Archive pour la catégorie 'FESTE DI MARIA'

DEDICAZIONE DELLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE – RICORRENZA: 5 AGOSTO -

http://www.comunitasantiapostoli.it/doc/doa_maggiore.asp

DEDICAZIONE DELLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE (MADONNA DELLA NEVE) – - RICORRENZA: 5 AGOSTO -

La Basilica Papale di Santa Maria Maggiore è qualche cosa di più di una Basilica, di un tempio mariano per eccellenza; è (anche) un gioiello ricco di bellezze di valore inestimabile che gente da tutto il mondo viene ad ammirare.
Ovviamente siamo a Roma. Anche Milano ebbe una sua basilica di Santa Maria Maggiore, cattedrale « invernale », affiancata dalla Basilica Santa Tecla, « estiva »; entrambe – già cadenti – furono abbattute per far posto al Duomo attuale, intitolato a Maria Nascente, la cui costruzione iniziò « ufficialmente » nel 1386. [vedi ]
Tra le maggiori basiliche di Roma (quelle definite « papali » sono quattro) è l’unica a conservare le strutture paleocristiane, sia pure arricchite di consistenti aggiunte successive, e presenta al suo interno alcune particolarità che la rendono unica: i mosaici della navata centrale e dell’Arco trionfale risalenti al V secolo d.C. realizzati durante il pontificato di Sisto III (432-440) e quelli dell’Abside affidati da Niccolò IV al frate francescano Jacopo Torriti (1288-1292); il pavimento « cosmatesco » (ovvero realizzato dalla famiglia dei Cosmati) donato dai nobili romani Scoto e Giovanni Paparoni nel 1288; il soffitto a cassettoni in legno dorato disegnato da Giuliano da Sangallo (1450); il Presepe del XIII secolo di Arnolfo da Cambio; le numerose cappelle (Borghese, Sistina o del Ss. Sacramento, Sforza, Cesi e quella del Crocifisso nonché quella – purtroppo quasi scomparsa – di San Michele); l’Altare maggiore opera di Ferdinando Fuga successivamente arricchito dal genio di Giuseppe Valadier; infine, la Reliquia della Sacra Culla e il Fonte Battesimale bronzeo anch’esso del Valadier.
Insomma questo luogo offre emozioni non solo al pellegrino devoto che si raccoglie in preghiera ma anche al semplice appassionato di arte e addirittura al turista superficiale e distratto. L’incontro con la Basilica liberiana (dal nome di papa Liberio) è un’esperienza che arricchisce umanamente e spiritualmente tutti indistintamente, ferma restando la devozione di fronte all’immagine di Maria, qui venerata con il dolce titolo di Salus Populi Romani (Salvezza del popolo di Roma).
Il 5 agosto di ogni anno viene rievocato, attraverso una solenne Celebrazione, il « Miracolo della Nevicata » (ne parliamo più avanti), quando di fronte agli occhi commossi dei partecipanti una cascata di petali bianchi scende dal soffitto ammantando l’ipogeo e creando quasi un’unione ideale tra l’assemblea e la Madre di Dio. Ed eccoci all’ulteriore appellativo di Madonna della Neve.
Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato volle che una lampada ardesse giorno e notte sotto l’icona della Salus Populi Romani, a testimonianza della sua grande devozione per la Madonna. Lo stesso Pontefice l’8 dicembre del 2001 inaugurò il Museo della Basilica, luogo dove la modernità delle strutture e l’antichità dei capolavori esposti offrono al visitatore un panorama unico.
Si è detto che la Basilica, pur « crescendo » e modificandosi moltissimo nel corso degli anni, ha mantenuto l’impianto originario. Ma forse occorre soffermarsi su quali siano le sue origini.
A volere l’edificazione fu papa Sisto III (Santo) fra gli anni 432 e 440 per intitolarla alla Madre di Dio, evidentemente perché il Concilio di Efeso aveva appena proclamato Maria Theotòkos (appunto: Madre di Dio, anno 431) [vedi ]. La costruzione avvenne su una chiesa precedente che era stata voluta da papa Liberio (352-366) al quale secondo la tradizione la Madonna stessa, apparsa in sogno, disse che il luogo ove costruire la chiesa gli sarebbe stato indicato da un miracolo. E questo miracolo fu una nevicata che il 5 agosto 356 imbiancò il colle Esquilino in piena estate; lo stesso papa Liberio tracciò nella neve il contorno di quella che sarebbe stata la nuova chiesa; i lavori furono finanziati da due patrizi romani, un certo Giovanni e sua moglie, che avevano fatto lo stesso sogno del papa.
Questa primitiva Basilica, della quale nulla è giunto fino a noi, era nota come Santa Maria Liberiana (dal nome del Papa) o Santa Maria ad Nives (per via della neve). È da questi fatti che ancora ai giorni nostri si ricorda la data del 5 agosto con una suggestiva celebrazione durante la quale dal soffitto della Basilica viene lasciata scendere una « nevicata » di petali bianchi, rievocazione della nevicata miracolosa.
Il miracolo della neve ci viene raccontato solo dalla tradizione, non comprovato da alcun documento e quindi non più citato; dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata in Dedicazione di Santa Maria Maggiore. Ma le chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve sono numerosissime come numerose sono le celebrazioni tradizionali.
Ma torniamo alla Basilica « di Sisto III », quella che sia pur con grandi modifiche è giunta a noi, con l’attuale titolo di Santa Maria Maggiore, datole qualche decennio dopo la costruzione, a sottolineare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna. Curiosità vuole che si accenni alla tradizione secondo la quale le ricche dorature del soffitto furono realizzate con il primo oro proveniente dalle Americhe e donato a papa Alessandro VI da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, cioè los Reyes Catolicos che avevano « sponsorizzato » (si direbbe oggi) le spedizioni di Cristoforo Colombo.
Fra i molti « tesori » custoditi vi è anche un « primato »: il primo presepe « plastico » della storia, cioè realizzato con statue e non con bassorilievi monoliti rappresentanti la Natività come sino ad allora si era usato fare. L’iniziativa fu di papa Niccolò IV che nel 1288 commissionò ad Arnolfo di Cambio (o Arnolfo di Lapo, che dir si voglia) una raffigurazione della Natività con sculture rappresentanti ciascuna un « personaggio » (originariamente le statuette erano otto).

Il Presepe di Arnolfo e la Sacra Culla
Niccolò IV veniva dai Frati Minori francescani; è evidente la sua volontà di seguire in qualche modo l’idea di San Francesco, che sessantadue anni prima aveva « inventato » il Presepe ricostruendone la scena con personaggi viventi nella grotta di Greccio.
Un Presepe « vecchia maniera » in bassorilievo era tuttavia già presente sin dal 432 quando papa Sisto III aveva voluto nella Basilica una grotta della Natività simile a Betlemme, tanto che all’epoca la Basilica veniva pure chiamata Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia). Nel 1590 papa Sisto V volle poi riunire entrambe le rappresentazioni in una nuova cappella detta del SS. Sacramento (o Sistina, dal suo nome).
Reliquia tutta particolare nella Basilica è la Sacra Culla, preziosa urna ovale opera dell’orafo e architetto Giuseppe Valadier che custodisce ancor più preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) recati dai primi pellegrini di ritorno dalla Terrasanta.
È d’obbligo un cenno al Campanile, che è il più alto di Roma (75 metri, in stile romanico) voluto da papa Gregorio XI appena dopo aver riportato la sede del Papato da Avignone a Roma, alla conclusione di quel periodo della storia della Chiesa che va sotto il nome di cattività avignonese (dal latino captivus = prigioniero).
L’edificio della Basilica, comprese le scalinate esterne, costituisce area extraterritoriale a favore della Santa Sede, pur essendo territorio italiano, come San Giovanni in Laterano, San Paolo Fuori le Mura, la residenza di Castel Gandolfo, il Palazzo del Laterano, il Palazzo della Datarìa, il Palazzo ex Sant’Ufficio, il Colle del Gianicolo, il Policlinico Gemelli e la vasta area di Santa Maria di Galeria ove sorgono le antenne della Radio Vaticana.
La Madonna della Neve è patrona di almeno una quarantina di località italiane, fra le quali Ascoli Piceno, Boffalora sopra Ticino, Codroipo, Novi Ligure, Nuoro, Pusiano (Como), Rovereto, Susa, Torre Annunziata e ovviamente Santa Maria Maggiore (Verbania) e Madonna della Neve (Frosinone).
In molti luoghi vi sono tradizioni particolari: a Ponticelli (alle falde del Vesuvio) la statua della Madonna viene portata in processione issata su un carro alto più di sedici metri (un casa di cinque piani) trainato da decine di fedeli e la cui decorazione esterna è scelta annualmente con un apposito concorso; a Torre Annunziata la Madonna è di colore nero, il perché non si sa (ma forse per via che la sua icona fu trovata casualmente da alcuni marinai, ed era nera; ma siccome fu trovata il 5 agosto …); a Santa Maria Colle Sambuco (Rieti) la processione si conclude con una caratteristica nevicata artificiale al rientro in chiesa.

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 5 août, 2014 |Pas de commentaires »

LA FIGURA DI MARIA NELLA LITURGIA – ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

http://www.retesicomoro.it/Objects/Pagina.asp?ID=4432

LA FIGURA DI MARIA NELLA LITURGIA

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE  

Circa la solennità dell’Annunciazione del Signore del 25 marzo, la Marialis cultus scrive: «Per la solennità dell’Incarnazione del Verbo, nel Calendario Romano, con motivata risoluzione, è stata ripristinata l’antica denominazione di “Annunciazione del Signore”, ma la celebrazione era ed è festa congiunta di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa “figlio di Maria” (Mc 6, 3), e della Vergine che diviene la Madre di Dio. Relativamente a Cristo l’Oriente e l’Occidente, nelle inesauribili ricchezze delle loro liturgie, celebrano tale solennità come memoria de fiat salvifico del Verbo incarnato, che entrando nel mondo disse: “Ecco, io vengo (…) per fare, o Dio, la tua volontà” (cf. Eb 10, 7; Sal 39, 8-9); come commemorazione dell’inizio della redenzione e dell’indissolubile e sponsale unione della natura divina con la natura umana nell’unica persona del Verbo. Relativamente a Maria, come festa della nuova Eva, vergine obbediente e fedele, che con il suo fiat generoso (cf. Lc 1, 38) divenne, per opera dello Spirito, Madre di Dio, ma anche vera Madre dei viventi e, accogliendo nel suo grembo l’unico Mediatore (cf. 1Tm 2, 5), vera Arca dell’Alleanza e vero Tempio di Dio, come memoria di un momento culminante del dialogo di salvezza tra Dio e l’uomo, e commemorazione del libero consenso della Vergine e del suo concorso al piano della redenzione» (MC 6). Da quanto afferma Paolo VI nella sua esortazione apostolica la solennità dell’Annunciazione del Signore è una festa sia cristologia sia mariana, quindi è una festa in stretto rapporto con quella del Natale. Gli storici della liturgia, tuttavia, dati gli elementi in loro possesso, non sono in grado di determinare quale delle due date sia stata determinante e predominante. L’origine della festa non è devozionale, e nemmeno deriva da riflessione teologica sul deposito della rivelazione, ma va ad iscriversi nel segno del realismo dell’incarnazione e nella dimensione della storia della salvezza. Per cui prima di tutto ciò che si celebra è un avvenimento e come tale deve essere privilegiato su tutte le altre celebrazioni. L’Annunciazione del Signore ci dice che il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora fra noi (cf. Gv 1, 14); scegliendo di mostrarsi nella fragilità della spogliazione e dell’abbassamento (cf. Fil 2, 5-8). Da tempo immemorabile, è l’annuncio dei profeti, la visita di Dio al suo popolo era stata annunciata e in modo insistente, per cui non vi era nessun dubbio che ciò sarebbe avvenuto, solo restava il mistero di come questa si sarebbe realizzata. Qui sta la novità, perché Dio non è passato tra gli uomini, ma si è fermato, non si è rivolto agli uomini dall’esterno, si è fatto uomo assumendo tutto dall’interno. Dio si fa uomo per parlare ed agire nel cuore stesso dell’esperienza umana. Scrive E.G. Mori: «Nel nostro momento storico, in cui si parte sempre più dall’uomo, dalla sua scoperta, dal suo significato, dalla sua centralità, l’evento dell’incarnazione è un fatto di straordinaria attualità. È la proposta di Dio che apre alla storia umana dimensioni senza confine. La finitezza umana rimane sempre disponibile ad essere “segno”, anche della presenza personale di Dio» . Dio pur rimanendo il Totalmente Altro, si è fatto uomo, quindi va cercato nella realtà degli uomini. D’ora in poi la storia della salvezza sarà caratterizzata e dominata da una sconvolgente scelta di Dio: l’incarnazione, per questo tutto il mistero cristiano viene posto sotto il segno del Dio-uomo. Di conseguenza la solennità dell’Annunciazione del Signore, non è solo il celebrare l’inizio della nuova avventura di Dio con l’umanità, ma ne è la chiave di lettura e di comprensione di tutto quello che avverrà poi. «L’esaltazione di Gesù, che fa di lui il “Signore” per sempre, non deve mai attenuare il mistero “dell’uomo Gesù”» , perché «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4-5). Dalla storia della liturgia sembra non esserci una data certa di quando veniva celebrato il giorno dell’Annunciazione, questo fino al X concilio di Toledo (656). Infatti, è in questo concilio che pur non parlando in modo esplicito della festa dell’Annunciazione, constata che la madre del Verbo non ha ancora una festa celebrata ovunque allo stesso giorno. Il non possedere una data comune, anche se quella del 25 marzo risulta essere la più comune, ci fa comprendere come si sia in presenza di molteplici liturgie legate ai rispettivi luoghi di provenienza (si conservano ancora oggi vari sacramentali e rituali: mozarabico, ispanico, gallicano, romano, senza dimenticare l’area orientale) e di conseguenza come la festa legata all’incarnazione abbia diverse comprensioni. Dai documenti che oggi possediamo, si sa che le prime commemorazioni di questa festa si hanno dapprima nella solennità del Natale, in seguito con il codificarsi del tempo d’Avvento vengono spostate in esso, e precisamente in una domenica o in un giorno dedicato alla celebrazione dell’incarnazione di Cristo dalla Vergine, per opera dello Spirito Santo. Solo più tardi prese piede la data del 25 marzo come giorno fissato per celebrare l’Annunciazione. I testi antichi ci dicono dunque una cosa importante, agli inizi la solennità dell’Annunciazione del Signore, non veniva celebrata come festa a se stante, ma ne veniva fatta memoria in altre celebrazioni. Ciò si può rilevare nelle omelie che troviamo in oriente tra il IV e V secolo, una delle più datate è quella scritta da Esichio di Gerusalemme († dopo 451), che fa riferimento a Lc 1, 26-38 ed è da ascriversi nel tempo di preparazione al Natale, anche di Antipatro di Bostra († 457) possediamo due omelie da lui tenute nelle domeniche precedenti il Natale. Anche Basilio di Seleucia († dopo il 468) ci ha lasciato un commento al racconto dell’Annunciazione databile prima del Natale del 449. Grande importanza hanno le omelie che ci provengono da Proclo di Costantinopoli († 430), frutto della sua predicazione, in esse vibrano profondi assensi di ammirazione alla Vergine santa, alla base di questi testi c’è l’oracolo di Isaia 7 e il vangelo di Luca relativo all’Annunciazione. Anche il comportamento liturgico delle Chiese che nel secolo V orbitano attorno ad Antiochia è analogo. Un secolo più tardi la chiesa nestoriana organizzò per il periodo precedente il Natale le domeniche chiamandole dell’Annunciazione (Sûbâra), e l’ultima domenica commemora proprio l’annuncio portato a Maria.  Solo nella prima metà del VI secolo apparve la festa dell’Annunciazione in data 25 marzo, e questo avviene nel patriarcato di Costantinopoli, tale festa in epoca Giustiniana si diffonde anche nelle altre regioni di rito bizantino, e nel giro di qualche decennio fu adottata anche da altri patriarcati. Prima di passare all’ambito occidentale penso sia opportuno porsi una domanda: perché la data del 25 marzo? Certamente la prima risposta che viene spontanea dare è perché il Natale si celebra il 25 dicembre, e quindi nove mesi prima è appunto il 25 marzo. Ma non è questo il motivo. Il 25 marzo astronomicamente è l’equinozio di primavera. Fin dai tempi di Tertulliano erano presenti tradizioni che richiamavano questa data come quella della creazione del mondo, in alcune anche quella dell’uomo, e della concezione di Cristo. In seguito a questa data si è aggiunta anche la commemorazione della morte di Cristo, lo stesso sant’Agostino nel De Trinitate vi allude, infatti facendo calcoli sulla simbologia dei numeri afferma che la gestazione perfetta comprenderebbe il preciso periodo di nove mesi e sei giorni. Questo si è verificato per la perfezione del corpo di Cristo. Anche nel Sacramentario Gelasiano preadriano si legge: «VIII calende di aprile Annunciazione Santa Madre di Dio e Passione del Signore». Dopo questa parentesi circa l’aver fissato la data al 25 marzo, vediamo come si è andata formando questa festa nell’occidente cristiano. Le omelie di Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna, nel V secolo, ci dicono l’esistenza e l’importanza di una preparazione al Natale, incentrata sul racconto lucano dell’Annunciazione, l’importanza di questa preparazione è sottolineata pure dal celebre Rotolo di Ravenna (manoscritto copiato nel secolo VIII, ma risalente al secolo VI – fine V -. Il Pinell sostiene che le orazioni presenti siano state composte per l’Ufficio di Avvento delle Chiese del Nord Italia). Anche per altre Chiese dell’Italia del nord, abbiamo testimonianze, risalenti al VI – VIII secolo, che attestano che nella V Domenica di Avvento veniva letto il vangelo di Lc 1, 26 – 38. Un’importante testimonianza dell’esistenza della commemorazione dell’Annunciazione del Signore, ci viene offerta dalla Chiesa milanese, dove fin dal secolo V l’ultima domenica di Avvento era dichiaratamente celebrativa della verginale-divina maternità di Maria. Il Sacramentario Bergomense (e altri libri liturgici ambrosiani) contengono due formulari di Messa relativi a questa domenica, uno porta il titolo In Ecclesia (cioè la cattedrale), con indicato il vangelo della Visitazione (Lc 1, 39-55), l’altro Ad Sanctam Mariam (usato in seguito da tutte le chiesa) con il vangelo dell’Annuncizaione (Lc 1, 26-38). I prefazi  di queste messe in modo eloquente tratteggiano il tenore mariano di questa domenica, che successivamente nel corso del Medioevo venne chiamata a volte De Incarnatione altre In Annuntiatione, le orazioni di queste messe sono state conservate anche nell’attuale liturgia ambrosiana, come testimonia questa preghiera: «Esaudisci, o Padre infinitamente buono, la nostra supplica: donaci di aderire con umile fede alla tua parola sull’esempio della Vergine immacolata che, all’annuncio dell’angelo, accolse il tuo Verbo ineffabile e, colma di Spirito santo, divenne tempio di Dio». Anche la chiesa ambrosiana sotto l’influsso della liturgia romano-carolingia assunse la festa del 25 marzo, ed in essa vi confluì la tradizione ecologica gelasiana e gregoriana dell’Annunciazione. San Carlo Borromeo, abolì tuttavia questa festa, per rispettare la veneranda regola di non festeggiare durante la Quaresima, e solo nel 1897 fu ripristinata con decreto della Sacra Congregazione dei Riti in risposta ai desideri espressi sia dal clero che dal popolo milanese. Anche la Chiesa di Spagna seguendo l’esempio delle altre Chiese aveva nel proprio calendario liturgico d’Avvento una domenica dedicata al mistero dell’Annunciazione, come testimonia un mirabile prefazio: «È cosa degna, giusta conveniente e salutare celebrare la miracolosa nascita del nostro Signore Gesù Cristo: che il messaggero celeste annunziò dover nascere tra gli uomini e per gli uomini, che la Vergine in terra accolse mentre veniva salutata e che lo Spirito santo creò mentre si incarnava; affinché per la promessa di Gabriele, la fede di Maria e la reale cooperazione dello Spirito di Dio, l’evento seguisse il saluto dell’Angelo, il fatto mostrasse compita la promessa e la vergine comprendesse di essere stata resa feconda dalla misteriosa potenza dell’Altissimo. Ecco concepirai nel seno e darai alla luce un Figlio, l’Angelo annunziò E come avverrà ciò? Rispose Maria. Ma poiché rispose credendo senza dubitare, lo Spirito santo concepì ciò che l’Angelo aveva annunziato. Maria, vergine prima del concepimento,che rimarrà sempre vergine anche dopo il parto, ha concepito il suo Dio prima nella mente e poi nel ventre. La Vergine, ripiena della grazia di Dio, per prima ha accolto il Salvatore del mondo, e perciò è divenuta la vera Madre del Figlio di Dio. Il quale adorano gli Angeli, i Troni, le Dominazioni e le Potestà, dicendo così: santo…» .  Come la Chiesa ambrosiana anche quella spagnola fu influenzata dalla liturgia romana e la festa dedicata all’Annunciazione del Signore fu portata al 25 marzo fino all’intervento del X concilio di Toledo (656), nel quale i padri conciliari spagnoli decisero di stabilire il 18 dicembre una solenne festività mariana, ed in essa si intendeva celebrare il mistero dell’Annunciazione-Incarnazione. Solo nel secolo X-XI e ancora sotto l’influsso romano-franco, nella chiesa ispanica fu introdotta la festa dell’Annunciazione al 25 marzo, tuttavia questa festa conservava l’impianto ecologico di quella del 18 dicembre presente nel Sacramentario Mozarabico. Le orazioni presenti nel Messale di Bobbio, insieme ad altre presenti in alcuni libri gallicani dei secoli VII e VIII che richiamano ai testi biblici di Is 7, 10 – 9, 7 e Lc 1, 26-38, ci dicono che anche la Chiesa di Gallia, almeno fino alla romanizzazione operata da Carlo Magno, la verginale maternità di Maria veniva onorata in modo speciale il giorno di Natale. Quanto è stato detto per varie Chiese occidentali è valido pure per la Chiesa di Roma, infatti, anche in questa Chiesa la commemorazione dell’Incarnazione e della maternità verginale di Maria erano confluite nella solennità del Natale, che veniva celebrato nella basilica di S. Maria Maggiore. Solo nel VII secolo con l’importazione dall’Oriente di quattro festività mariane (2 febbraio – Purificazione di Maria, 15 agosto – Assunzione al cielo, 8 settembre – natività di Maria e 25 marzo – Annunciazione del Signore), la festa mariana relativa a Lc 1, 26-38, viene portata al 25 marzo, data che in virtù dell’espansione avuta sarà diffusa in tutti i paesi dell’Occidente. Tuttavia per la liturgia romana non va dimenticato che anche le Tempora di dicembre progressivamente si sono colorate di tonalità mariane, infatti nel Sacramentario Gelasiano un prefazio composto per il mercoledì, ci dice che il vangelo letto era quello relativo all’Annunciazione del Signore. Questa messa nel Medioevo acquistò un’importanza speciale soprattutto nei monasteri, tanto venir chiamata Missa aurea beatae Mariae. Sempre nella liturgia romana è presente una commemorazione dell’incarnazione del Signore in una domenica d’Avvento, come si legge nell’Ordo Romano redatto verso la metà del secolo VIII. La festa dell’Annunciazione del Signore ha variato spesso la sua denominazione ufficiale di questa festa, in età antica era comune l’espressione Annunciazione dell’angelo alla beata Vergine Maria, ma anche Annunciazione del Signore, Annunciazione di Cristo, addirittura Concezione di Cristo; questi ultimi titoli erano dovuti al fatto che la festa più antica era nel ricordo del Signore. Ma il pressante riferimento a Maria ne ha fatto molto presto una festa di Maria, per cui negli ultimi secoli la denominazione ufficiale data è stata Annunciazione della beata Vergine Maria. Da questo excursus possiamo rilevare come questa festa non solo ha cambiato spesso denominazione, ma anche ha variato molte volte la data della celebrazione, varietà legata alla diversa concezione dell’anno liturgico ed ecclesiastico. In oriente non era presente un’idea molto rigida a questo riguardo, per cui le feste sia dei santi quanto quelle mariane erano sparse lungo tutto l’anno. Al contrario in occidente, e soprattutto in Spagna e nella Chiesa ambrosiana, non erano ammesse deroghe alle feste nei santi nel periodo quaresimale. Da qui l’aver fissato in modo deciso la data dell’Annunciazione al 18 dicembre, in pieno periodo d’avvento. Tuttavia a Roma “la rigidità” quaresimale era minore, questo spiega perché sia il Sacramentario Gelasiano quanto quello Gregoriano conservano la festa dell’Annunciazione al 25 marzo come il calendario orientale. Nella liturgia delle tempora, in avvento, si ricorda l’annunciazione, solo tardivamente al 18 dicembre viene introdotta una festività chiamata Expectatio partus. Solo negli ultimi tempi si arriva alla data del 25 marzo come comune a tutta la chiesa per la festa dell’Annunciazione. Con la riforma liturgica, a seguito del Vaticano II, la festa ha ripreso il suo nome più autentico, per una profonda motivazione teologica: Annunciazione del Signore. Infatti, il concilio ricorda che la vera radice di tutta la grandezza e unicità della persona di Maria e della missione di Maria: la sua relazione a Cristo (cf. LG 67), tema ripreso dal prefazio della messa della solennità dell’Annunciazione: «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. All’annunzio del vangelo la Vergine accolse nella fede la tua parola, e per l’azione misteriosa dello Spirito Santo concepì e con ineffabile amore portò in grembo il primogenito dell’umanità nuova, che doveva compiere le promesse d’Israele e rivelarsi al mondo come il Salvatore atteso dalle genti. Per questo mistero esultano gli angeli e adorano la gloria del tuo volto. Al loro canto congedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode».   P. Gino Alberto Faccioli, ISSR « Santa Maria di Monte Berico »

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE – IL SIGNIFICATO BIBLICO-SPIRITUALE.

http://digilander.libero.it/mariaoggi/annunciazionedelsignore.htm

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

IL SIGNIFICATO BIBLICO-SPIRITUALE.

È lo Spirito che annuncia il Signore a Maria (Lc 1, 26-38). Luca lascia emergere con sufficiente evidenza l’analogia tra la discesa dello Spirito su Maria all’Annunciazione e sulla Chiesa apostolica a Pentecoste. Del resto l’Annunciazione è giustamente detta « la Pentecoste di Maria » (S. Bulgakov) o la proto-Pentecoste della Chiesa. È l’inizio dell’Oméga, l’inaugurazione della Alleanza Nuova nel Sangue del Dio-Uomo, l’inizio del Giudizio escatologico. Perciò l’Annunciazione è la Parte del Tutto, la radice e l’inizio cronologico e salvifico dell’evento pasquale.
Vi è una discreta analogia tra l’Annunciazione a Maria e la Pentecoste della Chiesa apostolica. Basta confrontare Le 1,35.46.49a con Le 24,49; At 1,8; 2,4.6.7.11. Adombrata dallo Spirito nell’intimo della sua persona (Le 1,35), la Figlia di Sion erompe quasi all’esterno, sulle montagne della Giudea (Le 1,39) per annunziare le grandi opere compiute in lei dall’Onnipotente (Le 1,46.49). Dall’altra parte la Chiesa apostolica di Gerusalemme, corroborata dal vigore dello Spirito (Le 24,49; At 1,8) – mentre erano radunati all’interno della casa (At 2,2) – lascia il suo ritiro per proclamare pubblicamente le grandi opere del Signore (At 2, 4.6.7.11).
L’Annuncio a Maria supera ogni vecchio schema delle annunciazioni dell’Antico Testamento. I temi narrati qui sono completamente nuovi: il concepimento verginale del Figlio di Dio, la compartecipazione della Madre ai Misteri salvifici, la Maternità divina e perciò Maternità verginale, propria ed esclusiva dei tempi messianici. Anche le Promesse dell’Antico Testamento si compiono in un modo del tutto inatteso, nella novità che è Cristo Signore.
Nella radicale novità inaugurata con l’Annunciazione trovano attuazione i tratti originali dei tempi escatologici e apocalittici. Il Fiat della Vergine – che riecheggia quello di Israele alle falde del Sinai (Es 24, 3.7), ma mai pienamente compiuto – conclude l’Alleanza escatologica. Ritroviamo qui gli elementi teofanici caratteristici: la manifestazione della Gloria (Sékinàh) e della Presenza di Dio, il segno della nube. La presenza dello Spirito, Forza (Dynamis) divina per il concepimento verginale del Figlio di Dio, prelude la gloria del Battesimo del Signore (Lc 3, 21-22), della sua gloriosa Trasfigurazione (Lc 9, 29-35), del Giudizio del mondo (Lc 22, 69-70) e della Resurrezione (cfr Rm 1, 3-4).
La Novità del Figlio di Dio che trasforma i modelli preesistenti è unicamente quella della Resurrezione; una novità che passa attraverso la Croce gloriosa, tanto che l’Annunciazione è spiegata anche con la Croce, radice dell’Annuncio del Signore. Il Fiat della Madre di Dio esprime il suo desiderio di entrare in comunicazione filiale e nuziale con Dio e con il Verbo; è un’offerta sacrificale, e ogni sacrificio è celebrazione della Pasqua, Ingresso liturgico in Dio Padre, crescita dei fedeli del Signore nella Vita Nuova (cfr Eb 10, 4-10; Sal 39, 7-9).
Come altrove, Luca, nel riferire l’annunciazione alla Vergine, va controcorrente rispetto agli slogan del suo tempo, secondo i quali la donna in genere sarebbe caratterizzata per la passività e l’uomo per l’attività. L’autore usa un suo metodo originale: presenta il turbamento sia di Zaccaria che di Maria. Ma Zaccaria è turbato dalla visione dell’angelo (Lc 1,12), Maria « per tali parole rimane molto turbata » (Lc 1,29): il suo turbamento è a causa dell’audizione dell’invito alla gioia messianica e all’elogio insolito. Il sacerdote rimane passivo e quasi paralizzato. La Vergine invece è in situazione attiva: riflette per aderire.
I titoli e i contenuti pasquali dell’Annuncio
L’Annunciazione a Maria è un evento che spiega la Pasqua, per questo nel racconto troviamo una ricchezza di titoli e di temi pasquali. I cieli si aprono affinché lo Spirito della Resurrezione di scenda sulla creatura; il medesimo Spirito incarna il Verbo dell’Amore del Padre mediante un’azione creatrice di carattere ipostatico. L’Incarnazione del Figlio di Dio e la Pentecoste dello Spirito sono due azioni inseparabili, identiche e inconfondibili: il Lógos è reso Ipostasi divino-umana dallo Spirito Ipostatico e Creatore.
Maria, la Divenuta-tutta-grazia, è da Dio Gratificata, privilegiata, favorita (Lc 1, 28): è la dimora dello Spirito e riceve la sua pie-
nezza. Già a Nazaret la Pentecoste si concentra totalmente in Maria perché limitata alla sua persona. Ella cresce in questa pienezza fino alla Dormizione e all’Assunzione in cielo. Maria in tal modo è la « Portatrice dello Spirito » (Pneumatophóra), ella comunica attivamente, cioè anche per virtù propria, la Vita divina della Triade Unita. Vita che il Con-noi-Dio darà agli Apostoli il giorno della Pentecoste. Ma fin d’ora, essendo membro perfetto della Chiesa nascente e la Chiesa prima della Chiesa, Maria porta lo Spirito del Figlio ad Elisabetta e a Giovanni il Battista (Lc 1, 39-45), come lo porterà poi ai fratelli del Signore (cfr Mc 16, 5-8).
Il Figlio annunciato a Maria è connotato da numerosi titoli pasquali: egli è Gesù, cioè « il Signore-è-salvezza » (Lc 1, 31); il Grande (Lc 1, 32; cfr Is 9, 7); il Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 32; cfr v. 35); il Figlio di David e il possessore del trono di lui (Lc 1, 32); il Re eterno della Casa di Giacobbe o di Israele (Lc l, 32); il Figlio di Dio (Lc 1, 35); il Santo (Lc 1, 35), della stessa santità di Dio, il Sacerdote Sommo dell’Alleanza Nuova che pone termine al sacerdozio levitico (cfr Lc 1, 5-25) attraverso la sua futura sofferenza e la morte espiatrice.
Anche il contenuto è pasquale. Di Lc 1, accenniamo ad alcuni versetti: v. 28: l’angelo saluta Maria con « gioisci.! »; è un verbo tipicamente pasquale: è la gioia della Pasqua, portata dallo Spirito della Resurrezione; v. 32: « egli sarà Grande »; nell’Antico Testamento solo Dio è Grande. Ma il Messia Salvatore è Grande perché Figlio di Dio e « Santo » (v. 35) ad opera dello Spirito santificatore. Il nascituro è il Re Pantokrator che appartiene alla sfera divina; v. 35: il linguaggio è proprio della Resurrezione, legato con il Battesimo e la Trasfigurazione: in entrambi gli eventi si parla dell’adombramento su Cristo da parte dello Spirito, della nube e della gloria del Padre. Lo Spirito che scende su Maria non è tanto lo Spirito profetico, quanto la Potenza creatrice divina che crea la Vita divina; è lo Spirito, principio di Vita e di Resurrezione (cfr Rm 1, 4; 1 Cor 15, 45; Gv 3, 4-8; Mt l, 18); v. 38: il Fiat di Maria non è tanto o solo espressione di umiltà, quanto di fede (v. 45), di docilità e di amore oblativo, che richiama quasi la figura del Servo del Signore (Is 53). Maria per prima proclama l’Amen alla gloria di Dio e intona per tutta la Chiesa: « Vieni, Signore Gesù! » (1 Cor 16, 22; Ap 22, 17.20). La Resurrezione, come l’Annunciazione, è opera dello Spirito: solo lui è la Forza di Dio (Lc l, 35) che si esprime per eccellenza e innanzitutto nella Resurrezione del Signore (Rm 1, 3-4). Cristo Risorto è Spirito vivificante (Rm 8, 5-10); è lui che dà la Vita e la Vittoria sulla morte (Rm 6, 8-11); è lui che dona la fecondità intradivina alla Vergine nel momento della sua Incarnazione. La Maternità divina inizia a Nazaret, raggiunge il suo segno storico nel Natale del Figlio a Betlemme e tocca il suo culmine nella Passione e Resurrezione; si perpetua poi nel tempo della grazia dello Spirito, tramite la Chiesa che celebra incessantemente il suo Signore.
L’Annunciazione nella celebrazione della Chiesa.
Il 25 marzo la Chiesa celebra la solennità dell’Annuncio del Signore a Maria. L’Incarnazione del Verbo è l’inizio della sua Pasqua: perciò la festa del 25 marzo, già nel IV/V secolo è considerata « la radice delle feste » (Giovanni Crisostomo), l’inizio dei tempi nuovi, l’inizio della fine: inizio dell’Incarnazione storica del Messia e inizio della deificazione dell’uomo, della rinnovazione del creato.
Per gli Ebrei il Capodanno liturgico è celebrato nel mese di Nisan, durante il quale si fa memoriale della Pasqua (cfr Es 12,2.18; 34,18). Tale data era anche il Capodanno del re e delle feste. Infatti si contava l’inizio del regno del sovrano a partire proprio dal Capodanno festivo. Anche in epoca cristiana l’inizio dell’Anno liturgico nell’alto Medioevo era fissato a marzo, precisamente il 25 marzo, capodanno pure civile, quindi primo mese dell’anno. In seguito l’inizio dell’Anno liturgico si spostò a Natale, poi all’Avvento, mentre l’inizio dell’anno solare fu regolato in corrispondenza con il calendario civile di Roma, dal quale potrebbe derivare la data del Natale cristiano al 25 dicembre, giorno in cui in tutto l’impero romano si celebrava il Natale del dio Sole.
L’espressione patristica greca rhíza tón heortón, « radice delle feste » – con la quale si denomina il 25 marzo – deriva proprio dal Capodanno del re e delle feste. Il 25 marzo perciò sorge nella Chiesa come il Capodanno del Re Salvatore e della Regina Madre.
Nella letteratura cristiana il 25 marzo è indicato come il giorno che comprende tutti i giorni del tempo nuovo: il giorno somma del tempo della Chiesa. Seguendo l’ipotesi che spiega la festa del Natale fissata al 25 dicembre in dipendenza dal 25 marzo (e non viceversa), gli Antichi e i Padri – fin dal tempo di Tertuliano – credevano che questo giorno, equinozio di primavera, segnasse l’inizio della creazione del mondo e dell’uomo. Perciò era ritenuto come una data simbolica del concepimento del Verbo di Dio: il Signore si sarebbe incarnato e sarebbe anche morto il 25 marzo..
La festa tuttavia cadeva in Quaresima, tempo in cui per la Chiesa antica era vietato celebrare qualsiasi solennità. Per l’Occidente la difficoltà fu affrontata dal concilio di Toledo (656); in Oriente invece il Concilio trullano (692) stabilì che in Quaresima si sarebbe fatta un’eccezione per l’Annunciazione, senza trasferirla, anche se coincide con il Venerdì o il Sabato santo. Questo uso è in vigore ancora oggi tra gli Orientali.(La nascita del Signore al 25 dicembre è documentata a Roma per la prima volta nel 336. Ciò non esclude la prima ipotesi che spiega la data del Natale in dipendenza del 25 marzo.)
Sia in Oriente che in Occidente, la festa dell’Annunciazione è tra le più solenni dell’Anno liturgico; in questo giorno Maria è venerata e ricordata come la Portatrice della Vita Nuova, della Vita pasquale del Signore. Abramo di Efeso in una omelia per il 25 marzo proclama:
« Oggi è sciolta l’antica condanna:
da quando infatti fu pronunciato in terra quel Gioisci, è cessato quel Partorirai figli nel dolore;
per una donna subentrò agli uomini la morte; per una donna ritornò loro la vita » .
L’Annuncio di Cristo a Maria richiama anche l’apparizione di Cristo Risorto a sua Madre il mattino di Pasqua. Era necessario – dicono i Padri (Atanasio il Grande, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio Palamas) – che l’Adamo nuovo, destandosi dal sonno (cfr Gn 2, 21-23), vedesse prima di tutto la Donna e fosse veduto da lei. La Donna che prima di qualunque altra creatura vede il Risorto, per i Padri, è senza dubbio la Vergine Madre di Dio.
L’Annunciazione non è solo l’inizio della Redenzione: è la chiave di lettura e di comprensione di tutta la vicenda di Cristo che seguirà poi. L’esaltazione del Verbo fattosi Carne a Signore uni versale non attenua minimamente il suo Mistero di Verbo fattosi Uomo dalla Donna per l’eternità. Il Mistero pasquale si sviluppa e cresce nel segno dell’Incarnazione storica e gli uomini nell’Emmanuele diventano figli di Dio (Gal 4, 4-5).
Come evento storico-salvifico la Chiesa celebra l’Annunciazione una volta l’anno, il 25 marzo; ma lo stesso Mistero – secondo l’economia sacramentale – si attua ogni giorno e in ogni celebrazione. Il Signore Risorto, annunciato a Maria, è annunciato quotidianamente alla Comunità dei fedeli per il perpetuarsi della Incarnazione sua e ciò avviene in prospettiva storica, come compimento della Profezia, in dimensione sacramentale come attuazione dell’Evangelo « per noi-qui-ora » e nella dimensione escatologica, tempo ecclesiale della crescita di Cristo Capo nel suo Corpo, fino alla Venuta parusiaca del Signore. A questi tre livelli corrispondono infatti le tre letture della Liturgia della Parola: il Profeta (o Antico Testamento), 1′Evangelo e la lettura dell’Apostolo. Del Mistero integrale ogni celebrazione fa memoriale, più o meno esplicito, secondo 1′Evangelo e il « colore » liturgico del giorno. (Sergio Gaspari, Celebrare con Maria l’anno di grazia del Signore, ed. Monfortane, pp.91-110).
inizio

SAN PAOLO E MARIA

 http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=15337

SAN PAOLO E MARIA

(volevo mettere qualcosa per la memoria della Madonna di Lourdes, riguardo San Paolo ho trovato questa Omelia in data 13.5.2009, non riesco a ricostruire le letture della liturgia del giorno, ma mi sembra il commento a Galati 4,4 come è scritto sotto)

Quello che è stato proclamato come prima lettura è l’unico brano in san Paolo in cui si parla di Maria santissima. Le tredici lettere di san Paolo contano 2029 versetti, di essi solo uno è dedicato alla persona della Madre di Gesù, questo, il numero 4 del capitolo quarto della lettera ai Galati: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge”. La madre del Signore non viene nemmeno chiamata per nome, ma solo menzionata come di passaggio. Stando così le cose, sembra che a san Paolo la figura di Maria interessi minimamente e che dunque sia inutile interrogarci sull’apporto dell’Apostolo delle genti alla nostra devozione per la Madre del Signore. Prima però di abbandonare delusi la nostra ricerca e di tirare della conclusioni indebite soffermiamoci un attimo almeno su questo frammento. Potremmo scoprirvi delle ricchezze inaspettate e rivalutare anche il messaggio di san Paolo a riguardo dell’umanità di Gesù e del mistero della sua venuta nel mondo. Anzitutto la frase citata del versetto quattro si conclude solo nel versetto seguente, il cinque: ”Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.” Notiamo subito che ci sono alcuni termini che ritornano. Si può stabilire un collegamento tra la prima parte della frase e l’ultima: “Dio mandò il suo Figlio… perché ricevessimo l’adozione a figli.” Similmente sono parallele le due espressioni centrali: “(il Figlio di Dio…) nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge”. Resta in sospeso proprio l’espressione “nato da donna” che viene ad interrompere il collegamento fra figliolanza e sottomissione alla legge. In sintesi il ragionamento di san Paolo si può schematizzare così: nascendo in un mondo segnato dalla corruzione del peccato anche se frenato nella sua decadenza verso il male dalla legge ricevuta sul Sinai, il Figlio di Dio si sottopose volontariamente alle dure esigenze della legge di Mosè perché noi avessimo anche la gioia di sentirci figli di Dio. San Paolo aveva appena finito di dire che la Legge, anche la migliore possibile come quella dell’Antico Testamento, non è sufficiente per dare la salvezza. La funzione della legge è quella di un argine o di un paracarro: segnala un limite da non superare, ma non conduce alla mèta. Rende più difficile la trasgressione, ma non aiuta con nessuna spinta in avanti né attira con la forza della persuasione. Solo la fede in Gesù salva. La legge di Mosè dunque è servita come una preparazione e una guida in vista dell’incontro con Cristo. Riprendendo un esempio dei suoi tempi san Paolo dice anche che quando si entra nella maggiore età non si ha più bisogno di precettori e pedadoghi. Tutori e amministratori esercitano il loro ufficio finché uno non entra nel pieno possesso dei suoi diritti, poi essi devono cedere il campo. Alla stessa maniera non è più necessario seguire alla lettera le norme contenute nella legge di Mosè perché Gesù ci ha elevati alla dignità di figli di Dio con tutti i privilegi conseguenti. È un tema centrale nella predicazione di san Paolo, che egli svilupperà qualche anno più tardi nella lettera ai Romani. Per intanto ne traccia come un abbozzo, indotto a questo dal cambiamento di condotta intervenuto presso i Galati. Essi avevano aderito con entusiasmo al Vangelo di Gesù Cristo, ma dopo qualche tempo avevano lasciato spazio ad alcuni predicatori Giudei. Pensando di far bene si erano convinti così della necessità di osservare tutte le norme in uso presso gli Ebrei. San Paolo reagisce e ricorda ai Galati che la fede è immensamente superiore alle opere: “Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne (cioè con la materialità delle opere)? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?” È dunque in un contesto polemico che san Paolo cita la madre di Gesù, come un’oasi di pace, in mezzo a tante angustie. Anche se l’espressione “nato da donna” sembra qualcosa in più che interrompe la linearità del ragionamento, san Paolo inserisce lo stesso questo inciso a cui evidentemente attribuisce un valore particolare. Non c’è stata solo la Legge che ha accolto Gesù nel mondo, quella legge in nome della quale ad un certo punto sarebbe stato condannato. Gesù, il Figlio di Dio, è venuto nel mondo, nascendo da una donna. Il solo fatto di essere la Madre del Figlio di Dio rende questa donna particolare. Non ci dobbiamo meravigliare che san Paolo non approfondisca il punto e non aggiunga dettagli alla sua perentoria affermazione. Non dobbiamo cercare nelle lettere di san Paolo quello che troviamo contenuto così ampiamente nei Vangeli, ossia la descrizione della vita di Gesù. Non solo san Paolo omette il nome di Maria, ma non racconta di nessuna parabola, né miracolo del Signore. Se la nostra conoscenza fosse limitata a quello che ci ha lasciato per iscritto Paolo, ignoreremmo le beatitudini e quasi ogni altro detto del Signore. San Paolo non fu spettatore degli avvenimenti capitati nei tre anni della vita pubblica del Signore e perciò ne lascia il compito del resoconto ad altri, primi fra tutti al suo discepolo Luca. È interessante questa cosa, perché nel terzo Vangelo noi troviamo le informazioni più ampie che abbiamo nel Nuovo Testamento sulla figura di Maria; ma, come dice lui stesso, san Luca si decise a scrivere un racconto della vita di Gesù solo dopo avere fatto accurate ricerche in proposito e avere interrogato i testimoni diretti. L’espressione “nato da donna” dunque è come un concentrato di tutto quello che san Paolo ha da dire su Maria. Vale la pena di spiegarla seppure brevemente. Anzitutto l’attribuzione a Gesù della qualifica “nato da donna” serve a ribadire la concretezza dell’incarnazione del Figlio di Dio, che attraverso Maria diventa veramente compartecipe della nostra condizione umana, compresa la sua peculiare fragilità. Giobbe si esprime così: “L’uomo nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce”. L’assenza di un padre umano per Gesù viene appena accennata, l’importante per san Paolo è che vi sia stata una madre. In quanto figlio di Maria Gesù appartiene al popolo eletto e alla discendenza del Re Davide. Essa assicura quindi il compimento delle promesse sul Messia salvatore. Non solo ma sviluppando l’intuizione contenuta nella lettera ai Romani in cui san Paolo stabilisce un confronto fra Adamo e Gesù è possibile stabilire un paragone fra Eva e Maria. La dicitura “donna” quindi richiamerebbe anche la prima donna. Come Eva fu la madre di tutti i viventi, così Maria a motivo del suo Figlio diventa la Madre di tutti i rendenti. Scrive san Paolo: “Come la disobbedienza di un solo uomo (Adamo) ha reso tutti peccatori, così l’obbedienza di uno solo (Gesù Cristo) renderà tutti giusti » e sant’Ireneo fa eco: « Ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede » Eva si lasciò sedurre e disobbedì, questa si lasciò persuadere e ubbidì. In tal modo la vergine Maria poté divenire avvocata della vergine Eva. “Il nemico infatti” dice ancora sant’Ireneo “non sarebbe stato sconfitto secondo giustizia, se il vittorioso non fosse stato un uomo nato da donna, poiché fin dall’inizio della storia il demonio ha dominato sull »uomo per mezzo di una donna, opponendosi a lui col suo potere. Per questo si proclama Figlio dell’uomo, egli che ricapitola in sé l’uomo primordiale, dal quale venne la prima donna e, attraverso questa, l’umanità. Il genere umano era sprofondato nella morte causa dell’uomo sconfitto. Ora risaliva alla vita a causa dell’uomo vittorioso.” Da San Paolo dunque possiamo imparare che la devozione a Maria è strettamente collegata alla fede nel suo Figlio e nostro Salvatore e che al contrario di essere una pratica confinata ai margini del nostro credo la nostra preghiera a Maria abbraccia l’intera storia del mondo, come anche la Madonna stessa apparendo a Fatima ci ha fatto capire…

1 GENNAIO 2014 | MARIA SS. MADRE DI DIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/2-Natale-A-2013/Omelie/03-Ss-Maria-Madre-di-Dio/01-Maria-Ss-Madre-di-Dio-A-2014-SC-.html

1 GENNAIO 2014 | MARIA SS. MADRE DI DIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

MARIA SS. MADRE DI DIO

«NELLA PIENEZZA DEL TEMPO, DIO MANDÒ IL SUO FIGLIO, NATO DA DONNA… »

Che dopo aver concentrato quasi esclusivamente la propria attenzione sul Figlio che ci è stato «donato» (cf Is 9,3), la Chiesa inviti oggi, ottava di Natale, i fedeli a rivolgere la loro mente e il loro cuore alla Madre di Gesù, mi sembra una cosa ovvia. Ogni nascita mette in evidenza, almeno immediatamente, due protagonisti: il figlio e la madre. Questo poi è tanto più vero nel nostro caso, in cui la nascita «verginale» di Cristo esalta in un modo anche più sublime la divina maternità di Maria. Però è anche significativo che tale festa di fatto cada proprio all’inizio del nuovo anno civile e in occasione della «giornata mondiale della pace», che già dal 1968 il papa Paolo VI ha fissato per tale data, quasi come un augurio di felicità per tutti i giorni che ci stanno, ancora intatti, davanti: la luce di Maria può e deve riempirli con tutta la ricchezza di amore che essa ha riversato sul mondo dandoci Cristo, «nostra pace» (cf Ef 2,14). Mi sembra che le odierne letture bibliche colgano un po’ tutti questi aspetti e vogliamo davvero fornirci come una specie di viatico per il nuovo anno, che stiamo per intraprendere sotto il sorriso benedicente di Maria.

«Andarono e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino» Maria, pur essendo messa in evidenza dalla Liturgia, di fatto è sempre un po’ oscurata dal Figlio, come le stesse letture bibliche che esamineremo dimostrano. Ma è proprio questa la grandezza di Maria, che nella storia della salvezza non ha un ruolo autonomo, ma subordinato a quello di Cristo: la stessa divina maternità non è per la sua esaltazione personale, ma per la glorificazione di Dio in Cristo e per la salvezza degli uomini. «Redenta in modo sublime in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo officio e dignità di madre del Figlio di Dio, e perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo… Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, e sua figura, ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità, e la Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima».1 Il brano di Vangelo ci descrive l’andata dei pastori alla ricerca del «Salvatore», annunciato loro dall’Angelo (Lc 2,11). È evidente dal racconto di Luca che l’interesse dei pastori è tutto concentrato sul «bambino che giace nella mangiatoia»; è lui che cercano, è di lui che parlano dopo averlo contemplato con i loro occhi, generando «stupore» in tutti quelli che li ascoltano. Però, parlando di lui, non avranno taciuto della madre che hanno visto in atteggiamento così discreto e meditabondo accanto al figlio, infinitamente lieta che ci si interessi più di lui che di se stessa. In ogni modo, è certo che a Luca, così attento a cogliere gli stati d’animo dei suoi personaggi, ha fatto una enorme impressione l’atteggiamento riservato di Maria, che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (v. 19). Direi che Maria è l’antitesi dei pastori: essi vedono, sono presi dall’entusiasmo, annunciano a tutti l’accaduto contagiando gli altri della loro esultanza. Maria, invece, è come sopraffatta dalla grandezza e dalla misteriosità dei fatti che si sono svolti in lei e per mezzo di lei, e cerca di penetrarne il senso più segreto e le indicazioni che la Provvidenza le fornisce anche attraverso le reazioni e i commenti degli altri. Anche più tardi, dopo il racconto dello smarrimento di Gesù nel tempio, Luca annoterà: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (2,51). Con questa espressione Luca vuol darci come una dimensione più profonda della maternità di Maria: è una maternità «adorante» la sua, che cerca di penetrare sempre più a fondo nel mistero del Figlio, un’ardua prova anche per la sua fede. Perciò direi che la sua maternità «cresce» giorno per giorno e che lei stessa deve continuamente assimilare in estensione sempre più vasta, fino alla maternità crocifiggente dal Calvario. È a questa, infatti, che mi sembra si faccia un velato accenno nel versetto che chiude l’odierno brano evangelico: «Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel grembo della madre» (2,21). È bensì vero che la «circoncisione» nell’Antico Testamento era un segno del patto tra Dio e Israele (cf Gn 17,11) ed era pure segno, per un maschio, della sua appartenenza al popolo di Dio: per Gesù però essa era anche un’anticipazione profetica della sua passione, con la quale di fatto avrebbe salvato gli uomini. Maria ci ha donato un figlio destinato alla morte di croce: la sua maternità è piena di dramma e di sofferenza, e perciò anche più feconda. Infatti proprio ai piedi della croce essa ci assumerà tutti come suoi «figli» (cf Gv 19,26) germinati dal sangue di Cristo.

Figli «nel Figlio» Questo speciale rapporto di Maria con Gesù, ma altresì con tutti noi, è messo in evidenza anche dalla seconda lettura, in cui san Paolo, contrapponendo la economia del Vangelo a quella della Legge, fa vedere come in Cristo noi diventiamo «figli» di Dio, superando il precedente regime di schiavitù. È un brano molto denso, che fa vedere in rapidi scorci l’ampiezza di rinnovamento e di doni offertici da Cristo. Prima di tutto egli ci «riscatta» (Gal 4,5), cioè ci libera dalla molteplice schiavitù a cui eravamo assoggettati dalla forza del male che ci suggestiona dal di dentro e che trova la sua manifestazione più virulenta nella opposizione alla Legge. In secondo luogo, spezzate le catene della schiavitù, Cristo ci imprime come il contrassegno di questo nuovo stato di libertà, ci comunica cioè la sua stessa figliolanza divina: «Perché ricevessimo l’adozione a figli» (v. 5). L’adozione però, come la intende san Paolo, non è un mero titolo giuridico, ma una trasformazione interiore, che tocca e rigenera il nostro stesso essere, assimilandoci in tutto a Cristo, di cui riceviamo anche quello che gli è più proprio, cioè il «suo Spirito», mediante il quale e per il quale possiamo chiamare Dio con lo stesso appellativo intimo ed esclusivo con cui lui lo chiamava: «Abbà», cioè «Padre» (v. 6; cf Mc 14,36 e Rm 8,15-16). Il cristiano, rinato con Cristo e in Cristo, è dunque un essere completamente rinnovato, trasferito già nel mondo di Dio, su cui ormai può accampare diritto di eredità: «Quindi non sei più schiavo, ma figlio; se poi figlio, sei anche erede per volontà di Dio» (v. 7).

«Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» La cosa interessante, però, è che, per attuare tutto questo grandioso disegno di rinnovamento in Cristo, Dio ha avuto bisogno di Maria. È questo il senso di quel fugace, e pur così significativo, accenno che fa san Paolo a Maria all’inizio del brano che abbiamo letto: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge…» (vv. 4-5). È l’unico accenno a Maria nel ricco epistolario paolino. Forse una minore considerazione di Paolo, tutto «afferrato» da Cristo, per la Madre del Redentore? A mio parere quel fugace accenno mariano («nato da donna») è invece pieno di significato teologico, inserito com’è in un versetto che in pochissimi tratti condensa tutta la storia della salvezza: siamo nella «pienezza del tempo», cioè al culmine dell’attesa dei secoli in cui Dio deve attuare la salvezza; egli l’attua «mandando» il suo Figlio; per inserirsi nella nostra storia, però, Cristo aveva bisogno di prendere «carne e sangue» nel seno di Maria, così come aveva bisogno di nascere «sotto la legge» per infrangerne i ceppi e restituirci a libertà. In questo contesto la «donna», di cui Paolo non ci dice neppure il nome, assume il rilievo di una figura determinante nel disegno salvifico di Dio:2 senza di lei il Cristo non sarebbe venuto a noi! E se Cristo non si fosse fatto uno dei nostri, neppure noi saremmo potuti diventare «figli di Dio». Non solo quella di Cristo, dunque, ma anche la nostra figliolanza divina deriva in qualche maniera dalla maternità di Maria. A ragione perciò nel Postcommunio la Chiesa ci fa oggi pregare: «Con la forza del sacramento che abbiamo ricevuto guidaci, Signore, alla vita eterna insieme con la sempre Vergine Maria che veneriamo madre del Cristo e madre della Chiesa». Essendo inserita nel disegno salvifico, la maternità divina di Maria non può limitarsi solo a Cristo: nel «capo» e con il capo essa non può non abbracciare anche tutte le altre membra del «corpo».

Maria «Madre e Regina della pace» A questo punto è anche facile vedere come Maria, in quanto «madre di Cristo e della Chiesa», insieme al Figlio, «principe della pace» (cf Is 9,5), può essere per noi e per tutti gli uomini un augurio e un segno di «pace» per l’anno nuovo che sta per aprirsi. Una pace da farsi proprio nel segno della «maternità», che genera dei «figli-fratelli». È risalendo perciò alle origini, anche semplicemente umane, dell’amore fecondo che gli uomini potranno ritrovare la capacità di comprendersi, di rispettarsi, di accettarsi, di perdonarsi, di servirsi reciprocamente. In fin dei conti, infatti, la «pace» è rispetto della «vita» come primo dono, offertoci proprio attraverso l’opera delle nostre mamme e che apre la porta a tutti gli altri doni che ci vengono da Dio. È quanto ha affermato Giovanni Paolo II: «La guerra è sempre fatta per uccidere. È una distruzione di vite concepite nel seno della donna. La guerra è contro la vita e contro l’uomo. Il primo giorno dell’anno, che con il suo contenuto liturgico concentra la nostra attenzione sulla maternità di Maria, è già perciò stesso un annuncio di pace. La maternità, infatti, rivela il desiderio e la presenza della vita; manifesta la santità della vita. Invece la guerra significa distruzione della vita. La guerra nel futuro potrebbe essere un’opera di distruzione, assolutamente inimmaginabile, della vita umana».3 Ma la pace non si offende solo con la guerra! Qualsiasi forma di «violenza», che si tenta magari di giustificare per finalità politiche, è offesa alla pace e perciò offesa alla vita e perdita del senso della maternità. Tentando di dare una spiegazione alla spirale di violenza «sociale», che sta devastando oggi tanti paesi e sembra avere un sinistro fascino specialmente sui giovani, nel suo ultimo discorso per la «giornata della pace»,4 il papa Paolo VI la trovava anche nella mancanza di autentico amore «materno» che molti di questi giovani soffrono, per cui provano un senso di vuoto e di ribellione contro tutti e contro tutto: «Nel segreto del loro cuore, questi “orfani” non aspirano forse dal fondo di questa società matrigna ad una società materna, ed infine alla maternità religiosa della Madre universale, alla maternità di Maria? La parola di Cristo in croce: “Donna, ecco il tuo Figlio”, non si indirizzava a loro, attraverso san Giovanni: “Madre, ecco i tuoi figli…”? E non è ad essi che il Signore moribondo diceva: “Figli, ecco la vostra Madre”, una madre che vi ama, una madre da amare, una madre al vertice della società dell’amore?». In tal modo Maria diventa non soltanto simbolo, ma autentica «generatrice» di pace, dilatando all’infinito la sua maternità. Il Papa così continuava in quella occasione: «E nessuno pensi che la pace, di cui la Madonna è portatrice, sia da confondere con la debolezza e l’insensibilità dei timidi o dei vili. Ricordiamo l’inno più bello della Liturgia mariana, il “Magnificat”, dove la voce squillante e fiera di Maria risuona per dare fortezza e coraggio ai promotori della pace: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”». In questi tristi momenti di violenza «generalizzata» abbiamo veramente bisogno di sentirci ripetere la benedizione del Sommo Sacerdote ebraico al suo popolo: «Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Con l’augurio che la «benedizione» di Dio, sotto il sorriso di Maria e mediante la nostra collaborazione, diventi realtà.

  Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.

THEOTOKOS OVVERO LA MADRE DI DIO – (IL CONCILIO DI EFESO)

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RUBRICHEAUTORI/alessiovariscoteologiadellarte/AVtheotokosovverolaMadrediDio.htm

THEOTOKOS OVVERO LA MADRE DI DIO – (IL CONCILIO DI EFESO)

DI ALESSIO VARISCO

 SGUARDO DI MARIA, MADRE DI GESÙ, SUL MONDO

Maria è la la Madre di Dio. Per noi cattolici è la Beata Vergine Maria, è la madre di Gesù: il Cristo-uomo che l’opera dello Spirito Santo ha unito ipostaticamente –nella duplicità della natura e unicità della persona– al Verbo eterno di Dio. Per questo motivo il Concilio di Efeso le ha attribuito il rango « Genitrice di Dio » dichiarandola, a livello dogmatico, dal punto di vista teologico, la Theotókos ossia la « Madre di Dio ».

Dal punto di vista storico Maria risulta quindi la “Madre di Dio”, la Theotókos. In seno alla Chiesa, attorno a questa definizione, si infiammò una delle più pesanti e accorata disputa che si risolse col Concilio di Efeso nel 431. Il nome di Efeso fa riecheggiare alla mente «grande è Diana Efesia!» grido che leggiamo negli Atti degli Apostoli. Sorgeva, infatti, in Efeso un magnifico tempio, chiamato Artemision, offerto a Diana. Un luogo di culto che specchiava le sue cento colonne di marmo e di porfido, alte venti metri, col simulacro della dea d’avorio e d’oro nell’acque del mare antistante. Efeso era una delle sette meraviglie del mondo. La città si era guadagnata un’enorme fama ed era mèta d’innumerevoli pellegrinaggi; ciò diede modo ad alcuni artigiani, gli orefici, a larghi guadagni e comportò un aumento di capitali rendendo la città molto ricca e sontuosa, sfavillante agli occhi del visitatore. Gli orafi accrescevano sempre più le loro ricchezze commercializzando delle riproduzioni, in piccolo, dell’enorme tempio, oltre a statue di Diana e medaglioni rappresentanti l’effigie della dea in gran numero.  San Paolo, Saulo di Tarso ex pubblicano, arrivò, alle parti inferiori di quelle colonne lisciate, un uomo dall’aspetto piccolo –miserabilmente povero e sproporzionato rispetto la maestosità sontuosa del luogo- e cominciò a parlare alla gente E il tempio parve tremare quando iniziò a proferire parola, sembrò crollare quella meschina patina di perbenismo. Ecco che Demetrio, uno degli orafi, mise insieme gli artigiani della città, in una specie di comizio sindacale, accendendoli contro l’uomo che aveva l’audacia di dir male della Diana. Come un tuono si alzò la voce dei convenuti che cercavano di zittire, soffocando col chiasso e le grida, la predicazione dell’Apostolo. Il loro motto gridato era « Grande è Diana Efesia! ».

Il Concilio di Efeso Dopo neppure trecent’anni, di fianco al tempio andato in rovina s’innalzava una stupenda Basilica, dedicata alla Madonna. In questo tempio mariano si riunirono i Padri della Chiesa, per stabilire se Maria dovesse essere indicata col titolo di: “Theotókos” o semplicemente “Christotókos”. Scopo dell’audizione conciliare stabilire se Maria era la Madre di Dio o la Madre di Cristo. In modo inconsapevole noi oggi ripetiamo le parole “Maria”, “Vergine” o « Madre di Dio » non pensando -quasi mai- a quel che comportò quest’attributo mariano. Inoltre in pochi ricordano che tutti gli altri dogmi riguardanti la Madonna derivino proprio da lì, dall’essere Vergine e Madre di Dio. Purtroppo in Efeso si scontrarono -sotto l’efficace arbitrato della Chiesa di Roma- due fazioni contrapposte: quella appartenete alla Chiesa d’Alessandria -condotta da San Cirillo- e quella della Chiesa di Costantinopoli -capitanata dal grande Nestorio-. Con una “bizantina sottigliezza” Nestorio inseguiva la tendenza, tutta orientale, di fare di Gesù qualche cosa di sovrastante, più alto, e di scollato dall’umanità. Secondo lui non era possibile -e secondo molti altri teologi orientali, che vi fosse « una sola persona » costituita di due nature: divina e umana. Stando a quest’assunto Dio sarebbe sempre rimasto -in qualche modo- distaccato dall’uomo. E che quindi dalla Vergine Maria non sarebbe nato il Dio bensì l’uomo. La tesi nestoriana appare un’eresia essenzialmente cristologia. Nestorio fa derivare inevitabilmente l’eresia mariana, tanto è vero che ogni errore compiuto sul Cristo si riflette –per contro ed in misura diretta- sulla Madre, e dicasi, oltremodo per inversione, pure il contrario. Eppure, va detto, ad onor del vero l’errore di Nestorio era provvisto di tutte le esteriorità della assennatezza, e che esclusivamente chi comprendeva l’importanza teologica della dottrina cattolica -sostenente la natura divina e la natura umana in una sola persona- era in grado, in quel momento, di vedere in anticipo e quantificare tutte le disastrose conseguenze di quell’errore minutissimo. Il Vescovo d’Alessandria, San Cirillo, si erse contro il Vescovo di Costantinopoli, Nestorio. Questo comportò uno spaccamento verso la Capitale dell’Impero d’Oriente e numerosi seguaci nestoriani. Nestorio pareva dovesse avere il sopravvento, fra i due antagonisti, tanto la sua magniloquenza era suasiva e convincente. Nestorio era il favorito e sembrava la sua linea fosse “travolgente”. Giovò forse quel suo aspetto di conventuale ieraticità, il suo tono intenso e caldo certamente persuasivo. Basti pensare che l’Imperatore Teodosio il Grande posava le sue aspettative su di lui perché era capace di suaderlo. Sant’Agostino, il grande Vescovo di Ippona, filosofo, era morto ormai da un anno. Chi era capace di tener testa a colui che possedeva il titolo di « incendiario »? E San Cirillo d’Alessandria non si fiaccò: «Noi, per la fede di Cristo – disse – siamo pronti a soffrire tutto: prigione, catene, decesso». Rivolse un appellò a Roma e Celestino I affidò a lui la preservazione della dottrina cattolica: «l’autorità della nostra Sede vi è detta». Fu l’Imperatore, Teodosio, a convocare il Concilio. Si scelse la città che era già di Diana ed ora di Maria; quivi giunsero -da ciascuna parte della Cristianità- i Padri della Chiesa. In realtà l’imperatore Teodosio aveva promosso il Concilio tranquillo della vincita del suo Vescovo. Nestorio già assaporava il gusto della buona riuscita. Alla fine del Concilio, nella grande chiesa efesina, sarebbe certamente rimbombato il grido -tuttavia non oltraggioso né indegno- di Christotókos. E invece, altissimo si  portò in alto, approvato da tutti, quello di Theotókos, Madre di Dio. E San Cirillo d’Alessandria godette del titolo d’«invincibile difensore della divina maternità della Vergine». Quando pervennero ad Efeso i due Legati di Roma, non ebbero che da confermare il Decreto del Concilio. Il titolo di ‘Madre di Dio’, da quel giorno, riconobbe alla Vergine il più importante degli onori e il più alto dei vanti. Tutte le generazioni, da quel momento la chiamarono “Madre di Dio”.   Maria era divenuta: Madre di Dio ed ora Madre della Chiesa. La Beata Vergine aveva partecipato alla nascita della divinità del Fondatore della Chiesa -sposa del Cristo- e diveniva la Madre dell’Umanità e della Chiesa stessa. Maria era la “Madre di tutti i redenti”. Nella illustrazione a lato possiamo notare la dicitura « Sancta Trinitas unus Deus »: è qui miniata la ‘Litania lauretana’ in cui Maria è esaltata quale « Madre di Dio ». Nell’ottica della supplica alla Vergine di Loreto si trova un riferimento dogmatico importantissimo –comunicato per tramite dell’orazione dai fedeli recitanti-: Maria sarebbe « la più vicina alla Trinità » ["B proxima primae (litterae, A)"]. Inoltre la Beata Vergine sarebbe -per noi cattolici- la »Sancta Dei Genitrix » ed anche qui l’ausilio iconico ci aiuta ad addentrarci nei meandri di un Mistero grandioso. Inoltre nell’illustrazione di quest’altra ‘Litania’ si ricorda l’evento della nascita di Gesù, “Figlio di Dio”. Maria è divenuta: la Madre di tutti i Santi, la Madre di tutte le Grazie, secondo la convinzione che attende ancora la sua solenne definizione,

«Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali».

[A. Dante, Paradiso.  XXXIII, 13-15]

da secoli poeticamente Dante, aveva espresso nella « preghiera di San Bernardo ».

Titolo mariano per antonomasia … dal punto di vista teologico Maria è la “Madre di Dio” e questo titolo –oltre ad essere una definizione misteriologica che attiene la teologia mariana- è anche il titolo primo e principale. «Nel Vangelo Maria è presentata come la « madre di Gesù ». Gesù è il Cristo, il Messia, un uomo che l’opera dello Spirito Santo ha unito ipostaticamente – duplicità della natura e unicità della persona – al Verbo eterno di Dio. Per questo al Concilio di Efeso, nel 431, Maria fu dichiarata Theotókos, « Madre di Dio », « Genitrice di Dio». [Tullio Faustino Ossanna, "L’Ave Maria – Storia, contenuti, problemi", ‘Edizioni San Paolo’, pp. 78-79]. Il dogma della divina Maternità di Maria è presentatato in modo accessibile nel volumetto di padre Osanna in cui risulta ben argomentata –brevemente- la riflessione biblico-teologica. Bisogna puntualizzare che Maria non può essere intesa come la madre della divinità, né tantomeno madre della Trinità. Maria è la Madre di Gesù, cioè del Verbo eterno del Padre in Lei incarnatosi. Ecco che Maria risulta la collaboratrice del Padre che per mezzo dello Spirito Santo ha reso possibile l’Incarnazione dell’Unigenito. Di qui si spiegherebbe Maria l’intima e particolare relazione che Essa ha in relazione alla Trinità; Maria acquista ogni grado più elevato nella Chiesa in ragione anche di ciò. È Maria il “ponte” fra l’umanità di peccatori redenta in Cristo –per mezzo suo che ha schiacciato le sorti riscattando la progenie di Eva- e quella Divinità che in Lei ha albergato. Maria è perciò “avvocata nostra”… Myriam è Colei che è stata scelta per collaborare all’Incarnazione del Figlio di Dio –è la Madre- e perciò la chiamiamo col nome di « Madre di Dio » perché Gesù-Dio è nato da lei: « nato da donna » [Gal 4, 4]. Maria è madre nel senso più fisico, psicologico e spirituale: sa di contribuire con Dio offrendo il suo assenso libero e dando alla luce nell’amore il Verbo che è l’Amore. Maria non si presenta unicamente come la « genitrice », Essa è la madre che esercita la sua funzione, la sua posizione od il suo ruolo verso Dio e l’umanità in Lei redenta, la sua mandato materno –una vera missione- verso il Figlio si realizza mettendosi –in Lei preservata da ogni traccia di male- totalmente a disposizione del Padre in modo silenzioso e umile. Maria è la madre che vive per il figlio -con l’ansia-, nella compartecipazione alla missione di Lui fino alla morte e anche dopo la morte: Donna dell’Attesa, del venerdì e del Sabato Santo.

Maria è Colei che anche oggi è accanto a Lui nella gloria in Cielo presso il Padre.  Da tutto ciò deriva la sua grandezza e anche la sua forza: ha i suoi diritti materni d’essere amata, onorata, ascoltata; è motivo per noi di fiducia. Maria è stata scelta anche per essere collaboratrice nella missione di salvezza di Gesù, che dalla Croce la volle madre dell’umanità: « Donna, eccoil tuo figlio! […] Ecco tua madre! » [Gv 19, 26-27]. Alla Madre di Dio la Chiesa – che l’ha proclamata anche sua madre: « Madre della Chiesa » – va per conoscere Cristo, contando su di lei per essere portatrice di Salvezza ».

 

SANTA MARIA DI GUADALUPE – 12 DICEMBRE

 http://www.fuocovivo.org/MOVIMENTO/Madonna%20di%20Guadalupe.html

SANTA MARIA DI GUADALUPE

LE APPARIZIONI E IL MIRACOLO DELL’IMMAGINE DI “MADRE INCINTA DI TRE MESI” STAMPATASI SUL MANTELLO DI SAN JUAN DIEGO   LA STORIA STRAORDINARIA DELLE APPARIZIONI E DELL’IMMAGINE MIRACOLOSA Un giorno in cui contemplava una riproduzione dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, Papa Giovanni Paolo II fece questa confidenza: «Mi sento attirato da quest’Immagine, perché il viso è pieno di tenerezza e di semplicità; mi chiama…». Più tardi, il 6 maggio 1990, in occasione di un pellegrinaggio in Messico, il Santo Padre beatificava il messaggero di Nostra Signora, Juan Diego, e diceva: «La Vergine ha scelto Juan Diego fra i più umili, per ricevere quella manifestazione affabile e benigna che fu l’apparizione di Nostra Signora di Guadalupe. Il suo viso materno sulla santa Immagine che ci lasciò in dono ne è un ricordo imperituro». Nel secolo XVI, la Santa Vergine, piena di pietà per il popolo azteco che, vivendo nelle tenebre dell’idolatria, offriva agli idoli innumerevoli vittime umane, si è degnata di prendere in mano essa medesima l’evangelizzazione degli Indiani dell’America Centrale che erano anch’essi suoi figli. Un dio degli Aztechi, cui era attribuita la fertilità, si era trasformato, con l’andar del tempo, in dio feroce. Simbolo del sole, quel dio, in lotta permanente con la luna e le stelle, aveva bisogno – così si credeva – di sangue umano per restaurare le proprie forze, poiché, se fosse perito, la vita si sarebbe spenta. Sembrava dunque indispensabile offrigli, in perpetuo sacrificio, sempre nuove vittime. Un’aquila su un cactus I sacerdoti aztechi avevano profetizzato che il loro popolo nomade si sarebbe insediato nel luogo in cui si fosse mostrata un’aquila che, appollaiata su un cactus, divorasse un serpente. L’aquila figura sulla bandiera del Messico attuale. Giunti su un’isola palustre, in mezzo al lago Texcoco, gli Aztechi vedono compiersi il preannunciato presagio: un’aquila, appollaiata su un cactus, sta divorando un serpente; siamo nel 1369. Fondano quindi lì la città di Tenochtitlán, che diventerà Città del Messico. Essa si sviluppa fino a diventare una vasta città su palafitte con numerosi giardini in cui abbondano fiori, frutti e verdure. L’organizzazione progressiva del regno azteco fa di esso un impero gerarchizzato e molto strutturato. Le conoscenze dei matematici, degli astronomi, filosofi, architetti, medici, artisti ed artigiani sono molto avanzate per l’epoca. Ma le leggi fisiche rimangono poco note. La potenza e la prosperità di Tenochtitlán sono dovute soprattutto alla guerra. Le città conquistate devono pagare un tributo di derrate varie e di uomini per la guerra e per i sacrifici. I sacrifici umani e l’antropofagia degli Aztechi hanno pochi riscontri analoghi nel corso della storia. Nel 1474, nasce un bambino cui vien dato il nome di Cuauhtlatoazin («aquila parlante»). Alla morte di suo padre, è lo zio che si incarica del piccolo. Fin dall’età di tre anni, gli si insegna, come a tutti i bambini aztechi, a partecipare ai lavori domestici ed a comportarsi dignitosamente. A scuola, impara il canto, la danza e soprattutto la religione con i suoi molteplici dèi. I sacerdoti hanno una grande influenza sulla popolazione, che mantengono in una sottomissione che va fino al terrore. Cuauhtlatoazin ha tredici anni, quando si procede alla consacrazione del gran Tempio di Tenochtitlán. Nel corso di quattro giorni, i sacerdoti sacrificano al loro dio 80.000 vittime umane. Dopo il servizio militare, Cuauhtlatoazin si sposa con una ragazza della sua condizione. Insieme, conducono una modesta vita di agricoltori. Nel 1519, lo spagnolo Cortés sbarca nel Messico, alla testa di più di 500 soldati. Conquista il paese per conto della Spagna, ma non senza zelo per l’evangelizzazione degli Aztechi; nel 1524, ottiene la venuta a Città del Messico di dodici Francescani. I missionari s’integrano facilmente nella popolazione; la loro bontà contrasta con la durezza dei sacerdoti aztechi e con quella di certi conquistatori. Si cominciano a costruire chiese. Tuttavia, gli Indiani si mostrano assai refrattari al Battesimo, soprattutto a causa della poligamia che dovrebbero abbandonare. Cuauhtlatoazin e sua moglie sono fra i primi a ricevere il Battesimo, ed assumono rispettivamente i nomi di Juan Diego e Maria Lucia. Alla morte di quest’ultima, nel 1529, Juan Diego si ritira a Tolpetlac, a 14 km da Città del Messico, presso lo zio Juan Bernardino, diventato pure lui cristiano. Il 9 dicembre 1531, come sempre il sabato, egli parte prestissimo la mattina per assistere alla Messa celebrata in onore della Santa Vergine, presso i Frati francescani, vicino a Città del Messico. Passa ai piedi della collina di Tepeyac. Improvvisamente, sente un canto dolce e sonoro che gli sembra provenga da una gran moltitudine di uccelli. Alzando gli occhi verso la cima della collina, vede una nuvola bianca e sfavillante. Guarda intorno a sé e si chiede se non stia sognando. Improvvisamente il canto tace ed una voce di donna, dolce e delicata, lo chiama: «Juanito! Juan Dieguito!» S’inerpica rapidamente sulla collina e si trova davanti ad una giovane bellissima, le cui vesti brillano come il sole.  «Un tempio in cui manifesterò il mio amore» Rivolgendosi a lui in nahuatl, la sua lingua materna, gli dice: «Figlio mio, Juanito, dove vai? – Nobile Signora, mia Regina, vado a Messa a Città del Messico per apprendervi le cose divine che ci insegna il sacerdote. – Voglio che tu sappia con certezza, caro figlio, che io sono la perfetta e sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio da cui proviene ogni vita, il Signore di tutte le cose, Creatore del cielo e della terra. Ho un grandissimo desiderio: che si costruisca, in mio onore, un tempio in cui manifesterò il mio amore, la mia compassione e la mia protezione. Sono vostra madre, piena di pietà e d’amore per voi e per tutti coloro che mi amano, hanno fiducia in me e a me ricorrono. Ascolterò le loro lamentele e lenirò la loro afflizione e le loro sofferenze. Perché possa manifestare tutto il mio amore, va’ ora dal vescovo, a Città del Messico, e digli che ti mando da lui per fargli conoscere il grande desiderio che provo di veder costruire, qui, un tempio a me consacrato».  Juan Diego si reca immediatamente al vescovado. Monsignor Zumárraga, religioso francescano, primo vescovo di Città del Messico, è un uomo pio e pieno di zelo il cui cuore trabocca di bontà per gli Indiani; ascolta attentamente il pover’uomo, ma, temendo un’illusione, non gli dà credito. Verso sera, Juan Diego prende la via del ritorno. In cima alla collina di Tepeyac, ha la felice sorpresa di ritrovare l’Apparizione; rende conto della sua missione, poi aggiunge: «Vi supplico di affidare il vostro messaggio a qualcuno più noto e rispettato, affinché possa essere creduto. Io sono solo un modesto Indiano che avete mandato da una persona altolocata in qualità di messaggero. Perciò non sono stato creduto ed ho potuto soltanto causarvi una gran delusione. – Figlio carissimo, risponde la Signora, devi capire che vi sono persone molto più nobili cui avrei potuto affidare il mio messaggio, e tuttavia è grazie a te che il mio progetto si realizzerà. Torna domani dal vescovo… digli che sono io in persona, la Santa Vergine Maria, Madre di Dio, che ti manda». La domenica mattina dopo la Messa, Juan Diego si reca dal vescovo. Il prelato gli fa molte domande, poi chiede un segno tangibile della realtà dell’apparizione. Quando Juan Diego se ne torna a casa, il vescovo lo fa seguire discretamente da due domestici. Sul ponte di Tepeyac, Juan Diego scompare ai loro occhi, e, malgrado tutte le ricerche effettuate sulla collina e nei dintorni, essi non lo ritrovano più. Furenti, dichiarano al vescovo che egli è un impostore e che non bisogna assolutamente credergli. Durante il medesimo tempo, Juan Diego riferisce alla bella Signora, che lo aspettava sulla collina, il nuovo colloquio avuto con il vescovo: «Torna domattina a prendere il segno che reclama», risponde l’Apparizione. Rose, in pieno inverno! Tornando a casa, l’Indiano trova lo zio malato e il giorno seguente deve rimanere al suo capezzale per curarlo. Poiché la malattia si aggrava, lo zio chiede al nipote di andare a cercare un sacerdote. All’alba, il martedì 12 dicembre, Juan Diego si avvia verso la città. Quando si avvicina alla collina di Tepeyac, giudica preferibile fare una deviazione per non incontrare la Signora. Ma, improvvisamente, la vede venirgli incontro. Tutto confuso, le espone la situazione e promette di tornare non appena avrà trovato un sacerdote per dare l’olio santo allo zio. «Figliolo caro, replica l’Apparizione, non affliggerti per la malattia di tuo zio, perché egli non morirà. Ti assicuro che guarirà… Va’ fin in cima alla collina, cogli i fiori che ci vedrai e portameli». Arrivato in cima, l’Indiano è stupefatto di trovarvi un gran numero di fiori sbocciati, rose di Castiglia, che spandono un profumo quanto mai soave. In questa stagione invernale, infatti, il freddo non lascia sussistere nulla, ed il luogo è troppo arido per permettere la coltura dei fiori. Juan Diego coglie le rose, le deposita nel mantello, o tilma, poi ridiscende dalla collina. «Figlio caro, dice la Signora, questi fiori sono il segno che darai al vescovo… Questo lo disporrà a costruire il tempio che gli ho chiesto». Juan Diego corre al vescovado. Quando arriva, i domestici lo fanno aspettare per lunghe ore. Stupiti che sia tanto paziente, e incuriositi da quel che porta nella tilma, finiscono per avvertire il vescovo, il quale, malgrado si trovi in compagnia di parecchie persone, lo fa entrare immediatamente. L’Indiano racconta la sua avventura, apre la tilma e lascia sparpagliarsi per terra i fiori ancora brillanti di rugiada. Con le lacrime agli occhi, Monsignor Zumárraga cade in ginocchio, ammirando le rose del suo paese. Ad un tratto, scorge, sulla tilma, il ritratto di Nostra Signora. Vi è Maria, come impressa sul mantello, bellissima e piena di dolcezza. I dubbi del vescovo lasciano il posto ad una solida fede e ad una speranza incantata. Prende la tilma e le rose, e le deposita rispettosamente nel suo oratorio privato. Il giorno dopo, si reca con Juan Diego sulla collina delle apparizioni. Dopo aver esaminato i luoghi, lascia che il veggente torni dallo zio. Juan Bernardino è effettivamente guarito. La guarigione si è prodotta all’ora stessa in cui Nostra Signora appariva a suo nipote. Racconta: «L’ho vista anch’io. È venuta proprio qui e mi ha parlato. Vuole che le si eriga un tempio sulla collina di Tepeyac e che si chiami il suo ritratto «Santa Maria di Guadalupe». Ma non mi ha spiegato perché». Il nome di Guadalupe è ben noto agli Spagnoli, poiché esiste nel loro paese un antichissimo santuario consacrato a Nostra Signora di Guadalupe. La notizia del miracolo si sparge rapidamente; in poco tempo, Juan Diego diventa popolare: «Accrescerò la tua fama», gli aveva detto Maria; ma l’Indiano rimane sempre altrettanto umile. Per facilitare la contemplazione dell’Immagine, Monsignor Zumárraga fa trasportare la tilma nella cattedrale. Poi intraprende la costruzione di una chiesetta e di un eremo, per Juan Diego, sulla collina delle apparizioni. Il 25 dicembre seguente, il vescovo consacra la cattedrale alla Santissima Vergine, al fine di ringraziarla per i favori insigni di cui Ella ha ricolmato la diocesi; poi, in una magnifica processione, l’Immagine miracolosa viene portata verso il santuario di Tepeyac, che è appena stato ultimato. Per manifestare la loro gioia, gli Indiani tirano frecce. Una di esse, lanciata senza precauzioni, trafigge la gola di uno dei presenti che cade a terra, ferito mortalmente. Subentra un silenzio impressionante ed una supplica intensa sale verso la Madre di Dio. Improvvisamente, il ferito, che è stato depositato ai piedi dell’Immagine miracolosa, riprende i sensi e si rialza, pieno di vigore. L’entusiasmo della folla è al colmo. Milioni d’Indiani diventati Cristiani Juan Diego si sistema nel piccolo eremo e veglia alla manutenzione ed alla pulizia del luogo. La sua vita rimane molto modesta: coltiva con cura un campo messo a sua disposizione presso il santuario. Riceve i pellegrini, sempre più numerosi, parlando loro con molto piacere della Santa Vergine e raccontando senza stancarsi i particolari delle apparizioni. Gli vengono affidate intenzioni di preghiere di ogni genere. Ascolta, compatisce, conforta. Passa una gran parte del suo tempo libero in contemplazione davanti all’immagine della sua Signora; i suoi progressi sulla via della santità sono rapidi. Un giorno dopo l’altro, compie la sua missione di testimone, fino alla morte che avverrà il 9 dicembre 1548, diciassette anni dopo la prima apparizione. Quando gli Indiani appresero la notizia delle apparizioni di Nostra Signora, si sparsero fra loro un entusiasmo ed una gioia indicibili. Rinunciando agli idoli, alle superstizioni, ai sacrifici umani ed alla poligamia, molti chiesero il Battesimo. Nei nove anni che seguirono le apparizioni, nove milioni di loro furono convertiti alla fede cristiana, vale a dire 3000 al giorno! I particolari dell’Immagine di Maria colpiscono profondamente gli Indiani: quella donna è più grande del “dio-sole”, poiché appare in piedi davanti al sole; supera il “dio-luna”, poiché tiene la luna sotto ai suoi piedi; non è più di questo mondo, poiché è circondata di nuvole ed è tenuta al di sopra del mondo da un angelo; le mani giunte la mostrano in preghiera, il che significa che c’è qualcuno di più grande di lei… Ma, ancora oggi, il mistero dell’Immagine miracolosa è grande. La tilma, vasto grembiule tessuto a mano con fibre di cactus, porta l’Immagine sacra di un’altezza di 1,43 m. Il viso della Vergine è perfettamente ovale e di un color grigio che tende al rosa. Gli occhi hanno un’intensa espressione di purezza e di dolcezza. La bocca sembra sorridere. La bellissima faccia, simile a quella di un’Indiana meticcia, è incorniciata da una chioma nera che, vista da vicino, comporta capelli di seta. Un’ampia tunica, di un rosa incarnato che non si è mai potuto riprodurre, la copre fino ai piedi. Il mantello, azzurro-verde, è bordato di un gallone d’oro e cosparso di stelle. Un sole di vari toni forma uno sfondo magnifico in cui brillano raggi d’oro. La conservazione della tilma, dal 1531 ad oggi, rimane inspiegabile. In capo a più di quattro secoli, la stoffa, di qualità mediocre, conserva la stessa freschezza, la stessa vivacità di toni che aveva in origine. In confronto, una copia dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, dipinta con gran cura nel secolo XVIII e conservata nelle stesse condizioni climatiche di quella di Juan Diego, si è completamente degradata in pochi anni. All’inizio del secolo XX, periodo doloroso di rivoluzioni per il Messico, una carica di dinamite fu depositata da miscredenti sotto l’Immagine, in un vaso pieno di fiori. L’esplosione ha distrutto i gradini di marmo dell’altare maggiore, i candelabri, tutti i portafiori; il marmo dell’altare fu fatto a pezzi, il Cristo di ottone del tabernacolo si piegò in due. I vetri della maggior parte delle case circostanti la basilica si ruppero, ma quello che proteggeva l’Immagine non fu nemmeno incrinato; l’Immagine rimase intatta. Le proprietà straordinarie dell’immagine Nel 1936, uno studio realizzato su due fibre della tilma, una rossa ed una gialla, giunse a conclusioni stupefacenti. Le fibre non contengono nessun colorante noto. L’oftalmologia e l’ottica confermano la natura inspiegabile dell’immagine: essa assomiglia ad una diapositiva proiettata sul tessuto. Un esame approfondito mostra che non vi è nessuna traccia di disegno o di schizzo sotto il colore, anche se ritocchi perfettamente riconoscibili sono stati realizzati sull’originale, ritocchi che, del resto, si degradano con l’andar del tempo; inoltre, il supporto non ha ricevuto nessun appretto, il che sembrerebbe inspiegabile se si trattasse veramente di una pittura, poiché, anche su una tela più fine, si mette sempre un rivestimento, non fosse che per evitare che la tela assorba la pittura e che i fili affiorino alla superficie. Non si distingue nessuna pennellata. A seguito di un esame a raggi infrarossi, effettuato il 7 maggio 1979, un professore della NASA scrive: «Non c’è nessun modo di spiegare la qualità dei pigmenti utilizzati per la veste rosa, il velo azzurro, il volto e le mani, né la persistenza dei colori, né la freschezza dei pigmenti in capo a parecchi secoli durante i quali avrebbero dovuto normalmente degradarsi… L’esame dell’Immagine è stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita». Certi astronomi hanno constatato che tutte le costellazioni presenti nel cielo nel momento in cui Juan Diego apre la tilma davanti al vescovo Zumárraga, il 12 dicembre 1531, si trovano al loro posto sul mantello di Maria. Si è anche scoperto che, applicando una carta topografica del Messico centrale sulla veste della Vergine, le montagne, i fiumi ed i laghi principali coincidono con l’ornamentazione della veste medesima. Esami oftalmologici giungono alla conclusione che l’occhio di Maria è un occhio umano che sembra vivo, ivi inclusa la retina in cui si riflette l’immagine di un uomo con le mani aperte: Juan Diego. L’immagine nell’occhio ubbidisce alle leggi note dell’ottica, in particolare a quella che afferma che un oggetto in piena luce può riflettersi tre volte nell’occhio (legge di Purkinje-Samson). Uno studio posteriore ha permesso di scoprire nell’occhio, oltre al veggente, Monsignor Zumárraga e parecchi altri personaggi, presenti quando l’immagine di Nostra Signora è apparsa sulla tilma. Infine, la rete venosa normale microscopica sulle palpebre e la cornea degli occhi della Vergine è perfettamente riconoscibile. Nessun pittore umano avrebbe potuto riprodurre simili particolari.  Una donna incinta di tre mesi Misure ginecologiche hanno stabilito che la Vergine dell’Immagine ha le dimensioni fisiche di una donna incinta di tre mesi. Sotto la cintura che trattiene la veste, al posto stesso dell’embrione, spicca un fiore con quattro petali: il Fiore solare, il più familiare dei geroglifici degli Aztechi che simboleggia per loro la divinità, il centro del mondo, del cielo, del tempo e dello spazio. Dal collo della Vergine pende una spilla il cui centro è adorno di una piccola croce, che ricorda la morte di Cristo sulla Croce per la salvezza di tutti gli uomini. Vari altri particolari dell’Immagine di Maria fanno di essa uno straordinario documento per la nostra epoca, che li può constatare grazie alle tecniche moderne. Così la scienza, che ha spesso servito quale pretesto per l’incredulità, oggi ci aiuta a mettere in evidenza segni che erano rimasti sconosciuti per secoli e secoli e che non può spiegare. L’immagine di Nostra Signora di Guadalupe porta un messaggio di evangelizzazione: la Basilica di Città del Messico è un centro «dal quale scorre un fiume di luce del Vangelo di Cristo, che si diffonde su tutta la terra attraverso l’Immagine misericordiosa di Maria» (Giovanni Paolo II, 12 dicembre 1981).  Inoltre, con il suo intervento in favore del popolo azteco, la Vergine ha contribuito alla salvezza di innumerevoli vite umane, e la sua gravidanza può esser interpretata come un appello speciale in favore dei nascituri e della difesa della vita umana; tale appello è di grande attualità ai giorni nostri, in cui si moltiplicano e si aggravano le minacce contro la vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando si tratta di una vita debole ed inerme. Il Concilio Vaticano II ha deplorato con forza i crimini contro la vita umana: “Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario, TUTTO CIÒ CHE VIOLA L’INTEGRITÀ’ DELLA PERSONA UMANA… (…); tutte queste cose, e altre simili, sono certamente VERGOGNOSE. Mentre GUASTANO LA CIVILTÀ UMANA, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” (« Gaudium et Spes », n.27). Di fronte a tali flagelli, che si sviluppano grazie ai progressi scientifici e tecnici, e che beneficiano di un ampio consenso sociale e di riconoscimenti legali, invochiamo Maria con fiducia. Essa è un «modello incomparabile di accoglienza della vita e di sollecitudine per la vita… Mostrandoci suo Figlio, ci assicura che in Lui le forze della morte sono già state vinte» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, nn. 102, 105). «In gigantesco duello si sono battute la morte e la vita. Il Signore della vita, già morto, ora vive e regna» (Sequenza di Pasqua). Domandiamo a San Juan Diego, canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002, di ispirarci una vera devozione per la nostra Madre Celeste, poiché «la compassione di Maria si estende a tutti coloro che la chiedono, non fosse che con un semplice saluto: “Ave, Maria…”» (Sant’Alfonso de Liguori). Lei, che è Madre di Misericordia, ci otterrà la Misericordia di Dio, specialmente se saremo caduti in peccati gravi. Dom Antoine Marie OSB

Abbazia Saint-Joseph de Clairval 21150 Flavigny-sur-Ozerain France    

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 11 décembre, 2013 |Pas de commentaires »
1...56789...14

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01