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PAOLO DI TARSO E MARIA DI NAZARET – STEFANO DE FIORES, SMM

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PAOLO DI TARSO E MARIA DI NAZARET

STEFANO DE FIORES, SMM

Si affronta in questo testo, un vero saggio, la dottrina dell’Apostolo per la mariologia.

È raro trovare l’accostamento di Paolo di Tarso a Maria di Nazaret, due figure bibliche senza evidente legame o necessario richiamo. Basti consultare il Dizionario di Paolo e delle sue lettere (G.F. Hawthorne, C.R. Martin e D. Reid, a cura di R. Penna, San Paolo 2000, pp. 1.886, € 61,97), per accorgersi che il nome di Maria è completamente ignorato, anche come donna che ha generato il Figlio di Dio (Gal 4,4), passo saltato perfino nella voce Lettera ai Galati.
A prima vista sembra che in realtà non ci sia niente di comune tra i due personaggi di rilievo nella Chiesa delle origini. Paolo è il missionario teologo, l’apostolo delle genti e il rappresentante di un cristianesimo libero dalla legge di Mosè e aperto all’ellenismo; Maria è una donna tenuta in grande considerazione come madre di Cristo, ma professante come Pietro e Giacomo un giudeo-cristianesimo fedele alle prescrizioni legali in seno alla comunità di Gerusalemme.
Eppure il legame tra Paolo e Maria esiste, dal momento che dobbiamo all’Apostolo il primo testo del Nuovo Testamento dove si parla di Cristo come «nato da donna» (Gal 4,4). Riflettendo sul piano della salvezza e in particolare sull’incarnazione, Paolo non può fare a meno di riferirsi a quella donna d’Israele che ha generato il Messia.
Il quadro normativo per l’annuncio di Maria nella Chiesa. Come è risaputo, i discorsi kerigmatici di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), mirano a comunicare il contenuto essenziale della storia della salvezza: Cristo morto e risorto. Solo una volta si fa riferimento all’attività sanatrice ed esorcistica di Gesù dopo il battesimo di Giovanni (At 10,38) e solo una volta si menziona la discendenza davidica di Cristo: «Dalla discendenza di lui [Davide], secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore» (At 13,23).
In questa prima fase non si nomina mai Maria. La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l’intero arco della vicenda storica di Cristo (che sarà oggetto di considerazione accurata da parte degli evangelisti), perché il centro d’interesse degli apostoli è l’annuncio del mistero pasquale.
Paolo rompe il silenzio su Maria offrendo in Gal 4,4 la più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento, che risale al 49 o al massimo al 57 dopo Cristo, cioè una ventina d’anni dopo l’Ascensione.
Occasione della lettera ai Galati è l’infiltrazione nelle comunità della Galazia in Asia Minore (attuale Turchia) di alcuni cristiani giudaizzanti, che insegnavano la validità della legge giudaica per nulla abolita da Cristo. A questi Paolo oppone il suo Vangelo, ossia la salvezza mediante la fede in Cristo. Da autentico teologo, Paolo pone il dilemma: chi ci salva, Cristo o la legge? Se la salvezza viene dalla legge, allora «Cristo è morto invano» (Gal 2,21). Ma se Cristo è il salvatore, allora la legge perde la sua funzione e necessità, sicché le genti possono credere ed essere battezzate senza passare dall’obbedienza alle prescrizioni mosaiche. Con questa soluzione, che raccoglie l’accordo degli apostoli e comunità, il cristianesimo cessa di essere un semplice gruppo ebraico (pur mantenendone la fede monoteistica e la profonda spiritualità), e diviene una comunità universale.
In tale contesto polemico contro i giudaizzanti, Paolo introduce il testo di alto interesse cristologico in cui si fa menzione «tangenzialmente e in forma anonima» di Maria, la «donna» dalla quale nacque Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4).
Nonostante la sua laconicità, tale testo è considerato di altissimo interesse mariano, quasi «una mariologia in germe», in quanto «nucleo germinale» aperto «alle successive acquisizioni del Nuovo Testamento».
Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll giunge ad affermare: «Dal punto di vista dogmatico l’enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato».
L’importanza del testo paolino è data dal fatto che esso ha una struttura trinitaria ed insieme storico-salvifica.
Paolo ricorre chiaramente allo schema di invio. Il soggetto della frase è il Padre, che determina la pienezza del tempo, cioè il tempo propizio alla salvezza dopo il periodo di sudditanza e di maturazione (Gal 4,1-2), e decide l’invio di suo Figlio. Questi, che preesiste per poter essere inviato, viene nel tempo secondo due modalità e finalità intimamente connesse e contrapposte: nasce in condizione di fragilità (nato da donna) edi schiavitù (nato sotto la legge) in vista della liberazione dalla schiavitù (per riscattare coloro che erano sotto la legge) e del dono della figliolanza divina reso possibile dallo Spirito (perché ricevessimo l’adozione a figli, Gal 4,6).
Maria è la donna che inserisce il Figlio di Dio nella storia in una condizione di abbassamento, ma ella è situata nella pienezza del tempo e si trova coinvolta nel disegno storico-salvifico della trasformazione degli uomini in figli di Dio.
Nei due versetti (Gal 4,4-6) sono presenti le persone della Trinità in un orizzonte storico-salvifico, sicché si può giustamente osservare che la donna da cui nasce Cristo è incomprensibile al di fuori della sua relazione con le tre persone divine e con la storia della salvezza.
Il «mistero» della donna in Gal 4,4ss è totalmente inserito in un disegno cristologico-trinitario-ecclesiale e posto a garanzia dell’effettiva libertà dei figli di Dio.
La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la Trinità intera ed è a vantaggio di tutti gli uomini.
Potremmo dire che Maria è coinvolta nel «complotto» di Dio, meglio nel suo misterioso e sorprendente «disegno», per la salvezza degli esseri umani: «[Maria] è colei che porta in sé Gesù Cristo; ma non vuole conservarlo per sé, perché infine è colei che lo porta al mondo: in questo senso partecipa – come la Chiesa – a quello che si potrebbe chiamare il « complotto » di Dio per salvare il mondo, e si può celebrarla come quella che ha introdotto segretamente tra gli uomini il Cristo, nel quale il regno di Dio è presente».
Il genere paradossale per parlare della Madre di Cristo. Nello stesso breve passo di Gal 4,4 Paolo ricorre al genere paradossale, a lui caro (1Cor 1,21-31; 2Cor 5,21; 8,9; Rm 8,3-4), mettendo insieme realtà contrastanti (paradosso, dal greco pará dóxa = a lato dell’opinione): schiavitù-redenzione, fragilità-figliolanza divina. Esiste in realtà un rapporto antitetico tra la modalità con cui il Figlio di Dio si presenta al mondo e la finalità della stessa sua venuta.
In pratica Paolo applica all’invio del Verbo nella condizione umana la legge storico-salvifica dell’abbassamento-esaltazione che lega la prima alleanza al definitivo Testamento.
Il ribaltamento delle sorti è il messaggio del libro di Ester, dove questa è intronizzata e Vasti ripudiata, Mardocheo è esaltato e Amman ucciso. Soprattutto nel Servo di JHWH si realizza l’antitesi abbassamento-esaltazione: egli è umiliato con la persecuzione e la sofferenza, ma poi viene «esaltato e molto innalzato» (Is 50,6; 52,13).
Quando la comunità cristiana cerca un principio che renda comprensibile la vicenda di Gesù, lo trova nello schema del giusto sofferente ed esaltato. In questa linea si svolge il celebre inno cristologico pre-paolino di Fil 2,6-11, dove si passa dalla fase di umiliazione che raggiunge il climax nella morte di croce all’esaltazione di Gesù come Signore.
Di fronte al testo di Paolo sorgono spontaneamente alcuni interrogativi: come può Cristo «sottomesso alla legge» liberare quanti attendono di esserne affrancati? E come può un «nato da donna» come tutti gli esseri umani conferire la dignità di figli di Dio?
Paolo non scioglie questi enigmi, ma lascia aperto il discorso circa il modo con cui Cristo viene al mondo (per es. verginalmente e nella potenza dello Spirito, come specificheranno i Vangeli dell’infanzia) o è sottoposto alla legge (cioè volontariamente, senza essere obbligato). Il discorso rimane aperto anche circa il tempo, quando si passerà dall’umiliazione all’esaltazione; tale passaggio avverrà sicuramente per Paolo nel mistero pasquale, ma nel passo di Gal 4,4 esso rimane implicito.
Maria è accomunata alla kenosi del Figlio, cioè alla sua incarnazione in stato di svuotamento e di debolezza, di cui lei diviene elemento indispensabile.
Quattro secoli più tardi Agostino riconoscerà in Maria la madre della «debolezza» di Cristo, «non della sua divinità», avendolo generato nella condizione umana. Del resto gli studi biblici e teologici nel Novecento contestualizzeranno la Vergine di Nazaret nella storia spirituale del suo popolo piccolo, disprezzato e calpestato dalle grandi potenze. Ella fa parte dei «poveri di JHWH», apice spirituale d’Israele, come donna in ascolto di Dio che si rivela, al quale fa il dono totale di sé.
Pur avendo generato il Signore dell’universo, ella conduce una vita senza privilegi terreni, in situazione di povertà e di assenza di qualsiasi potere e influsso. La sua suprema kenosi è raggiunta sul Calvario quando sperimenta la spada del dolore. Tuttavia il principio kenotico «sarebbe monco e incompleto qualora non venisse attribuita alla Madre di Gesù anche la sua necessaria conseguenza che è l’esaltazione».
La kenosi di Cristo, cui partecipa Maria, non è che il primo pannello di un dittico che contempla anche la condizione glorificata di entrambi. Il theologumeno storico-salvifico dell’abbassamento-esaltazione che la Vergine applica alla sua vicenda nel Magnificat (Lc 1,47-48), può tradursi oggi con emarginazione-promozione, passività-inserimento attivo nella storia, vuoto di valori-pienezza di significato: Dio ha trasformato la sua insignificanza in momento di salvezza messianica. L’immagine kenotica di Maria controbilancia la tendenza glorificatrice di lei, che la privava della sua consistenza concreta di donna inserita nella storia dell’ebraismo, giungendo ad una certa disumanizzazione della sua figura.

IL MESSAGGIO DI LOURDES

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IL MESSAGGIO DI LOURDES

Si chiama « Messaggio di Lourdes » i gesti e le parole che si sono scambiati la Vergine e Bernadette alla Grotta di Massabielle, dall’11 febbraio 1858 al 16 luglio 1858, nel corso delle 18 Apparizioni. Per comprendere bene gli eventi che si sono svolti e capire il « Messaggio di Lourdes », bisogna conoscere il contesto in cui Bernadette ha vissuto e in cui le Apparizioni si sono verificate.
Nel 1858, la famiglia Soubirous è in rovina, ridotta a vivere al cachot. L’ 11 febbraio 1858, Bernadette, sua sorella Toinette e una loro amica, Jeanne Abadie, vanno in cerca di legna. Si dirigono verso « il luogo dove il torrente si getta nel Gave ». Arrivano dinanzi alla Grotta di Massabielle. Questa é pocomeno di una discarica, piena di detriti portati dal fiume, di rifiuti dei maiali, ma anche di legna da poter raccogliere. Toinette e Jeanne attraversano l’acqua ghiacciata del torrente per raggiungerla, ma Bernadette, a causa della sua asma cronica, esita a fare altrettanto. E’ in quel momento che “sente un rumore come un colpo di vento », ma « nessun albero si muove ». « Alzando la testa, vede, nella cavità della roccia, una piccola ragazza, avvolta di luce, che la osserva e le sorride ». È la prima Apparizione di Nostra Signora.
Al tempo di Bernadette, la Grotta era un luogo sporco, oscuro, umido e freddo. Veniva chiamata « grotta dei maiali », perché era il luogo dove si conducevano i maiali. È in questo luogo che Maria, tutto biancore, tutta purezza, segno dell’amore di Dio, cioè segno di ciò che Dio vuole fare in ciascuno di noi, ha voluto apparire. C’è un contrasto immenso tra questa Grotta oscura, umida e la presenza di Maria Vergine,  » l’ Immacolata Concezione « . Questo ci ricorda il Vangelo: l’incontro tra la ricchezza di Dio e la povertà dell’uomo. Il Cristo è venuto a cercare ciò che era perduto.
A Lourdes il fatto che Maria sia apparsa in una Grotta sporca ed oscura, in questo luogo che si chiama Massabielle, la vecchia roccia, ci dice che Dio viene a raggiungerci ovunque siamo, nel pieno delle nostre miserie, di tutte le nostre cause perse.
La Grotta non è soltanto il luogo dell’evento, un luogo geografico, è anche un luogo dove Dio ci dà un segno per svelarci il suo cuore ed il nostro cuore. È un posto dove Dio ci lascia un messaggio che non è altro che quello del Vangelo. Dio viene a dirci che ci ama – ecco tutto il contenuto del « Messaggio di Lourdes » -, che ci ama così come siamo, con tutti i nostri successi, ma anche con tutte le nostre ferite, le nostre fragilità, i nostri limiti.

18 FEBBRAIO 1858 : PAROLE STRAORDINARIE
Al tempo della terza Apparizione, il 18 febbraio, la Vergine parla per la prima volta. A Bernadette, che le presenta un pezzo di carta ed una matita perché scriva il Suo nome, « la Signora » risponde: « Quello che ho da dirvi, non è necessario metterlo per iscritto ». È una parola straordinaria. Ciò vuol dire che Maria vuole entrare con Bernadette in una relazione di amore, che si instaura al livello del cuore. Il cuore, nella Bibbia, significa il centro stesso della personalità, di ciò che c’è più di profondo nell’uomo.
Bernadette è sin dall’inizio invitata ad aprire le profondità del suo cuore a questo messaggio d’amore.
La seconda cosa che dice la Vergine è Lourdes : gemmail raffigurando un’apparizione della Madonna a Bernardetta: « potreste avere la gentilezza di venire qui per quindici giorni? », Bernadette è frastornata. È la prima volta che le danno del « voi ». Spiegherà questa parola dicendo: “Lei mi guardava come una persona guarda un’altra persona”. L’ uomo, creato a immagine e a somiglianza di Dio, è una persona. Bernadette, sentendosi così rispettata e amata, fa lei stessa l’esperienza di essere una persona. Abbiamo tutti dignità agli occhi di Dio. Perché ognuno è un amato da Dio.
La terza parola della Vergine : « non vi prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro ». Conosciamo il mondo della violenza, della menzogna, della sensualità, del profitto, della guerra. Ma conosciamo anche il mondo della carità, della solidarietà, della giustizia. Quando Gesù, nel Vangelo, ci invita a scoprire il Regno dei Cieli, ci invita a scoprire, nel mondo così come è, un « altro mondo ». Lì dove c’è l’amore, Dio è presente. Questa realtà non occulta l’orizzonte del messaggio che è il cielo. La Vergine Maria trasmette a Bernadette la certezza di una terra promessa che non potrà essere raggiunta se non al di là della morte. Sulla terra, ci sono i fidanzamenti; le cerimonie nuziali sono per il dopo, per il Cielo.

DIO È AMORE
Fare esperienza di Dio, non è altro che fare l’ esperienza dell’amore su questa terra. A chi ha saputo scoprire questo Gesù dichiara: « non sei lontano dal Regno di Dio ». Nonostante la sua miseria, la sua malattia, la sua ignoranza, Bernadette è sempre stata profondamente felice. È questo il Regno di Dio, il mondo del vero amore.
Durante le prime sette Apparizioni di Maria, Bernadette ha mostrato un viso raggiante di gioia, di felicità, di luce. Ma, tra l’ottava e la dodicesima apparizione tutto cambia: il viso di Bernardetta diventa teso, triste, preoccupato e soprattutto compie gesti incomprensibili… : camminare sulle ginocchia fino in fondo alla Grotta; baciare la terra di questa Grotta, ancora tutta sporca e ributtante; mangiare delle erbe amare; raspare il suolo e, per tre volte, provare a bere acqua fangosa, sorbirne un pò, poi sputarla; prendere del fango tra le mani e sfregarselo sulla faccia. E quando Bernadette osserva la folla allargando le braccia, tutti dicono: « è pazza ». Per quattro apparizioni Bernadette ripeterà gli stessi gesti. Ma cosa significa tutto questo? Nessuno riesce a capire nulla !
Siamo proprio nel cuore del « Messaggio di Lourdes ».

IL SIGNIFICATO BIBLICO DELLE APPARIZIONI
I gesti che « la Signora » ha chiesto a Bernadette di compiere sono gesti biblici, attraverso essi, Bernadette esprimerà l’Incarnazione, la Passione e la Morte del Cristo.
Andare in ginocchio fino in fondo la Grotta: è il gesto dell’Incarnazione, dell’abbassamento di Dio che si fa uomo. Bernadette bacia la terra per spiegare che quest’abbassamento è giustamente il gesto dell’amore di Dio per gli uomini. Mangiare le erbe amare ricorda la tradizione ebraica che ritroviamo nel Vecchio Testamento. Quando gli ebrei volevano manifestare che Dio aveva preso su di sè tutte le amarezze e tutti i peccati del mondo, uccidevano un agnello, lo svuotavano, lo riempivano di erbe amare e pronunciavano su di esso la preghiera: « ecco l’Agnello di Dio che prende su di sé tutte le disgrazie, che toglie tutte le amarezze, tutti i peccati del mondo ». Questa preghiera è ripetuta nella messa.
Imbrattarsi il viso: il profeta Isaia presenta il Messia, il Cristo, con le caratteristiche del servo sofferente. « Poiché portava su di sé tutti i peccati degli uomini, il suo viso non aveva più figura umana », dice Isaia, e continua dicendo: « era come una pecora condotta al macello e, sul suo passaggio, la gente rideva di lui ». Ecco alla Grotta Bernadette sfigurata dal fango e la folla che grida: « è diventata pazza ».

LA GROTTA NASCONDE UN TESORO IMMENSO, INFINITO
Lourdes : la sorgente che sgorga nella Grotta delle ApparizioniI gesti che Bernadette compie sono gesti di liberazione. La Grotta è liberata dalle sue erbe, dal suo fango. Ma perché bisogna liberare questa Grotta? Perché nasconde un tesoro immenso che occorre assolutamente portare alla luce. Così, alla nona Apparizione ( il 25 febbraio 1858), « la Signora » chiederà a Bernadette di andare a scavare la terra, in fondo a questa « Spelonca per i maiali », dicendole: « andate alla fonte, bevete e lavatevi ». Ed ecco che un po’ d’acqua fangosa inizia a sgorgare, sufficientemente perché Bernadette possa berne. Ed ecco che quest’ acqua diventa, poco a poco, trasparente, pura, limpida.
Con questi gesti ci è rivelato il mistero stesso del cuore del Cristo: « un soldato, con la sua lancia, trapassa il cuore e, immediatamente, scaturisce sangue e acqua ». Ma ci rivelano anche le profondità del mistero del cuore dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio:  » l’acqua che ti darò, diventerà in te sorgente di vita eterna ». Il cuore dell’uomo, ferito dal peccato, è espresso dalle erbe e dal fango. Ma in fondo a questo cuore c’è la vita stessa di Dio, manifestata dalla fonte. Chiedono a Bernadette : « la Signora ti ha detto qualcosa ? » E lei risponde:  » Sì, di tanto in tanto diceva: « Penitenza, penitenza, penitenza. » Pregate per i peccatori « . Per « penitenza », si intede conversione.
Per la Chiesa, la conversione consiste, come ci ha insegnato Cristo, nel rivolgere il proprio cuore verso Dio, verso i propri fratelli. « Pregate per i peccatori ». Pregare fa entrare nello Spirito di Dio. Così possiamo capire che il peccato non fa la felicità dell’uomo. Il peccato è tutto ciò che si oppone a Dio.
In occasione della tredicesima Apparizione, Maria si rivolge a Bernadette: « andate a dire ai sacerdoti che si costruisca qui una cappella e che ci si venga in processione ». « Che si venga in processione » significa camminare, in questa vita, sempre vicino ai nostri fratelli.
« Che si costruisca una cappella », a Lourdes tante cappelle sono state costruite per accogliere la folla dei pellegrini. Ma queste cappelle sono soltanto i segni di questa comunione fondata sulla carità, alla quale tutti sono chiamati. La cappella, è « la Chiesa » che dobbiamo costruire, là dove siamo, nella nostra famiglia, sul nostro luogo di lavoro, nella nostra parrocchia, nella nostra diocesi. Qualsiasi cristiano trascorre la sua vita a costruire la Chiesa, vivendo in comunione con Dio e i suoi fratelli.

LA SIGNORA DICE CHI È : « QUE SOY ERA IMMACULADA COUNCEPTIOU »
Nostra Signora di LourdesIl 25 marzo 1858, giorno della sedicesima Apparizione, Bernadette si reca
alla Grotta dove, per volere di don Peyramale,
parroco di Lourdes chiede « alla Signora » di dire il suo nome. Per tre volte, Bernadette rivolge la
domanda. Alla quarta richiesta, « la Signora » le
risponde in dialetto:
« Que soy era Immaculada Counceptiou »,
« Io sono l’Immacolata Concezione ». Bernadette
non ha capito immediatamente il senso di questa
parola. L’Immacolata Concezione, così come
insegna la Chiesa, è « Maria concepita senza
peccato, gazie ai meriti della croce del Cristo »
(definizione del dogma promulgato nel 1854).
Bernadette si reca immediatamente dal signor
parroco, per trasmettergli il nome « della Signora ». Lui
capirà che è la Madre di Dio che appare alla Grotta di
Massabielle. Più tardi, il vescovo di Tarbes, Mgr.
Laurence, autentificherà questa rivelazione.

Tutti siamo chiamati a diventare immacolati
La  » firma » del messaggio avviene dopo 3 settimane di Apparizioni e 3 settimane di silenzio (dal 4 al 25 marzo). Il 25 marzo è il giorno dell’Annunciazione, del concepimento » di Gesù nel ventre di Maria. La Signora della Grotta dice quale è la Sua missione: Lei è la Madre di Gesù, tutto il suo essere è quello di concepire il Figlio di Dio, Lei è tutta per Lui. Per questo è Immacolata, abitata da Dio. Così, la Chiesa e tutti i cristiani devono lasciarsi abitare da Dio per diventare immacolati, radicalmente perdonati e in modo tale da essere, anche loro, testimoni di Dio. Sarà la vocazione di Bernadette. Il 7 aprile, durante la penultima Apparizione, la fiamma della candela passerà tra le sue dita senza bruciarla: diventa trasparente di luce, può anche lei comunicare la luce di Dio. Maria ci dice che lei è ciò che dobbiamo diventare. Il giorno della sua 1^ Comunione (3 giugno 1858), Bernadette prolunga quest’esperienza unendosi al dono di Dio.

VESPRI NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE – BENEDETTO XVI (2011)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20110202_vita-consacrata.html

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Martedì, 2 febbraio 2011

Cari fratelli e sorelle!

Nella Festa odierna contempliamo il Signore Gesù che Maria e Giuseppe presentano al tempio “per offrirlo al Signore” (Lc 2,22). In questa scena evangelica si rivela il mistero del Figlio della Vergine, il consacrato del Padre, venuto nel mondo per compiere fedelmente la sua volontà (cfr Eb 10,5-7). Simeone lo addita come “luce per illuminare le genti” (Lc 2,32) e annuncia con parola profetica la sua offerta suprema a Dio e la sua vittoria finale (cfr Lc 2,32-35). È l’incontro dei due Testamenti, Antico e Nuovo. Gesù entra nell’antico tempio, Lui che è il nuovo Tempio di Dio: viene a visitare il suo popolo, portando a compimento l’obbedienza alla Legge ed inaugurando i tempi ultimi della salvezza.
E’ interessante osservare da vicino questo ingresso del Bambino Gesù nella solennità del tempio, in un grande “via vai” di tante persone, prese dai loro impegni: i sacerdoti e i leviti con i loro turni di servizio, i numerosi devoti e pellegrini, desiderosi di incontrarsi con il Dio santo di Israele. Nessuno di questi però si accorge di nulla. Gesù è un bambino come gli altri, figlio primogenito di due genitori molto semplici. Anche i sacerdoti risultano incapaci di cogliere i segni della nuova e particolare presenza del Messia e Salvatore. Solo due anziani, Simeone ed Anna, scoprono la grande novità. Condotti dallo Spirito Santo, essi trovano in quel Bambino il compimento della loro lunga attesa e vigilanza. Entrambi contemplano la luce di Dio, che viene ad illuminare il mondo, ed il loro sguardo profetico si apre al futuro, come annuncio del Messia: “Lumen ad revelationem gentium!” (Lc 2,32). Nell’atteggiamento profetico dei due vegliardi è tutta l’Antica Alleanza che esprime la gioia dell’incontro con il Redentore. Alla vista del Bambino, Simeone e Anna intuiscono che è proprio Lui l’Atteso.
La Presentazione di Gesù al tempio costituisce un’eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti, uomini e donne, sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, “i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero ed obbediente” (Esort. ap. postsinod. Vita consecrata, 1). Perciò la Festa odierna è stata scelta dal Venerabile Giovanni Paolo II per celebrare l’annuale Giornata della Vita Consacrata. In questo contesto, rivolgo un saluto cordiale e riconoscente al Monsignor João Braz de Aviz, che da poco ho nominato Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica, con il Segretario e i collaboratori. Con affetto saluto i Superiori Generali presenti e tutte le persone consacrate.
Vorrei proporre tre brevi pensieri per la riflessione in questa Festa.
Il primo: l’icona evangelica della Presentazione di Gesù al tempio contiene il simbolo fondamentale della luce; la luce che, partendo da Cristo, si irradia su Maria e Giuseppe, su Simeone ed Anna e, attraverso di loro, su tutti. I Padri della Chiesa hanno collegato questa irradiazione al cammino spirituale. La vita consacrata esprime tale cammino, in modo speciale, come “filocalia”, amore per la bellezza divina, riflesso della bontà di Dio (cfr ibid., 19). Sul volto di Cristo risplende la luce di tale bellezza. “La Chiesa contempla il volto trasfigurato di Cristo, per confermarsi nella fede e non rischiare lo smarrimento davanti al suo volto sfigurato sulla Croce … essa è la Sposa davanti allo Sposo, partecipe del suo mistero, avvolta dalla sua luce, [dalla quale] sono raggiunti tutti i suoi figli … Ma un’esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata. La professione dei consigli evangelici, infatti, li pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo” (ibid., 15).
In secondo luogo, l’icona evangelica manifesta la profezia, dono dello Spirito Santo. Simeone ed Anna, contemplando il Bambino Gesù, intravvedono il suo destino di morte e di risurrezione per la salvezza di tutte le genti e annunciano tale mistero come salvezza universale. La vita consacrata è chiamata a tale testimonianza profetica, legata alla sua duplice attitudine contemplativa e attiva. Ai consacrati e alle consacrate è dato infatti di manifestare il primato di Dio, la passione per il Vangelo praticato come forma di vita e annunciato ai poveri e agli ultimi della terra. “In forza di tale primato nulla può essere anteposto all’amore personale per Cristo e per i poveri in cui Egli vive. … La vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con Lui, dall’ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia” (ibid., 84). In questo modo la vita consacrata, nel suo vissuto quotidiano sulle strade dell’umanità, manifesta il Vangelo e il Regno già presente e operante.
In terzo luogo, l’icona evangelica della Presentazione di Gesù al tempio manifesta la sapienza di Simeone ed Anna, la sapienza di una vita dedicata totalmente alla ricerca del volto di Dio, dei suoi segni, della sua volontà; una vita dedicata all’ascolto e all’annuncio della sua Parola. “«Faciem tuam, Domine, requiram»: il tuo volto, Signore, io cerco (Sal 26,8) … La vita consacrata è nel mondo e nella Chiesa segno visibile di questa ricerca del volto del Signore e delle vie che conducono a Lui (cfr Gv 14,8) … La persona consacrata testimonia dunque l’impegno, gioioso e insieme laborioso, della ricerca assidua e sapiente della volontà divina” (cfr Cong. per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruz. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam Domine requiram [2008], 1).
Cari fratelli e sorelle, siate ascoltatori assidui della Parola, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate scrutatori della Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata “nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica” (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 83).
Viviamo oggi, soprattutto nelle società più sviluppate, una condizione segnata spesso da una radicale pluralità, da una progressiva emarginazione della religione dalla sfera pubblica, da un relativismo che tocca i valori fondamentali. Ciò esige che la nostra testimonianza cristiana sia luminosa e coerente e che il nostro sforzo educativo sia sempre più attento e generoso. La vostra azione apostolica, in particolare, cari fratelli e sorelle, diventi impegno di vita, che accede, con perseverante passione, alla Sapienza come verità e come bellezza, “splendore della verità”. Sappiate orientare con la sapienza della vostra vita, e con la fiducia nelle possibilità inesauste della vera educazione, l’intelligenza e il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo verso la “vita buona del Vangelo”.
In questo momento, il mio pensiero va con speciale affetto a tutti i consacrati e le consacrate, in ogni parte della terra, e li affido alla Beata Vergine Maria:

O Maria, Madre della Chiesa,
affido a te tutta la vita consacrata,
affinché tu le ottenga la pienezza della luce divina:
viva nell’ascolto della Parola di Dio,
nell’umiltà della sequela di Gesù tuo Figlio e nostro Signore,
nell’accoglienza della visita dello Spirito Santo,
nella gioia quotidiana del magnificat,
perché la Chiesa sia edificata dalla santità di vita
di questi tuoi figli e figlie,
nel comandamento dell’amore. Amen. 

LA « THEOTÓKOS » CRITERIO DI ORTODOSSIA E DI ORTOPRASSI

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LA « THEOTÓKOS » CRITERIO DI ORTODOSSIA E DI ORTOPRASSI

di STEFANO DE FIORES

Il nesso Eucaristia-Maria costituisce un singolare luogo di costruzione dell’unità della famiglia umana, rivelazione del mistero del Nuovo Adamo e della Nuova Eva. – La Chiesa è esistenzialmente eucaristica e mariana.
Theotókos, il titolo mariano per eccellenza, è il criterio radicale della corretta fede, una spia e una sentinella, perché veglia sul titolo « Dio » dato a Gesù, affinché esso non venga svuotato. Non si giustifica, anzi diventa blasfemo, appena si cessa di riconoscere in Gesù il Dio fatto uomo. L’omooúsios (= stessa sostanza) è l’unico concetto capace di impedire, circa la divinità di Gesù, ogni ambiguità. Uno può chiamare Gesù Dio e intendere Dio in maniere diverse: Dio per adozione, per inabitazione, per modo di dire. Ma non può più, in questo caso, continuare a chiamare Maria « Madre di Dio ». Ella è Madre di Dio solo se Gesù è Dio al momento stesso di nascere da lei.
È criterio di ortodossia nella pietà popolare e nella fede dotta. Lo è stato nei secoli, fin dalle origini cristiane. Il titolo, infatti, è stato riconosciuto, non inventato ad Efeso, come Nicea non ha inventato l’omooúsios; esso vigila sulle due nature di Gesù Cristo, e, contemporaneamente, qualifica e definisce Maria nella storia della Salvezza contro ogni riduzione e retorica. Il titolo ci parla dell’unità profonda tra Dio e l’uomo realizzata in Gesù; di come Dio si è legato all’uomo e lo abbia unito a sé nell’unità più profonda che possa esistere al mondo: l’unità della persona.

Maria, ‘laboratorio della fede’
Il seno di Maria – dicevano i Padri – è stato il talamo in cui sono avvenute le nozze di Dio con l’umanità, il telaio in cui fu tessuta la tunica dell’unione, il laboratorio in cui si operò l’unione tra Dio e l’uomo[…].
« Chiamare Maria Theotókos è il modo più sicuro di proclamare l’unione ipostatica […]. Il titolo è una specie di baluardo che si oppone sia all’ideologizzazione di Gesù […] sia alla separazione, in lui, dell’umanità dalla divinità, che metterebbe in pericolo la nostra salvezza. Maria è colei che ha ancorato Dio alla terra ».
Ella presiede alla fede custodendo l’identità, l’ontologia di Gesù, il Figlio dell’Altissimo e Figlio suo, Rivelatore del Dio Amore paterno-materno. Ha svolto questa funzione soprattutto nei momenti difficili, come una specie di anticorpo contro i virus delle eresie.
In epoca antignostica la sua maternità fisica è chiamata in causa per insistere contro gli eretici sul vero corpo di Gesù, tratto dalla carne e sangue di lei, frutto del suo grembo, nato da lei e non attraverso di lei, quindi con la sua concretissima umanità, perché ella ha offerto l’attiva partecipazione al farsi carne dell’Unigenito.
Pertanto, custodendo la vera umanità di lui, ne indica l’identità di Figlio dell’Altissimo. Nella sua divina maternità sottolinea, così, la vera umanità di Gesù e la sua trascendenza. La Chiesa progressivamente scoprirà il senso della maternità di Maria che la conduce nel cuore della Trinità: Gesù, nato dal Padre dall’eternità, nella pienezza dei tempi è nato da Maria per opera dello Spirito Santo.
Calcedonia rappresenta un passo decisivo nell’approfondimento della fede proprio nella direzione della maternità di Maria e dell’ontologia di Gesù, elaborando un criterio generale di singolare chiarezza pure in teologia.
G. Lafont al riguardo sottolinea che questo Concilio fornisce alla teologia una chiave d’oro che garantisce alla Chiesa la permanenza nella verità e assicura l’equilibrio del suo messaggio evangelizzatore. « Senza divisione e confusione, senza separazione e mescolanza », è detto del mistero di Cristo, ma, essendo un principio universale, si dice di tutta la fede come pensiero e vita. Per questo la fecondità o la crisi della teologia si misura dalla fedeltà a questo assioma.
Le difficoltà più gravi vengono dalle seduzioni monofisite, più dannose dell’eccesso inverso che accentua la separazione. « Il pericolo monofisita può dare l’illusione di essere nella verità o, a breve termine, di difenderla; il che rende difficile la sua correzione. In altri termini, si potrebbe dire che ogni volta che la Chiesa ha avuto paura dell’umano, delle sue manifestazioni, del suo sviluppo o – il che è in fondo la stessa cosa – ogni volta che essa si è sottratta, per ragioni spirituali o di natura diversa, al dovere di pensare e ha impedito ai suoi fedeli di dedicarsi a tale compito, essa ha operato contro il Vangelo che doveva diffondere [...].
La ragione più profonda, ma evidentemente non la sola, della scristianizzazione risiede probabilmente qui. Ciò sottolinea l’importanza del rischio di pensare in ogni processo di nuova evangelizzazione.[…] Infine, la comunione come scambio simbolico di dono e risposta, è il paradigma cristiano per eccellenza; esso non esclude gli altri, li riorienta piuttosto in una direzione che è sconosciuta alla ragione umana lasciata a se stessa, ma che la trasfigura quando le viene rivelata: la centralità del mistero pasquale di Gesù Cristo nella storia degli uomini, l’essenza di Dio, Essere in pienezza all’interno di un Amore trinitario in cui tutto è di tutti e nulla è di nessuno. Questa è anche la vocazione ultima dell’umanità creata e chiamata da questo Amore ».

‘Caro Christi caro Mariae’
Dio si rivela nella carne del Cristo, proclamandosi il Dio per e di tutti in quanto nella sua carne assume ogni creatura salvandola a partire dalla carne. Maria entra in questo evento liberamente con il suo ‘sì’ a nome dell’umanità.
La spiritualità educativa mariana di don Bosco è tutta radicata nell’Eucaristia. La mariologia, come la cristologia, non è un’isola nel pensare teologico, è un « aeroporto internazionale ».
« Solo dall’Eucaristia profondamente conosciuta, amata e vissuta, si può attendere quell’unità nella verità e nella carità voluta da Cristo e propugnata dal Concilio Vaticano II ».
Giovanni Paolo II con una certa insistenza richiama l’intimo nesso tra spiritualità eucaristica e spiritualità mariana, specie quando considera il percorso dell’umanità verso il Terzo Millennio, bisognosa del Salvatore e della sollecitudine della Madre: « Questa sua maternità è particolarmente avvertita e vissuta dal popolo cristiano nel sacro convito – celebrazione liturgica del mistero della Redenzione -, nel quale si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine.
Ben a ragione la pietà del popolo cristiano ha sempre ravvisato un profondo legame tra la devozione alla Vergine santa e il culto dell’Eucaristia: è, questo, un fatto rilevabile nella liturgia sia occidentale che orientale, nella tradizione delle Famiglie religiose, nella spiritualità dei Movimenti contemporanei anche giovanili, nella pastorale dei Santuari mariani. Maria guida i fedeli all’Eucaristia ».
Il ‘Caro Christi caro Mariae’ rimanda, in maniera immediata, all’evento dell’Incarnazione, inteso in modo inclusivo della vicenda di Gesù, specie della sua Pasqua, il cui memoriale si celebra nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue assunti da Maria. È questo il motivo fondamentale del rapporto, un rapporto tra quelli intuitivamente più familiari nella tradizione, soprattutto nei Movimenti di spiritualità, nella pietà e nella devozione popolare, sebbene meno tematizzato nella ricerca teologica.
Lo Spirito trasforma il pane e il vino in Corpo e Sangue di Cristo, analogamente alla sua opera nell’Incarnazione nel seno della Vergine, analogamente alla sua azione nell’universo, specie nell’umanità che consente a lasciarsi conformare al Figlio Unigenito; una rigenerazione alla quale collabora la Madre. Ella ha offerto il suo consenso – il consentire a Dio è l’opera più divina possibile per la creatura umana – nella prima generazione del Figlio Unigenito fatto carne e nella seconda generazione della Comunità nuova, guidando alla fede i credenti soprattutto nel memoriale dell’Eucaristia.

Una Chiesa esistenzialmente eucaristica e mariana
La Chiesa nello stesso mistero trova la Madre intimamente congiunta al Figlio, e matura nella consapevolezza di essere essenzialmente ed esistenzialmente eucaristica e mariana.
Come per Gesù e per la Madre, così per la Chiesa e per ogni credente, l’Eucaristia è luogo di sintesi, quindi di discernimento nell’agape – memoriale dell’Ora –, luogo ove il Signore coniuga la sua vita con quella dei discepoli; sposa la sua Chiesa, facendola progressivamente partecipe del senso salvifico delle sue opere e parole proposte misticamente nella celebrazione. Qui si attua la Nuova Alleanza; quindi nasce il nuovo popolo di Dio nel suo essere e nella sua missione. Di qui parte ogni vocazione perché essa è cibo, fonte e culmine dell’esistenza cristiana, una vita secondo la logica di Cristo, nella radicale obbedienza della fede e nella solidarietà incondizionata che abbraccia tutta la creazione e ogni singola creatura. Maria vi partecipa in maniera singolare e unica come Nuova Eva.
L’esperienza religiosa di Gesù nella sua singolarità e normatività è partecipata ai credenti grazie al dono pasquale dello Spirito. Questa partecipazione si attua in maniera speciale nell’Eucaristia attraverso il memoriale dei fatti salvifici: qui si adora Dio in Spirito e Verità nel nuovo santuario che è Gesù, il Figlio di Dio e il Figlio di Maria. Lo Spirito in questo mistero fa penetrare nei cuori la Verità (cfr. Gv 4, 23; 19, 30), semina la Parola, come ha operato in Maria.
Le realtà materiali del pane e vino-acqua diventano trasparenza, segni che proclamano i misteri della Salvezza. Al posto di Gerusalemme, della figlia di Sion, vi è la Madre dei dispersi che viene a radunarli insieme a Cristo nell’unica famiglia di Dio. Maria, presente nella storia dell’umanità con il Figlio, prolunga nei secoli, specie nella Chiesa, la sua dinamica meditazione (cfr. Lc 2, 19.51).
Sotto la sua guida, la Comunità cristiana e ogni discepolo possono continuamente accogliere e custodire il mistero di Gesù per annunciarlo al mondo. Ella ci introduce alla vita eterna anticipata quaggiù nell’Eucaristia. Cristo risorto presente nell’Eucaristia è pegno della nostra risurrezione, Maria assunta in anima e corpo ci fa assaporare questo dono in anticipo: guidandoci all’Eucaristia, ci mostra « dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del suo seno ». È un dono offerto a tutti: Gesù è Nuovo Adamo, figlio di Adamo e figlio di Maria; Maria è Nuova Eva, nostra sorella in Adamo, Madre del Cristo totale: inaugurano nella loro carne glorificata la salvezza universale.
In una società caratterizzata sempre più dal pluralismo etnico, culturale, socio-politico e religioso, questa proposta che scaturisce dall’amore per gli ultimi si presenta come la più universale possibilità di intesa. Così, si comprende come l’Eucaristia, il Sacramento dell’amore, e il nesso Eucaristia-Maria costituiscano un singolare luogo di costruzione dell’unità della famiglia umana, rivelazione del mistero del Nuovo Adamo e della Nuova Eva.
A. Triacca bene sintetizza tale riflessione con delle incisive annotazioni vicine al nostro tema, considerando l’esemplare presenza di Maria nella celebrazione del mistero di Cristo. Si introduce con tre aforismi.
Il primo è: di Maria non si dirà mai abbastanza per il principio che di Gesù non si dirà mai a sufficienza; il secondo: di Maria si deve parlare in modo delicato perché dello Spirito Santo, di cui Ella è tempio, si deve dire in modo soave; il terzo: di Maria e della Chiesa si dirà ottimamente se di ambedue si dirà simultaneamente.
Maria ha vissuto l’intima comunione col Figlio e i suoi misteri con intensa cooperazione personale ed esemplare vita teologale; perciò, ovunque è in atto la celebrazione dei misteri del Figlio, la presenza della Madre è efficacemente riattualizzata.

Stefano De Fiores

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 30 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

SANTA MARIA DI GUADALUPE LE APPARIZIONI E IL MIRACOLO DELL’IMMAGINE DI “MADRE INCINTA…

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SANTA MARIA DI GUADALUPE LE APPARIZIONI E IL MIRACOLO DELL’IMMAGINE DI “MADRE INCINTA DI TRE MESI” STAMPATASI SUL MANTELLO DI SAN JUAN DIEGO

Abbazia Saint-Joseph de Clairval
21150 Flavigny-sur-Ozerain
France

LA STORIA STRAORDINARIA DELLE APPARIZIONI E DELL’IMMAGINE MIRACOLOSA
Un giorno in cui contemplava una riproduzione dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, Papa Giovanni Paolo II fece questa confidenza: «Mi sento attirato da quest’Immagine, perché il viso è pieno di tenerezza e di semplicità; mi chiama…». Più tardi, il 6 maggio 1990, in occasione di un pellegrinaggio in Messico, il Santo Padre beatificava il messaggero di Nostra Signora, Juan Diego, e diceva: «La Vergine ha scelto Juan Diego fra i più umili, per ricevere quella manifestazione affabile e benigna che fu l’apparizione di Nostra Signora di Guadalupe. Il suo viso materno sulla santa Immagine che ci lasciò in dono ne è un ricordo imperituro». Nel secolo XVI, la Santa Vergine, piena di pietà per il popolo azteco che, vivendo nelle tenebre dell’idolatria, offriva agli idoli innumerevoli vittime umane, si è degnata di prendere in mano essa medesima l’evangelizzazione degli Indiani dell’America Centrale che erano anch’essi suoi figli. Un dio degli Aztechi, cui era attribuita la fertilità, si era trasformato, con l’andar del tempo, in dio feroce. Simbolo del sole, quel dio, in lotta permanente con la luna e le stelle, aveva bisogno – così si credeva – di sangue umano per restaurare le proprie forze, poiché, se fosse perito, la vita si sarebbe spenta. Sembrava dunque indispensabile offrigli, in perpetuo sacrificio, sempre nuove vittime.
Un’aquila su un cactus
I sacerdoti aztechi avevano profetizzato che il loro popolo nomade si sarebbe insediato nel luogo in cui si fosse mostrata un’aquila che, appollaiata su un cactus, divorasse un serpente. L’aquila figura sulla bandiera del Messico attuale. Giunti su un’isola palustre, in mezzo al lago Texcoco, gli Aztechi vedono compiersi il preannunciato presagio: un’aquila, appollaiata su un cactus, sta divorando un serpente; siamo nel 1369. Fondano quindi lì la città di Tenochtitlán, che diventerà Città del Messico. Essa si sviluppa fino a diventare una vasta città su palafitte con numerosi giardini in cui abbondano fiori, frutti e verdure. L’organizzazione progressiva del regno azteco fa di esso un impero gerarchizzato e molto strutturato. Le conoscenze dei matematici, degli astronomi, filosofi, architetti, medici, artisti ed artigiani sono molto avanzate per l’epoca. Ma le leggi fisiche rimangono poco note. La potenza e la prosperità di Tenochtitlán sono dovute soprattutto alla guerra. Le città conquistate devono pagare un tributo di derrate varie e di uomini per la guerra e per i sacrifici. I sacrifici umani e l’antropofagia degli Aztechi hanno pochi riscontri analoghi nel corso della storia.
Nel 1474, nasce un bambino cui vien dato il nome di Cuauhtlatoazin («aquila parlante»). Alla morte di suo padre, è lo zio che si incarica del piccolo. Fin dall’età di tre anni, gli si insegna, come a tutti i bambini aztechi, a partecipare ai lavori domestici ed a comportarsi dignitosamente. A scuola, impara il canto, la danza e soprattutto la religione con i suoi molteplici dèi. I sacerdoti hanno una grande influenza sulla popolazione, che mantengono in una sottomissione che va fino al terrore. Cuauhtlatoazin ha tredici anni, quando si procede alla consacrazione del gran Tempio di Tenochtitlán. Nel corso di quattro giorni, i sacerdoti sacrificano al loro dio 80.000 vittime umane. Dopo il servizio militare, Cuauhtlatoazin si sposa con una ragazza della sua condizione. Insieme, conducono una modesta vita di agricoltori.
Nel 1519, lo spagnolo Cortés sbarca nel Messico, alla testa di più di 500 soldati. Conquista il paese per conto della Spagna, ma non senza zelo per l’evangelizzazione degli Aztechi; nel 1524, ottiene la venuta a Città del Messico di dodici Francescani. I missionari s’integrano facilmente nella popolazione; la loro bontà contrasta con la durezza dei sacerdoti aztechi e con quella di certi conquistatori. Si cominciano a costruire chiese. Tuttavia, gli Indiani si mostrano assai refrattari al Battesimo, soprattutto a causa della poligamia che dovrebbero abbandonare.
Cuauhtlatoazin e sua moglie sono fra i primi a ricevere il Battesimo, ed assumono rispettivamente i nomi di Juan Diego e Maria Lucia. Alla morte di quest’ultima, nel 1529, Juan Diego si ritira a Tolpetlac, a 14 km da Città del Messico, presso lo zio Juan Bernardino, diventato pure lui cristiano.
Il 9 dicembre 1531, come sempre il sabato, egli parte prestissimo la mattina per assistere alla Messa celebrata in onore della Santa Vergine, presso i Frati francescani, vicino a Città del Messico. Passa ai piedi della collina di Tepeyac. Improvvisamente, sente un canto dolce e sonoro che gli sembra provenga da una gran moltitudine di uccelli. Alzando gli occhi verso la cima della collina, vede una nuvola bianca e sfavillante. Guarda intorno a sé e si chiede se non stia sognando. Improvvisamente il canto tace ed una voce di donna, dolce e delicata, lo chiama: «Juanito! Juan Dieguito!» S’inerpica rapidamente sulla collina e si trova davanti ad una giovane bellissima, le cui vesti brillano come il sole.
«Un tempio in cui manifesterò il mio amore»
Rivolgendosi a lui in nahuatl, la sua lingua materna, gli dice: «Figlio mio, Juanito, dove vai? – Nobile Signora, mia Regina, vado a Messa a Città del Messico per apprendervi le cose divine che ci insegna il sacerdote. – Voglio che tu sappia con certezza, caro figlio, che io sono la perfetta e sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio da cui proviene ogni vita, il Signore di tutte le cose, Creatore del cielo e della terra. Ho un grandissimo desiderio: che si costruisca, in mio onore, un tempio in cui manifesterò il mio amore, la mia compassione e la mia protezione. Sono vostra madre, piena di pietà e d’amore per voi e per tutti coloro che mi amano, hanno fiducia in me e a me ricorrono. Ascolterò le loro lamentele e lenirò la loro afflizione e le loro sofferenze. Perché possa manifestare tutto il mio amore, va’ ora dal vescovo, a Città del Messico, e digli che ti mando da lui per fargli conoscere il grande desiderio che provo di veder costruire, qui, un tempio a me consacrato».
Juan Diego si reca immediatamente al vescovado. Monsignor Zumárraga, religioso francescano, primo vescovo di Città del Messico, è un uomo pio e pieno di zelo il cui cuore trabocca di bontà per gli Indiani; ascolta attentamente il pover’uomo, ma, temendo un’illusione, non gli dà credito. Verso sera, Juan Diego prende la via del ritorno. In cima alla collina di Tepeyac, ha la felice sorpresa di ritrovare l’Apparizione; rende conto della sua missione, poi aggiunge: «Vi supplico di affidare il vostro messaggio a qualcuno più noto e rispettato, affinché possa essere creduto. Io sono solo un modesto Indiano che avete mandato da una persona altolocata in qualità di messaggero. Perciò non sono stato creduto ed ho potuto soltanto causarvi una gran delusione. – Figlio carissimo, risponde la Signora, devi capire che vi sono persone molto più nobili cui avrei potuto affidare il mio messaggio, e tuttavia è grazie a te che il mio progetto si realizzerà. Torna domani dal vescovo… digli che sono io in persona, la Santa Vergine Maria, Madre di Dio, che ti manda».
La domenica mattina dopo la Messa, Juan Diego si reca dal vescovo. Il prelato gli fa molte domande, poi chiede un segno tangibile della realtà dell’apparizione. Quando Juan Diego se ne torna a casa, il vescovo lo fa seguire discretamente da due domestici. Sul ponte di Tepeyac, Juan Diego scompare ai loro occhi, e, malgrado tutte le ricerche effettuate sulla collina e nei dintorni, essi non lo ritrovano più. Furenti, dichiarano al vescovo che egli è un impostore e che non bisogna assolutamente credergli. Durante il medesimo tempo, Juan Diego riferisce alla bella Signora, che lo aspettava sulla collina, il nuovo colloquio avuto con il vescovo: «Torna domattina a prendere il segno che reclama», risponde l’Apparizione.
Rose, in pieno inverno!
Tornando a casa, l’Indiano trova lo zio malato e il giorno seguente deve rimanere al suo capezzale per curarlo. Poiché la malattia si aggrava, lo zio chiede al nipote di andare a cercare un sacerdote. All’alba, il martedì 12 dicembre, Juan Diego si avvia verso la città. Quando si avvicina alla collina di Tepeyac, giudica preferibile fare una deviazione per non incontrare la Signora. Ma, improvvisamente, la vede venirgli incontro. Tutto confuso, le espone la situazione e promette di tornare non appena avrà trovato un sacerdote per dare l’olio santo allo zio. «Figliolo caro, replica l’Apparizione, non affliggerti per la malattia di tuo zio, perché egli non morirà. Ti assicuro che guarirà… Va’ fin in cima alla collina, cogli i fiori che ci vedrai e portameli». Arrivato in cima, l’Indiano è stupefatto di trovarvi un gran numero di fiori sbocciati, rose di Castiglia, che spandono un profumo quanto mai soave. In questa stagione invernale, infatti, il freddo non lascia sussistere nulla, ed il luogo è troppo arido per permettere la coltura dei fiori. Juan Diego coglie le rose, le deposita nel mantello, o tilma, poi ridiscende dalla collina. «Figlio caro, dice la Signora, questi fiori sono il segno che darai al vescovo… Questo lo disporrà a costruire il tempio che gli ho chiesto». Juan Diego corre al vescovado.
Quando arriva, i domestici lo fanno aspettare per lunghe ore. Stupiti che sia tanto paziente, e incuriositi da quel che porta nella tilma, finiscono per avvertire il vescovo, il quale, malgrado si trovi in compagnia di parecchie persone, lo fa entrare immediatamente. L’Indiano racconta la sua avventura, apre la tilma e lascia sparpagliarsi per terra i fiori ancora brillanti di rugiada. Con le lacrime agli occhi, Monsignor Zumárraga cade in ginocchio, ammirando le rose del suo paese. Ad un tratto, scorge, sulla tilma, il ritratto di Nostra Signora. Vi è Maria, come impressa sul mantello, bellissima e piena di dolcezza. I dubbi del vescovo lasciano il posto ad una solida fede e ad una speranza incantata. Prende la tilma e le rose, e le deposita rispettosamente nel suo oratorio privato. Il giorno dopo, si reca con Juan Diego sulla collina delle apparizioni. Dopo aver esaminato i luoghi, lascia che il veggente torni dallo zio. Juan Bernardino è effettivamente guarito. La guarigione si è prodotta all’ora stessa in cui Nostra Signora appariva a suo nipote. Racconta: «L’ho vista anch’io. È venuta proprio qui e mi ha parlato. Vuole che le si eriga un tempio sulla collina di Tepeyac e che si chiami il suo ritratto «Santa Maria di Guadalupe». Ma non mi ha spiegato perché». Il nome di Guadalupe è ben noto agli Spagnoli, poiché esiste nel loro paese un antichissimo santuario consacrato a Nostra Signora di Guadalupe.
La notizia del miracolo si sparge rapidamente; in poco tempo, Juan Diego diventa popolare: «Accrescerò la tua fama», gli aveva detto Maria; ma l’Indiano rimane sempre altrettanto umile. Per facilitare la contemplazione dell’Immagine, Monsignor Zumárraga fa trasportare la tilma nella cattedrale. Poi intraprende la costruzione di una chiesetta e di un eremo, per Juan Diego, sulla collina delle apparizioni. Il 25 dicembre seguente, il vescovo consacra la cattedrale alla Santissima Vergine, al fine di ringraziarla per i favori insigni di cui Ella ha ricolmato la diocesi; poi, in una magnifica processione, l’Immagine miracolosa viene portata verso il santuario di Tepeyac, che è appena stato ultimato. Per manifestare la loro gioia, gli Indiani tirano frecce. Una di esse, lanciata senza precauzioni, trafigge la gola di uno dei presenti che cade a terra, ferito mortalmente. Subentra un silenzio impressionante ed una supplica intensa sale verso la Madre di Dio. Improvvisamente, il ferito, che è stato depositato ai piedi dell’Immagine miracolosa, riprende i sensi e si rialza, pieno di vigore. L’entusiasmo della folla è al colmo.
Milioni d’Indiani diventati Cristiani
Juan Diego si sistema nel piccolo eremo e veglia alla manutenzione ed alla pulizia del luogo. La sua vita rimane molto modesta: coltiva con cura un campo messo a sua disposizione presso il santuario. Riceve i pellegrini, sempre più numerosi, parlando loro con molto piacere della Santa Vergine e raccontando senza stancarsi i particolari delle apparizioni. Gli vengono affidate intenzioni di preghiere di ogni genere. Ascolta, compatisce, conforta. Passa una gran parte del suo tempo libero in contemplazione davanti all’immagine della sua Signora; i suoi progressi sulla via della santità sono rapidi. Un giorno dopo l’altro, compie la sua missione di testimone, fino alla morte che avverrà il 9 dicembre 1548, diciassette anni dopo la prima apparizione.
Quando gli Indiani appresero la notizia delle apparizioni di Nostra Signora, si sparsero fra loro un entusiasmo ed una gioia indicibili. Rinunciando agli idoli, alle superstizioni, ai sacrifici umani ed alla poligamia, molti chiesero il Battesimo. Nei nove anni che seguirono le apparizioni, nove milioni di loro furono convertiti alla fede cristiana, vale a dire 3000 al giorno!
I particolari dell’Immagine di Maria colpiscono profondamente gli Indiani: quella donna è più grande del “dio-sole”, poiché appare in piedi davanti al sole; supera il “dio-luna”, poiché tiene la luna sotto ai suoi piedi; non è più di questo mondo, poiché è circondata di nuvole ed è tenuta al di sopra del mondo da un angelo; le mani giunte la mostrano in preghiera, il che significa che c’è qualcuno di più grande di lei…
Ma, ancora oggi, il mistero dell’Immagine miracolosa è grande. La tilma, vasto grembiule tessuto a mano con fibre di cactus, porta l’Immagine sacra di un’altezza di 1,43 m. Il viso della Vergine è perfettamente ovale e di un color grigio che tende al rosa. Gli occhi hanno un’intensa espressione di purezza e di dolcezza. La bocca sembra sorridere. La bellissima faccia, simile a quella di un’Indiana meticcia, è incorniciata da una chioma nera che, vista da vicino, comporta capelli di seta. Un’ampia tunica, di un rosa incarnato che non si è mai potuto riprodurre, la copre fino ai piedi. Il mantello, azzurro-verde, è bordato di un gallone d’oro e cosparso di stelle. Un sole di vari toni forma uno sfondo magnifico in cui brillano raggi d’oro.
La conservazione della tilma, dal 1531 ad oggi, rimane inspiegabile. In capo a più di quattro secoli, la stoffa, di qualità mediocre, conserva la stessa freschezza, la stessa vivacità di toni che aveva in origine. In confronto, una copia dell’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, dipinta con gran cura nel secolo XVIII e conservata nelle stesse condizioni climatiche di quella di Juan Diego, si è completamente degradata in pochi anni. All’inizio del secolo XX, periodo doloroso di rivoluzioni per il Messico, una carica di dinamite fu depositata da miscredenti sotto l’Immagine, in un vaso pieno di fiori. L’esplosione ha distrutto i gradini di marmo dell’altare maggiore, i candelabri, tutti i portafiori; il marmo dell’altare fu fatto a pezzi, il Cristo di ottone del tabernacolo si piegò in due. I vetri della maggior parte delle case circostanti la basilica si ruppero, ma quello che proteggeva l’Immagine non fu nemmeno incrinato; l’Immagine rimase intatta.
Le proprietà straordinarie dell’immagine
Nel 1936, uno studio realizzato su due fibre della tilma, una rossa ed una gialla, giunse a conclusioni stupefacenti.
Le fibre non contengono nessun colorante noto. L’oftalmologia e l’ottica confermano la natura inspiegabile dell’immagine: essa assomiglia ad una diapositiva proiettata sul tessuto. Un esame approfondito mostra che non vi è nessuna traccia di disegno o di schizzo sotto il colore, anche se ritocchi perfettamente riconoscibili sono stati realizzati sull’originale, ritocchi che, del resto, si degradano con l’andar del tempo; inoltre, il supporto non ha ricevuto nessun appretto, il che sembrerebbe inspiegabile se si trattasse veramente di una pittura, poiché, anche su una tela più fine, si mette sempre un rivestimento, non fosse che per evitare che la tela assorba la pittura e che i fili affiorino alla superficie. Non si distingue nessuna pennellata. A seguito di un esame a raggi infrarossi, effettuato il 7 maggio 1979, un professore della NASA scrive: «Non c’è nessun modo di spiegare la qualità dei pigmenti utilizzati per la veste rosa, il velo azzurro, il volto e le mani, né la persistenza dei colori, né la freschezza dei pigmenti in capo a parecchi secoli durante i quali avrebbero dovuto normalmente degradarsi… L’esame dell’Immagine è stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita».
Certi astronomi hanno constatato che tutte le costellazioni presenti nel cielo nel momento in cui Juan Diego apre la tilma davanti al vescovo Zumárraga, il 12 dicembre 1531, si trovano al loro posto sul mantello di Maria. Si è anche scoperto che, applicando una carta topografica del Messico centrale sulla veste della Vergine, le montagne, i fiumi ed i laghi principali coincidono con l’ornamentazione della veste medesima.
Esami oftalmologici giungono alla conclusione che l’occhio di Maria è un occhio umano che sembra vivo, ivi inclusa la retina in cui si riflette l’immagine di un uomo con le mani aperte: Juan Diego. L’immagine nell’occhio ubbidisce alle leggi note dell’ottica, in particolare a quella che afferma che un oggetto in piena luce può riflettersi tre volte nell’occhio (legge di Purkinje-Samson). Uno studio posteriore ha permesso di scoprire nell’occhio, oltre al veggente, Monsignor Zumárraga e parecchi altri personaggi, presenti quando l’immagine di Nostra Signora è apparsa sulla tilma. Infine, la rete venosa normale microscopica sulle palpebre e la cornea degli occhi della Vergine è perfettamente riconoscibile. Nessun pittore umano avrebbe potuto riprodurre simili particolari.
Una donna incinta di tre mesi
Misure ginecologiche hanno stabilito che la Vergine dell’Immagine ha le dimensioni fisiche di una donna incinta di tre mesi. Sotto la cintura che trattiene la veste, al posto stesso dell’embrione, spicca un fiore con quattro petali: il Fiore solare, il più familiare dei geroglifici degli Aztechi che simboleggia per loro la divinità, il centro del mondo, del cielo, del tempo e dello spazio. Dal collo della Vergine pende una spilla il cui centro è adorno di una piccola croce, che ricorda la morte di Cristo sulla Croce per la salvezza di tutti gli uomini. Vari altri particolari dell’Immagine di Maria fanno di essa uno straordinario documento per la nostra epoca, che li può constatare grazie alle tecniche moderne.
Così la scienza, che ha spesso servito quale pretesto per l’incredulità, oggi ci aiuta a mettere in evidenza segni che erano rimasti sconosciuti per secoli e secoli e che non può spiegare. L’immagine di Nostra Signora di Guadalupe porta un messaggio di evangelizzazione: la Basilica di Città del Messico è un centro «dal quale scorre un fiume di luce del Vangelo di Cristo, che si diffonde su tutta la terra attraverso l’Immagine misericordiosa di Maria» (Giovanni Paolo II, 12 dicembre 1981).
Inoltre, con il suo intervento in favore del popolo azteco, la Vergine ha contribuito alla salvezza di innumerevoli vite umane, e la sua gravidanza può esser interpretata come un appello speciale in favore dei nascituri e della difesa della vita umana; tale appello è di grande attualità ai giorni nostri, in cui si moltiplicano e si aggravano le minacce contro la vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando si tratta di una vita debole ed inerme. Il Concilio Vaticano II ha deplorato con forza i crimini contro la vita umana: “Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario, TUTTO CIÒ CHE VIOLA L’INTEGRITÀ’ DELLA PERSONA UMANA… (…); tutte queste cose, e altre simili, sono certamente VERGOGNOSE. Mentre GUASTANO LA CIVILTÀ UMANA, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” (« Gaudium et Spes », n.27).
Di fronte a tali flagelli, che si sviluppano grazie ai progressi scientifici e tecnici, e che beneficiano di un ampio consenso sociale e di riconoscimenti legali, invochiamo Maria con fiducia. Essa è un «modello incomparabile di accoglienza della vita e di sollecitudine per la vita… Mostrandoci suo Figlio, ci assicura che in Lui le forze della morte sono già state vinte» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitæ, 25 marzo 1995, nn. 102, 105). «In gigantesco duello si sono battute la morte e la vita. Il Signore della vita, già morto, ora vive e regna» (Sequenza di Pasqua).
Domandiamo a San Juan Diego, canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002, di ispirarci una vera devozione per la nostra Madre Celeste, poiché «la compassione di Maria si estende a tutti coloro che la chiedono, non fosse che con un semplice saluto: “Ave, Maria…”» (Sant’Alfonso de Liguori). Lei, che è Madre di Misericordia, ci otterrà la Misericordia di Dio, specialmente se saremo caduti in peccati gravi.

Dom Antoine Marie OSB

 

Publié dans:FESTE DI MARIA |on 11 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

LA VERGINE DI GUADALUPE: IL MIRACOLO CHE CAMBIO’ IL CORSO DEGLI EVENTI IN AMERICA

http://bibbiacattolicaeresieaconfronto.blogspot.it/2012/12/la-vergine-di-guadalupe-il-miracolo-che.html

LA VERGINE DI GUADALUPE: IL MIRACOLO CHE CAMBIO’ IL CORSO DEGLI EVENTI IN AMERICA

Messico 9 Dicembre 1531: la Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe, appare all’indio Juan Diego. E lascia un segno impressionante: una “tilma” su cui è prodigiosamente impressa la sua immagine. La scienza non sa spiegare l’origine di questa effigie miracolosa.
“Vìrgen morenita, Virgen milagrosa…”. Inizia così la celeberrima canzone “Virgen India”, conosciuta in tutto il Messico e in America Latina, dedicata alla Madonna di Guadalupe, patrona del Messico, Imperatrice e Madre delle Americhe, apparsa ad un povero indio messicano nell’anno 1531.
Un’apparizione importante per tutti i popoli delle Americhe. Da quel momento prende slancio la conversione del Messico al Cristianesimo. E di tutta l’America Latina. Malgrado le calunnie (la cosiddetta “leyenda negra”), che storici anticattolici hanno lanciato contro il processo di evangelizzazione dell’America Latina, resta il fatto che la conversione al Cattolicesimo portò i popoli americani a cambiare radicalmente i loro usi sanguinari, legati alle religioni precolombiane. Usi che prevedevano crudelissimi sacrifici umani, offerti a divinità feroci e assetate di sangue. Scrive lo studioso Giulio Dante Guerra: “Nel giro di pochi anni tutti si sono convinti che l’unico sacrificio dell’Uomo-Dio aveva reso inutili, e condannabili, i sacrifici umani; che non era vero che la fine di quei sacrifici avrebbe fatto oscurare il sole, perché il sole si era, questo sì, oscurato durante il sacrificio di Cristo sulla croce, ma era poi riapparso quando, compiutosi il sacrificio, l’umanità era stata riconciliata con Dio”.

LA STORIA

Veniamo alla storia che, lo diciamo senza paura di smentita, cambiò il corso degli eventi in America. Sabato 9 dicembre 1531, solo dieci anni dopo la conquista del Messico, l’indio Cuauhtlatòhuac (ribattezzato cinquant’anni dopo la nascita Juan Diego), di professione coltivatore diretto, si sta recando alla chiesa francescana di Santiago. È l’alba. All’improvviso una voce dolcissima lo chiama sul colle Tepeyac: “Juantzin, Juan Diegotzin” (cioè il diminutivo di Juan Diego in lingua nàhuatl). Viene da una bellissima donna che si presenta come “la perfetta sempre vergine Maria, la Madre del verissimo e unico Dio” (la tonantzin “la nostra venerata Madre” come gli indios chiameranno poi la Vergine di Guadalupe).
La Madonna gli ordina di recarsi dal vescovo locale e di costruire una chiesa! ai piedi del colle. Per un paio di volte, il vescovo, comprensibilmente dubbioso, non vuole credere alle parole del povero indio. Tre giorni dopo la prima apparizione Juan Diego è chiamato ad assistere uno zio, Juan Bernardino, gravemente ammalato. Alla ricerca di un sacerdote che accompagni lo zio nel trapasso alla vita eterna, aggira la collina su cui era apparsa la Vergine “morenita” per evitare di incontrarla nuovamente. Ma la Signora lo intercetta, gli appare lungo la strada, lo rassicura sulla salute dello zio e quindi gli chiede di salire nuovamente sulla collina per raccogliere dei fiori. Juan Diego esegue gli ordini e trova la cima del colle ricoperta di bellissimi fiori di Castiglia, evento assolutamente straordinario dal momento che siamo in pieno inverno e che il luogo è una desolata pietraia. L’indio li raccoglie e li depone nella sua tilma, cioè nel mantello, per portarli al vescovo Juan de Zumarraga, come prova delle apparizioni.
Appena Juan Diego spiega il mantello e fa cadere i fiori raccolti davanti all’alto prelato, avviene un vero miracolo: sul mantello si disegna l’immagine della Madonna. È la prova che Juan Diego non è un visionario, un mentitore e che Maria è veramente scesa dal Cielo per parlare all’umile indio. La Tilma e l’immagine si conservano intatte ancora oggi, a distanza di oltre quattro secoli e mezzo, e si possono vedere nella grandiosa basilica di Guadalupe, costruita ai piedi del colle Tepeyac, secondo i desideri della Vergine. Da questo segno prodigioso nasce la sintesi tra la cultura azteca e la fede cristiana: l’evangelizzazione del Messico si compie in modo pacifico e rispettoso delle tradizioni locali.

LA TILMA MIRACOLOSA

Nell’immagine impressa sul mantello di Juan Diego, la Vergine Maria è alta 143 centimetri, ha la carnagione meticcia (da qui l’appellativo di Virgen Morenita), segno di una perfetta commistione tra le razze europee e indios; è circondata da raggi di sole e con la luna sotto i suoi piedi, esattamente come la Donna dell’Apocalisse; una cintura le cinge il ventre, simbolo, presso gli Aztechi, di una donna incinta.
Dal 1666 sono iniziati gli esami scientifici per stabilire la vera natura dell’immagine. Non si tratta di un dipinto, perché non v’è traccia di colore sulla tela ed è come se le fibre fossero state impresse con un procedimento “naturale”.
Inoltre, tenendo conto che l’ayate, il tipico, rozzo tessuto di fibre d’agave popotule, usato in Messico dagli indios più poveri per fabbricare abiti, è un materiale estremamente deteriorabile, non si riesce a spiegare come abbia potuto conservarsi la tilma di Juan Diego, su cui è effigiata la Virgen Morenita e che risulta così essere l’unico ayate del XVI secolo ancora oggi intatto. E a nulla può valere la protezione dei cristalli per fermare lo sgretolarsi del tessuto, come hanno dimostrato diversi esperimenti. In aggiunta, si è constatato – di nuovo inspiegabilmente – che il mantello di Juan Diego respinge gli insetti e la polvere, che invece si accumulano in abbondanza sul vetro e sulla cornice. Nel 1791 si verificò un incidente: alcuni operai lasciarono cadere una soluzione detergente di acido nitrico sulla tela, ma essa, anziché deteriorarsi irreparabilmente, rimase inspiegabilmente integra e, anzi, si vede bene che le due macchie giallastre della reazione chimica stanno sbiadendo con il passare del tempo.
In passato vi furono anche tentativi di ritoccare “pittoricamente” l’immagine della Vergine, dovuti probabilmente alla esagerata devozione dei fedeli, ma i colori si sono dissolti quasi subito. I risultati più strabilianti ottenuti da analisi scientifiche provengono dall’osservazione degli occhi della Madonna. Le pupille, il cui diametro originale misura appena otto millimetri, sono state elaborate elettronicamente mediante computer e ingrandite fino a 2500 volte, con un sistema identico a quello impiegato per decifrare le immagini inviate sulla Terra dai satelliti orbitanti nello Spazio. Bene, nelle iridi della Vergine di Guadalupe è riflessa distintamente ed inequivocabilmente la scena di Juai Diego che apre la sua tilma davanti a vescovo Juan de Zumarraga e agli alti testimoni del miracolo. Siamo di fronte ad una vera e propri fotografia, infinitamente minuscola invisibile all’occhio umano, di ciò che accadde il 12 dicembre 1531 nel vescovado di Città del Messico. Poiché l’immagine ritrae la scena con occhi “estranei” ad essa, Josè Aste Tonsmann (l’ingegnere peruviano che nel 1979 analizzò a computer l’istantanea) ipotizza che la Madonna fosse presente, sebbene invisibile, al fatto e abbia “proiettato” sulla tilma la propria immagine avente negli occhi il riflesso di ciò che stava vedendo.
Poiché è materialmente impossibile dipingere tutte queste figure in cerchietti di soli 8 millimetri, si deve ammettere che nella sua infinita bontà Dio ha lasciato, oltre quattro secoli orsono, nel lontano Messico, un segno che ora, grazie alla modernissima strumentazione scientifica, riusciamo decifrare sempre meglio. Il segno riguarda la potente intercessione della Vergine Maria, dunque la conferma di una verità di fede cattolica, che rafforza la nostra fede e confonde agnostici ed atei contemporanei.

Fonte: IL TIMONE – Gennaio – Febbraio 2000 (pag. 24-25)

Publié dans:FESTE DI MARIA, STORIA DELLA FESTA |on 11 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

L’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/feste/2000-2001/L%27Immacolata%20Concezione.html

L’IMMACOLATA CONCEZIONE

Premessa storico-liturgica
La riflessione teologica sull’Immacolata concezione di Maria è stata molto lenta. Una festa della Natività di Maria era celebrata in Oriente verso la fine del VI secolo. Nel secolo seguente, poi, sorse una festa della Concezione di Maria.
In Occidente, invece, questa festa della Concezione di Maria appare solo in Italia Meridionale, a Napoli, nel IX secolo e intorno al 1060 veniva celebrata anche in Inghilterra, introdotta molto probabilmente da un monaco orientale. Dopo la conquista dell’isola da parte dei Normanni, la festa riacquistò vigore e passò in Europa come festa dell’Immacolata Concezione.
Non tutti i teologi del tempo erano favorevoli. Perfino il grande San bernardo di Chiaravalle (1091-1153), il cantore di Maria, colui che si sentì rispondere ad un suo saluto rivolto alla statua della Vergine: “Ave, Bernarde” (Ciao, Bernardo), protestò in una lettera contro i Canonici di Lione per aver introdotto questa festa.
In questo stesso periodo, però, un discepolo di Sant’Anselmo di Aosta (1033-1109), Eadmero, sostenne la possibilità dell’Immacolata Concezione. L’argomento era molto semplice: Dio lo poteva fare. Se perciò lo voleva fare, lo fece. Di qui ebbe origine il famoso assioma: “Potuit, decuit, ergo fecit” (Dio poteva; era conveniente, perciò lo fece). L’intuizione era buona, ma poteva portare a delle esagerazioni. Una volta che i teologi avevano deciso che una cosa era conveniente, concludevano che Dio l’aveva fatta. Ed esagerazioni del genere non mancarono.
Seguirono alcuni secoli di dibattito teologico al riguardo. Poi, nel 1477, Sisto IV dà il suo beneplacido ad una Messa della Concezione; nel 1695, Innocenzo XII approva una Messa con ufficio e ottava per la Chiesa intera, ed infine, nel 1708, con Clemente IX la festa divenne di precetto.
Un altro appoggio alla celebrazione dell’Immacolata Concezione venne nel 1830 con le apparizioni della Vergine a Caterina Labouré, che promosse la diffusione della Medaglia Miracolosa con l’invocazione: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”.
Finalmente nel 1854, Pio IX definì come dogma di fede la Concezione Immacolata di Maria e quattro anni dopo la Madonna stessa, a suggello di quanto la Chiesa aveva proclamato, si autodefinì a Lourdes: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Con la riforma liturgica del Vaticano II questa celebrazione ha assunto il grado di solennità.

Riflessione ascetico-pastorale
L’Immacolata Concezione è spesso fraintesa da chi è privo di una sufficiente istruzione catechetica: viene confusa con il concepimento verginale di Gesù.
Diciamo subito che il Nuovo Testamento non dice nulla sulla concezione di Maria. La riflessione teologica dei primi secoli toccò sì Maria, ma in modo indiretto. I primi due dogmi mariani, infatti, cioè la Verginità di Maria e la Maternità divina, erano prettamente cristologici, nel senso che erano affermazioni fatte su Maria, ma con il fine di salvaguardare verità riguardanti Gesù.
I due dogmi mariani più recenti, cioè quello dell’Immacolata Concezione e quello dell’Assunzione, riguardano in maniera più diretta Maria. Da un certo punto di vista essi rappresentano dei privilegi concessi alla Madonna, perché doveva essere Madre di Gesù, vero Dio e vero uomo. Però il loro significato più profondo è soteriologico, in quanto riguardano la nostra salvezza. Ci ammaestrano sul nostro fine ultimo, sulla grazia vittoriosa di Cristo che vince il peccato e ci porta alla gloria finale.
La cosa fondamentale che possiamo dire sull’Immacolata Concezione è che Maria è stata redenta in previsione dei meriti del Figlio suo. Gesù ha guadagnato sulla croce la grazia dell’Immacolata concezione di sua Madre. Tutto ciò significa che la salvezza dell’umanità era operativa ancora prima che Cristo nascesse. Solo se vediamo Dio condizionato dal tempo, proviamo imbarazzo per il concetto di “redenzione preservativa”, vale a dire fatta in vista dei meriti acquisiti da Gesù sul Calvario. Intuizione questa tanto cara al beato Duns Scoto (1266-1308).
La salvezza è sempre un dono gratuito di Dio. Il bambino è santificato gratuitamente nell’acqua del battesimo e l’adulto accetta come dono di Dio la grazia della giustificazione mediante la fede.
Quando diciamo che Maria è stata concepita senza macchia di peccato, diciamo che è stata redenta nel modo più perfetto possibile: il peccato non l’ha potuta nemmeno sfiorare. Questa sua Concezione Immacolata, però, è un dono totalmente gratuito di Dio.
Mediante questo privilegio, dunque, Maria è la perfetta salvata. Ella non ha mai avuto gli ostacoli spirituali che distolgono noi, creature nate con il peccato originale, dal totale amore di Dio. Questo dono le ha permesso di pronunciare al momento dell’Annunciazione, pur con un profondo atto di fede di fronte al disegno imperscrutabile di Dio, un sì senza limiti, senza alcuna restrizione inconscia.
In molti passi la liturgia ci presenta la Vergine Santa come inizio della Chiesa. Sì, perché Maria è la persona dove la grazia della redenzione raggiunse la sua espressione massima. In Maria, infatti, la Chiesa incomincia ad esistere “senza macchia né ruga… ma santa e immacolata” (Ef 5,27). Ciò che la Chiesa intera sarà un giorno, è già perfetto in Maria mediante la sua Immacolata Concezione e la sua Assunzione.
E allora si deve concludere che la Vergine Immacolata è lontanissima da noi ed è inimitabile? No, assolutamente! Nel mondo della grazia e dello spirito, solo il peccato è anormale, mentre la santità è normale. La nostra esperienza quotidiana ce lo conferma. Quando siamo in contatto regolare con Dio nella preghiera, quando prendiamo la vita spirituale con maggior serietà, tendiamo ad essere più buoni, più disponibili, più gentili verso gli altri. Il fatto, quindi, che Maria sia senza peccato, la rende perciò Madre di Misericordia, Madre compassionevole, Aiuto dei Cristiani. In una parola: Corredentrice.

Conclusione
Vorrei concludere queste brevi note e riflessioni con alcune espressioni di lode nei confronti di Maria Immacolata, espressioni che troviamo nella Liturgia delle Ore, ma nate dalla mente e dal cuore del genio più alto della nostra poesia: Dante Alighieri.

«… Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate… »
(Paradiso, XXXIII, 10-21).

Tutti questi pregi e lodi, che Dante indirizza alla Vergine Santa, sono possibili e convenienti solo perché Maria è Madre di Dio e Immacolata.

Antonio Baruffa SDB

Publié dans:FESTE DI MARIA |on 7 décembre, 2014 |Pas de commentaires »
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