è completamente degradata in pochi anni. All’inizio del secolo XX, periodo doloroso di rivoluzioni per il Messico, una carica di dinamite fu depositata da miscredenti sotto l’Immagine, in un vaso pieno di fiori. L’esplosione ha distrutto i gradini di marmo dell’altare maggiore, i candelabri, tutti i portafiori; il marmo dell’altare fu fatto a pezzi, il Cristo di ottone del tabernacolo si piegò in due. I vetri della maggior parte delle case circostanti la basilica si ruppero, ma quello che proteggeva l’Immagine non fu nemmeno incrinato; l’Immagine rimase intatta.

Le proprietà straordinarie dell’immagine
Nel 1936, uno studio realizzato su due fibre della tilma, una rossa ed una gialla, giunse a conclusioni stupefacenti.
Le fibre non contengono nessun colorante noto. L’oftalmologia e l’ottica confermano la natura inspiegabile dell’immagine: essa assomiglia ad una diapositiva proiettata sul tessuto. Un esame approfondito mostra che non vi è nessuna traccia di disegno o di schizzo sotto il colore, anche se ritocchi perfettamente riconoscibili sono stati realizzati sull’originale, ritocchi che, del resto, si degradano con l’andar del tempo; inoltre, il supporto non ha ricevuto nessun appretto, il che sembrerebbe inspiegabile se si trattasse veramente di una pittura, poiché, anche su una tela più fine, si mette sempre un rivestimento, non fosse che per evitare che la tela assorba la pittura e che i fili affiorino alla superficie. Non si distingue nessuna pennellata. A seguito di un esame a raggi infrarossi, effettuato il 7 maggio 1979, un professore della NASA scrive: «Non c’è nessun modo di spiegare la qualità dei pigmenti utilizzati per la veste rosa, il velo azzurro, il volto e le mani, né la persistenza dei colori, né la freschezza dei pigmenti in capo a parecchi secoli durante i quali avrebbero dovuto normalmente degradarsi… L’esame dell’Immagine è stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita».
Certi astronomi hanno constatato che tutte le costellazioni presenti nel cielo nel momento in cui Juan Diego apre la tilma davanti al vescovo Zumárraga, il 12 dicembre 1531, si trovano al loro posto sul mantello di Maria. Si è anche scoperto che, applicando una carta topografica del Messico centrale sulla veste della Vergine, le montagne, i fiumi ed i laghi principali coincidono con l’ornamentazione della veste medesima.
Esami oftalmologici giungono alla conclusione che l’occhio di Maria è un occhio umano che sembra vivo, ivi inclusa la retina in cui si riflette l’immagine di un uomo con le mani aperte: Juan Diego. L’immagine nell’occhio ubbidisce alle leggi note dell’ottica, in particolare a quella che afferma che un oggetto in piena luce può riflettersi tre volte nell’occhio (legge di Purkinje-Samson). Uno studio posteriore ha permesso di scoprire nell’occhio, oltre al veggente, Monsignor Zumárraga e parecchi altri personaggi, presenti quando l’immagine di Nostra Signora è apparsa sulla tilma. Infine, la rete venosa normale microscopica sulle palpebre e la cornea degli occhi della Vergine è perfettamente riconoscibile. Nessun pittore umano avrebbe potuto riprodurre simili particolari.

Una donna incinta di tre mesi
Misure ginecologiche hanno stabilito che la Vergine dell’Immagine ha le dimensioni fisiche di una donna incinta di tre mesi. Sotto la cintura che trattiene la veste, al posto stesso dell’embrione, spicca un fiore con quattro petali: il Fiore solare, il più familiare dei geroglifici degli Aztechi che simboleggia per loro la divinità, il centro del mondo, del cielo, del tempo e dello spazio. Dal collo della Vergine pende una spilla il cui centro è adorno di una piccola croce, che ricorda la morte di Cristo sulla Croce per la salvezza di tutti gli uomini. Vari altri particolari dell’Immagine di Maria fanno di essa uno straordinario documento per la nostra epoca, che li può constatare grazie alle tecniche moderne.
Così la scienza, che ha spesso servito quale pretesto per l’incredulità,  oggi ci aiuta a mettere in evidenza segni che erano rimasti sconosciuti per secoli e secoli e che non può spiegare. L’immagine di Nostra Signora di Guadalupe porta un messaggio di evangelizzazione: la Basilica di Città del Messico è un centro «dal quale scorre un fiume di luce del Vangelo di Cristo, che si diffonde su tutta la terra attraverso l’Immagine misericordiosa di Maria» (Giovanni Paolo II, 12 dicembre 1981).
 Inoltre, con il suo intervento in favore del popolo azteco, la Vergine ha contribuito alla salvezza di innumerevoli vite umane, e la sua gravidanza può esser interpretata come un appello speciale in favore dei nascituri e della difesa della vita umana; tale appello è di grande attualità ai giorni nostri, in cui si moltiplicano e si aggravano le minacce contro la vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando si tratta di una vita debole ed inerme. Il Concilio Vaticano II ha deplorato con forza i crimini contro la vita umana: “Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario, TUTTO CIÒ CHE VIOLA L’INTEGRITÀ’ DELLA PERSONA UMANA… (…); tutte queste cose, e altre simili, sono certamente VERGOGNOSE. Mentre GUASTANO LA CIVILTÀ UMANA, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” (« Gaudium et Spes », n.27).
Di fronte a tali flagelli, che si sviluppano grazie ai progressi scientifici e tecnici, e che beneficiano di un ampio consenso sociale e di riconoscimenti legali, invochiamo Maria con fiducia. Essa è un «modello incomparabile di accoglienza della vita e di sollecitudine per la vita… Mostrandoci suo Figlio, ci assicura che in Lui le forze della morte sono già state vinte» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, nn. 102, 105). «In gigantesco duello si sono battute la morte e la vita. Il Signore della vita, già morto, ora vive e regna» (Sequenza di Pasqua).
Domandiamo a San Juan Diego, canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002, di ispirarci una vera devozione per la nostra Madre Celeste, poiché «la compassione di Maria si estende a tutti coloro che la chiedono, non fosse che con un semplice saluto: “Ave, Maria…”» (Sant’Alfonso de Liguori). Lei, che è Madre di Misericordia, ci otterrà la Misericordia di Dio, specialmente se saremo caduti in peccati gravi.

tratto da http://www.fuocovivo.org
le immagini sono tratte da ricerche sul web

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 11 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

L’Immacolata Concezione, nella storia e nei testi biblici

http://www.tanogabo.it/religione/IMMACOLATA_CONCEZIONE.htm

L’Immacolata Concezione

Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, colmata della grazia di Dio, era stata redenta fin dal suo concepimento. Il dogma formulato dal Papa Pio IX l’8 dicembre 1854 suona così:
«La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale».

Questa affermazione è il risultato di un travaglio durato lunghi secoli, come abbiamo già avuto modo di vedere nelle pagine precedenti. Vogliamo adesso considerare i fondamenti di questa definizione dogmatica nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.
La Vergine Maria viene raffigurata in piedi sulla sfera terreste e la mezza luna, calpestando il serpente del Peccato Originale, incoronata dalla colomba dello Spirito Santo e circondata da angeli e da alcuni dei simboli mariani (il ramo di gigli, la palma, la fonte e lo specchio). Questa scena mostra il modo tradizionale di rappresentare l’Immacolata Concezione della Vergine, che fu concepita senza peccato originale.
L’opera fu incaricata dalla casa reale per la chiesa di San Pasquale di Aranjuez.
Il bozzetto di questo quadro è conservato nella Courtauld Institute Galleries di Londra.

I fondamenti biblici

IL PROTOVANGELO (Gen 3,15)
Abbiamo già esaminato a suo tempo questo testo fondamentale, nel quale si parla dell’inimicizia fra la donna (figura di Maria) e il serpente (figura del diavolo). Anche prescindendo dalla questione se il testo indichi o non indichi chiaramente la vittoria della donna, rimane comunque fuori dubbio che fra la donna e il serpente c’è una radicale inimicizia: «Porrò inimicizia fra te e la donna…». Ciò è sufficiente a dare un solido fondamento al nostro dogma. Infatti se fra la donna e il serpente c’è un’inimicizia radicale, non si può pensare che anche per un solo istante nella donna ci sia stata, per così dire, un’amicizia con il serpente a motivo del peccato, sia pure del solo peccato originale. Fra la donna e il serpente c’è un’incompatibilità assoluta. Nella donna quindi non c’è alcuna macchia di peccato.

IL SALUTO DELL’ANGELO (Lc 1,28)
Le parole dell’angelo: «Ti saluto, o piena di grazia» (più letteralmente: «o ricolma del favore divino»), lette alla luce della Tradizione e del sensus fidei del Popolo di Dio, indicano una pienezza totale di grazia. Questa totalità riguarda sia l’estensione che la durata, cioè deve estendersi a tutta la vita di Maria, a cominciare dal primo istante della sua esistenza. Quindi sin dal primo istante Maria fu santa, senza alcuna macchia di peccato.

IL SALUTO DI ELISABETTA (Lc 1,41-42) Alle due prove precedenti, che sono quelle fondamentali, alcuni autori ne aggiungono anche una terza tratta dalle parole di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno!». La benedizione divina di Maria è posta in parallelo con quella di Cristo nella sua umanità. Questo parallelismo lascia intendere che Maria, come Cristo, fin dal principio della sua esistenza, era esente da ogni peccato. È degno di nota poi, come abbiamo già accennato a suo tempo, che la benedizione della Madre venga posta prima di quella del Figlio.

Sviluppo storico
Presso i Padri e gli scrittori dei primi secoli la dottrina dell’Immacolata Concezione è implicita nel frequente parallelismo Eva-Maria (S. Giustino, S. Ireneo e Tertulliano), il quale comporta una doppia relazione: di somiglianza (come Eva uscì pura dalle mani di Dio, così Maria doveva uscire immacolata dalle medesime mani) e di opposizione (colei che doveva essere la riparatrice dei danni provocati da Eva non poteva trovarsi coinvolta in essi). Nello stesso periodo S. Ippolito dice che il Salvatore era «un’arca fatta con legni (la Beata Vergine Maria) non soggetti alla putrefazione della colpa». Analoghe espressioni troviamo in seguito in S. Gregorio Taumaturgo, S. Efrem e altri.
Per quanto riguarda l’Occidente, abbiamo visto a suo tempo come in particolare S. Ambrogio e S. Agostino escludano da Maria ogni peccato, anche se un testo di S. Agostino, interpretato in senso sfavorevole all’Immacolata Concezione, peserà per secoli in modo negativo su tutta la teologia occidentale.
In Oriente nel V secolo S. Procolo ammise uno speciale intervento di Dio nella formazione della futura Madre del Verbo, affinché fosse una nuova creatura, formata «da un’argilla monda» simile ad Adamo prima del peccato. Teodoro di Ancira oppone Maria ad Eva, dichiarando che «sebbene Maria sia inclusa nel sesso femminile, fu tuttavia esclusa dalla nequizia di quel sesso: fu una Vergine innocente, senza macchia, senza colpa, intemerata, santa di anima e di corpo, come un giglio che sboccia fra le spine».
Nel VII secolo, sempre in Oriente, è S. Sofronio il primo che sembra accennare a una preservazione dalla colpa. Leggiamo infatti: «Hai trovato presso Dio una grazia che nessuno ha ricevuto (…). Nessuno, eccetto te, fu prepurificato».
Verso la fine del VII secolo o agli inizi dell’VIII secolo cominciò a venir celebrata, in Oriente, la festa della Concezione di Maria, come risulta da Andrea di Creta. La prima omelia che si conosca sulla Concezione è quella di Giovanni d’Eubea, contemporaneo del Damasceno. All’oggetto primitivo della festa, che era l’annunzio della miracolosa Concezione di Maria fatta dall’angelo ai genitori (idea che risale al Protovangelo di Giacomo), non aveva tardato ad aggiungersi quello odierno, ossia quello della Concezione passiva della Madre di Dio, dichiarata, non di rado, santa e immacolata. Così Giovanni d’Eubea asserisce un intervento della Santissima Trinità nella formazione di Maria tale da crearla nello stato di giustizia originale.
Nel IX secolo la festa diviene universale nella Chiesa greca.
La festa della «Concezione», istituita dai Greci, restò per lungo tempo ignorata dai Latini. Importata da qualche monaco, venuto dall’Oriente, essa appare in Inghilterra verso il 1060 circa, ma scompare quasi subito, al tempo della conquista normanna (1066), senza lasciare altre tracce all’infuori di un ricordo, unito però a dei rimpianti. È così che essa può rinascere con slancio, grazie alla devozione popolare, verso il 1127-1128, su basi più solide, e passa in Normandia, poi, di là, in tutta l’Europa, nonostante la decisa opposizione di S. Bernardo. L’oggetto della festa, abbastanza indeterminato all’origine, si precisa a poco a poco, non senza un sofferto travaglio. Infatti molti sostenitori della festa non affermavano in senso stretto l’Immacolata Concezione, ma alcuni celebravano semplicemente le primizie della futura Madre di Dio, altri la sua santificazione nel grembo materno. Altri ancora sostenevano la santità originale di Maria, ma con significati molto diversi. Alcuni facevano partire la sua santità dal momento della concezione, altri dal momento della concezione spirituale, cioè dall’infusione dell’anima, che segna l’inizio dell’esistenza personale di Maria.
Una diversità ancora maggiore si riscontrava nei tentativi di spiegazione teologica. Alcuni ad esempio ricorrevano alla strana ipotesi di una particella del corpo di Adamo che sarebbe restata immune dal peccato e trasmessa di generazione in generazione fino a originare Maria.
La difficoltà del problema nasceva innanzitutto dall’idea agostiniana, che dominava tutto il medioevo, secondo cui il peccato originale si trasmetteva a motivo della libido che era necessariamente connessa con l’atto generatore, dopo il peccato originale. In conseguenza di ciò alcuni tentarono di spiegare l’Immacolata Concezione dicendo che l’atto generatore di Gioacchino e Anna era stato miracolosamente esentato dalla libido. Secondo altri (Eadmero) l’effetto della libido era stato miracolosamente sospeso dall’onnipotenza divina.
Vediamo adesso le posizioni dei teologi più noti. Ad aprire il cammino fu S. Anselmo d’Aosta († 1109), ma chi sviluppò il suo pensiero in senso decisamente favorevole all’Immacolata Concezione fu il suo discepolo Eadmero († 1134). Egli fu il primo a scrivere un trattato sull’argomento, dove afferma che la fede popolare è universale su questo punto, e che questa sapienza è più saggia di quella dei dotti:    
«Non poteva forse Dio conferire a un corpo umano di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? È chiaro che lo poteva e lo voleva; e se lo ha voluto lo ha fatto» (potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit).
S. Bernardo e Pietro Lombardo, fra i teologi più noti e più autorevoli del XII secolo, negarono l’Immacolata Concezione (come abbiamo già visto in questo argomento pesava l’eredità agostiniana, sia quanto all’interpretazione del famoso testo riguardante l’Immacolata Concezione, sia quanto alle modalità della trasmissione del peccato originale).                                   
Un secolo più tardi anche S. Alberto Magno e S. Tommaso furono dello stesso parere, soprattutto poiché non vedevano come conciliare questa dottrina con l’universalità della Redenzione di Cristo, supposta chiaramente in Rm 5,12: «Tutti hanno peccato».          
La situazione mutò nel XIV secolo, grazie a Guglielmo di Ware († 1300) e soprattutto al suo discepolo Giovanni Duns Scoto († 1308). Nella sua opera fondamentale, l’Opus Oxoniense, questi si limita a dimostrare la sola possibilità del privilegio mariano, insegnando però l’uguale possibilità dell’opposto, e sciogliendo tutte le ragioni sia favorevoli che contrarie alla sentenza maculista. Per Scoto perciò le due sentenze sono ugualmente possibili. Quale delle due sia stata attuata, lo sa soltanto Dio: «Deus novit». Egli afferma però che sembra probabile attribuire alla Vergine ciò che è più eccellente, purché ciò non ripugni all’autorità della Chiesa o della Scrittura. Allora infatti l’autorità ecclesiastica non si era ancora pronunciata (la Chiesa romana, come fa rilevare S. Tommaso, non celebrava la festa della Concezione), e la Scrittura sembrava apertamente contraria, asserendo l’universalità della colpa originale e della Redenzione. Per questo motivo Scoto procedette con molta cautela e, per il momento, non osò spingersi oltre. Solo più avanti, mosso indubbiamente dalla sua propensione a ritenere più probabile la tesi favorevole all’Immacolata, asserisce che in cielo si trova la Beata Vergine Maria, Madre di Dio, la quale mai gli fu nemica in atto per ragione del peccato attuale né per ragione dell’originale: lo sarebbe stata tuttavia se non fosse stata preservata. Sta in questa parola «preservata» la forza della tesi di Duns Scoto. Infatti Maria, secondo la legge comune, avrebbe dovuto contrarre la colpa originale, ma grazie ai meriti di Cristo Salvatore fu preservata da tale colpa. In tal modo non soltanto la Beata Vergine è stata redenta da Cristo, ma lo è stata in modo più sublime di chiunque altro.
Scrive bene il Melotti: «Scoto ha il grande merito di far cadere l’obiezione fondamentale formulata dai negatori con il suo argomento sul Perfetto Mediatore: la concezione immacolata di Maria, lungi dall’essere una mancanza di redenzione, è anzi la redenzione portata al massimo grado – è una redenzione «preservativa» -. Questa redenzione è non solo possibile, ma richiesta. Cristo infatti, essendo il perfetto mediatore, doveva porre un atto di mediazione perfetta: lo ha fatto a favore della Madre Sua».           
Si può anche aggiungere che tale redenzione perfetta andava applicata a Colei che era chiamata a collaborare in maniera tutta speciale e unica all’opera della redenzione.
Durante tutto il XIV secolo il campo teologico si mantenne diviso fra i contrari e i favorevoli. Il constrasto era particolarmente forte tra i Francescani (più vicini al popolo, e quindi sostenitori dell’Immacolata Concezione) e i Domenicani (contrari, poiché più sensibili alle argomentazioni teologiche). Verso la metà del secolo, in Francia e in Aragona, per opera di alcuni maestri domenicani, si originò una violenta controversia. Le autorità ecclesiastiche imposero il silenzio e la ritrattazione ai suddetti maestri. Il frutto di questo dibattito fu un deciso progresso della tesi immacolista. Allora cominciò a comparire l’argomento biblico, specialmente quello fondato sul Protovangelo (Gen 3,15) e sul saluto angelico (Lc 1,28). Anche la festa della Concezione, in quel tempo, si diffuse ovunque, specialmente fra i religiosi.
All’inizio del XV secolo la posizione immacolista era comune presso quasi tutti gli Ordini religiosi, eccettuati i Domenicani. Nel Concilio di Basilea (17 settembre 1439) fu emesso un decreto in cui si dichiarava che la dottrina favorevole all’Immacolata Concezione era pia, conforme al culto della Chiesa, alla fede cattolica, alla Sacra Scrittura e alla retta ragione, e perciò doveva essere seguita da tutti i cattolici, con proibizione a chiunque di insegnare il contrario. Ma il Concilio, nel tempo in cui emise questa definizione, non era più legittimo, per essersi sottratto alla dipendenza dal Romano Pontefice. Esso contribuì tuttavia in modo eccezionale all’affermarsi della pia sentenza, e rese universale di fatto la festa della Concezione.
I teologi domenicani però non desistettero dalla loro decisa opposizione, tanto che Vincenzo Bandelli, Maestro Generale dell’Ordine (dal 1501 al 1506), giunse ad affermare che «è cosa empia ritenere che la Beata Vergine non sia stata concepita nel peccato originale».
A questo punto cominciò a intervenire la Santa Sede. Sisto IV, francescano, il 27 febbraio 1477 promulgava la costituzione Cum praecelsa con la quale approvava solennemente la festa dell’Immacolata Concezione, celebrata in molti luoghi, con la Messa e l’Ufficio propri. Al tentativo di svuotare il significato di questa festa il Papa risponde con la Bolla Grave nimis, minacciando la scomunica. Alla fine si ebbe l’adesione alla sentenza immacolista da parte delle Università di Parigi (che la impose con giuramento nel 1469 ai suoi dottori), e di quelle di Oxford, Cambridge, Tolosa, Bologna, Vienna.                                        
Questa corrente decisamente favorevole all’Immacolata Concezione nella Chiesa latina provocò una reazione opposta nella Chiesa greca, per cui non pochi vescovi e teologi ortodossi si schierarono fra gli avversari del privilegio. Questa opposizione si accentuerà ancora di più con la proclamazione del dogma nel 1854.       
In Occidente invece la dottrina favorevole all’Immacolata si avviava verso il trionfo. L’indagine biblica e patristica si arricchì di nuovi dati, per cui nella sessione VI del Concilio di Trento (1556) non mancò una forte corrente favorevole alla definizione dogmatica del privilegio. Siccome però il Concilio era stato riunito per fare fronte al protestantesimo e non per dirimere controversie interne al mondo cattolico, l’assemblea conciliare si limitò ad aggiungere al decreto sul peccato originale la seguente significativa dichiarazione:  
«Dichiara tuttavia questo Santo Sinodo che non è nelle sue intenzioni di comprendere nel decreto relativo al peccato originale la Beata e Immacolata Vergine Maria, madre di Dio, ma che sono da osservarsi le costituzioni del Papa Sisto IV sotto le pene contenute in esse e che vengono rinnovate» (DS 1516).
Nel XVII secolo si ebbero gli interventi di altri tre Papi: Paolo V, che proibiva di attaccare in pubblico l’Immacolata Concezione; Gregorio XV, che impediva di attaccarla anche in privato; Alessandro VII, che con la costituzione Sollicitudo omnium Ecclesiarum (8 dicembre 1661) determinava, contro le false interpretazioni dei pochi avversari rimasti, l’oggetto preciso della festa, dichiarando che si trattava della preservazione dell’anima della Vergine dalla colpa originale, nel primo istante della sua creazione e infusione nel corpo, per speciale grazia e privilegio di Dio, in vista dei meriti di Cristo suo Figlio, Redentore del genere umano. Rinnovò inoltre i provvedimenti dei suoi predecessori contro i sostenitori della sentenza contraria. L’effetto di questa Costituzione fu incalcolabile. Diocesi, re e popoli si misero sotto la protezione dell’Immacolata. Varie Congregazioni vennero fondate in suo onore. I teologi raddoppiarono le loro fatiche per difendere il singolare privilegio e appianare la via alla definizione. Molti (tra cui ad esempio S. Alfonso) giunsero fino al punto di obbligarsi con voto a versare il proprio sangue, se fosse stato necessario, per la difesa del privilegio.
 Clemente XII il 6 dicembre 1708 estendeva per legge la festa dell’Immacolata a tutta la Chiesa. Durante il secolo l’entusiasmo dei fedeli e dei dotti andò sempre crescendo, come crebbero anche le suppliche rivolte ai Romani Pontefici per la definizione dogmatica.
Chi si decise ad accogliere queste richieste fu Pio IX, il quale non appena asceso al soglio pontificio (1846) iniziò le pratiche necessarie. Interpellati tutti i vescovi (2 febbraio 1849) ne ebbe una risposta plebiscitaria: su 665 risposte 570 erano entusiasticamente favorevoli, otto contrarie, le rimanenti più o meno incerte sull’opportunità della definizione. La commissione incaricata diede risposta favorevole alla domanda «se vi siano nella Sacra Scrittura testimonianze che provino solidamente l’immacolato concepimento di Maria».
In tal modo il Papa Pio IX poté procedere alla solenne definizione dogmatica l’8 dicembre 1854, alla presenza di oltre duecento fra cardinali e vescovi, e di una incalcolabile moltitudine di fedeli esultanti.

 Approfondimento teologico        
L’Immacolata Concezione non è una verità a sé stante, ma si inserisce armoniosamente nell’insieme delle altre verità di fede. Può essere molto utile considerarla alla luce delle Tre Persone divine.

A) NELLA LUCE DEL PADRE
L’Immacolata Concezione è un segno dell’amore assolutamente gratuito e preveniente del Padre. Leggiamo in Ef 1,4: «Dio ci ha scelti in Cristo fin da prima della creazione del mondo perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nella carità». La grazia è sempre gratuita, non meritata, almeno la prima grazia. «Siamo stati giustificati gratuitamente per la sua grazia» (Rm 3,24). L’Immacolata Concezione è il segno più chiaro ed evidente della gratuità dell’amore divino. Maria Santissima non ha meritato l’Immacolata Concezione. Essa è un puro dono.

Scrive il De Fiores:  
«Nell’Immacolata Concezione non è questione di fede o accettazione libera da parte di Maria riguardo alla salvezza: questa rimane un segno luminoso della gratuità dell’amore di Dio, che si attua ancor prima della risposta responsabile della creatura. L’Immacolata proclama, alla testa della schiera dei salvati: « Soli Deo gloria! ». La preservazione dal peccato e la pienezza di grazia non sono frutto della sua fede o libertà orientata a Dio e neppure delle sue opere; esse si iscrivono, al pari di tutti i singoli atti di giustificazione, nell’elezione salvifica del Padre che decide dall’eternità di amare gli uomini gratuitamente al di là del peccato e del merito. L’Immacolata Concezione manifesta l’assoluta iniziativa del Padre e significa che fin dall’inizio della sua esistenza Maria fu avvolta dall’amore redentivo e santificante di Dio».

B) NELLA LUCE DEL FIGLIO
L’Immacolata Concezione mostra la perfezione della redenzione operata dal Figlio, il Verbo incarnato. Abbiamo già visto l’argomentazione elaborata da Giovanni Duns Scoto riguardo al perfetto Mediatore, o Redentore. Gesù si rivela Redentore veramente perfetto quando non soltanto libera, ma addirittura preserva dal peccato. Quindi l’Immacolata Concezione, lungi dal compromettere la necessità e l’universalità della redenzione, la esalta al massimo grado. Come diceva Santa Teresa di Lisieux, l’innocente è colui al quale non è stato perdonato molto, ma tutto!
Inoltre l’Immacolata Concezione si addice perfettamente a Colei che è chiamata a essere la Madre di Dio. Nella Colletta della Messa dell’Immacolata leggiamo: «O Dio, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio…». E così pure nel Prefazio: «Tu hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna Madre del tuo Figlio…». Maria è stata concepita immacolata poiché era destinata a essere la Madre di Dio. Questo privilegio è tutto relativo al Figlio.    
Ricordiamo ancora come il Concilio Vaticano II metta in rapporto l’Immacolata Concezione con la prontezza e la perfezione con cui Maria accolse l’annuncio dell’Angelo relativo all’Incarnazione del Verbo, e vi acconsentì:         
«Abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente».
Maria fu concepita immacolata per poter essere totalmente disponibile all’opera della Redenzione compiuta dall’eterno Figlio del Padre.

c) NELLA LUCE DELLO SPIRITO SANTO
Maria Immacolata mostra nel modo più perfetto la santificazione operata dallo Spirito Santo. Infatti, come dice il Concilio,  
«(Maria) è la tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura».
Lo Spirito Santo abita e vive in lei, sin dal primo istante della sua esistenza, come sottolinea in modo tutto particolare S. Massimiliano Kolbe, che giunge a parlare, sia pure in modo sempre teologicamente corretto, di una «quasi incarnazione» dello Spirito Santo in Maria.
Quella santificazione che noi riceviamo nel battesimo, che ci riempie della grazia dello Spirito Santo, con le virtù e i doni a essa connessi, Maria l’ha ricevuta in pienezza sin dall’inizio. Essa è fin dal primo istante il Tempio dello Spirito Santo.

L’esenzione da ogni colpa attuale

Il Concilio di Trento dichiara:  
«Nessun giusto può evitare per tutta la sua vita tutti i peccati, anche i veniali, senza uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa ritiene della Beata Vergine» (DS 1573).
Pio XII, da parte sua, nell’Enciclica Mystici Corporis afferma che la Vergine Madre di Dio «fu immune da ogni macchia, sia personale sia ereditaria».
In base a queste affermazioni del Magistero, della Tradizione e del senso comune del Popolo cristiano i teologi ritengono che l’esenzione della Vergine Maria da ogni macchia di peccato attuale sia una verità prossima alla fede (fidei proxima).
Abbiamo visto nella parte storica come questo privilegio mariano non sia stato colto immediatamente con piena chiarezza da parte di tutti, ma come poi la sua accettazione sia diventata patrimonio comune dei teologi e dei fedeli, sia in Oriente che in Occidente.

Vediamo l’approfondimento di S. Tommaso nella Somma Teologica (III, q. 27, a. 4):    
«Quelli che Dio sceglie per un compito speciale, li prepara e li dispone in modo che siano idonei ai loro doveri, secondo l’affermazione di S. Paolo (2 Cor 3,6): « Ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza ». Ora, la Beata Vergine fu scelta per essere la madre di Dio. Non si può quindi dubitare che Dio con la sua grazia l’abbia resa idonea a ciò, secondo le parole dell’Angelo (Lc 1,30 s.): « Hai trovato grazia presso Dio: ecco tu concepirai », ecc. Ma ella non sarebbe stata degna madre di Dio se avesse talvolta peccato. Sia perché l’onore dei genitori ridonda sui figli, come dice la Scrittura (Pr 17,6): « Onore dei figli i loro padri », per cui all’opposto la colpa della madre sarebbe ricaduta sul Figlio. – Sia anche perché ella aveva un’affinità singolare con Cristo, che da lei prese il corpo. Ora, S. Paolo (2 Cor 6,15) afferma: « Quale intesa tra Cristo e Beliar? ». – Sia ancora perché in lei abitò in modo del tutto singolare, non solo nell’anima, ma anche nel seno verginale, il Figlio eterno, che è « la Sapienza di Dio » (1 Cor 1,24), di cui sta scritto (Sap 1,4): « La sapienza non entra in un’anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato »».                    
«Dobbiamo quindi affermare in modo assoluto che la Beata Vergine non commise mai alcun peccato attuale né mortale né veniale, così da avverare le parole del Cantico (4,7): « Tutta bella sei tu, amica mia, in te nessuna macchia », ecc.».

La pienezza di grazia
È l’aspetto positivo della santità, quello sul quale insistono maggiormente i dottori orientali, per i quali Maria è prima di tutto la Panaghia, la Tutta Santa. Leggiamo ancora una volta S. Tommaso, nell’articolo della Somma in cui egli si domanda se la santificazione iniziale della Vergine le abbia dato la pienezza della grazia (III, q. 27, a. 5). Dopo aver ricordato le parole dell’Angelo: «Ave, piena di grazia» (Lc 1,28), e il commento di S. Girolamo secondo cui «in Maria la grazia si riversa tutta insieme nella sua pienezza», l’Aquinate scrive così:  
«Quanto più si è vicini a una causa, tanto più se ne risentono gli effetti, come scrive Dionigi (De cael. hier. 4, 1) notando che gli Angeli, in quanto più prossimi a Dio, partecipano delle perfezioni divine più degli uomini. Ora, Cristo è il principio della grazia: secondo la divinità come causa principale, secondo l’umanità invece come causa strumentale, in base alle parole evangeliche (Gv 1,17): « La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo ». Ma la Beata Vergine era vicinissima a Cristo secondo la natura umana, che egli prese da lei. Essa quindi dovette ricevere da Cristo una pienezza di grazia superiore a quella di tutti gli altri».
Rispondendo poi a una difficoltà riguardante il confronto fra la pienezza di grazia in Cristo e in Maria S.

Tommaso così risponde:  
«Dio dona a ciascuno la grazia che gli compete secondo il compito per cui lo sceglie. Poiché dunque Cristo, in quanto uomo, fu predestinato e scelto per essere « Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione » (Rm 1,4), egli ebbe come privilegio personale tanta pienezza di grazia da farla poi ridondare su tutti, poiché « dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto » (Gv 1,16). Invece la Beata Vergine Maria ottenne tanta pienezza di grazia da essere vicinissima all’autore della grazia: in modo da accogliere in sé colui che è pieno di ogni grazia, e dandolo alla luce far giungere in certo qual modo la (sua) grazia a tutti».
La seconda difficoltà fa forza sul fatto che Maria crebbe nella grazia, quindi non poteva averla in pienezza sin dall’inizio. Ecco la risposta:   
«Nell’ordine naturale prima c’è la perfezione dispositiva, per esempio, quella della materia rispetto alla forma. Al secondo posto si ha la perfezione superiore della forma: infatti il calore proveniente dal fuoco è più forte di quello che ha disposto la legna a prendere fuoco. Al terzo posto poi c’è la perfezione del fine raggiunto: come quando il fuoco, salito al suo luogo naturale, esplica tutte le sue qualità».
«Similmente nella Beata Vergine ci fu una triplice perfezione di grazia. Prima quella dispositiva, che la rese idonea a essere madre di Cristo, e questa fu la perfezione prodotta dalla sua santificazione. La seconda perfezione di grazia fu invece prodotta dalla presenza in lei del Figlio di Dio incarnato nel suo seno. La terza perfezione poi è quella finale, che ella possiede nella gloria».
«Che poi la seconda perfezione sia superiore alla prima, e la terza alla seconda, risulta (…) dal progresso nel bene. Infatti nella sua prima santificazione ottenne la grazia che la inclinava al bene; nel concepimento del Figlio di Dio ebbe la consumazione della grazia che la confermava nel bene; nella glorificazione infine ebbe il coronamento della grazia che la costituiva nel godimento di ogni bene».                                                                                         
La terza difficoltà fa notare che Maria non esercitò mai certe grazie, come quella della sapienza, o quella dei miracoli, o quella della profezia. Quindi tali grazie sarebbero state inutili. Risponde S. Tommaso:    
«Non si può dubitare che la Beata Vergine, come Cristo, abbia ricevuto in modo eccellente sia il dono della sapienza, sia la grazia dei miracoli e della profezia. Ma l’uso di queste e di altre grazie simili non fu concesso a lei nel medesimo modo che a Cristo, bensì come conveniva alla sua condizione. Ebbe infatti l’esercizio del dono della sapienza nella contemplazione, come risulta dalle parole (Lc 2,19): « Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore ». Non ebbe invece l’uso della sapienza nell’insegnare, poiché ciò non si addiceva a una donna, secondo le parole di S. Paolo (1 Tm 2,12): « Non concedo ad alcuna donna di insegnare ». – Non era poi opportuno che compisse miracoli durante la sua vita, poiché allora i miracoli avevano il compito di confermare la dottrina di Cristo: perciò era bene che facessero miracoli soltanto Cristo e i suoi discepoli, che erano i portatori dell’insegnamento cristiano. Per questo anche di S. Giovanni Battista è detto (Gv 10,41) che « non fece alcun miracolo », perché tutti si volgessero a Cristo. – Ebbe invece l’uso della profezia, come risulta dalle parole (Lc 1,46 ss.): « L’anima mia magnifica il Signore », ecc.».
Possiamo così affermare che in Maria ci fu la santità più perfetta in tutti i sensi, sia nel senso negativo dell’esenzione da ogni peccato, sia nel senso positivo della pienezza di ogni grazia, cioè della pienezza dell’organismo soprannaturale, che comprende la grazia santificante, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo.

Maria modello di santità

Il Concilio Vaticano II ricorda ai fedeli che  
«la vera devozione a Maria non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù».
Queste ultime parole ci introducono nel tema dell’«Imitazione di Maria», sul modello medioevale, che parlava di «Imitazione di Cristo». La Beata Vergine infatti, nei più recenti documenti del Magistero e nella sensibilità dei fedeli, è vista in modo particolare come Colei che realizza nel modo più perfetto tutte le virtù.
Il Concilio ritorna spesso su questo tema, e presenta Maria come «eccellentissimo modello nella fede e nella carità». In particolare la presenta come modello per i sacerdoti:   
«Un esempio meraviglioso di tale prontezza (nel corrispondere alle esigenze della propria missione), i presbiteri lo possono trovare nella Beata Vergine Maria, che sotto la guida dello Spirito Santo si consacrò al mistero della redenzione umana»;

per i religiosi e le religiose:  
«Per l’intercessione della dolcissima Vergine Maria Madre di Dio, la cui vita è regola per tutti, essi progrediranno ogni giorno di più e apporteranno frutti di salvezza più abbondanti»;

per i laici:  
«Modello perfetto di vita apostolica è la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, la quale, mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudine familiare e di lavoro, era sempre intimamente unita al Figlio suo e cooperò in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore».
Mi sembra di poter concludere che se il capitolo VIII dedicato alla Vergine Maria è il coronamento di tutta la Costituzione conciliare Lumen Gentium sulla Chiesa, esso lo è in modo tutto particolare in riferimento al capitolo V, che è un po’ l’anima non solo della Costituzione ma di tutto il Concilio, e che ha per titolo: «L’universale chiamata alla santità nella Chiesa». Maria è l’esempio e il modello di questa santità a cui tutti dobbiamo tendere.

In questi tempi di smarrimento dei valori morali, lo sguardo a Maria Immacolata, può essere per noi bagno di rigenerazione nell’Immacolatezza di una « Donna » tanto grande che « chi vuol grazia ed a Lei non ricorre, sua disianza vuol volare senz’ali »(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Inno alla Vergine).

« IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE » (riflessione di monsignor Jacques Perrier, vescovo emerito di Tarbes e Lourdes)

http://www.zenit.org/article-34343?l=italian

« IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE »

Una riflessione in vista della Solennità dell’8 dicembre

di monsignor Jacques Perrier, vescovo emerito di Tarbes e Lourdes

ROMA, venerdì, 7 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Il 25 marzo del 1858, la Signora di Massabielle svela finalmente il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Era la sedicesima volta che appariva a Bernadette, ma prima si era sempre rifiutata di rivelare la sua identità. Quando Bernadette glielo chiese il 18 febbraio, Lei rispose: “Non è necessario”. Da allora, erano trascorse cinque settimane. Due settimane durante le quali Bernadette udì la ripetuta chiamata al pentimento. Poi tre settimane di silenzio. Se la preparazione fu così lunga, è perché il messaggio era di una importanza eccezionale.
Quattro anni prima, papa Pio IX, dopo aver consultato tutti i vescovi del mondo, aveva proclamato che la Vergine Maria “nel primo istante del suo concepimento [...] fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale”. Non solo non ha mai peccato, ma è stata protetta da tutte le ferite che i peccati degli uomini, sin dalle origini, hanno inflitto alla nostra razza. Poiché il peccato lascia tracce, come la malattia, anche se il paziente è guarito. Maria, al contrario, come il prefazio della Messa dell’8 dicembre, “è stata preservata da tutte le conseguenze del primo peccato”, un primo che è stato seguito da tanti altri!
A Bernadette, la Madonna dice ancora di più del dogma del 1854. L’Immacolata Concezione è così eccezionale che Maria prende la grazia che le è stata data come suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Il giorno dell’Annunciazione, quando l’angelo del Signore si rivolge a lei, non l’ha chiamata con il suo nome abituale, “Maria”. Eppure era un bel nome, che ricorda Miriam, sorella di Mosè. Nel Vangelo secondo San Luca, l’angelo usa una parola che non si trova in nessuna altra parte nel Nuovo Testamento e che noi traduciamo normalmente con “piena di grazia”. Sarebbe più corretto dire: “perla di grazia”, “capolavoro della grazia”. Questo è il suo nome. Maria non è la grazia. Non è lei che dà la grazia: “La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”, dice San Giovanni nel Prologo del Vangelo. Ma lei è completamente abitata dalla grazia, come il Tempio lo era dalla gloria di Dio. In queste condizioni, non è sorprendente che la Grazia viene in lei per incarnarsi.
Attraverso il privilegio dell’Immacolata Concezione, Dio ha “preparato una degna dimora per il suo Figlio” (orazione e prefazio dell’8 dicembre). C’è dunque un legame tra l’Immacolata Concezione e la sua missione di essere la Madre di Dio. Non nel senso comune, che confonde l’Immacolata Concezione di Maria e la concezione verginale del bambino Gesù. Se Maria ha beneficiato di un privilegio unico, non è stato per suo profitto personale ma affinché potesse liberamente accettare la missione, umanamente incredibile, che le era stata chiesta. L’Antico Testamento conosce delle concezioni miracolose in donne anziane o sterili. Ma non la concezione verginale! Per accettare questa missione, a Maria serve una fede assolutamente pura, più pura di quella di Abramo, Zaccaria o San Pietro.
Dio non può accettare che il “sì” di un essere libero. Ma la libertà, come diceva Giovanni Paolo II a Lourdes nel 2004, ha bisogno di essere libera da ogni intralcio, da ogni debolezza. Per l’atto di fede di Maria nell’Annunciazione – un atto unico e decisivo nella storia del genere umano – Dio ha dotato Maria di una libertà integrale. Il privilegio dell’Immacolata Concezione ha reso Maria sufficientemente libera per accettare l’inverosimile.
Come l’Immacolata Concezione è il privilegio di Maria e solo suo, rischiamo di pensare che non ci tocca più di tanto. Sarebbe un triplo errore.
In primo luogo, ciò che la Vergine è per nascita è quello che noi siamo chiamati ad essere, è la realtà della Chiesa, la “santa” Sposa di Cristo, come diciamo nel Credo. Nella lettera agli Efesini, Paolo usa la stessa parola – “immacolata” – per parlare della Chiesa o dei cristiani. Come dice il prefazio dell’8 dicembre, l’Immacolata Concezione è il “modello” della santità.
Ma non bisogna sbagliarsi circa il privilegio accordato alla Vergine, che le evita le prove della fede. Tranne la Visitazione, quasi tutte le apparizioni della Vergine nei Vangeli sono momenti di prova. E succede che lei non “comprenda”. La sua fede, che non è mai stata sfiorata da alcun dubbio, deve crescere. Come noi, Maria ha vissuto un “pellegrinaggio della fede”, come ha detto papa Giovanni Paolo II. Che Ella ci aiuti nei momenti di oscurità!
Infine, se abbiamo capito perché Maria ha goduto di questo “privilegio”, non dobbiamo essere gelosi. Il privilegio le è stato concesso in vista della sua missione. Per una missione unica, lei ha ricevuto una grazia unica. Questo significa che anche noi, per le missioni che ci vengono affidate, noi riceviamo la grazia necessaria.
Una volta esisteva una confraternita della “felicitazione” della Vergine Maria. Lei stessa ha detto che tutte le generazioni la proclamavano “beata”. L’8 dicembre, noi prendiamo nostro posto in questo susseguirsi di generazioni. Onoriamolo!

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