Archive pour la catégorie 'FESTE DI MARIA'

Madre di Dio: Un titolo audace (J. Galot)

dal sito:

http://www.gesuiti.it/moscati/Ital4/Galot_Maria2.html

La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra – II

Madre di Dio
 
Jean Galot s.j.

Un titolo audace

Quando l’angelo si era rivolto a Maria per rivelarle il disegno del Padre e chiedere il suo consenso alla venuta del Salvatore nel mondo, l’aveva chiamata « colmata di grazia ». Riconosceva in lei una dignità singolare, altissima, che non avrebbe potuto appartenere a un’altra creatura. In un primo momento, non la chiamava con il suo nome, perché il suo vero nome consisteva nella grazia eccezionale che aveva ricevuto e che, agli occhi di Dio e di tutto il cielo, la distingueva da tutte le altre persone umane.
Quando riprendiamo nella nostra preghiera l’espressione formulata dall’angelo, dicendo a Maria « piena di grazia », alziamo il nostro sguardo verso una donna in cui si è sviluppata la grazia con una totale pienezza. In Maria lo Spirito Santo ha spinto all’estremo la sua potenza santificatrice e ha fatto sorgere nella più segreta profondità dell’anima un amore puro e perfetto. Scoprendo in lei questo capolavoro di grazia, possiamo entrare più facilmente nel vasto universo della grazia e partecipare allo sviluppo del più autentico amore.
Eppure il vertice che costituisce Maria nell’universo spirituale è ancora più alto. Questo vertice, lo raggiungiamo quando chiamiamo Maria « Madre di Dio ». Il titolo è molto audace, perché se Dio designa l’Essere supremo, che gioisce di una autorità sovrana su tutti gli esseri, come ammettere che possa avere una madre? Attribuire a una donna la dignità di Madre di Dio sembra collocare una creatura al di sopra del Creatore, riconoscere una certa superiorità di una donna su Dio stesso.
Si capisce che un titolo così audace non sia stato accettato facilmente da tutti. All’inizio non fu in uso nella pietà cristiana e non fu adoperato nel linguaggio di coloro che nel primo secolo si dedicarono alla diffusione della buona novella. Nella Scrittura, e più precisamente nei testi evangelici, è assente. E’ dunque ignorato nei primi tempi della Chiesa. Questo fatto sembra essere il segno che tale titolo non era necessario per esprimere la dottrina cristiana.
Il titolo più necessario sarebbe stato « Madre di Gesù » o « Madre di Cristo ». Era inseparabilmente affermato nel mistero dell’Incarnazione. Per affermare che il Figlio di Dio è venuto sulla terra per vivere come uomo e con gli uomini, si deve ammettere che è nato dalla Vergine Maria e che una donna è madre di questo Figlio. L’intervento di una donna è stato necessario per una nascita veramente umana; la maternità di questa donna appartiene al mistero dell’Incarnazione.
Gesù è un uomo, di sesso maschile, ma indissolubilmente legato al sesso femminile, perché una donna l’ha partorito e perché questa donna ha pienamente svolto il ruolo di madre nei suoi riguardi.
S. Paolo ha sottolineato la portata del mistero, ricordando il grande gesto del Padre che ha mandato il Figlio all’umanità: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… » (Galati 4,4). Il nome di Maria non è pronunziato, ma l’importanza essenziale del contributo della donna è posta in luce. Senza questa donna, il Padre non avrebbe potuto dare il suo Figlio come egli l’ha fatto con la nascita di Gesù. « Nato da donna » è una proprietà caratteristica dell’identità del Salvatore, che fa scoprire in un uomo, con la debolezza della carne, la personalità di colui che prima, nell’eternità, era nato dal Padre.
In questa nascita « da donna », Paolo discerne l’umiltà della venuta del Figlio, che ha accettato le condizioni abituali della nascita umana. Non considera esplicitamente la grandezza della donna che interviene in una nascita di carattere straordinario. Ma fa capire che questa donna è stata associata in virtù della sua maternità, al progetto divino di comunicazione ella filiazione divina a tutti gli uomini: il Figlio è nato da donna « perché ricevessimo, l’adozione a figli ».
Così, la maternità di Maria viene elevata a un livello divino, dal punto di vista del suo orientamento fondamentale. La dignità di Maria come madre appare più chiaramente: il Figlio che la donna ha partorito è destinato a condividere la sua figliolanza divina personale con tutti gli uomini. Il Padre che, mandando il suo Figlio nel mondo, ha suscitato questa maternità eccezionale, si serve di essa per diffondere nell’umanità la propria paternità, che fa sorgere i figli adottivi. Mai una maternità avrebbe potuto rivendicare una efficacia così alta e così universale.
Questo livello divino attribuito alla maternità di Maria non esprime ancora il vertice della sua dignità. Solo il titolo « Madre di Dio » può definire questo vertice. S.Paolo non ha mai usato questo titolo, perché la sua attenzione non si portava sulla dignità propria a Maria nella nascita di Cristo, ma sull’abbassamento di Dio che manifestava così un estremo amore verso gli uomini.
Un salto era necessario se la comunità cristiana voleva raggiungere questo vertice significato dal titolo « Madre di Dio ». Il titolo esprime una verità che viene enunciata nella rivelazione evangelica: se Gesù, essendo il Figlio di Dio, è Dio lui stesso, dobbiamo affermare che questo Dio è nato da Maria, e in conseguenza Maria è madre di Dio. Maria non è madre del Dio Padre; è madre di Dio Figlio. Pur essendo evidente agli occhi della fede cristiana, l’attribuzione del titolo ha richiesto un tempo prima che fosse avvenuto il salto, perché in se stesso il titolo appare molto audace. Una riflessione sul dato rivelato è stata necessaria per giustificare il suo uso.
Il titolo sembra in un senso attribuire a Maria una certa superiorità su Dio stesso. Abbiamo già notato che non poteva essere una superiorità su Dio Padre, perché Maria non è madre di lui. La superiorità deve essere anche esclusa riguardo al Figlio, se viene considerato nella sua natura divina, identica a quella del Padre. Il Figlio è soltanto figlio di Maria nella sua natura umana. In questa natura « era sottomesso » a Maria e Giuseppe, come dice il vangelo (Luca 2,51).
La maternità di Maria viene spesso chiamata « maternità divina », perché è una maternità in relazione con la persona divina del Figlio; ma in realtà è una maternità umana, maternità che si è prodotta e sviluppata nella natura umana della Vergine di Nazaret. A questa maternità appartiene la ricchezza dei sentimenti umani: il cuore materno di Maria è un cuore umano, molto sensibile a tutti gli avvenimenti che toccavano o colpivano il proprio Figlio. Il carattere verginale della sua maternità non ha tolto niente alla tenerezza del suo affetto materno; anzi l’ha reso più ardente, più puro, più perfetto.
L’espressione « Madre di Dio » pone in luce la relazione stupenda di una persona umana con Dio. La maternità è una relazione di persona a persona. Una madre è madre della persona del suo figlio; siccome nel caso di Gesù la persona è divina in una natura umana, Maria è madre di una persona divina, persona che in virtù della generazione umana verginale è suo Figlio.
Sull’origine dell’attribuzione del titolo « Madre di Dio » a Maria nella preghiera cristiana e nel culto cristiano, abbiamo poca informazione. È pure significativo che la più antica preghiera mariana che conosciamo sia rivolta alla Madre di Dio. La preghiera è stata scoperta su un papiro egiziano che è stato datato del terzo secolo; il papiro era molto danneggiato, ma portava chiaramente l’invocazione Theotokos: « Sotto il tuo patrocinio cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio… ».
La preghiera, formulata in somiglianza di altre preghiere rivolte a Dio, chiede il soccorso di Maria nei pericoli. Essa testimonia che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo « Madre di Dio » era in uso in alcuni ambienti cristiani.
Questo uso viene confermato per un ambiente più dottrinale: sappiamo che nel suo commento della lettera ai Romani, il grande teologo Origene (253-255) aveva dato una lunga spiegazione del termine Theotokos. Non possediamo il testo di questo commento, ma è il segno che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo era in uso nell’esposizione della dottrina.
Gli storici hanno cercato di determinare i motivi per i quali il titolo ha avuto una diffusione particolare in Egitto. Sembra infatti che l’Egitto sia stato il luogo di origine dell’uso del titolo. Nella religione pagana esisteva il culto della dea Isis. Questa dea era venerata, sotto il titolo di « madre del dio », perché era considerata come la madre del dio Oro. Clemente d’Alessandria usa a questo proposito l’espressione: « madre degli dei ». I cristiani dell’Egitto vedevano nel linguaggio dei pagani un omaggio alla « madre del dio ». Come non avrebbero reagito, pensando che loro conoscevano l’unica Madre di Dio, che non era una dea, ma una donna? Possiamo supporre che sotto l’influsso del culto pagano hanno affermato il loro proprio culto di venerazione della Madre di Dio. La religione pagana, in cui si esercitava l’azione dello Spirito Santo, aveva preparato gli Egiziani alla venuta del cristianesimo e al culto della vera « Madre di Dio ».
Il salto che si è prodotto per rivolgersi a Maria, chiamandola « Madre di Dio », non è stato l’effetto di un ragionamento dottrinale. È venuto da un bisogno popolare di riconoscere in una donna, secondo la rivelazione, la vera madre di Dio, madre del Figlio incarnato, che apriva la porta a tutte le speranze. Il valore del ruolo di Maria era stato capito e accolto dal popolo cristiano, che, invocando la madre di Dio, poteva aspettare la migliore risposta ai suoi problemi e l’aiuto nei pericoli.

Obiezione e risposta
Quando, nell’anno 428, Nestorio diventò Patriarca di Costantinopoli, la controversia a proposito del titolo « Madre di Dio » era scoppiata. Diversi pareri si erano manifestati; alcuni volevano riconoscere Maria come madre dell’uomo Gesù e non come madre di Dio. Nestorio si limitava al titolo: « Madre di Cristo ». Egli non ammetteva il titolo « Madre di Dio », perché pensava che Maria non poteva essere madre di una persona divina.
Abbiamo osservato che il titolo è audace e che un salto è stato necessario, nel terzo secolo, per introdurre l’invocazione nella preghiera cristiana. Nestorio non ha voluto fare questo passo avanti, non ha accettato un titolo che si era diffuso ampiamente nel linguaggio della Chiesa e che costituiva un progresso nell’espressione della fede. Infatti non accoglieva il valore della tradizione che si era formata per invocare Maria sotto il nome di « Madre di Dio ».
Rifiutando questo titolo, doveva ammettere in Cristo una divisione fra l’uomo generato da Maria e il soggetto divino che era il Figlio; questa divisione avrebbe implicato l’esistenza di due persone in Cristo, cioè un dualismo che non poteva essere compatibile con l’unità di Cristo secondo la verità rivelata nel vangelo.
La Chiesa aveva sempre creduto che l’uomo Gesù era Dio, secondo la dimostrazione che Gesù stesso aveva fatto della propria identità. Nel vangelo, non ci sono due personaggi, uno che fosse l’uomo e l’altro che fosse il Figlio di Dio. La meraviglia dell’Incarnazione consiste nel fatto che il Figlio di Dio è divenuto personalmente uomo, nascendo da una donna.
Al momento dell’Incarnazione, questo Figlio non si è spaccato in due persone. Rimanendo persona divina, è divenuto uomo, assumendo una natura umana; non si è associato una persona umana. La sua unica persona è persona divina, persona che esiste dall’eternità e non può cambiare nel suo essere eterno. Questo spiega che Maria, diventando madre di Gesù, sia madre della persona divina del Figlio e dunque Madre di Dio. 
La Vergine Maria « Theotokos », cioè « Madre di Dio », come l’ha proclamata il Concilio di Efeso.
Così l’affermazione di Maria come Madre di Dio è la garanzia dell’affermazione della persona divina di Cristo. Il problema posto dalla crisi nestoriana non era soltanto mariologico; era più fondamentalmente cristologico. La verità contestata era l’unità di Cristo.
Questa unità fu riconosciuta dal concilio di Efeso, che condannò Nestorio. In base alla seconda lettera di Cirillo di Alessandria a Nestorio, che fu approvata dal concilio, il Figlio eterno del Padre è colui che, secondo la generazione carnale, è nato dalla Vergine Maria. Da questa verità su Cristo, deriva la conseguenza per Maria: « Per questo, Maria è legittimamente chiamata Theotokos, Madre di Dio ».
Dopo la proclamazione di questa dottrina, i Padri del concilio furono accolti con entusiasmo dalla popolazione di Efeso. Il popolo cristiano si rallegrava dell’onore reso alla Madre di Dio.
Quattro secoli prima, la città pagana di Efeso aveva manifestato il suo attaccamento alla dea Artemide. Gli Atti degli Apostoli ci riferiscono l’episodio in cui Paolo aveva incontrato ad Efeso una forte ostilità della folla, che l’accusava di aver voluto porre fine al culto della dea. Le grida « grande è l’Artemide degli Efesini! » (Atti 19,28) mostravano la potenza di un culto che ha indotto Paolo a lasciare la città. Ma il loro ricordo fa anche capire la preparazione adoperata dallo Spirito Santo alla proclamazione di una donna come Madre di Dio. Il culto alla dea Artemide era una via che finalmente doveva porre in luce il volto della Madre di Dio.
In quattro secoli, il culto reso a una dea pagana si è trasformato in culto reso a Maria. Nella religione pagana si era rivelato il bisogno fondamentale degli uomini di avere una donna veramente ideale per aprire la via della salvezza. Nel cristianesimo, questa donna ideale è stata riconosciuta in tutta la sua perfezione a un livello molto superiore, come quella che meritava il nome di Madre di Dio.

Dimostrazione del più alto amore divino
Il titolo che dal terzo secolo è stato pronunziato dalla pietà cristiana nel culto mariano porta con sé la dimostrazione del più alto amore divino. Maria è Madre di Dio perché Dio ha voluto una madre. Il Dio che l’ha voluto è prima di tutto il Padre: la sua intenzione era di esprimere, con questa maternità, in un volto umano, la propria paternità divina. Anche il Figlio di Dio l’ha voluto, perché voleva essere integralmente uomo simile agli altri uomini, nascere da una madre e crescere con l’aiuto e la cura di una madre.
Il vocabolo greco usato per designare la maternità di Maria ha un significato che secondo la sua origine è abbastanza ristretto. « Theotokos » significa « quella che ha generato Dio ». L’atto di generazione ha un valore essenziale per la maternità, ma è soltanto un inizio. La madre ha il compito di contribuire alla crescita del figlio e di educarlo in vista della sua vita futura di adulto. Maria è stata impegnata in questo compito, con questo aspetto stupendo della sua maternità che consisteva in una educazione di colui che era Dio.
Educare Dio sembra un compito paradossale. Dobbiamo precisare che si tratta del Figlio di Dio nella sua natura umana: è l’uomo Gesù che Maria ha educato, aiutandolo a crescere e a svilupparsi. Ma siccome questo uomo era Dio, con una persona divina, l’educazione che concerneva tutti gli aspetti umani della sua esistenza era una educazione di Dio, di un Dio fatto uomo.
Quella che era stata la generatrice di Dio era anche, in tutta verità, l’educatrice di Dio. Questo compito fa meglio scoprire la grandezza singolare della maternità di Maria.
Dobbiamo osservare che nell’attività educatrice, Maria condivideva con Giuseppe la responsabilità. L’evangelista Luca lo ricorda quando dice, per descrivere la vita di Gesù a Nazaret: « Stava loro sottomesso » (2,51). Gesù cresceva sotto la duplice autorità di Giuseppe e di Maria. La loro unione era un contributo all’efficacia dell’educazione di colui che avrebbe insegnato più tardi il valore dell’amore mutuo.
Conosciamo un frutto dell’educazione data da Giuseppe. Gesù che era « figlio del carpentiere » (Matteo 13,55) è divenuto « il carpentiere » (Marco 6, 3) di Nazaret, perché aveva imparato da Giuseppe questo mestiere. I frutti dell’educazione data da Maria non sono così evidenti, perché non conosciamo gli umili segreti della vita di Gesù a Nazaret.
Nel suo compito di educazione, Maria ha avuto molti contatti intimi con Gesù, che hanno contribuito allo sviluppo di tutte le sue qualità umane. Infatti riceviamo nei racconti evangelici i frutti di questa educazione nascosta, data da quella che fu la più perfetta educatrice e che preparò il Salvatore al compimento della sua missione.
La donna che, essendo Madre di Dio, ha educato il Figlio di Dio, esercita ancora un influsso sulla vita spirituale dell’umanità con i frutti prodotti in Cristo dalla sua educazione materna.

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 30 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

12 dicembre: B.M.V. di Guadalupe (mf)

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/81100

BEATA MARIA VERGINE DI GUADALUPE

12 dicembre – Memoria Facoltativa 

L’apparizione, il 9 dicembre 1531, della « Morenita » all’indio Juan Diego, a Guadalupe, in Messico, è un evento che ha lasciato un solco profondo nella religiosità e nella cultura messicana. L’evento guadalupano fu un caso di “inculturazione” miracolosa: meditare su questo evento significa oggi porsi alla scuola di Maria, maestra di umanita’ e di fede, annunciatrice e serva della Parola, che deve risplendere in tutto il suo fulgore, come l’immagine misteriosa sulla tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha di recente proclamato santo.

Martirologio Romano: Beata Maria Vergine di Guadalupe in Messico, il cui materno aiuto il popolo dei fedeli implora umilmente numeroso sul colle Tepeyac vicino a Città del Messico, dove ella apparve, salutandola con fiducia come stella dell’evangelizzazione dei popoli e sostegno degli indigeni e dei poveri.

Con gli oltre venti milioni di pellegrini che lo visitano ogni anno, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, in Messico, e’ il più frequentato e amato di tutto il Centro e Sud America. Sono pellegrini di ogni razza e d’ogni condizione – uomini, donne, bambini, giovani e anziani – che vi giungono dalle zone limitrofe alla capitale o dai centri più lontani, a piedi o in bicicletta, dopo ore o, più spesso, giorni di cammino e di preghiera.
L’apparizione, nel XVI secolo, della “Virgen Morena” all’indio Juan Diego e’ un evento che ha lasciato un solco profondo nella religiosità e nella cultura messicana. La basilica ove attualmente si conserva l’immagine miracolosa e’ stata inaugurata nel 1976. Tre anni dopo e’ stata visitata dal papa Giovanni Paolo II, che dal balcone della facciata su cui sono scritte in caratteri d’oro le parole della Madonna a Juan Diego: “No estoy yo aqui que soy tu Madre?”, ha salutato le molte migliaia di messicani confluiti al Tepeyac; nello stesso luogo, nel 1990, ha proclamato beato il veggente Juan Diego, che e’ stato infine dichiarato santo nel 2002.
Che cosa era accaduto in quel lontano secolo XVI in Messico? Con lo sbarco degli spagnoli nelle terre del continente latino-americano aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che aveva raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso. Il 13 agosto 1521 aveva segnato il tramonto di questa civiltà, quando Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco, fu saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e per l’altro l’affacciarsi di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti. E’ in questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un povero indio di nome Juan Diego, nei pressi di Città del Messico. La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la citta’, l’indio e’ attratto da un canto armonioso di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome con tenerezza. La Signora gli dice di essere « la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio » e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera le si eriga un tempio ai piedi del colle. Juan Diego corre subito dal vescovo, ma non viene creduto.
Tornando a casa la sera, incontra nuovamente sul Tepeyac la Vergine Maria, a cui riferisce il suo insuccesso e chiede di essere esonerato dal compito affidatogli, dichiarandosene indegno. La Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte domande sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno. La Vergine promette di darglielo l’indomani. Ma il giorno seguente Juan Diego non puo’ tornare: un suo zio, Juan Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del Tepeyac decide percio’ di cambiare strada per evitare l’incontro con la Signora. Ma la Signora è la’, davanti a lui, e gli domanda il perche’ di tanta fretta. Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere l’incarico affidatogli presso il vescovo, a causa della malattia mortale dello zio. La Signora lo rassicura, suo zio e’ gia’ guarito, e lo invita a salire sulla sommita’ del colle per cogliervi i fiori. Juan Diego sale e con grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi « fiori di Castiglia »: è il 12 dicembre, il solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione nè il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che porta alla Vergine, la quale pero’ gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verita’ delle apparizioni. Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla tilma si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della S. Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego accompagna il presule al Tepeyac per indicargli il luogo in cui la Madonna ha chiesto le sia innalzato un tempio. Nel frattempo l’immagine, collocata nella cattedrale, diventa presto oggetto di una devozione popolare che si è conservata ininterrotta fino ai nostri giorni. La Dolce Signora che si manifesto’ sul Tepeyac non vi apparve come una straniera. Ella infatti si presenta come una meticcia o morenita, indossa una tunica con dei fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura india denotavano le donne incinte. E’ una Madonna dal volto nobile, di colore bruno, mani giunte, vestito roseo, bordato di fiori. Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate, copre il suo capo e le scende fino ai piedi, che poggiano sulla luna. Alle sue spalle il sole risplende sul fondo con i suoi cento raggi. L’attenzione si concentra tutta sulla straordinaria e bellissima icona guadalupana, rimasta inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli: questa immagine, che non e’ una pittura, nè un disegno, nè e’ fatta da mani umane, suscita la devozione dei fedeli di ogni parte del mondo e pone non pochi interrogativi alla scienza, un po’ come succede ormai da anni col mistero della Sacra Sindone.
La scoperta piu’ sconvolgente al riguardo e’ quella fatta, con l’ausilio di sofisticate apparecchiature elettroniche, da una commissione di scienziati, che ha evidenziato la presenza di un gruppo di 13 persone riflesse nelle pupille della S. Vergine: sarebbero lo stesso Juan Diego, con il vescovo e altri ignoti personaggi, presenti quel giorno al prodigioso evento in casa del presule. Un vero rompicapo per gli studiosi, un fenomeno scientificamente inspiegabile, che rivela l’origine miracolosa dell’immagine e comunica al mondo intero un grande messaggio di speranza. Nostra Signora di Guadalupe, che appare a Juan Diego in piedi, vestita di sole, non solo gli annuncia che e’ nostra madre spirituale, ma lo invita – come invita ciascuno di noi – ad aprire il proprio cuore all’opera di Cristo che ci ama e ci salva. Meditare oggi sull’evento guadalupano, un caso di “inculturazione” miracolosa, significa porsi alla scuola di Maria, maestra di umanita’ e di fede, annunciatrice e serva della Parola, che deve risplendere in tutto il suo fulgore, come l’immagine misteriosa sulla tilma del veggente messicano, che la Chiesa ha recentemente proclamato santo. 

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 11 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

PIO IX E L’IMMACOLATA (STORIA DEL PRIVILEGIO MARIANO DA DUNS SCOTO AL VEN. PIO IX)

dal sito:

http://www.papapionono.it/immacolata.html

PIO IX E L’IMMACOLATA

a) STORIA DEL PRIVILEGIO MARIANO DA DUNS SCOTO AL VEN. PIO IX

di ANGELO MENCUCCI

Quando Pio IX,1’8 Dicembre 1854 proclamò il Dogma dell’Immacolata come verità rivelata da Dio, il protestante razionalista Harnach scrisse una frase spiritosa e incredula: « Ma quando, e perché, e da chi? ».
Sono espressioni ironiche, pertubanti, ma possono essere motivo anche per i credenti di ricordare la lunga, sofferta ricerca teologica di questo privilegio di Maria SS. sino alla formulazione definitiva e infallibile della chiesa.
La verità della Immacolata Concezione era già patrimonio della fede orientale e della prima festa sotto questo titolo sin dal secolo VI e VII. Nella Chiesa latina sin dal mille.
Ma lo studio sulla Immacolata divenne calda materia nel periodo della Scolastica: vi sono stati Santi, Dottori della Chiesa, Università Teologiche pro e contro questa verità; il primo grande difensore dell’Immacolato concepimento di Maria, fu il francescano Duns Scoto (di cui in questo anno si celebra il 6• Centenario della sua Professione religiosa).

Giovanni Duns Scoto, il « Doctor subtilis », il Cavaliere dell’Immacolata

Era nato a Duns in Scozia nel 1265 o 1266.

Entrò nell’ordine Francescano ed ebbe per maestro negli studi teologici Guglielmo Ware (o Varrone), uno dei fautori appassionati dell’immacolata concezione. Scoto succedette al suo maestro nella cattedra di Oxford, e quivi cominciò a propugnare la sentenza immaculista. Da Oxford passò poi a Parigi, ed ebbe il dottorato ed il magistero alla Sorbona. Il maestro di Scoto pure, Ware, insegnò a Parigi, ma non sembra che abbia avuto occasione di sostenere pubblicamente, ed in maniera che destasse la comune attenzione, il privilegio di Maria. Il primo che richiamò l’attenzione generale sull’immacolata concezione, e l’impose al rispetto di molti fu dunque Scoto. Ciò avvenne nei primi del 1300. Pochi anni più tardi, un fiero avversario del privilegio della Vergine, il domenicano Gerardo Renier, chiamava Scoto « il primo seminatore di questo errore, (dell’opinione cioè immaculista). – Scoti, primi seminatoris hujus erroris, vel secundum Augustinum, falsae aequivalenter hujus haereticae pravitatis ». Ciò avveniva nel 1350, e queste parole, nessuno oserebbe negarlo, costituiscono, a riguardo di Scoto, una testimonianza di primo ordine.
A proposíto dell’influsso che ebbe Scoto sul trionfo della dottrina dell’Immacolata Concezione, divenne più tardi popolare il racconto di una sua meravigliosa disputa sostenuta a Parigi per ordine della S. Sede ed alla presenza dei delegati di lei, allo scopo di dissipare tutte le ombre che nelle scuole si venivano accumulando contro l’insigne privilegio della Madre di Dio.
Bernardino da Bustis nell’Officio cla lui composto in onore di Maria Immacolata, ed approvato da Sisto IV nel 1480 ne parla nei seguenti termini: « Vi fu un tempo in cui certi religiosi si accesero di tanto accanimento contro l’Immacolata Concezione, che chiamavano eretici i frati dell’Ordine dei Minori, perché nella loro predicazione sostenevano essere stata la Madre di Dio concepita senza peccato. Su questo argomento fu per ordine della Sede apostolica tenuta una pubblica disputa nello studio di Parigi (Sorbona). Gli accennati accusatori vi intervennero con un numero addirittura straordinario dei loro dottori. Ma N. Signore a protezione della dignità della diletta sua Madre, d’improvviso destinò a quella città Scoto esimio dottore dell’Ordine dei Minori, ed egli confutati tutti i fondamenti e gli argomenti dell’avversario con ragionamento inconfondibile, fece brillare di tanta luce la santità della concezione della Madonna, che tutti quei frati, pieni di ammirazione per la sua sottigliezza si racchiusero nel silenzio e cessarono dalla disputa. Di conseguenza l’opinione dei Minori fu approvata dallo studio di Parigi. Scoto poi fu per questo denominato il Dottor sottile ».
La disputa ebbe luogo o verso la fine del 1307, o sul principio del 1308. Scoto sarebbe allora venuto espressamente a Parigi da Oxford. Arrivato il giorno del grande atto Sorbonico, come si chiamava allora la disputa, mentre Scoto si avviava al luogo della discussione, si prostrò davanti ad una statua della Vergine che si trovava sul suo passaggio, e le indirizzò questa preghiera: Dignare me, laudare te, Virgo sacrata: da mihi virtutem contra hostes tuos. La Vergine, ad attestare il gradimento di questo atto, inclinò il capo: posizione questa che avrebbe poi conservata anche in seguito.
Incominciata la disputa, gli avversari scrosciarono su Scoto una vera gragnuola di argomenti. Non se ne contarono meno di duccento. Scoto li ascoltò tutti con grande attenzione, col contegno modesto’ ma colla tranquillità ed il presagio del trionfo, dipinti in volto. Quando gli avversari si tacquero egli prese a confutare tutti i loro argomenti: li confutò uno per uno nel medesimo ordine con cui erano stati proposti, con quella medesima facilità, con cui Sansone rompeva i vincoli coi quali Dalila l’aveva legato.
Conseguenza di tale disputa sarebbe stata non solo l’approvazione della Sorbona data alla opinione imrnacolista, ma altresì l’adozione da parte della insigne Università della relativa festa, nonché il rifiuto dei gradi accademici a chi avesse osato esprimere un sentimento diverso.
Così il discepolo di Scoto, Francesco Mayroni, riassumeva l’argomento del maestro: « Dio ha potuto preservare Maria dal peccato: era conveniente che lo facesse: dunque lo fece. – Potuit, decuit, ergo fecit ».

I contemporanei lo chiamarono Doctor subtilis, e i porteri: Doctor Verbi Incarnati e Doctor Marianus.
La Causa di Beatificazione fu ufficialmente aperta nel 1905.
La Beatificazione il 20 marzo 1993.
Pio IX il Pontefice dell’lmmacolata e la « Bolla Ineffabilis »
Le dispute perdurarono sino al Ven. Pio IX.

Ora questa verità non è più incerta e disputabile, essa fa parte dei dogmi della nostra fede e fu solennemente definita da Pio IX il giorno 8 dicembre 1854 con la Bolla Ineffabilis, ove si proclama: « 1I Dio ineffabile sin dal principio e innanzi ai secoli, elesse e dispose all’Unigenito suo Figlio una Madre, da cui fatto uomo, avesse egli a nascere nella felice pienezza dei tempi, e fra tutte le creature di tanto amore predilesse, lei, da compiacersi in lei sola con propensissimo affetto. Per il che, assai più che tutti i santi, la ricolmò dell’abbondanza di tutte le grazie celesti, tolte dal tesoro della divinità, in un modo così meraviglioso, che sempre affatto immune da ogni macchia, di peccato, e tutta bella e perfetta, ebbe in sé quella pienezza d’innocenza e di santità, di cui maggiore non può concepirsi al di sotto di Dio, e cui nessuno fuor che Dio stesso può raggiungere col pensiero. E per verità era del tutto conveniente, che sempre rifulgesse ornata degli splendori di pefettissima santità, ed affatto immune dalla stessa macchia della colpa originale, riportasse amplissimo trionfo dell’antico serpente, una sì venerabile Madre.
« Dopoché mai non cessammo nell’umiltà e nel digiuno, di offrire a Dio Padre, per mezzo del Figliuol suo, le private nostre preghiere e quelle pubblicate della Chiesa, affinché si degnasse di dirigere e confortare la nostra mente colla virtù dello Spirito Santo, implorato il soccorso di tutta la corte celeste, ed invocato con gemiti lo Spirito Paraclito, il medesimo così ispirandoci, ad onore della santa ed individua Trinità, a decoro ed ornamento della vergine madre di Dio, ad esaltazione della fede cattolica e ad incremento della cristiana religione, coll’autorità del SignorNostro Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo, pronunziamo e definiamo, che la dottrina la quale ritiene che la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore dell’uman genere, fu preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è da Dio rivelata e quindi da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli.
Per la qual cosa, se alcuni presumessero, il che Iddio tenga lontano, di sentire in cuor loro diversamente da quanto fu da noi definito, conoscano e sappiano per fermo, che condannati dalproprio giudizio, hanno fatto naufragio nella fede ».

b) PIO IX E IL DOGMA DELL’IMMACOLATA

di MANLIO BRUNETTI

Sull’intenzione di Pio IX, tra la fine del ’48 e gli inizi del ’44, di procede re verso la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, il massimo storico attuale scrive: « Le circostanze eccezionali del momento, l’esilio a I Gaeta e l’immirìente proclamazione della Repubblica Romana non faceva. no che stimolare il papa nella via intrapresa, che nella sua tipica forma mentis gli appariva non solo una questione teologica ma anche come il rimedio più efficace per la salvezza della Chiesa, del suo capo, della società intera dai mali che sovrastavano minacciosi ».
Comunque siano da leggere queste righe, specialmente la  » tipica f orma mentis », è certo che Pio IX fu sospinto a definire questo dogma dalla sua pietà mariana che, mai ingenua e gratuita in chi abbia studiato un po’ di Teologia, egli mantenne nell’esercizio del suo pontificato, nel quale, però, anche le particolari curvature del temperamento e della educazione familare vengono chiamate a inquadrarsi nelle responsabitità det supremo magistero. Pensare che papa Mastai abbia proceduto a dogmatizzare l’Immacolata e’ più tardi, l’Infallibilità pontificia sulla spinta di pulsioni ed entusiasmi temperamentali è, da una parte, fare il credito che si meritano ai condizionamenti psicotogici cui nessun papa e nessun uomo può sottrarsi; ma sarebbe tendenzioso ricavarne che ne possa andar distrutto o menomato lo scrupoto per la giustificazione teologica che si impone al Maestro autentico dinnanzi alla Chiesa e all’intera cristianità.

L’impasse teologica

Sul piano delle scienze teologica la controversia sull’immacolato concepimento di Maria ss., iniziata nel sec. XIII e protrattasi senza tregua da allora lungo sette secoli con alterne vicende, sembrava giunta a un punto fermo insuperabile (nonostante che il sensus fidei deponesse in favore’. E piu, consigliava prudenza il fatto che non fosse tra cattolici ed eretici, ma tra sostenitori (francescani e domenicani, per semplificare) di verità assolute del rnedesimo eredo eattolico: I’universalità del peccato e della redenzione per Cristo, da un lato, ad includere Maria; I’onore della Trinità ed il ruolo della Vergine nell’econornia dell’Incarnazione, dall’altro, e sottrarla alla colpa originale. Scoto, inoltre, aveva dimostrato la « convenienza » del privilegio mariano, non l’assotuta necessità e quindi il fatto, che avrebbe, invece, potuto risultare solo dalle fonti della Rivelazione, nelle quali, per altro, non tutte le verità di fede sono presenti alla stessa maniera e con identico grado di esplicitazione, e le testimonianze dei Padri, non essendo proposte nei termini fissati solo posteriormente, assai difficilmente potevano ricondursi, così come suonavano, pro o contro la tesi immacolatista. Né era ancora matura l’idea di un Concilio da cui, come in passato, si decidessero le questioni pendenti, fra le quali questa della Concezione Immacolata vedeva nel campo della negazione schierati lungo i secoli Padri e Dottori di primissimo ordine, a consigliare, semmai, un’ulteriore sospensione del giudizio.

Influsso della devozione privata

La devozione e la propensione private di Giovanni M. Mastai Ferretti hanno avuto, certo, la loro parte nella determinazione che Pio IX sembra aver assunto, nel momento che si sentì sulla fronte la tiara pontificia, di porre line alla secolare controversia teologica e di definire l’Immacolata CNoncezione.
Già dal 1821, giovane sacerdote, seguendo l’esempio di prelati romani, faceva il ritiro mensile nella cappella del Convento di S. Bonaventura al Palatino, dove era esposta la Lettera Profetica di S. Leonardo da Porto Maurizio, l’ultimo grande araldo dell’Immacolata, e davanti all’urna del Santo aveva voluto rícevere l’abito del Terzo Ordine francescano. E per leggere quella Lettera Profetica ed averne copia, appena eletto papa si reca con tutto il suo seguito al Convento di S. Bonaventura, come attestano i contemporanei pp. Giuseppe da Roma e Agostino Pacifico.
Scoppiata a Roma la rivoluzione il 15 novembre 1848 ed il 24 rifugiatosi Pio IX a Gaeta (che, tempo addietro, era stata evangelizzata da S. Leonardo), il re delle due Sicilie Ferdinando II gli offre ospitalità, ma dietro suggerimento degli Alcantarini di Napoli, per mezzo del suo ambasciatore il duca di Serracapriola, curatore degli affari economici dei francescani, gli chiede come contraccambio la definizione dogmatica dell’Immacolata. Nella sua risposta all’inviato reale Pio IX dichiara che le grandi parole di S. Leonardo e le suppliche del mondo cristiano non gli lasciano più riposo e che è ben risoluto all’azione. Infatti il 2 febbraio 1849 pubblica da Caeta l’enciclica Ubi Primum, nella quale chiede all’episcopato di tutto il mondo di fargli conoscere con lettere il suo pensiero e quello dei fedeli riguardo all’Immacolata Concezione. Questo ricorso ai Vescovi della cristianità è precisamente quel « Concilio per iscritto e senza spese » preconizzato da S. Leonardo presso Clemente XII e Benedetto XIV. Il risultato dell’inchiesta è noto: 1’8 dicembre 1854 il dogma è proclamato.

Concezione collegiale del Magistero

Su questa radice magisteriale del dogma (la consultazione della Chiesa per mezzo dell’Episcopato, che si sovrappone a quella devozionale privata, intendo insistere, come su quella sussunzione di indole e virtù personali nelle esigenze e responsabilità pontificie che è, così intesa, davvero la « tipica forma mentis » di Pio IX. Già di qui, ossia da come volle giungere al dogma, si può vedere come colui che, più tardi, nel 1870, richiederà nella formula definitoria dell’Infallibilità l’adiectum « non autem ex consensu ecclesiae », aveva dell’esercizio dell’in fallibilità una concezione che più tardi, al Vaticano II, si chiamerà « collegiale ». Pio IX era già, nel 1854, convinto, come la maggioranza dei vescovi e dei fedeli, di quella prerogativa petrina. Ma non la immaginava come esclusiva, intesa cioè ad escludere il collegio episcopale, né come solitaria, da far valere cioè nonostante o contro il (con)sensus fidei dell’intera Chiesa. Quella clausola sarà posta ad affermare, non a negare; ad eliminare ogni residuo conciliarista, ogni insinuazione di secondarietà e dipendenza del Pastore rispetto al gregge nella custodia ed interpretazione del depositum fidei; non a separare la sua dalla fede di tutti, la sua dall’assistenza che lo Spirito dedica a tutta la Chiesa.
A dirimere la controversia mariologica si appella, non al rapporto di forza persuasiva~delle argomentazioni teologiche – questo apparato, desunto dalla Scrittura e dalla tradizione, varrà conseguentemente: non a produrre, ma a giustificare l’assenso!; non al giudizio teologico suo proprio o della Scuola (Romana: fior di teologi!) che lo assiste; ma al « sentire » della Chiesa, che egli non si inventa né si autopersuade di conoscere in virtù di qualche supervisione infusa, ma chiede si esperisca dai Vescovi e gli si notifichi.
È lui ad aver bisogno di sapere qual è la fede comune, ed è, al contem po, l’intera Chiesa a venir portata alla consapevolezza esplicita del suo esse~ re innanzi a Dio. Così il dogma non è una presunta rivelazione da far accettare ad una chiesa ignara ed estranea, né una forzatura magisteriale, ma la proclamazione autorevole di un contenuto di fede più o meno presen » te alla coscienza ecclesiale. Per mezzo della definizione ora la Chiesa sa di sapere quel che ferveva già magari nella penombra del suo subconscio; sa che è rivelazione autentica di Dio il privilegio mariano cui l’istinto filiale, la spontanea devozione da sempre l’inclinava.
Anche i dogmi hanno il loro tempo opportuno, ed alla loro definizione concorrono cause, occasioni e condizioni storiche, perfino soggettive e di indole, come non può essere se quello della fede è un percorso umano, di un cammino, però, tracciato da Dio.
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Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 259-266

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 7 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA (letture e commento)

dal sito:

http://www.parrocchiacamigliatello.it/8_dicembre_immacolata_concezione_di_maria-1.html

IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA

Fin dai primi secoli la Chiesa ha formulato nella preghiera “ Santa Maria, Madre di Dio “ l’essenza della sua fede intorno alla Madre di Gesù, espressa solennemente in particolare nel concilio di Efeso, l’anno 431. Sant’Ireneo aveva come preconizzato l’immacolata concezione della vergine Maria quando salutava in lei “la nuova Eva”. Soltanto nel XV secolo la Chiesa l’ha dichiarata formalmente nella liturgia fin che fu definita come dogma da Pio IX.

I Lettura
Gn 3,9-15.20
Dopo che Adamo ebbe mangiato dell’albero, il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.
Allora il Signore Dio disse al serpente: “Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”.
All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”.
L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.

II Lettura
Ef 1, 3-6.11-12
Fratelli, benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.

Vangelo
Lc 1, 26-38
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”.
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

Commento di P. Vittorino Elio Vivacqua

Mentre ci avviciniamo alla festa del Natale, la liturgia ci presenta la figura di Maria, Madre di Cristo, sotto il titolo di Immacolata Concezione. Una prerogativa suggerita già dal Concilio di Basilea nel 1438 e proclamata quale domma di fede da Pio IX nel 1854. Con questo titolo la Chiesa ci presenta Maria come unica creatura al mondo che è nata senza peccato originale.
Le tre letture che ci aiutano a comprendere questo mistero sono: Genesi, 3,9-15-20, Lettera di Paolo agli Efesini 1,3-6 – 11-12 e il celebre passo del vangelo di Luca 1,26-38 che ci parla dell’ Annunciazione. Queste letture ci presentano alcuni tratti essenziali che delineano efficacemente la figura di Maria.
Cosa vuol dire “Immacolata Concezione”?
Il termine “concezione” nel linguaggio biblico significa la totalità dell’ esistenza. Nessuno viene al mondo senza esservi chiamato, senza un nome, senza un volto, senza un progetto di vita. Il profeta Geremia dichiara di “essere conosciuto da Dio prima di essere formato nel grembo materno”. Concetto che l’ apostolo Paolo nella lettera ai Galati riferisce a se stesso. E nel brano della Lettera agli Efesini che oggi viene proclamata. l’ apostolo ci ricorda che in Cristo Dio “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”. Se è così per tutti noi, l’ intera esistenza di Maria, prescelta a diventare la Madre di Dio, è in modo singolarissimo sotto il segno particolare di Dio, in ogni istante della sua vita, incluso il suo concepimento.
Maria non è stata mai soggetta ad alcun peccato, neppure a quello originale. La sua vita è tersa, limpida, immacolata nella sua totalità.
E’ importante approfondire il concetto di “peccato originale”, che proviene dalla riflessione sapienziale del brano del capitolo 3° della Genesi. In esso si racconta con linguaggio simbolico, un genere letterario proprio di quelle antiche civiltà, il peccato che sta all’ origine dei mali dell’ uomo. Esso è descritto come un’ autonoma decisione di voler “conoscere il bene e il male”, attraverso l’ immagine del “mangiare il frutto dell’ albero della conoscenza del bene e del male”. Nella Bibbia il verbo “conoscere” vuol dire appropriarsi, possedere, avere dominio su qualcosa o qualcuno.
“Bene e male” comprendono tutto l’ ambito morale dell’ esistenza umana. Per cui l’ espressione “Conoscere il bene e il male”, significa decidere da soli quello che è bene e quello che è male, contro il progetto di Dio.
Il serpente che tenta l’ uomo, era presso gli antichi una divinità della fecondità e della forza; quindi il simbolo dell’ antagonista del vero Dio. Nella tradizione biblica posteriore questi verrà identificato con il diavolo.
Sotto il simbolo della tentazione del serpente, l’ uomo esprime la sua volontà di costruire un progetto alternativo a quello di Dio, provocando così tutti i mali del mondo.
Questo è il peccato originale, che purtroppo caratterizza la nascita di tutti gli uomini della terra, esclusa la Madre di Colui, che “schiaccerà la testa del serpente”. La madre di Gesù Cristo, vincitore del peccato, non poteva essere soggetta al peccato originale.
Con Maria invece inizia una nuova storia, che non nasce nel paradiso terrestre, ma in un oscuro villaggio della Galilea: Nazareth.
Il vangelo di Luca è l’ unico a riportare l’ episodio fondamentale dell’ Annunciazione. Egli scrive che “L’ angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una vergine… la vergine si chiamava Maria”. La verginità è dunque la prima caratteristica della figura evangelica di Maria. Questa specificazione ha un alto valore teologico, perché, come ci dice l’ evangelista Giovanni, Cristo è generato “non da sangue, né voleri di carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Prologo) Gesù infatti non nasce secondo i meccanismi della biologia umana, ma per opera dello Spirito che depone Gesù nel grembo verginale di Maria.
L’ angelo, a differenza di altre apparizioni bibliche, è il primo a salutare Maria, e non la chiama per nome: “Ti saluto, piena di grazia, il Signore è con te”. Ella, secondo l’ espressione originale greca, è colei che è “ricolma” della benevolenza di Dio, fin da sempre e dunque fin dal primo istante del suo concepimento, è il tempio di Dio.
Maria si turba ad udire un tale saluto ed in questo modo si inserisce in quella schiera di grandi uomini religiosi di Israele, che alla presenza di Dio o dei suoi angeli, si gettano con la faccia a terra: Mosè, i profeti, tutti i destinatari delle apparizioni divine. L’angelo però la rassicura: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un Figlio.. Sarà chiamato Figlio dell’ Altissimo”.
Ma il turbamento della vergine aumenta e perciò chiede: “Com’ è possibile? Non conosco uomo”. E l’ angelo di rimando: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’ Altissimo”. Finalmente consapevole della volontà di Dio risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore”. La parola “serva” è tutt’ altro che sinonimo di umiltà. “Servo del Signore” è il titolo che tuttora l’ Islam riserva ai primogeniti dei principi; ed è il titolo di Abramo, di Mosè, dello stesso Cristo. Maria si inserisce in questo filone ed in quel momento esprime la coscienza della sua vocazione e così diventa docile strumento nella mani di Dio.
L’ Immacolata Concezione è la storia di una donna che aderisce pienamente al piano di salvezza tracciato da Dio e che in ogni momento della sua vita dirà “sì” al Signore. Nessun’ ombra di peccato,
nessuna imperfezione macchia la sua anima. Perciò potrà cantare nel Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l’ Onnipotente”.
Certamente noi, impastati di peccato, non possiamo avere l’innocenza di Maria. Ma, come dice Paolo nella lettura odierna, dobbiamo ricordarci che il Signore ci ha chiamati per essere “santi i immacolati al suo cospetto nella carità”. Anche noi dunque, come Maria, dobbiamo dire sempre sì al Signore. In questo modo non ci macchieremo mai di peccato

Colei che ha creduto: Assunzione della Beata Vergine Maria – 15 agosto 2007 (anno C)

dal sito:

http://www.pddm.it/vita/vita_07/n_07/agosto01.htm

Colei che ha creduto

Assunzione della Beata Vergine Maria – 15 agosto 2007

• Prima lettura: Ap 11,19a.12,1-6a.10ab
• Salmo responsoriale: Sal 44,10-12.15b-16
• Seconda lettura: 1 Cor 15,20-26
• Vangelo: Lc 1,39-56

Icona scritta da Roberta Boesso. All’interno della mandorla, simbolo della gloria celeste, è raffigurato Cristo che sostiene ed abbraccia Maria, sua Madre, elevandola alla gloria del cielo. Entrambi indossano abiti il cui colore bianco indica la dimensione nuziale. Cristo, infatti, si manifesta come lo Sposo profondamente unito alla sua sposa, la santa Chiesa, che la tradizione vede personificata dalla Vergine Maria. Sui due cartigli sorretti dagli angeli il testo del Cantico dei cantici: «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia» (Ct 2,6). (sul sito)

Breve introduzione storica

Fin dal VII secolo l’Assunzione di Maria è una delle quattro più antiche feste mariane della Chiesa di Roma: Natività di Maria, Annunciazione, Purificazione (= Presentazione di Gesù al tempio), e Assunzione. Anche quest’ultima, come le altre tre, è di origine orientale. Antonino di Piacenza, intorno al 570, cita come luogo di culto il sepolcro della Vergine a Gerusalemme «dal quale si dice che Santa Maria sia stata assunta in cielo». Maurizio, imperatore d’oriente (582-602) stabilisce il 15 agosto come festa della Dormizione. Così è ancora oggi chiamata nella tradizione liturgica orientale. In occidente, nel corso del secolo VIII, la festa si trova nei libri liturgici sotto il titolo di Assunzione esplicitando la tradizione della piena partecipazione di Maria alla gloria del Figlio risorto e assunto alla destra del Padre. Tale verità venne proclamata dogma di fede dal papa Pio XII nel 1950.
Interpretare Questa antica solennità prevede anche una Messa vigiliare con testi propri. Nel commento alle letture si cercherà, per quanto possibile, di unificarle nell’unico messaggio che questa festa intende comunicare.
Vangelo Di fronte ad una devozione mariana che talvolta tende a rincorrere apparizioni e messaggi segreti e privati, Maria è invece proclamata beata perché «ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Infatti, è questa fede alimentata dalla Parola di Dio che emerge nella preghiera di Maria, il Magnificat; in essa si trovano circa 20 citazioni della sacra Scrittura. «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo ventre». Queste parole echeggiano le lodi rivolte a Giuditta che contribuì alla salvezza del popolo d’Israele (cf Gdt 13,18). Maria è accolta da Elisabetta come Israele accolse l’arca dell’alleanza nella città di Dio (cf prima lettura della vigilia), e si trattiene presso la parente circa tre mesi, come l’arca dell’alleanza nella casa di Obed Edon di Gat (cf 2 Sam 6,2-11).
Prima lettura e salmo responsoriale Il trionfale trasferimento dell’arca a Gerusalemme (Messa vigiliare) viene interpretato come prefigurazione del glorioso ingresso di Maria nella Gerusalemme del cielo. Lo splendore della nuova Gerusalemme del cielo, come donna vestita di sole (prima lettura del giorno) è applicato a Maria, Madre e immagine della Chiesa, di quanti credono alla Parola del Signore. La Chiesa è descritta dall’Apocalisse come una donna che soffre per le doglie del parto e che deve combattere contro un drago che sintetizza tutte le forze del male. Tali forze non avranno mai il sopravvento perché la vittoria è già scontata e appartiene all’Agnello immolato che siede sul trono e a quanti lo hanno seguito come Maria, prima discepola del Signore, nell’accoglienza della Parola. Il salmo della Messa vigiliare (Sal 131) è un inno di lode a quel Dio che ha scelto la città dell’uomo per stabilire la sua dimora. Il riferimento a Maria, arca della nuova alleanza è ovvio. Nella Messa del giorno il salmo 44 è un canto nuziale che evoca il compimento delle nozze fra Dio e il suo popolo per mezzo di Maria, la figlia di Sion per antonomasia.
Seconda lettura Come Pietro nel suo primo discorso a Pentecoste, così Paolo non si preoccupa di elencare in primo luogo i prodigi di Gesù, ma la sua morte e risurrezione. Il brano della lettera ai Corinzi, sia nella Messa vigiliare sia in quella del giorno, annunciano la vittoria di Cristo sulla morte. L’apostolo quasi grida questa verità: la risurrezione di Cristo ci assicura che la nostra vita non è sotto il dominio della morte. Nella piena glorificazione di Maria in anima e corpo la Chiesa vede e annuncia il suo destino oltre il tempo e lo spazio. Questa verità di fede illumina e conforta la nostra faticosa gestazione terrena per nascere alla vita eterna.
Annunciare La nostra vita è partecipazione alla Pasqua del Signore, alla sua morte e alla sua risurrezione. È questo il significato di quel battesimo che l’apostolo Paolo presenta come morire con Cristo per risorgere con lui (cf Rm 6,3-5). Prima di essere «assunta» nella gloria del Padre insieme al proprio Figlio, Maria ha seguito Gesù fino ai piedi della croce e ha accompagnato come Madre i primi passi della Chiesa (cf At 1,14). Questa è la strada che Maria ci indica e lungo la quale ci accompagna.
Insegnare «Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». La vera religiosità cristiana, la vera devozione mariana non è fuga nel miracolismo o nello spiritualismo esaltante, ma impegno che rinvia sulle strade del mondo. La preghiera è cristiana quando impegna verso il prossimo.
Esortare «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai loro troni… ha rimandato i ricchi a mani vuote». Non è un invito alla rivoluzione armata, ma un atto di fede in quel Vangelo di Dio che mina il male alla radice attraverso la conversione del cuore dell’uomo. Il mondo cambia nella misura in cui cambia ciascuno di noi.
Insegnare «La beata Vergine, gloriosamente assunta in cielo ed esaltata accanto al Figlio suo, re dei re e signore dei signori (cf Ap 19,16), non ha deposto la missione di salvezza affidatale da Dio Padre, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci le grazie della salute eterna. La Chiesa poi, che per i vincoli che la uniscono a Maria, vuole vivere il mistero di Cristo con lei e come lei, sperimenta continuamente che la beata Vergine le è accanto sempre, ma soprattutto nella sacra liturgia, come madre e come soccorritrice» (Messe della B.V. Maria, Introduzione, 12). Silvano Sirboni

Per celebrare

LA DORMIZIONE E L’ASSUNZIONE

Con il termine dormizione viene indicato il passaggio di Maria, madre di Gesù, dalla vita terrena alla vita celeste. L’uso del termine (in latino dormitio) deriva dalla credenza che Maria non sarebbe veramente morta, ma soltanto caduta in un sonno profondo, dopodiché sarebbe stata assunta in cielo.
La Chiesa cattolica e quella ortodossa affermano la dottrina dell’Assunzione. La Chiesa cattolica ha definito dogmaticamente tale dottrina nel 1950, con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus, mentre la Chiesa ortodossa non ha definito un dogma in tal senso.
Secondo una tradizione, la dormizione sarebbe avvenuta a Gerusalemme circa un anno dopo la morte di Gesù; gli apostoli avrebbero sepolto Maria, ma avrebbero poi trovato il sepolcro vuoto. A ricordo di questi fatti sorgono oggi a Gerusalemme due chiese: quella della Dormizione, sul monte Sion, luogo dove sarebbe avvenuto il trapasso, e quella della Tomba di Maria, nella valle del Cedron, dove sarebbe avvenuta la sepoltura.
Un’altra tradizione sostiene invece che Maria sarebbe vissuta ancora per molti anni dopo la morte di Gesù, e che la dormizione sarebbe avvenuta ad Efeso, dove si era trasferita seguendo l’apostolo Giovanni, al quale Gesù morente l’aveva affidata.
Tutte le Chiese orientali celebrano la Dormizione di Maria come la più grande festa mariana: la «festa delle feste» della Madre del Signore. La Dormizione-Assunzione è infatti il suo «giorno natalizio» (dies natalis), in cui davvero ella nasce alla vita senza fine, portata anche col corpo nei cieli e glorificata dal Figlio Salvatore; ed è il suo «giorno commemorativo», nel quale per antica tradizione, o presso la sua tomba in Gerusalemme o davanti a una sua icona, viene ricordata e illustrata la sua vita, dall’infanzia al transito, e la sua celeste protezione sulla Chiesa pellegrina. Anche oggi queste Chiese celebrano e vivono i giorni che precedono la festa dell’Assunzione con solennità liturgica e con esterne manifestazioni di gioia.
L’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo è un’anticipazione della risurrezione della carne, che per tutti noi avverrà soltanto alla fine dei tempi. Essa esprime in modo mirabile l’adagio patristico diffusosi a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio». Egli, che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, che ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote, ci conceda oggi di poter cantare il Magnificat, associando la nostra voce a quella della Vergine.
Come segno, per la celebrazione eucaristica odierna (o ai Vespri comunitari), si può incensare l’immagine di Maria (o l’icona della Dormizione) mentre si canta il Magnificat o un altro inno adatto.
Non è fuori luogo, oggi, accendere il cero pasquale se si celebra la Veglia in onore della beata Vergine Maria o anche durante la celebrazione eucaristica, considerando che celebriamo la Pasqua di Maria, dopo quella del Figlio risorto. I nostri fratelli di rito bizantino celebrano questa festa proprio come «la Pasqua della Madre di Dio»; i quattordici giorni che la precedono sono chiamati «piccola Quaresima della Vergine» in analogia con la grande Quaresima che prepara la Pasqua di Cristo. In questi giorni di austero digiuno i fedeli accorrono in chiesa per cantare l’ufficio di supplica alla Madre di Dio, alzando a lei lo sguardo implorante, attendendo da lei, glorificata nei cieli, grazie per il corpo e per l’anima.
Suggeriamo due sussidi adatti alla preparazione e celebrazione di questa solennità:
1. ERMANNO TONIOLO, Quindicina dell’Assunta. Con testi della liturgia bizantina, (a cura del Centro di Cultura Mariana), Roma 1996;
2. ERMANNO TONIOLO, Veglia dell’Assunta. Con tropari della Liturgia Russa, Roma 2001. Alcuni versi, alternati da una breve lode in canto, possono costituire un omaggio semplice ma profondo che ogni cristiano, in questa festa di precetto, può innalzare alla Vergine Madre.
• Rallegrati, germe divino della terra, giardino in cui fu posto l’Albero della vita!
• Rallegrati, o nostra tanto bramata letizia, o esultanza della Chiesa, o nome pieno di profumo, o viso illuminato dalla luce di Dio e che emana bellezza!
• Rallegrati, o vello salutare e spirituale, o chiara madre della luce nascente, o fonte zampillante d’acqua viva, o madre novella e modellatrice della nuova nascita!
• Rallegrati, o vaso d’alabastro dell’unguento di santificazione, o modesto spazio che ha accolto in sé Colui che il mondo non può contenere! E.V

COMMENTO BIBLE-SERVICE – ASSUNZIONE DI MARIA, SECONDA LETTURA DELLA MESSA DEL GIORNO,

dal sito:

http://www.bible-service.net/site/378.html

1 Corinthiens 15,20-27

À Corinthe, on s’inquiète de la résurrection des croyants morts, sans remettre en cause la résurrection du Christ Jésus. Toute l’argumentation de Paul au chapitre 15 est de montrer que l’une ne va pas sans l’autre. Ici, Paul développe tout le dynamisme de la résurrection. D’abord, il établit un parallélisme entre une première solidarité, celle des hommes et celle du premier homme, Adam, qui entraîne dans la mort, et une seconde solidarité, nouvelle, celle des hommes et du dernier Adam, le Christ, qui entraîne vers la vie.
Puis il montre que le Christ Seigneur poursuit avec puissance sa victoire : déjà vaincue, la mort sera un jour détruite. Paul contemple l’étape finale du Règne de Dieu. Mettre en valeur la première lettre aux Corinthiens dans la liturgie de ce jour implique qu’on ne peut dissocier la résurrection du Christ et l’Assomption de Marie. Celle-ci est le fruit de celle-là.

1 Corinzi 15,20-27

A Corinto, si preoccupano della risurrezione dei credenti morti, senza rimettere in causa la risurrezione di Gesù Cristo. Tutta l’argomentazione di Paolo al capitolo 15 è di mostrare che l’una non va senza l’altra. Qui, Paolo sviluppa tutto il dinamismo della risurrezione. All’inizio stabilisce un parallelismo tra un prime solidarietà, quella degli uomini e quella del primo uomo, Adamo che trascina nella morte, ed un secondo solidarietà, nuova, quella degli uomini e dell’ultimo Adamo, il Cristo che trascina verso la vita. Poi mostra che Cristo Signore insegue con potere la sua vittoria:  vinta già, la morte sarà un giorno distrutta. Paolo contempla la tappa finale del Regno di Dio. Mettere in valore la prima lettera ai corinzi nella liturgia di questo giorno implica che non si può dissociare la risurrezione del Cristo e l’Assunzione di Marie. Questa è il frutto di quella.

I sotterranei di Santa Maria Maggiore a Roma: catacombe moderne e misteri antichi

dal sito:

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I sotterranei di Santa Maria Maggiore a Roma: catacombe moderne e misteri antichi

Autore: Romano Maria Levante

Immagini sul sito:

La visita agli scavi sotto la prima Basilica cristiana dà inizio ai “venerdì di Archeorivista”, un appuntamento settimanale ai lettori con i ritrovamenti e i misteri dei reperti dell’antichità, che in Santa Maria Maggiore vede riassunti tanti motivi di particolare interesse e di indicibile fascino.

Nulla di catacombale si preannuncia nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore a Roma nel centralissimo rione Esquilino, nelle vicinanze della Stazione Termini in una zona con altre preesistenze e basiliche di grande pregio storico e artistico, da Santa Prassede a San Martino ai Monti. Si erge maestosa nella sua bellezza monumentale, con la deliziosa loggia delle benedizioni all’esterno affrescata in alto, le imponenti scalinate semicircolari di accesso dai due lati in basso.

La leggenda e il mistero della Basilica Liberiana

Ma entrando nella sua storia leggenda e mistero formano una miscela intrigante, c’è anche una nevicata il 5 agosto a Roma e una basilica costruita per celebrare l’evento su disposizione del papa Liberio con la liberalità del patrizio Giovanni; ad entrambi la Madonna avrebbe annunciato in sogno il prodigio della neve d’agosto sull’Esquilino dove si incontrarono tra la folla accorsa e il papa disegnò sulla coltre bianca i confini della chiesa. Si era tra il 352 e il 358, la basilica divenne realtà e ogni anno si celebra l’evento leggendario in Santa Maria Maggiore il 5 agosto con una pioggia di petali bianchi nella Cappella Paolina. Dalla leggenda al mistero il passo è breve, perché la Basilica Liberiana non corrisponde a quella attuale costruita tra il 432 e il 440 da papa Sisto III, iniziando l’anno dopo il dogma della maternità divina della Madonna proclamato nel Concilio di Efeso del 431.

“Liberio fecit basilicam nomine suo iuxta Macellum Liviae” la fonte ne indica così l’ubicazione, ma non sono state trovate tracce nella zona, di qui il mistero della sua “scomparsa”. E’ la prima grande basilica cristiana di Roma, dopo l’editto di Costantino del 313, in precedenza i luoghi di culto erano messi a disposizione dai membri della comunità per radunarsi, non essendovi esigenze di carattere rituale né architettonico, bastava riunirsi per trasmettersi il messaggio in sedi private. La basilica paleocristiana di papa Sisto fu fondata un secolo dopo sulla sommità nord dell’Esquilino.

I motivi di interesse di questo primo “venerdì di Archeorivista”

Per questa sua primazia, alla quale si unisce l’attrazione della leggenda e del mistero, abbiamo voluto iniziare i nostri “venerdì di Archeorivista” da Santa Maria Maggiore. Nei suoi sotterranei possiamo trovare i principali motivi di interesse e il fascino tutto particolare della fruizione di beni culturali e memorie del passato che regala l’archeologia allorché si visitano i siti e l’arte antica.

Abbiamo detto venerdì scorso, nel commentare l’indagine dell’Associazione Civita sul pubblico dell’archeologia, che mentre dinanzi alle opere d’arte si è presi soprattutto dalla bellezza e dall’emozione al cospetto di rappresentazioni suggestive dove c’è da decifrare soprattutto lo stile e la peculiarità dell’artista, nel sito archeologico il fascino è dato da quello che non si vede ma si intuisce perché ad esso fanno risalire gli indizi visibili in quanto supportati da fonti storiche, induzioni e anche supposizioni aperte a tutti.

Ci si trova a investigare e fare ipotesi ad alta voce e, quando la visita, come di solito, avviene in gruppo diventa un gioco coinvolgente, animato e partecipato. Tutto questo abbiamo riscontrato nella visita ai sotterranei di Santa Maria Maggiore, dove gli scavi con i reperti archeologici penetrano tra le fondamenta della maestosa cattedrale. Ci siamo aggregati al gruppo dell’Associazione culturale Info.roma.it, che organizza di continuo visite guidate nei siti archeologici e nelle chiese, nei palazzi e negli altri infiniti luoghi d’arte romani, con la dottoressa Adelaide Sicuro, archeologa accompagnatrice del gruppo, che dosa certezze e ipotesi riuscendo ad acuire l’interesse e a superare le eventuali delusioni iniziali rispetto ad attese non corrisposte.

La prima è stata lo scoprire che l’assetto catacombale del sito non dipende da vere e proprie catacombe, anche se siamo nella zona dove si trovava la necropoli dell’Esquilino, in un bosco sacro nel punto più alto della città, e se ne sentiva la presenza nell’aria, per così dire. La zona era inclusa solo parzialmente nelle Mura Serviane, in particolare per le Ville di Mecenate, vi erano parecchi luoghi di culto pagano, in particolare per Giunone Lucina che presiedeva alle nascite: per la fertilità e per prepararsi al parto ci si rivolgeva alla dea invocandola a mezzo di riti popolari con corse di giovani sotto i colpi della sferza. La zona, degradante verso la Suburra, continuò ad avere grandi orti e in parte fu urbanizzata. E’ attraversata dall’attuale Via Urbana, asse stradale di allora. Secondo alcune ipotesi la basilica nel nome della Madonna avrebbe potuto contrastare, con la sua immagine di Madre e con la natività divina, l’antico culto pagano legato a fecondità e maternità.

Abbiamo chiamato i sotterranei catacombe moderne perché in qualche modo le richiamano, trattandosi di cunicoli che si aprono in anditi e girano lungo il perimetro della Basilica creando dei sostegni. Nella loro modernità c’è il merito di essere stati il frutto di scavi decisi per un motivo funzionale: consolidare il sottosuolo per l’assetto statico e creare un’intercapedine intorno in modo da ridurre l’eccessiva umidità proveniente dal terreno essendo le fondazioni e le mura dell’edificio addossate alla collina; umidità tale da minacciare il prezioso pavimento cosmatesco della Basilica.

E’ vero che sin dal ‘700 si parlava di resti romani sotto la costruzione, ma non si era andati oltre queste sensazioni fino alle indagini e ai primi lavori del 1930-31 allorché si ebbero delle conferme; soltanto i lavori compiuti tra il 1964 e il 1971 per volontà di Paolo VI hanno portato a bonificare 1500 metri quadri di sotterraneo, i due terzi della superficie, di cui 500 per il Museo della Basilica.

Quindi un vasto scavo perimetrale senza che si sia andati sotto al corpo centrale. E sono stati proprio questi lavori a far venire alla luce reperti di notevole interesse che risalgono ad epoca anteriore alla realizzazione della Basilica cristiana, oltre a resti umani trovati nel sottosuolo.

Spiegato il senso delle catacombe moderne restano i misteri antichi del nostro titolo, ma questi non li possiamo conoscere all’inizio della visita, si dipaneranno nel corso della stessa con le notizie che l’archeologa Adelaide Sicuro dispensa dosandole con accortezza per creare un clima che presto va oltre l’interesse culturale. Il “corpus “completo di notizie lo dobbiamo alla cortesia del Prefetto del Museo della Basilica Papale, monsignor Michal Jagosz, a lui dobbiamo anche le immagini.

(I reperti visibili – immagini sul sito)

Innanzitutto i reperti visibili, due muri di “opus reticulatum” di un grande edificio romano. risalente al I secolo avanti Cristo fino all’età di Cesare, resti di un ambiente con delle nicchie e apparati di riscaldamento con parti di muro recanti dipinti e tracce di pavimento con mosaici.

Si è constatata la caratteristica tipica dei siti, l’evoluzione nel tempo con la costruzione di nuove strutture su quelle precedenti: qui sembra si tratti di due stanze aggiunte tra il II e il III secolo che furono prima decorate con marmi alle pareti, poi con affreschi: si tratta di un calendario agricolo diviso in due semestri la cui collocazione potrebbe essere o sulla stessa parete o su due pareti, una magari nella parte opposta del periplo dei sotterranei. Del calendario, in gran parte svanito, si apprezzano i resti di affreschi finemente decorati e le iscrizioni sulle operazioni stagionali. E’ il più antico pervenuto e l’unico nel luogo in cui fu affrescato; Filippo Magi, a cui va la scoperta, lo ritiene di poco successivo al 332 dopo Cristo perché sono menzionati i Ludi sarmatici celebrati dal 25 novembre al 1° dicembre dopo la vittoria in tale anno di Costantino sui Sarmati.

L’interesse della visita si è acuito, e si cerca di acuire anche la vista per distinguere i reperti visibili di un’opera di così grandi dimensioni: apprendiamo che nei 17 metri di lunghezza per ogni semestre erano scritti a caratteri bianchi su sfondo rosso i fatti da ricordare; i pannelli relativi ai singoli mesi intervallati per quasi tre metri tra l’uno e l’altro da dipinti di scene relative ai lavori del singolo mese. Il più visibile è il mese di settembre restaurato nel 2000 a cura dei Musei Vaticani con una veduta agreste finemente dipinta, una costruzione al centro, scene bucoliche intorno. Si avverte la delicatezza delle figure dipinte, alte meno di dieci centimetri, e si intravedono le scritte sui ludi circensi in corrispondenza della prima decade di ottobre e sui ludi sarmatici alla fine di novembre.

Ci fu una successiva fase di affreschi forse per il deterioramento di quelli preesistenti e il calendario venne ricoperto da pitture di scarso valore di tipo geometrico con decorazioni colorate a scacchiera. Una chicca, per così dire, è il palindromo latino che si intravede: tre parole che suonano nello stesso modo sia se sono lette da destra sia da sinistra, è la scritta in graffito Roma summus amor.

L’effetto catacombale non è dato soltanto dall’occasionale conformazione degli scavi, ma dai reperti di pregio che punteggiano il percorso, ben isolati e valorizzati nella loro consistenza, che rimandano di continuo alla Basilica soprastante, perché ne sono la base, non solo architettonica e costruttiva dato che la Basilica sorge su queste vestigia, ma anche e soprattutto storica nel senso che aiutano nella lettura delle vicende che hanno interessato quel sito nei primi secoli.

(Il mistero del Calendario e del Macello – immagine sul sito)

E qui scatta il mistero, che dà un sapore del tutto particolare alla visita, il gruppo di appassionati dell’antichità si comporta come una squadra di investigatori: fa ipotesi, le confronta con i reperti, ne discute, seguendo i percorsi logici oltre che storici della sapiente archeologa. Perché lo chiamiamo il mistero del calendario? Ne abbiamo descritto i resti e la presumibile conformazione originaria, ma c’è un altro enigma: come mai un calendario agricolo che descrive le operazioni campestri nelle varie date in una zona centrale non agricola, nelle vicinanze della quale c’era il Macello di Livia?

L’archeologa snocciola una serie di fonti, prima tra tutte il “Liber Pontificalis”, con le vite dei Pontefici a partire da Pietro, dove si parla della Basilica di Liberio presso (letteralmente “iuxta”) il Macello di Livia, all’inizio abbiamo riportato la citazione completa. Questo edificio doveva essere del I secolo dopo Cristo , nel II secolo c’erano altri ambienti. Ma se era un ambiente collegato al Macello, cioè al mercato, come si spiega il calendario delle lavorazioni agricole? E’ difficile trovarvi un nesso, né è stata accettata l’ipotesi avanzata dallo scopritore Filippo Magi, che i resti sotto la basilica fossero proprio del Macello intitolato nell’anno 7 a Livia, la celebre moglie di Augusto; non corrisponde la struttura, dai resti murari e da altri reperti sembra indubbio si trattasse di un cortile con portico, forma inusitata nei mercati.

E se fosse la domus di un grande proprietario terriero? E’ l’ipotesi prospettata dall’archeologa dopo una serie di supposizioni, con la quale ora il gruppo si trova a confrontare le rispettive opinioni.

La destinazione al culto cristiano è ancora lontana, nel periodo pre-costantiniano, lo abbiamo premesso, le “ecclesie” nel senso di assemblee si svolgevano in siti privati messi a disposizione dei proprietari, tra le pareti domestiche; ovviamente i più facoltosi avevano residenze adatte ad ospitare un certo numero di adepti, senza che vi fossero problemi di clandestinità, a parte le persecuzioni di Giuliano l’Apostata e di Diocleziano contro chi non ne riconosceva l’autorità imperiale.

Ma le ipotesi e l’enigma non impediscono di ammirare l’“opus reticulatum” del muro di contenimento del colle e di notare le irregolarità naturali e i dislivelli dei terrazzamenti originari. Diverse le opere murarie a sinistra e a destra, interrogativo di più facile risposta, e comunque meno intrigante dell’enigma vero e proprio: Macellum o Domus romana? C’è da guardare il pavimento con il mosaico, la parte dove spuntano resti di colonne che dovevano sostenere il porticato intorno al cortile. L’archeologa Adelaide Sicuro fa un excursus storico delle trasformazioni cittadine, serve a capire come le destinazioni mutano nel tempo fino a quando si arriva alla costruzione della grande basilica dedicata alla Madonna, “iuxta Macellum Liviae”, quella Liberiana “sparita” non quella attuale che realizzerà Sisto III dopo il Concilio di Efeso del 431, in posizione sopraelevata di sei metri sul piano stradale di allora, costruendola sopra l’edificio preesistente che risultò così interrato.

(Con le tegole d’epoca romana la fine della visita – Immagine sul sito)

Colpiscono le pareti dove sono collocate in bella vista le tegole d’epoca romana reperite nei lavori di restauro di fine 1800: laterizi datati con un bollo, sulla cui data come indizio del periodo dei lavori non si può fare troppo affidamento per la consuetudine di riutilizzare materiale da edifici dismessi o giacenze di magazzino. Ci sono bolli del periodo classico, bolli pagani e bolli cristiani con in mezzo il monogramma di Cristo, 66 di queste tegole hanno il bollo di Cassio, il suo nome in greco e le sigle degli angeli. Si distinguono anche i bolli di Teodorico del VI secolo , uno con la scritta  “in nomine Dei”, un altro con “Maria Madre di Cristo”; alla fine dell’VIII secolo il monogramma di papa Adriano I. Vi è collocata una serie di tegole da Caligola Nerone ad Eugenio IV, un excursus di 1400 anni a datare il percorso temporale di un’istituzione millenaria come la Chiesa di Cristo.

Dopo la parentesi molto significativa dell’archeologia delle tegole si torna a guardare i muri, l’alternanza di tufi a mattoni ben diversa dall’ “opus reticulatun” e dall’“opus sestile” di cui vi sono tracce, qualifica la diversità delle epoche attestate dai reperti murari: si scende in basso, un grande masso al centro e una costruzione rettangolare, la scena si anima, si intravede un affresco su uno zoccolo, e del marmo, rivestimenti preziosi che qualificano il censo dell’antico proprietario.

Resta l’incognita del calendario, anche se non ci si pensava più; il tormentone torna quando si giunge al lato opposto dove potrebbe esserci stato il secondo semestre. La visita è finita, ma in uscita ci regala un nuovo piccolo enigma: gli antichi mosaici ai bordi in alto nella navata centrale della grande Basilica sono molto piccoli, troppo per essere posti a quell’altezza. E allora? Erano destinati ad altro e perché sono lì? Quando, come? Si potrebbe continuare a discuterne ancora.

Ma per oggi può bastare, e dobbiamo essere grati all’Associazione culturale Info.roma.it per averci accolto nel suo gruppo. I misteri invogliano ad approfondire, lo abbiamo fatto anche con le notizie gentilmente forniteci dal cortese Prefetto del Museo della Basilica. Naturalmente né alla sapiente archeologa Adelaide Sicuro, né tanto meno all’autorevole Prefetto monsignor Michal Jagosz possono essere addebitate le lacune e le inesattezze nel racconto della visita. E’ la formula di stile dei ringraziamenti nelle pubblicazioni anglosassoni. Qui non è rituale, il cronista è l’unico responsabile di ciò che ha raccontato, di come lo ha metabolizzato e delle possibili mancanze; essendo Basilica Papale, viene in mente il “mi corrigerete” di Giovanni Paolo II dal balcone della loggia di San Pietro subito dopo l’ascesa al soglio pontificio, e ci fermiamo, “intelligenti pauca”.

Tornando sulla terra, diciamo che la suspence creata dal mistero del calendario ha dato luogo a un tipo di attenzione molto particolare. Speriamo di averne riprodotto il clima, l’atmosfera che si è creata, ed è quello che conta nella visita archeologica. Che fa captare echi e messaggi lontani, regala sorprese da cogliere in diretta. L’approfondimento verrà dopo, stimolato da queste sensazioni.

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