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OMELIA DEL PADRE CUSTODE PER LA FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE 2011 – anno A – 2011

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OMELIA DEL PADRE CUSTODE PER LA FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE 2011 – anno A

8 DICEMBRE 2011

“DOVE SEI?” “ECCOMI”

FRA PIERBATTISTA PIZZABALLA – CUSTODE DI TERRA SANTA

La prima lettura e il vangelo ci parlano di due dialoghi. In Genesi è Dio stesso che parla con Adamo, con l’uomo; in Luca è l’inviato di Dio, l’angelo Gabriele, che dialoga con Maria. Prima di riflettere un po’ sul contenuto di questi due dialoghi, vorrei fermarmi sul dialogo in sé, sul fatto che Dio scelga di instaurare con l’uomo una relazione di dialogo. Dialogo è la forma di una relazione d’amore, per cui quando c’è una fatica con l’altro, la prima cosa è evitare di parlargli, togliergli la parola. Dare all’altro la propria parola significa riconoscere la sua esistenza, la sua dignità, la sua importanza. È scegliere la relazione con lui, è scegliersi nella relazione con lui, e quindi riconoscersi bisognosi di questa relazione per poter esistere, per essere se stessi. Dio parla con l’uomo, sceglie di parlargli, lo crea con la Sua Parola; e continua a parlargli anche quando con l’uomo inizia ad esserci qualche problema … Anche lì, Dio non interrompe il dialogo, non lascia l’uomo solo nel proprio peccato, ma va a cercarlo e gli parla. • Se si vuole, la Bibbia è la storia di questo dialogo, continuamente offerto all’uomo, perché è sempre Dio che prende l’iniziativa di dialogare, questa è la particolarità della fede ebraica e poi cristiana, che Dio interpella l’uomo. Lo crea per entrare in dialogo con Lui, e continuamente sollecita questo dialogo. o È molto bello quanto dice un rabbino ebreo (Neher) a proposito di Giobbe. Per cui Giobbe, che si ostina a rimanere in dialogo con Dio, che non si accontenta delle risposte dei propri amici, alla fine di tutto il suo percorso potrebbe dire una cosa così: “Signore, quando parlavano i miei amici, io capivo tutto, ma non mi dicevano niente. Ora che Tu parli, io non capisco niente, ma mi basta che Tu mi parli”. Per dire che noi siamo questo dialogo con Dio, se Lui non ci parla, dice un salmo, noi siamo come chi scende nella fossa, noi siamo morti. • E questo dice qualcosa anche delle relazioni tra noi, e di come sia importante la parola, il dialogo. Non è tutto, non è l’unica forma di comunicazione, ma è importante, ed è importante innanzitutto perché è la forma che il Signore ha scelto per entrare in relazione con noi.

Ora veniamo ai dialoghi di cui ci parla la Parola di oggi. Genesi ci dice che, dopo il peccato, Dio va a parlare con l’uomo. Ma l’uomo non ha molta voglia di parlare con Dio, perché ha in cuore un’altra parola, quella del serpente. • Ed è interessante che il peccato è segnato da un’assenza di dialogo tra la donna e l’uomo: la donna ascolta il serpente, poi vede il frutto, lo prende, lo mangia e ne dà al marito, senza che tutto questo percorso sia accompagnato da una parola. Il racconto non riporta nessuna parola tra i due, e … ce ne sarebbe stato molto bisogno … ! Il peccato è già di per sé assenza di parola, è solitudine; e la solitudine, l’assenza di parola è già peccato, perché comandamento di Dio è che l’uomo non sia solo, che l’uomo parli, che sia in relazione … E dunque, l’uomo che ha peccato sente Dio, sente la presenza di Dio, ma fugge dall’intimità con Lui. Ha paura, perché la paura è il primo e naturale frutto del peccato. L’uomo ha lasciato che un altro, che non fosse Dio, gli desse un’altra legge. Dio aveva detto: questo non è bene. Il serpente gli dice: questo è bene. L’uomo ha già scelto un altro dio, un altro principio, un’altra libertà; ha ascoltato un altro. E Dio non ha già più posto, ha già perso il suo posto di partner primo di questo dialogo, di questa relazione. L’uomo ha paura perché ha spostato Dio, e non sa più come stare in relazione con Lui. E si nasconde, perché l’uomo, senza Dio, non ha casa, non ha vita. Ma Dio non si rassegna a scomparire così dalla propria creazione, e viene, e cerca l’uomo, e, appunto, di nuovo gli parla: “Dove sei?”(Gn 3,9). E l’uomo risponde dicendo la verità, dicendo ciò che resta di lui, e cioè di qualcuno che sente la presenza di Dio come una minaccia. La verità dell’uomo, dopo il peccato, è la sua paura di Dio, e la vergogna di se stesso, della propria nudità. La verità dell’uomo, dopo il peccato, è quella di essere solo e di non avere la speranza che Dio possa di nuovo incontrarlo, per cui va a cercare altri dialoghi … In realtà, il dialogo ricomincia, perché Dio ricomincia, ma nel cuore dell’uomo rimane la paura, il dubbio, che questo non sia possibile. L’uomo si porta dentro questa tendenza ad ascoltare altro, a trovare altri dialoghi, a lasciarsi dire altre verità. Il rapporto con Dio rimane una lotta, un cammino non più scontato, il cui esito non è più sicuro. Rimane un uomo in fuga, che si nasconde. E rimane un Dio che deve sempre ricominciare a cercare l’uomo, a parlargli. Potremmo dire che questa domanda, “dove sei?” percorre il tempo, i secoli, la storia, sempre alla ricerca dell’uomo, alla ricerca di ricostruire questo dialogo interrotto. Dio persegue con tenacia il suo progetto di relazione, d’amore, e va a cercare Abramo, i patriarchi, Mosè, Davide, i profeti … E arriva fino a Maria.

Eccoci dunque al Vangelo di Luca. Chi è Maria? È innanzitutto una donna che non si nasconde, che entra in dialogo con Dio. Quando Dio la cerca, e le chiede “dove sei?”, la sua risposta non è la paura. Certo, sente tutto il peso di questa sproporzione, tra lei e Dio, ma non si ferma lì. È bello, perché anche in lei c’è il turbamento, c’è il timore. Ma questo non le impedisce di ascoltare. E Maria ascolta veramente, cioè si lascia convincere dalla verità di Dio, da ciò che Dio le dice, e cioè semplicemente di non aver paura: “Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). Come la paura è il frutto del peccato, la fiducia è il frutto della grazia. Questa è la cosa nuova, la nuova creazione che Dio compie in Maria, una donna nuovamente capace di fidarsi di Dio. Per cui Maria dice “sì”, e dice “sì” ad essere ciò per cui l’uomo era stato creato in principio, ovvero ad essere luogo della Parola, terra che accoglie la Parola di Dio. Ad essere una donna completamente aperta e disponibile a questo dialogo, libera di essere solo questo ascolto. La festa di oggi ci dice una cosa molto bella, ovvero che questo passaggio, dalla paura alla fiducia, dalla solitudine alla relazione, è possibile solo per grazia. Non è possibile per un eventuale sforzo dell’umanità che, da sola, riesce a ristabilire una relazione giusta con Dio, ma perché Dio stesso sceglie una creatura e la rende capace di nuovo di una relazione piena con Lui, una relazione libera dalle conseguenze del peccato. Una creatura capace di nuovo, semplicemente, di fidarsi. E questo significa che la santità è più una questione di fiducia che di altro …, che la libertà è più una questione di ascolto che di altro. La festa di oggi ci dice che la grazia di Cristo, la novità della Pasqua, è così immensa, che è capace di questo. Perché anche la Pasqua è questo, è quest’uomo, Gesù, capace di ascolto, di fiducia, di stare nella volontà del Padre, e di trovare lì la vita. L’Immacolata è una festa vicina al Natale, ma vicina soprattutto alla Pasqua, e che si “capisce” solo alla luce della Pasqua. La grazia della Pasqua ci libera veramente dal male, dal peccato, non nel senso che il peccato scompare, ma nel senso che è di nuovo possibile una fiducia più grande. Che il peccato non domina più, non ha più l’ultima parola dentro la relazione tra Dio e l’uomo. Che lo spazio della distanza tra l’uomo e Dio può di nuovo essere colmato di fiducia.

Dunque, Maria è la verità dell’uomo. Nel senso che la verità dell’uomo non è il suo peccato, il suo limite, il suo male, ma la grazia di Dio che nell’uomo, dentro questo uomo, sovrabbonda. Per cui, alla domanda di Dio: “Dove sei?”, noi possiamo rispondere che siamo dentro la Sua grazia, dentro il Suo amore, non per merito nostro, ma per la Pasqua di Gesù, per questo Suo donarsi fiducioso e definitivo al Padre, che riapre per sempre la strada al dialogo tra Dio e l’uomo.

DIO PADRE IN SAN PAOLO (in riferimento alla Immacolata Concezione di Maria)

http://www.clerus.org/clerus/dati/1999-06/14-2/DioPadre3.rtf.html

(questo testo è in riferimento alla Immacolata Concezione di Maria, ho trovato questa breve passaggio:

« TESTIMONIANZA e SEGNO dell’AMORE GRATUITO del PADRE    L’Immacolata Concezione di Maria non è un fatto a sé stante, isolato dal piano divino della salvezza, ma al contrario rientra nel disegno salvifico di Dio, che prevede innanzitutto l’incarnazione redentrice di Cristo, grazie alla quale tutti sono gratuitamente salvati dall’amore di Dio, secondo quanto afferma S. Paolo: « Tutti… sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù ».    La liberazione dal peccato originale e la pienezza di grazia di cui è rivestita Maria, sin dal primo istante di vita, non sono frutto della sua fede o di qualche altro suo merito, ma solo dono gratuito di Dio. »)

DIO PADRE IN SAN PAOLO

ALBERTO PIOLA

Introduzione Affrontando il messaggio su Dio presente nella teologia di san Paolo, non solo andiamo a conoscere che cosa Gesù ci ha rivelato su Dio, suo e nostro Padre, ma vediamo anche una riflessione cristiana su Dio. Nelle sue lettere Paolo seppur non in modo sistematico visto il loro carattere occasionale spiega ai primi cristiani il nuovo concetto cristiano di Dio, inscindibilmente legato a quanto è successo nell’evento della vita, morte e risurrezione di Gesù.

Alla ricerca di Dio Essere cristiani secondo Paolo non significa essere delle persone che adorano Cristo come l’unico Dio: infatti, il rimando ultimo non è Gesù, ma il Padre; compito di Gesù è proprio quello di metterci in contatto con il Padre: 1 Timoteo 2,5-6 Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Il centro della predicazione di Paolo ha un carattere soteriologico: Dio ha salvato gli uomini per mezzo di Gesù Cristo morto e risorto. Quindi egli guarda innanzi tutto a ciò che Dio ha fatto e non tanto alla sua natura e al suo mistero. Ma da quello che Dio « fa » si può capire ciò che Dio « è ». Ma chi è questo Dio? È precisamente « il Padre del Signore nostro Gesù Cristo » (Romani 15,5). Per Paolo questo è il volto specifico della prima persona della Trinità ed è questa paternità che gli permette di annunciare la nuova immagine cristiana di Dio.   Paolo non parte dall’ateismo: per lui è scontata l’esistenza e la presenza di Dio: Romani 11,36 da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Sente Dio come presente e vicino a sé: egli sta « davanti » a Lui, lo loda e lo ringrazia; Romani 1,8 rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. È addirittura « il mio Dio »! e allora può arrivare a dire: 1 Corinzi 8,6 per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui. Tutto questo è possibile per Paolo perché ha capito di essere inserito in un progetto di Dio: Romani 8,28-30 noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. Per Paolo allora « Dio non è soltanto prima dell’uomo, ma è prima nell’amore; ha amato gli uomini prima che essi potessero amarlo: li ha amati dall’eternità. Il Dio vicino è dunque il Dio che chiama e ama l’uomo dalla profondità infinita della sua eternità. Così è un Dio vicino e, nello stesso tempo, un Dio lontano ». Però, ci dice Paolo, questo Dio non è immediatamente raggiungibile: è necessaria nella vita dell’uomo la ricerca di Dio. Dio è più grande di noi: è uno ed unico; 1 Corinzi 8,4-6 noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c’è che un Dio solo. E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dei sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dei e molti signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui. Il netto rifiuto di altri idoli (cfr. l’ambiente pagano in cui Paolo annuncia il Vangelo) significa che per essere cristiani occorre fare il passaggio dagli idoli sempre possibili della nostra vita alla scelta dell’unico Dio; come hanno fatto i Tessalonicesi: vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero (1Tess 1,9). Ciononostante, non è facile per Paolo capire chi è questo Dio, i cui giudizi sono imperscrutabili (Romani 11,33 O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!). L’uomo non può capire da solo chi sia Dio: 1 Corinzi 2,10-11 lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ci sono delle strade umane per arrivare a Dio: la via della creazione: l’osservazione del mondo creato pone degli interrogativi per la sua grandezza e bellezza: Romani 1,20 dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità. Quindi le creature rimandano al Creatore; ma per Paolo questa via è pericolosa: il mistero di Dio rimane comunque inaccessibile e c’è sempre il pericolo di divinizzare il creato. Infatti gli uomini sono caduti nell’idolatria: Romani 1,21-23 sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. L’uomo da solo non è quindi in grado di arrivare dalle creature al Creatore: 1 Corinzi 1,20-21 Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. le opere buone: sono senza dubbio l’espressione dei nostri sforzi di fedeltà alla legge del Signore e manifestano il nostro desiderio di essere fedeli a Lui. Però Paolo conosce l’orgogliosa consapevolezza che il popolo di Israele aveva del possesso della Legge e invita a non farsi illusioni: la sola osservanza della Legge non salva: Romani 9,30-32 Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Non è quindi possibile giungere a Dio solo con una prestazione morale, perché Dio non si lascia ipotecare dai presunti meriti dell’uomo. In Paolo risulta così « chiaro che il Dio del Nuovo Testamento, essendo colui che si rivela mediante l’imprevedibile e scandalosa stoltezza della Croce di Cristo (cfr. 1Cor 1,17-25), è per eccellenza il Dio della grazia (Ef 2,8), che preferisce i deboli, i peccatori, gli emarginati dalle religioni, i lontani. Egli è presente attivo là dove non lo si immaginerebbe: nel condannato e suppliziato Gesù di Nazareth. Egli perciò diventa, a sorpresa, oggetto di una scoperta donata: un Dio così non si poteva trovare in base a semplici presupposti umani; un Dio così poteva soltanto rivelarsi di sua propria iniziativa ».

L’azione salvifica di Dio Padre Quindi il vero punto di partenza è che Dio si è rivelato in Gesù Cristo: il suo nome è proprio quello di essere il Padre di Gesù e in questo suo Figlio ci ha voluto salvare. Che Dio ci salvi è un’affermazione tanto scontata quanto problematica: l’uomo moderno sembra fare benissimo a meno di una salvezza, al limite può riconoscere la sua impotenza di fronte a certe situazioni. È nella vita, morte e risurrezione di Gesù che Dio si è rivelato come il Dio per noi: Romani 8,31-32 Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?. È proprio in Gesù che abbiamo potuto conoscere un amore insospettato: Romani 8,35-39 Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Ma che cosa vuol dire per Paolo che Dio è un Padre che ci salva? tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Romani 3,23): la condizione propria dell’uomo è quella del peccato: infatti tutti quanti commettiamo peccati e siamo all’interno di un mondo che porta con sé il peccato e la sua forza (cfr. i vari condizionamenti che subiamo verso il male). È la condizione dell’umanità in cui nasciamo: Romani 5,12 come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. È una condizione tragica, perché siamo lontani da Dio e siamo dominati dal potere del peccato; se infatti al di là di ingenue illusioni andiamo a vedere che cosa succede in noi quando siamo « abitati » dal peccato, ci rendiamo conto che se il circolo non viene spezzato facilmente siamo schiavi della logica del peccato che ci allontana da Dio rendendoci attraente il bene. Proprio per questa situazione Dio è venuto a salvarci in Gesù: Romani 5,17-19 se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà  vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.  Dio nel suo amore misericordioso giustifica i peccatori: questo Padre che ci è venuto a cercare non ha voluto che noi restassimo in questa condizione di peccato ma ha scelto di trasformarci e di renderci giusti. Tutti gli uomini sono sotto il giudizio e l’ira di Dio (cfr. Romani 1,18): ma ad essere annientato non è l’uomo peccatore, bensì il suo peccato; perché Dio, oltre ad essere giusto, è anche il Dio della tolleranza e della pazienza: Romani 2,1-11 Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio? O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all’ingiustizia. Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, perché presso Dio non c’è parzialità. Quell’uomo che era peccatore è ora reso giusto dall’amore di Dio in Cristo: Romani 5,8 Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. È questa la lieta notizia sul destino dell’uomo: 1 Tessalonicesi 5,9-10 Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Si tratta quindi di un Dio « giusto » e nello stesso tempo « giustificante », che ci rende giusti: Romani 3,24-26 tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. Non possiamo giustificarci da soli: la Legge degli Ebrei non serve più, l’unica condizione per essere resi giusti da Dio nostro Padre è la fede nel suo Figlio Gesù. Noi oggi non abbiamo certo più i problemi dei primi cristiani che si sentivano ancora vincolati all’osservanza della Legge giudaica, ma possiamo avere la medesima tentazione di fondo: cavarcela da soli, essere giusti per le nostre forze. È troppo forte per Paolo il rischio di sentirci orgogliosamente salvati da soli; il vero modello del credente è Abramo con la sua fede: Romani 3,28; 4,1-3.18-22 Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. Che diremo dunque di Abramo, nostro antenato secondo la carne? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia . Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo aveva circa cento anni e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. Dio ci giustifica per mezzo della fede in Gesù Cristo: con il Cristo è cominciato il tempo ultimo della salvezza in cui Dio Padre ci ha detto e dato tutto nel suo Figlio Gesù. Egli è morto sulla croce « per noi », cioè a causa nostra e per i nostri peccati; ed è proprio lì che ci ha salvati, ci ha resi giusti liberandoci dalle colpe. Lui è il Risorto, colui che il Padre ha confermato dopo lo scacco supremo della morte: credere in Lui è ora per il cristiano il mezzo per salvarsi. Credere in Dio Padre si vedrà ora nel nostro rapporto personale di fede con il Figlio, perché tutta la nostra vita sia inserita nel Signore: Romani 14,7-8 Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. « In conclusione, il Dio che rivela san Paolo è il Dio Salvatore, cioè il Dio che, nel suo infinito amore per gli uomini peccatori, ha mandato nel mondo il suo Figlio Gesù, nato da donna, perché con la sua morte redimesse gli uomini e con la sua risurrezione desse la vita eterna a coloro che credono in lui e con la fede e la carità vivono in lui e per lui. Per san Paolo, Dio è il Dio di Abramo, di Mosè e dei Profeti; è il Dio della promessa fatta ad Abramo. Tuttavia la rivelazione che Gesù gli ha fatto di sé sulla via di Damasco ha trasformato la sua vita e la sua visione di Dio. Per lui ormai Dio è colui che salva gli uomini in Gesù Cristo. È il Dio per noi (Rm 8,31), il Dio che ci dà speranza, perché il suo amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5) ».

Alcuni spunti Il messaggio di Paolo su Dio Padre ci dà senza dubbio molti altri spunti oltre a quanto abbiamo già trovato nei Vangeli. Dio Padre è un Dio che va sempre cercato: c’è da preoccuparsi seriamente quando non siamo più capaci a cercare Dio o quando crediamo di saper già tutto di lui Può non esserci molto difficile lasciare aperta la domanda su Dio di fronte alle bellezze del creato o di fronte ai grandi perché della vita; ma l’atteggiamento della ricerca è ancora qualcosa di più: è un dinamismo attivo, è un desiderio. Come è accaduto a Paolo, così ognuno può avere la sua caduta lungo la strada di Damasco: e si scopre di non conoscere ancora il vero volto di Dio. L’esperienza personale di Paolo ci ha presentato un Dio presente e vicino, che lui chiama il « mio Dio »: è un punto di arrivo del cammino di fede, che deve partire dal riconoscimento della trascendenza di Dio (altrimenti diventa « l’amicone » che non mi mette più in discussione). Il Dio trascendente ed immanente è il Dio che vediamo nel Natale: l’Eterno sotto la figura di un piccolo bambino ma è proprio così che lo comprendiamo come il « Dio per noi », il Dio che sta dalla nostra parte, combatte la nostra stessa battaglia. Altrimenti che ce ne facciamo di un Dio che sta solo accanto a noi o sopra di noi?! Nel nostro cammino verso Dio Padre ci ha avvertiti Paolo corriamo il rischio di divinizzare il creato: logicamente non fa problema che il passaggio da fare è quello dalle creature al Creatore, ma praticamente è molto più difficile riuscire a dare sempre a tutto il giusto posto. Verificare ogni tanto il nostro rapporto con i beni creati non fa male: dov’è il nostro cuore?                             Nemmeno le « opere della Legge » servono per essere in comunione con il Padre: con Dio cioè non vale contrattare in base ai propri meriti. La logica commerciale può essere presente anche nel nostro rapporto con Dio, quando perdiamo la dimensione filiale; ovviamente i problemi nascono quando non siamo ripagati delle nostre prestazioni a Dio. Lasciarci salvare è terribilmente difficile: la passività arriva dopo una serie infinita di sforzi, e forse non ce la faremo mai ad essere totalmente ricettivi nei confronti di Dio. Intendere le nostre attività « solo » come risposta ad un dono richiede moltissima umiltà. Forse impariamo troppo poco dai nostri fallimenti E per lasciarci salvare occorre riconoscere il peccato che è noi: è un’altra dimensione della medesima realtà. Ma se continueremo a dire che tutto sommato siamo a posto così, che c’è in fondo chi è peggio di noi, molto difficilmente avremo bisogno di invocare Dio salvatore. Al limite potremo pretendere che ci ricompensi dei nostri successi e che nella sua bontà un po’ ingenua chiuda gli occhi sui nostri insuccessi. Credere in Dio è credere che Lui ci trasforma: può essere il messaggio finale che ci dona san Paolo; lui ha saputo cambiare la sua concezione di Dio e ha saputo lasciarci trasformare da Lui. Tutta la nostra vita cristiana è un cammino per lasciarci trasformare da Dio e per poter giungere a vivere con Lui per sempre. Allora Giobbe rispose al Signore e disse: Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere (Gb 42,1-3.5-6). 

8 SETTEMBRE: NATIVITÀ DI MARIA VERGINE

http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/918

8 SETTEMBRE: NATIVITÀ DI MARIA VERGINE

La Natività, come tutte le principali festività mariane, è di origine orientale. Nella Chiesa romana è attestata con sicurezza verso la metà del secolo VII. Forse la datazione iniziale di questa festa risale alla consacrazione di una chiesa a Gerusalemme (dedicata a S. Anna) nelle vicinanze della piscina probativa.
Già la tradizione antica notava che nella Chiesa si celebra solo la Natività di due personaggi: S. Giovanni Battista e Maria Santissima. Evidentemente la ragione di fondo per Maria, oltre alla sua perfezione e dignità unica, è quella della sua posizione ed importanza in ordine alla salvezza. L’entrata nel mondo di questa creatura ha un rilievo unico, sovrapersonale, universale. La festività odierna si colloca pertanto in un rapporto immediato con la solennità dell’Immacolato concepimento e con quella dell’Annunciazione del Signore.

Predestinata ad essere la Madre del Salvatore
La festa della Natività di Maria si ricollega ed è un prolungamento di quella del suo Immacolato Concepimento, di cui ripete i motivi, le espressioni di lode, ammirazione ed esultanza.
La Natività di Maria è « speranza e aurora di salvezza al mondo intero ». In Lei e con Lei le promesse diventano ormai speranza certa. Quello che è stato sospirato, desiderato, atteso, con la Natività di Maria diviene inizio del compimento dell’opera salvifica. Il concetto è espresso con un’immagine bellissima e particolarmente significativa in ordine al mutarsi dei tempi della salvezza: Maria compare nella scena di questo mondo come l’aurora che annuncia e precede il sorgere del sole.

La natività di Maria e il Natale di Cristo
La Natività di Maria è il giorno dunque di letizia per la Chiesa perché annuncia il Natale di Cristo. Le due nascite s’incontrano anche nell’uso degli stessi termini liturgici. Tre termini danno contenuto e caratterizzano la celebrazione del Natale di Cristo: Luce, pace, gioia.
Le stesse parole, con tutto il loro contenuto messianico le ritroviamo in questa festività mariana. Infatti Maria, già nella sua nascita, partecipa di questi doni e li annuncia al mondo. Lei entra nel mondo, rivestita della luce divina del suo Figlio, partecipe della sua bellezza. E come il Natale di Cristo fu « una grande gioia » così la Natività di Maria è salutata come tale.
Mentre gli angeli cantano la pace per gli uomini di buona volontà, l’orazione del giorno chiede, come frutto della celebrazione di questa Natività, il dono messianico della « pace ». Domanda che va intesa in sento natalizio, come riconciliazione con Dio, presenza e pienezza dei suoi doni. Maria porta in sè e annunzia al mondo anche questa realtà, che costituisce l’aspirazione perenne dell’umanità. Ella per prima ne è beneficiaria in modo perfetto e totale.
(dal libro: Edoardo Luini, Il culto di Maria, Ed. Messaggero Padova, 1981)

Da un’omelia di Giovanni Paolo II
Le letture odierne ci inducono a considerare da due diverse visuali il grande mistero della parola eterna che si è fatta uomo e contemporaneamente il mistero della maternità di Maria.
Noi meditiamo su questo stretto legame tra i due misteri ogni anno, in particolare tra Natale e Capodanno, tra il giorno della nascita di Cristo e il giorno della maternità di Maria.
Dio ha scelto Maria per diventare la Madre di Gesù Cristo. Secondo la fede della Chiesa, tutta la persona e l’esistenza di Maria sono improntate a questa chiamata eccezionale. Questo è il motivo per cui noi guardiamo al suo ingresso in questo mondo, alla sua nascita, con venerazione e con riconoscenza; e anche se la data esatta di questa nascita non ci è nota, essa cade inequivocabilmente negli anni immediatamente precedenti quella santa notte di Betlemme.
È volontà di Dio che noi diventiamo fratelli e sorelle di Gesù e che « prendiamo parte alla sostanza e alla forma di suo Figlio »; in Gesù egli ha « reso giusti » e « glorificato » già tutti coloro che ha chiamato alla sua sequela. Meravigliose parole dell’apostolo, in cui la Chiesa riconosce la parola di Dio stesso! Sì, grandi cose il Signore ha fatto rendendoci membri della sua Chiesa. Una gioia e una riconoscenza spontanee devono sgorgare dal nostro cuore; la nostra risposta deve essere quella di amare Dio con il corpo e con l’anima, con il cuore e con la ragione, con tutte le nostre forze.
Solo allora anche su di noi si potrà adempiere quanto la lettera di San Paolo afferma grandiosamente all’inizio: « Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio » (cf. Rm 8, 28-30). Come sono diventate vere queste parole per Gesù stesso, che attraverso il sacrificio della sua vita è divenuto il nostro Redentore; ma come sono diventate vere anche per Maria, la prima redenta, che per amore del Figlio è rimasta preservata dal peccato ed è quindi divenuta la Madre di tutti i redenti.
In questo modo Maria, attraverso la sua vocazione ad essere la Madre di Cristo, partecipa in misura particolare a quella chiamata comune, rivolta da Cristo a tutti gli uomini e che può essere realizzata in comunione con lui.
Se noi veneriamo il mistero della nascita di Maria con amore, ci renderemo conto sempre più chiaramente che mediante il suo « sì » e attraverso la sua maternità Dio è con noi.
Questo vale anche per quella primissima sorgente della comunità umana che noi chiamiamo famiglia. L’odierna festa della nascita di Maria e il mistero della nascita umana di Dio nel grembo della Sacra Famiglia guidano la nostra attenzione proprio sulla famiglia.
A ragione possiamo pensare che la Madre del Signore sia nata in una famiglia religiosa e devota. Maria stessa prega molto. Nel Magnificat, famosa lode della potenza e gloria del Signore, essa ci insegna l’indirizzo principale di ogni preghiera: « L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore » (Lc 1, 46-47). Cantate anche voi questa lode a Dio! Mostrate a Dio, mediante la fedele partecipazione alle celebrazioni eucaristiche della domenica e dei giorni feriali, che lo amate e onorate sopra ogni cosa e contemporaneamente siete pronti a dare a quest’amore un’espressione concreta e comunitaria! Andate al Signore eucaristico nel tabernacolo e pregate lì il Dio misteriosamente presente per voi stessi, per la vostra famiglia, per le vostre famiglie della vostra patria, per la famiglia dell’umanità e per la famiglia di Dio nella Chiesa! Esorto voi tutti, bambini, ragazzi e adulti, laici e sacerdoti, religiosi e religiose, sani e malati, impediti e attempati: pregate! Sì, mantenetevi fedeli alla preghiera quotidiana! La preghiera è la forza che veramente cambia e libera la nostra vita; nella preghiera avviene l’autentico « incontro con la vita ».
Eschen-Mauren (Liechtenstein), 8 settembre 1985

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 9 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI: BEATA VERGINE MARIA REGINA (22 AGOSTO)

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120822_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

CORTILE DEL PALAZZO APOSTOLICO DI CASTEL GANDOLFO

MERCOLEDÌ, 22 AGOSTO 2012

BEATA VERGINE MARIA REGINA (22 AGOSTO)

Cari fratelli e sorelle,

ricorre oggi la memoria liturgica della Beata Vergine Maria invocata con il titolo: “Regina”. E’ una festa di istituzione recente, anche se antica ne è l’origine e la devozione: venne stabilita, infatti, dal Venerabile Pio XII, nel 1954, al termine dell’Anno Mariano, fissandone la data al 31 maggio (cfr Lett. enc. Ad caeli Reginam, 11 octobris 1954: AAS 46 [1954], 625-640). In tale circostanza il Papa ebbe a dire che Maria è Regina più che ogni altra creatura per la elevazione della sua anima e per l’eccellenza dei doni ricevuti. Ella non smette di elargire tutti i tesori del suo amore e delle sue premure all’umanità (cfr Discorso in onore di Maria Regina, 1° novembre 1954). Ora, dopo la riforma post-conciliare del calendario liturgico, è stata collocata a otto giorni dalla solennità dell’Assunzione per sottolineare lo stretto legame tra la regalità di Maria e la sua glorificazione in anima e corpo accanto al suo Figlio. Nella Costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano II leggiamo così: «Maria fu assunta alla gloria celeste e dal Signore esaltata come Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al suo Figlio» (Lumen gentium, 59).
E’ questa la radice della festa odierna: Maria è Regina perché associata in modo unico al suo Figlio, sia nel cammino terreno, sia nella gloria del Cielo. Il grande santo della Siria, Efrem il Siro, afferma, circa la regalità di Maria, che deriva dalla sua maternità: Ella è Madre del Signore, del Re dei re (cfr Is 9,1-6) e ci indica Gesù quale vita, salvezza e speranza nostra. Il Servo di Dio Paolo VI ricordava nella sua Esortazione apostolica Marialis Cultus: «Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi” (n. 25).
Ma adesso ci domandiamo: che cosa vuol dire Maria Regina? E’ solo un titolo unito ad altri, la corona, un ornamento con altri? Che cosa vuol dire? Che cosa è questa regalità? Come già indicato, è una conseguenza del suo essere unita al Figlio, del suo essere in Cielo, cioè in comunione con Dio; Ella partecipa alla responsabilità di Dio per il mondo e all’amore di Dio per il mondo. C’è un’idea volgare, comune, di re o regina: sarebbe una persona con potere, ricchezza. Ma questo non è il tipo di regalità di Gesù e di Maria. Pensiamo al Signore: la regalità e l’essere re di Cristo è intessuto di umiltà, di servizio, di amore: è soprattutto servire, aiutare, amare. Ricordiamoci che Gesù è stato proclamato re sulla croce con questa iscrizione scritta da Pilato: «re dei Giudei» (cfr Mc 15,26). In quel momento sulla croce si mostra che Egli è re; e come è re? soffrendo con noi, per noi, amando fino in fondo, e così governa e crea verità, amore, giustizia. O pensiamo anche all’altro momento: nell’Ultima Cena si china a lavare i piedi dei suoi. Quindi la regalità di Gesù non ha nulla a che vedere con quella dei potenti della terra. E’ un re che serve i suoi servitori; così ha dimostrato in tutta la sua vita. E lo stesso vale per Maria: è regina nel servizio a Dio all’umanità, è regina dell’amore che vive il dono di sé a Dio per entrare nel disegno della salvezza dell’uomo. All’angelo risponde: Eccomi sono la serva del Signore (cfr Lc 1,38), e nel Magnificat canta: Dio ha guardato all’umiltà della sua serva (cfr Lc 1,48). Ci aiuta. E’ regina proprio amandoci, aiutandoci in ogni nostro bisogno; è la nostra sorella, serva umile.
E così siamo già arrivati al punto: come esercita Maria questa regalità di servizio e amore? Vegliando su di noi, suoi figli: i figli che si rivolgono a Lei nella preghiera, per ringraziarla o per chiedere la sua materna protezione e il suo celeste aiuto, dopo forse aver smarrito la strada, oppressi dal dolore o dall’angoscia per le tristi e travagliate vicissitudini della vita. Nella serenità o nel buio dell’esistenza, noi ci rivolgiamo a Maria affidandoci alla sua continua intercessione, perché dal Figlio ci possa ottenere ogni grazia e misericordia necessarie per il nostro pellegrinare lungo le strade del mondo. A Colui che regge il mondo e ha in mano i destini dell’universo noi ci rivolgiamo fiduciosi, per mezzo della Vergine Maria. Ella, da secoli, è invocata quale celeste Regina dei cieli; otto volte, dopo la preghiera del santo Rosario, è implorata nelle litanie lauretane come Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini, di tutti i Santi e delle Famiglie. Il ritmo di queste antiche invocazioni, e preghiere quotidiane come la Salve Regina, ci aiutano a comprendere che la Vergine Santa, quale Madre nostra accanto al Figlio Gesù nella gloria del Cielo, è con noi sempre, nello svolgersi quotidiano della nostra vita.
Il titolo di regina è quindi titolo di fiducia, di gioia, di amore. E sappiamo che quella che ha in mano in parte le sorti del mondo è buona, ci ama e ci aiuta nelle nostre difficoltà.
Cari amici, la devozione alla Madonna è un elemento importante della vita spirituale. Nella nostra preghiera non manchiamo di rivolgerci fiduciosi a Lei. Maria non mancherà di intercedere per noi presso il suo Figlio. Guardando a Lei, imitiamone la fede, la disponibilità piena al progetto d’amore di Dio, la generosa accoglienza di Gesù. Impariamo a vivere da Maria. Maria è la Regina del cielo vicina a Dio, ma è anche la madre vicina ad ognuno di noi, che ci ama e ascolta la nostra voce. Grazie per l’attenzione.

PREGHIERA A MARIA ASSUNTA DI PAOLO VI

http://www.assisiofm.it/allegati/212-Preghiera%20a%20Maria%20Assunta%20di%20Paolo%20VI.pdf

PREGHIERA A MARIA ASSUNTA DI PAOLO VI

O Maria Immacolata Assunta in cielo,
tu che vivi beatissima nella visione di Dio:
di Dio Padre che fece di te alta creatura,
di Dio Figlio che volle da te
essere generato uomo e averti sua madre,
di Dio Spirito Santo che in te
compì la concezione umana del Salvatore.
O Maria purissima
o Maria dolcissima e bellissima
o Maria donna forte e pensosa
o Maria povera e dolorosa
o Maria vergine e madre
donna umanissima come Eva più di Eva.
Vicina a Dio nella tua grazia
nei tuoi privilegi
nei tuoi misteri
nella tua missione
nella tua gloria.
O Maria assunta nella gloria di Cristo
nella perfezione completa e trasfigurata
della nostra natura umana.
O Maria porta del cielo
specchio della luce divina
santuario dell’Alleanza tra Dio e gli uomini,
lascia che le nostre anime volino dietro a te
lascia che salgano dietro il tuo radioso cammino
trasportate da una speranza che il mondo non ha
quella della beatitudine eterna.
Confortaci dal cielo o Madre pietosa
e per le tue vie
della purezza e della speranza
guidaci un giorno
all’incontro beato con te
e con il tuo divin Figlio
il nostro Salvatore Gesù.
Amen!

LA DEVOZIONE MARIANA DELLA CHIESA COPTA D’EGITTO

http://www.stpauls.it/madre/0701md/0701md11.htm

LA DEVOZIONE MARIANA DELLA CHIESA COPTA D’EGITTO

 di GEORGE GHARIB

I Copti, a motivo della dimora della Santa Famiglia in Egitto, durata almeno due anni, amano considerare la propria Patria un prolungamento della Terra Santa, venerando particolarmente la Madre di Dio.
  La Chiesa Copta d’Egitto appartiene al gruppo di antiche Chiese Orientali, la cui conversione alla fede cristiana risale ai primi tempi del Cristianesimo. L’Egitto difatti è un Paese di antica cristianità; e una tradizione vuole che fondatore e primo Vescovo sia stato l’evangelista San Marco.
Capitale del Paese era allora Alessandria, una delle più importanti città del Mediterraneo: qui sorse attorno al 180, per opera di San Panteno siculo, la « Scuola alessandrina », resa illustre da Clemente Alessandrino (+ 215), Origene (+ 254) ed altri. L’autorità del suo Vescovo, che per primo portò il titolo di ‘Papa’, si estese presto a tutto l’Egitto ed oltre, fino in Etiopia. Tra i suoi Vescovi più celebri meritano menzione Sant’Atanasio (+ 373), campione del primo Concilio Ecumenico di Nicea del 325, e San Cirillo (+ 444), principale difensore del titolo « Theotókos » dato a Maria nel terzo Concilio Ecumenico di Efeso del 431.
L’Egitto fu anche teatro delle prime persecuzioni contro i Cristiani; per questo i suoi martiri non si contano, e tra essi si annovera lo stesso evangelista Marco. Fu anche il primo teatro di vita eremitica e cenobitica, sorte nei deserti egiziani: basti ricordare i nomi di San Paolo di Tebe, di Sant’Antonio Abate e di Shenouda.
Nel secolo V, quando il Concilio di Calcedonia del 451 condannò Dioscoro, successore di Cirillo sulla sede alessandrina, per l’eresia del Monofisismo, l’episcopato egiziano si divise in due tronconi: la grande maggioranza, seguita da numeroso clero, monaci e popolo, solidarizzò con lui divenendo monofisita; mentre una minoranza di elleni o ellenizati, specialmente tra il clero ed i funzionari di Alessandria, aderì alle conclusioni del Concilio: quanti si opponevano al Concilio furono chiamati ‘Copti’ [dal greco ‘Aigyptios’ o egiziano]; gli altri furono chiamati ‘Melkiti’, o seguaci del ‘Melek’, l’Imperatore di Bisanzio che aveva radunato il Concilio.
Tale divisione portò presto alla costituzione di due gerarchie, e pertanto di due Chiese distinte: la prima è la Chiesa Melkita, calcedonense, che entrò sempre più nell’orbita della Chiesa Bizantina; l’altra, anticalcedonense e monofisita, è la Chiesa Copta, che qui ci interessa conoscere.

Chiesa Copta ortodossa e Movimento ecumenico
La Chiesa Copta ha vissuto un lungo periodo di isolamento e di ripiegamento su di sé, reso più cupo con la conquista araba musulmana dell’Egitto. Tuttavia essa, da un secolo a questa parte, sta vivendo un nuovo e felice risveglio sul piano culturale, spirituale, pastorale ed ecumenico.
Fuga in Egitto, dal Libro d’Ore in uso a Poitiers, sec. XVI – Cod. Mediceo Palatino 10 c57v., Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.
Fuga in Egitto, dal Libro d’Ore in uso a Poitiers, sec. XVI – Cod. Mediceo Palatino 10 c57v.,
Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.

La Chiesa Copta conta adesso da otto a dodici milioni di fedeli circa, e costituisce la più numerosa Comunità cristiana del Medio Oriente. L’organizzazione ecclesiastica comprende attualmente un Patriarcato con residenza al Cairo e ventitre Diocesi, di cui venti in Egitto, due nel Sudan e una a Gerusalemme. I Vescovi sono una sessantina, le Parrocchie 1200. Dei numerosi Monasteri che popolavano un giorno i deserti della Tebaide o le rive del Nilo, non ne sopravvivono oggi che otto: due nella Valle del Nilo, due nella regione del Mar Rosso e quattro nella regione di Wadi Natrun, mentre si sta ricostruendo quello di Abu Mina, presso Alessandria. Oltre a questi Monasteri maschili, vi sono al Cairo quattro Monasteri femminili, che contano complessivamente duecento monache.
Dal secolo XVIII vi è pure stato un Movimento di unione con Roma, che ha portato alla costituzione della Chiesa Copta cattolica, la quale segue la medesima liturgia dei fratelli Ortodossi. L’attuale Patriarca cattolico risiede pure lui al Cairo; i suoi fedeli sono circa centocinquantamila.
La Chiesa Copta ortodossa è impegnata nel Movimento ecumenico su diversi piani: con le Chiese sorelle Non-calcedonensi, con il Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra e con la Chiesa Cattolica. Per quanto riguarda quest’ultima, in occasione del loro incontro di Roma nel 1973, Papa Paolo VI e il Patriarca copto Shenouda III hanno istituito una Commissione mista di dialogo, affidandole il compito di « guidare lo studio comune nel campo della tradizione ecclesiastica, della patristica, della liturgia, della teologia, della storia, dei problemi pratici, in modo che, per mezzo di un lavoro comune, in uno spirito di reciproco rispetto, ci sia possibile cercare di risolvere le divergenze esistenti tra le nostre Chiese, per essere in grado di proclamare insieme il Vangelo in una maniera che corrisponda all’autentico messaggio del Signore e ai bisogni e alle attese del mondo » [Dichiarazione comune del 10 Maggio 1973].
Questa « Dichiarazione comune » conteneva una confessione comune nel mistero del Verbo Incarnato. Il 12 Febbraio del 1988, una forma più condensata è stata firmata di comune accordo. Così suona: « Crediamo che nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità. La sua umanità e la sua divinità, egli le fece senza mescolanza, senza commistione, senza confusione. La sua divinità non fu separata dalla sua umanità in alcun momento, nemmeno per un istante. Nello stesso tempo, noi anatematizziamo tanto la dottrina di Nestorio quanto quella di Eutiche ».
La Chiesa Copta possiede una propria Letteratura, Liturgia, e Diritto canonico. La Liturgia, ricca e solenne come tutte le liturgie orientali, ha mantenuto in modo sensibile l’impronta delle sue origini monastiche. La lingua liturgica tradizionale è quella copta, derivata dall’egiziano antico. Tuttavia, nel corso dei secoli si è introdotta la lingua araba che tende sempre più a soppiantare il copto.

Riferimenti mariani nella Chiesa Copta
La venerazione dei Copti per la Madre di Dio è molto estesa e risale ai tempi più antichi. È in Egitto che si incontra per la prima volta il termine « Theotókos », solennemente difeso dal grande Cirillo contro le negazioni di Nestorio nel Concilio di Efeso. In Egitto anche è stata scoperta l’Antifona mariana « Sub tuum praesidium », la più antica invocazione mariana che si conosca.
I Copti, a motivo della dimora della Sacra Famiglia in Egitto, durata almeno due anni, amano considerare la propria patria un prolungamento della Terra Santa. Essi ripercorrono gli spostamenti che la loro tradizione attribuisce alla Sacra Famiglia in Egitto, senza preoccuparsi dei problemi di storicità; e sono riusciti a creare dei Pellegrinaggi le cui tappe sono punteggiate da numerosi e significativi Santuari mariani. Secondo i Copti, una benedizione speciale data dalla Madre di Dio durante il suo soggiorno in Egitto, spiegherebbe la fioritura della vita monastica; e fu questa la ragione della consacrazione a Maria di molti Monasteri dopo il Concilio di Efeso. Attualmente le Chiese dedicate a Maria sono più di 160, tra cui alcune considerate veri e propri Santuari mariani perché ricordano soggiorni ivi fatti da Maria e miracoli da lei operati. In alcune di esse ci sono icone miracolose della Vergine, reputate opera di San Luca.
I Copti possiedono un’abbondante letteratura mariana espressa in Omelie, in Inni e Preghiere, distribuiti nei numerosi Libri liturgici in uso presso la loro Chiesa. Vi si nota un particolare culto per gli apocrifi mariani dell’Infanzia, a causa del soggiorno della Sacra Famiglia in Egitto e delle luci nuove e interessate che essi gettano su tale soggiorno.
Molte Omelie della tradizione copta hanno contenuto mariologico. Alcune sono tradotte dal greco o dal siriaco; altre sono dovute a Padri della Chiesa Copta. Molte altre sono pseudepigrafiche, composte per lo più sotto l’occupazione araba che non consentiva la creazione letteraria e teologica. Ogni occasione era per loro buona per illustrare il mistero liturgico evocato o per tessere l’elogio della persona festeggiata. Fonte immediata di ispirazione è, di solito, la liturgia stessa con i suoi testi e con le sue manifestazioni etniche e folkloristiche.
Maria offre argomenti inesauribili alla trama dei loro discorsi. I Copti dispongono di varie collezioni di Omelie patristiche, sia manoscritte che edite. L’autenticità è solo affermata, ma non controllata. I nomi più ricorrenti sono Cirillo di Gerusalemme, Efrem Siro, Macario l’Egiziano, Giovanni Crisostomo, Cirillo di Alessandria, Giacomo di Sarug, Teofilo di Alessandria, e altri.
I Libri liturgici che contengono argomenti e testi mariani sono: i Calendari, il Sinassario, il Messale, l’Orologio, i Sacramentari, il Pontificale, il Difnar, la Salmodia annuale, la Salmodia di Kiahk, il Libro delle glorificazioni. Esistono anche antologie in onore della Vergine, lodi litaniche, preghiere, glosse e altro.
Fra gli Inni mariani spiccano le cosiddette « Theotokie », che hanno molta affinità con quelle della Chiesa greca. I Copti le attribuiscono ad autori quali Atanasio, Efrem Siro, Giacomo di Sarug e altri. Sono contenute nel libro della « Salmodia annuale », e riprese su larga scala nel libro della « Salmodia di Kiahk » per il mese mariano in preparazione alla festa del Natale. Gli altri Libri liturgici contengono altri testi mariani, come vedremo in seguito.
La Chiesa Copta celebra numerose feste mariane; il numero è molto elastico. Essi parlano volentieri di 32 feste. Fra queste ci sono quelle di consacrazione di molte Chiese mariane, e un ciclo completo che riguarda le diverse tappe della vita della Santa Vergine: Concezione, Natività, Presentazione al Tempio, Annunciazione, Natale, Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Morte e Assunzione.
La festa del Natale è considerata insieme festa di Cristo che nasce e di Maria che lo genera al mondo; per questo il lungo digiuno che precede la festa del Natale è chiamato « digiuno della Vergine » e costituisce una specie di « mese mariano ».
I Copti distinguono anche due feste della « fine della vita di Maria », separate da un lasso di tempo di 206 giorni: la festa della Dormizione, o morte, e quella della sua gloriosa Assunzione al Cielo.

George Gharib

PAPA BENEDETTO: SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100815_assunzione_it.html

 SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo

Domenica, 15 agosto 2010

Eminenza, Eccellenza, Autorità,
Cari fratelli e sorelle,

oggi la Chiesa celebra una delle più importanti feste dell’anno liturgico dedicate a Maria Santissima: l’Assunzione. Al termine della sua vita terrena, Maria è stata portata in anima e corpo nel Cielo, cioè nella gloria della vita eterna, nella piena e perfetta comunione con Dio.
Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario da quando il Venerabile Papa Pio XII, il 1° novembre 1950, definì solennemente questo dogma, e vorrei leggere – anche se è un po’ complicato – la forma della dogmatizzazione. Dice il Papa: «in tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua Concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del Divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli» (Cost. ap. Munificentissimus Deus, AAS 42 (1950), 768-769).
Questo, quindi, è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, «in anima e corpo».
San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci aiuta a gettare un po’ di luce su questo mistero partendo dal fatto centrale della storia umana e della nostra fede: il fatto, cioè, della risurrezione di Cristo, che è «la primizia di coloro che sono morti». Immersi nel Suo Mistero pasquale, noi siamo resi partecipi della sua vittoria sul peccato e sulla morte. Qui sta il segreto sorprendente e la realtà chiave dell’intera vicenda umana. San Paolo ci dice che tutti siamo «incorporati» in Adamo, il primo e vecchio uomo, tutti abbiamo la stessa eredità umana alla quale appartiene: la sofferenza, la morte, il peccato. Ma a questa realtà che noi tutti possiamo vedere e vivere ogni giorno aggiunge una cosa nuova: noi siamo non solo in questa eredità dell’unico essere umano, incominciato con Adamo, ma siamo «incorporati» anche nel nuovo uomo, in Cristo risorto, e così la vita della Risurrezione è già presente in noi. Quindi, questa prima «incorporazione» biologica è incorporazione nella morte, incorporazione che genera la morte. La seconda, nuova, che ci è donata nel Battesimo, è ««incorporazione» che da la vita. Cito ancora la seconda Lettura di oggi; dice San Paolo: «Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. » (1Cor 15, 21-24).
Ora, ciò che san Paolo afferma di tutti gli uomini, la Chiesa, nel suo Magistero infallibile, lo dice di Maria, in un modo e senso precisi: la Madre di Dio viene inserita a tal punto nel Mistero di Cristo da essere partecipe della Risurrezione del suo Figlio con tutta se stessa già al termine della vita terrena; vive quello che noi attendiamo alla fine dei tempi quando sarà annientato «l’ultimo nemico», la morte (cfr 1Cor 15, 26); vive già quello che proclamiamo nel Credo «Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».
Allora ci possiamo chiedere: quali sono le radici di questa vittoria sulla morte prodigiosamente anticipata in Maria? Le radici stanno nella fede della Vergine di Nazareth, come testimonia il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 1,39-56): una fede che è obbedienza alla Parola di Dio e abbandono totale all’iniziativa e all’azione divina, secondo quanto le annuncia l’Arcangelo. La fede, dunque, è la grandezza di Maria, come proclama gioiosamente Elisabetta: Maria è «benedetta fra le donne», «benedetto è il frutto del suo grembo» perché è «la madre del Signore», perché crede e vive in maniera unica la «prima» delle beatitudini, la beatitudine della fede. Elisabetta lo confessa nella gioia sua e del bambino che le sussulta in grembo: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (v. 45). Cari amici! Non ci limitiamo ad ammirare Maria nel suo destino di gloria, come una persona molto lontana da noi: no! Siamo chiamati a guardare quanto il Signore, nel suo amore, ha voluto anche per noi, per il nostro destino finale: vivere tramite la fede nella comunione perfetta di amore con Lui e così vivere veramente.
A questo riguardo, vorrei soffermarmi su un aspetto dell’affermazione dogmatica, là dove si parla di assunzione alla gloria celeste. Noi tutti oggi siamo ben consapevoli che col termine «cielo» non ci riferiamo ad un qualche luogo dell’universo, a una stella o a qualcosa di simile: no. Ci riferiamo a qualcosa di molto più grande e difficile da definire con i nostri limitati concetti umani. Con questo termine «cielo» vogliamo affermare che Dio, il Dio fattosi vicino a noi non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi e ci dona l’eternità; vogliamo affermare che in Dio c’è un posto per noi. Per comprendere un po’ di più questa realtà guardiamo alla nostra stessa vita: noi tutti sperimentiamo che una persona, quando è morta, continua a sussistere in qualche modo nella memoria e nel cuore di coloro che l’hanno conosciuta ed amata. Potremmo dire che in essi continua a vivere una parte di questa persona, ma è come un’«ombra» perché anche questa sopravvivenza nel cuore dei propri cari è destinata a finire. Dio invece non passa mai e noi tutti esistiamo in forza del Suo amore. Esistiamo perché egli ci ama, perché egli ci ha pensati e ci ha chiamati alla vita. Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. Esistiamo in tutta la nostra realtà, non solo nella nostra «ombra». La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità.
E’ il suo Amore che vince la morte e ci dona l’eternità, ed è questo amore che chiamiamo «cielo»: Dio è così grande da avere posto anche per noi. E l’uomo Gesù, che è al tempo stesso Dio, è per noi la garanzia che essere-uomo ed essere-Dio possono esistere e vivere eternamente l’uno nell’altro. Questo vuol dire che di ciascuno di noi non continuerà ad esistere solo una parte che ci viene, per così dire, strappata, mentre altre vanno in rovina; vuol dire piuttosto che Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Tutto l’uomo, tutta la sua vita viene presa da Dio ed in Lui purificata riceve l’eternità. Cari Amici! Io penso che questa sia una verità che ci deve riempire di gioia profonda. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, «la vita del mondo che verrà»: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio. Tutti i capelli del nostro capo sono contati, disse un giorno Gesù (cfr Mt 10,30). Il mondo definitivo sarà il compimento anche di questa terra, come afferma san Paolo: «la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Allora si comprende come il cristianesimo doni una speranza forte in un futuro luminoso ed apra la strada verso la realizzazione di questo futuro. Noi siamo chiamati, proprio come cristiani, ad edificare questo mondo nuovo, a lavorare affinché diventi un giorno il «mondo di Dio», un mondo che sorpasserà tutto ciò che noi stessi potremmo costruire. In Maria Assunta in cielo, pienamente partecipe della Risurrezione del Figlio, noi contempliamo la realizzazione della creatura umana secondo il «mondo di Dio».
Preghiamo il Signore affinché ci faccia comprendere quanto è preziosa ai Suo occhi tutta la nostra vita; rafforzi la nostra fede nella vita eterna; ci renda uomini della speranza, che operano per costruire un mondo aperto a Dio, uomini pieni di gioia, che sanno scorgere la bellezza del mondo futuro in mezzo agli affanni della vita quotidiana e in tale certezza vivono, credono e sperano.

Amen!

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