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LA STELLA CHE GUIDA MOLTI MAGI – Riflessione di Angelo del Favero

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LA STELLA CHE GUIDA MOLTI MAGI

Riflessione sulla Solennità dell’Epifania

Angelo del Favero

ROMA, Thursday, 3 January 2013 (Zenit.org).

Is 60,1-6
« Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla su di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.. ».
Ef 3,2-3a.5-6
« Fratelli…: per rivelazione mi e’ stato fatto conoscere il mistero…: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredita’, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo. ».
Mt 2,1-12
« Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: « Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo ». All’udire questo, il re Erode resto’ turbato e con lui tutta Gerusalemme (…).
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: « Andate e informatevi accuratamente  sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo ». Udito il re, essi partirono.
Ed ecco, la stella che avevano visto spuntare, li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e
gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’ altra strada fecero ritorno al loro paese ».
« Alzati, rivestiti,..viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te… su di te. (…)..su di te. » (Is 60,1s): la Parola di Dio interpella oggi ognuno di noi come se fosse l’unico a dover essere illuminato. Il profeta Isaia sembra fissarci uno per uno: « …su di te… su di te », e Paolo fa intendere che i pagani di un tempo sono diventati i cristiani di oggi, i battezzati, che non si alzano più nemmeno per andare a Messa il giorno di Natale.
Sono dunque anzitutto io che mi devo svegliare dal sonno, mi devo rivestire, mi devo preparare; perché il Signore viene proprio da me, la sua luce è un faro puntato su di me. Egli viene per me! E’ allora insufficiente che io mi accontenti di trovare risposte a queste domande: « Che genere di uomini erano quelli che Matteo qualifica come Magi venuti dall’Oriente? Perché si sono mossi da così lontano? ». E’ meglio piuttosto che mi chieda: perché sono ancora addormentato e non mi decido ad alzarmi? Non vedo forse tutta la luce che mi avvolge? Non mi interessa? Preferisco ancora la luce del teleschermo? ».
Ecco, se ho bisogno di conferme che faccio anch’io parte dei Magi, ne trovo subito una assai autorevole: « Questi uomini sono dei predecessori, dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano tutti i tempi.(…) Rappresentano l’attesa interiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo ». (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù).
Allora, il fatto che il mondo intero vada dietro a maghi e astrologi, e che oggi chiunque accenda una stella più luccicante delle altre subito trova mille compagni di illusione che gli vanno dietro, non mi deve distrarre dalla cosa che viene per prima: che io non sia uno di
loro!
Sì, perché quella dei Magi di Matteo non e’ una favola. L’epifania del Signore è la più grande e la più vera storia mai accaduta e raccontata. Ed è anche la storia più « sociale » e più « comune » di tutte, dato che il protagonista è Uno di noi, Uno nato come noi, Uno che e’ morto come noi, Uno che ha a che fare con ognuno di noi.
Perciò qui importa solo questo: che sia io il primo ad alzarmi, senza fermarmi prima a vedere chi è sveglio e chi non lo è. Importa che sia io a rivestirmi, non di vestiti alla moda, ma della luce che promana dal Bambino più famoso e più dimenticato del mondo; vale a dire che mi metta in ginocchio ad adorarlo, così come sto, ancora in pigiama.
E lo posso fare veramente in questo stato, perché il Bambino adorato dai Magi è il Dio che ha creato la mia anima facendola della sua stessa Luce, sicché basta che mi guardi dentro, con umiltà e stupore, e la luce mi investirà come al sorgere dell’aurora. Anzi, molto di più: Cristo infatti sta come un sole sopra la mia anima di battezzato, e, se mi deciderò a spalancargli le porte, la sua Luce mi inonderà.
Ma cosa significa spalancare le porte a Cristo? Risponde uno che le teneva chiuse da molto tempo prima di aver visto spuntare la sua stella: « Sempre e in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi. Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare.
L’amore di Dio è il primo come comandamento, ma l’amore del prossimo è il primo come attuazione pratica. Siccome pero’ Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l’occhio per poter vedere Dio. Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se
non al Signore? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l’abbiamo sempre con noi. Aiuta dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a Colui con il quale desideri rimanere » (S. Agostino, dai Trattati su Giovanni, 17,7-9).

OMELIA PER LA SOLENNITÀ DI MARIA SS. MADRE DI DIO: DIO MANDO’ SUO FIGLIO, NATO DA DONNA… -

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/02-Natale-2012/Omelie/03-Maria-Madre-di-Dio-C-2013-BF.html

DIO MANDO’ SUO FIGLIO, NATO DA DONNA…

Il sentimento prevalente di questa giornata è quasi certamente quello del tempo. Un nuovo anno inizia. Anche Gesù è venuto quando il tempo era « pieno », ci spiega San Paolo:

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna,
nato sotto la legge,
per riscattare coloro che erano sotto la legge,
perché ricevessimo l’adozione a figli.

La pienezza del tempo è un’espressione magnifica. Significa il momento giusto, il tempo fissato da Dio, il « grande giorno ».
Se vogliamo incontrare Gesù, anche il nostro deve essere un tempo « pieno ». Non è facile però riempirlo.
Un romanzo termina con questa frase: « Non so neppure che cos’è la bontà. Sto con voi perché mi fa piacere. La vostra presenza mi rende ora lieto ora triste, qualche volta mi fa soffrire molto. Ma sempre mi tiene vivo, mi fa godere di più della gioia, rende più acuti i miei occhi e più sensibili le mie orecchie; la mia mente è più desta; e se mai occorresse, avrei più coraggio. Senza di voi, forse non soffrirei, ma vivrei di meno. E la vita è tutto quello che abbiamo ».
La vita è tutto quello che abbiamo!
L’anno è appena cominciato e già comincia a correre. Che fine fa il tempo che viviamo? Ma soprattutto a che serve? Il passato diventa così facilmente solo un’ombra o peggio un rimpianto.
Sulle lapidi del cimitero, tra la data di nascita e quella di morte c’è di solito un trattino di pochi centimetri. Quel trattino è la vita? Una vita ricca di amore, lavoro, preoccupazioni, gioie in pochi centimetri?
Le frasi più tristi dell’esistenza sono: « Avrebbe potuto andare diversamente », « Ah, se soltanto… », « Ah! se mia moglie non mi avesse lasciato! », « Ah! se non fossimo stati costretti a traslocare! ». Chi le pronuncia vive essenzialmente il proprio ambiente come un luogo ostile, che non gli consente di agire, di realizzare i propri ideali, le proprie scelte, di essere se stesso. Vive uno stato di frustrazione e di sofferenza perché l’ »Ah!, se … » dà l’idea che l’essere umano non possa scegliere né decidere alcunché. « Sono obbligato a… « , « Non ho altra scelta… ».
Dopo una conferenza, una signora testimoniò il contrario:
Mi hai chiesto se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ci ho pensato un po’ su.
Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato meno e ascoltato di più.
Non avrei rinunciato ad invitare a cena gli amici soltanto perché il mio tappeto aveva qualche macchia e la fodera del divano era stinta.
Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto buono e mi sarei preoccupata molto meno dello sporco prodotto dal caminetto acceso.
Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno, quando rievocava gli anni della sua giovinezza.
Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate, che i finestrini della macchina fossero alzati perché avevo appena fatto la messa in piega.
Non avrei lasciato che la candela a forma di rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sgabuzzino. L’avrei consumata io, a forza di accenderla.
Mi sarei stesa sul prato con i bambini senza badare alle macchie d’erba sui vestiti.
Avrei pianto e riso di meno guardando la televisione e di più osservando la vita.
Avrei condiviso maggiormente le responsabilità di mio marito.
Mi sarei messa a letto, quando stavo male, invece di andare febbricitante al lavoro quasi che, mancando io dall’ufficio, il mondo si sarebbe fermato.
Invece di non veder l’ora che finissero i nove mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la cosa stupenda che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo.
A mio figlio che mi baciava con trasporto non avrei detto: « Su, su, basta. Va’ a lavarti che la cena è pronta ».
Avrei detto più spesso: « Ti voglio bene » e meno spesso:  » Mi dispiace »… ma soprattutto, potendo ricominciare tutto daccapo, mi impadronirei di ogni minuto… lo guarderei fino a vederlo veramente… lo vivrei… e non lo restituirei mai più.

Le persone che vogliono riempire il tempo sono pronte a cogliere i segni dei cambiamenti e ad anticiparli in modo da non trovarsi spiazzate. Si collocano al comando della cabina di pilotaggio della vita, tengono conto delle caratteristiche dell’apparecchio, del bollettino meteorologico, della propria esperienza di pilota, degli obiettivi e anche della necessità, qualche volta, di modificare il piano di volo.
Questo tempo che ci è dato è l’unica occasione che abbiamo quaggiù. Non ce ne sarà data un’altra. Eppure lasciamo che tutto scorra tra gesti d’impazienza e tanta noia. Che cosa ci tiene così spesso in uno stato di torpore? Abitudini, attaccamenti, la vischiosità e il grigio del tutto uguale. Ci accorgiamo che la vita se ne andata e non abbiamo vissuto.
Grandi cose ci sfiorano, ci passano nell’anima come acqua sulle pietre.
Vivere in pienezza, significa avere il gusto di vivere, assaporarne la miracolosa bellezza. Vivere, non lasciarsi vivere.
Il vero guaio del nostro tempo è la velocità eccessiva che ha preso la vita. Così finiamo per vivere crocifissi tra due ladroni, come Gesù, il passato da una parte e il futuro dall’altra. Il presente è divorato dal nulla. Ma non si può vivere per niente. Non si può vivere di vuoto.
Non basta semplicemente vivere. Occorre precisare per che cosa si vive. Non basta guardare il calendario, 1′orologio. Bisogna dare un significato ai giorni, alle ore, ai minuti.
Non basta, come ha fatto osservare acutamente qualcuno, aggiungere anni alla vita. È necessario aggiungere vita agli anni. La vita corre veloce. Non si può sbrigare la vita come una faccenda di ordinaria amministrazione. È magnifico vivere. A patto sia veramente vita. Non una rappresentazione, un’apparenza, un funzionamento. Non si tratta di far passare il tempo. Si tratta di far passare il tempo nella vita.
All’inizio del nuovo anno, molta gente è curiosa di sapere in anticipo ciò che succederà nella propria vita e nel mondo. Si consultano, in proposito, i maghi più o meno famosi. Persino i giornali più contegnosi ospitano e azzardano previsioni per il futuro.
Probabilmente tutti prenderemo in mano un calendario. Dovremmo guardare i singoli foglietti o le pagine con un senso di venerazione. Renderci conto che a ognuno di quei foglietti sono appese diverse speranze.
Le speranze di Dio, prima di tutto. Ogni giornata che arriva e Dio che ci fa segno… Ogni nuova giornata è « segno » della speranza di Dio nei nostri confronti.
Ogni foglietto, ogni spazio bianco accanto al giorno, contiene, non un numero, ma una notizia:  » Ti informo che c’è un Dio che spera, che oggi attende qualcosa di buono da te… « 
Ma i fogli del calendario vanno letti anche come « segno » delle attese degli uomini. La nostra vocazione cristiana, non dobbiamo dimenticarlo, non è un fatto individuale, ma è « dono per la felicità di tutti ». Quindi tutti gli uomini hanno diritto di aspettarsi qualcosa da noi.
Il miglior augurio che possiamo formulare è che nel prossimo anno siamo in grado di comunicare a tutti una « buona notizia », come i pastori di Betlemme:

In quel tempo, i pastori andarono senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.

La buona notizia è questa: qualcuno sta cercando di prendere sul serio il Vangelo, qualcuno ha deciso di riempire il suo tempo con il messaggio di Gesù di Nazaret.
Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
« Frate portinaio », disse il contadino, « sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna? ».
« Forse all’abate o a qualche padre del convento ».
« No. A te! ».
« A me? ». Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. « Lo vuoi dare proprio a me? ».
« Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia ». La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un’idea: « Perché non porto questo grappolo all’abate per dare un po’ di gioia anche a lui? ».
Prese il grappolo e lo portò all’abate.
L’abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: « Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco ». Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro. Finché, di frate in frate, il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia). Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.
Non possiamo aspettare che inizi qualche altro. Tocca a ciascuno di noi, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare.

BRUNO FERRERO sdb

14 SETTEMBRE : ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE – UFFICIO DELLE LETTURE

http://www.maranatha.it/Ore/solenfeste/0914letPage.htm

14 SETTEMBRE : ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 2, 19 – 3, 7. 13-14; 6, 14-16

La gloria della croce
Fratelli, mediante la legge io, Paolo, sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.
O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?
Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia (Gn 15,6). Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno (Dt 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.
Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.

Responsorio Cfr. Gal 6, 14; Eb 2, 9
R. Nostro unico vanto è la croce del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza e risurrezione per noi: * egli ci ha salvato e liberato.
V. Lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto:
R. egli ci ha salvato e liberato.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull’Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023).

La croce è gloria ed esaltazione di Cristo
Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell’albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l’inferno non sarebbe stato spogliato.
È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell’inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l’universo.
La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà » (Gv 13,31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12,28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.

14 SETTEMBRE: ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (ANNO B)

http://www.agosti.191.it/laparola/HTML%20PAROLE%20DI%20VITA/ANNO%20B/B05%20-%20FESTIVITA’%20DEL%20SIGNORE,%20DELLA%20B.V.%20MARIA%20E%20DEI%20SANTI/B09%20-%20ESALTAZIONE%20DELLA%20SANTA%20CROCE%20(14%20SETTEMBRE).htm

14 SETTEMBRE: ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (ANNO B)

La Chiesa Madre di Gerusalemme iniziò a venerare la Santa Croce del Signore sin dalla prima metà del quarto secolo; tale celebrazione coinvolse successivamente l’intera Chiesa Cristiana, in particolare quella d’Oriente, che in questa giornata ricorda il supplizio sulla Croce con una solennità paragonabile a quella della Santa Pasqua. La data (14 settembre) vuole ricordare anche la realizzazione della stupenda basilica sul Golgota (Calvario) per opera di Costantino, inaugurata appunto il 14 settembre del 335; in quell’occasione, durante la celebrazione eucaristica, si annunciò anche il ritrovamento dei resti del “Legno della Croce”. Da allora, ogni anno in tale data, a Gerusalemme e in tutte le Chiese del mondo, l’avvenimento è ricordato con una cerimonia molto suggestiva, durante la quale il sacerdote celebrante alza la Croce verso i quattro punti cardinali, per indicare l’universalità della salvezza; la Croce, infatti, è il “segno” supremo e indelebile della Risurrezione del Signore, e del disegno di bontà che il Padre ha compiuto per la redenzione dell’intera umanità. Oggi la Chiesa, con l’esaltazione della Santa Croce, vuole ricordare il grande amore di Cristo per ogni essere umano, perché su quel “Legno Santo” è stato sconfitto per sempre l’amore per se stessi e ha trionfato definitivamente l’amore per gli altri; la Croce, quindi, è la sintesi dell’amore del Padre nel Figlio per l’intera umanità.
Tutte le letture bibliche rispecchiano questa grande realtà. La prima, tratta dal libro dei Numeri, racconta come Mosè, per salvare il popolo eletto dal giusto castigo (il morso dei serpenti velenosi), innalzò un serpente di bronzo assicurando la salvezza a chiunque lo avesse guardato con fiducia. In realtà, come ricorda esplicitamente l’Apostolo Giovanni nel brano evangelico, si trattò della prefigurazione della Croce sulla quale fu innalzato Gesù di Nazareth (Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna). L’epistola riporta la meravigliosa catechesi dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Filippi, dove ricorda come il Figlio di Dio, incarnandosi per la salvezza degli uomini, si umiliò nella morte di Croce fino allo “svuotamento” di tutta la sua gloria divina. Ma il Padre lo ha esaltato dandogli anche come uomo titoli divini; quelli cioè che competevano a JHWH che è l’equivalente greco di Signore.

PRIMA LETTURA

Dal libro dei Numeri 21,4-9
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio e disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì. Perciò il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.

Il brano proposto dalla Liturgia come prima lettura in questa solennità che esalta la Santa Croce vede il popolo eletto, ormai esausto, errare nel deserto, sfiduciato e disperato; esso non accetta più il disegno di salvezza del Signore, e nemmeno il grande Patriarca Mosè come mediatore, e chiede di ritornare come schiavo dal faraone in Egitto. Quel “mormorare” nella lingua semitica ha un significato più intenso di un semplice “borbottare” o “mugugnare”, perché rappresenta diffamazione e ribellione nei confronti di un’altra persona; un peccato orribile, rovinoso, come fu per Adamo ed Eva istigati appunto dal serpente, il persuasore della morte. E il Signore, come segno punitivo, invia nell’accampamento degli Israeliti proprio i serpenti mortali, simbolo della potenza sacra del faraone e della sua magia evocatrice di divinità. Dinnanzi a tanta “potenza divina” il popolo pentito si converte, confessa il proprio peccato contro il Signore, e chiede a Mosè di intercedere per ottenere la salvezza che Dio, nella sua infinita bontà, non può che concedere, subordinandola però alla fabbricazione di un serpente di bronzo (gioco di parole ebraico tra “nahash”, il serpe, e “nehushtan”, bronzo), da innalzare e guardare con fiducia.
Il pregio del racconto non è evidentemente nella realizzazione del serpente di bronzo (probabilmente legato a un culto idolatrico del tempo), ma nell’atto di fede in JHWH che ha donato al popolo eletto il simbolo materiale per manifestare il proprio pentimento; un espediente divino per dimostrare che la salvezza (fisica e spirituale) può avvenire unicamente per la fiducia in Dio o, meglio, in Cristo innalzato sulla Croce. Riflettendo sullo sguardo pieno di fiducia degli Israeliti rivolto al serpente per ottenere la guarigione (uno sguardo proteso verso la salvezza), viene spontaneo meditare su altri due sguardi: lo sguardo di quanti, “quel giorno” sul Golgota, contemplarono Gesù innalzato sulla Croce (tra cielo e terra) per la salvezza del mondo, e lo sguardo di coloro che quotidianamente, pieni di fiducia, si rivolgono al Crocifisso sicuri di essere compresi e aiutati. Nel momento più tragico della sua breve vita terrena, anche lo sguardo di Gesù si è sicuramente posato su ciascuno dei presenti, abbracciando così l’umanità intera che ancora oggi continua a sperare nella ricchezza inesauribile del suo amore.

SALMO RESPONSORIALE

Dal Salmo 77
Sei tu, Signore, la nostra salvezza.
Popolo mio, porgi l’orecchio al mio insegnamento, ascolta le parole della mia bocca. Aprirò la mia bocca in parabole, rievocherò gli arcani dei tempi antichi.
Quando li faceva perire, lo cercavano, ritornavano e ancora si volgevano a Dio; ricordavano che Dio è loro rupe, e Dio, l’Altissimo, il loro salvatore.
Lo lusingavano con la bocca e gli mentivano con la lingua; il loro cuore non era sincero con lui e non erano fedeli alla sua alleanza.
Ed egli, pietoso, perdonava la colpa, li perdonava invece di distruggerli. Molte volte placò la sua ira e trattenne il suo furore.

Il Salmo 77, nel suo insieme, è un’immensa meditazione sulla storia della salvezza che ha ispirato anche il grande compositore Händel quando realizzò la sua stupenda opera (oratorio) “Israele in Egitto”. Lo stile, però, è più quello della lode che della descrizione storica, perché il “credo” d’Israele si fonda esclusivamente sulle azioni che Dio compie nella storia dell’uomo.
Il breve testo proposto dalla Liturgia inizia con le parole dell’orante che, in forma sapienziale, invita l’intera assemblea ad ascoltare le sue parole perché provengono direttamente da Dio, che in forma allegorica (parabola) rivela i segreti della storia passata, perché diventino tesoro della vita presente. Successivamente l’Autore Sacro rievoca, in modo discreto, l’episodio dei serpenti mortali nel deserto e la conversione del popolo al Signore, unico vero Guaritore e Redentore (Quando li faceva perire, lo cercavano, ritornavano e ancora si volgevano a Dio), e termina ricordando come egli (il Signore), nella sua infinita bontà, punisce, ma non distrugge, e aiuta sempre chi crede nelle sue opere divine.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

Le semplici parole tratte dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi, proposte come seconda lettura in questa solennità che esalta la Santa Croce, racchiudono un sublime e inesauribile “inno cristologico”; in poche, ma densissime, espressioni l’Apostolo delle genti descrive l’arco dell’abissale “annientamento” del Cristo che, più di un’umiliazione, egli vede come uno “svuotamento” o, meglio, uno “spogliamento” del divino che preesisteva nel Figlio di Dio. La morte di Croce, accettata in spirito di obbedienza al Padre, rappresenta l’ultimo gradino di questo suo volontario “sprofondare” nella più mortificante situazione umana. Paolo, però, non chiude la sua immagine su questo abisso di apparente sconfitta di Cristo; egli fa intravedere anche la sua successiva esaltazione a Signore della gloria, mediante il prodigio della Risurrezione. Il brano si inserisce in un contesto ben preciso: perché regni l’umiltà, l’amore e la concordia tra i fratelli, è necessario avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù; egli non ha avuto paura, e come vero Servo sofferente ha vissuto fino alla morte l’esperienza umana; per questo Dio ha premiato la sua fedeltà glorificandolo e rendendolo Signore. Paolo, in questo modo, raffigura sia l’incarnazione, sia il mistero pasquale che non è solo “Risurrezione” da morte, ma anche “Esaltazione”, cioè innalzamento, ascensione, glorificazione del Risorto nei cieli della divinità.
È affascinante il contrasto tra la “passione” e la “gloria” di Cristo proposto dall’Apostolo delle genti: inizialmente egli vede la discesa umiliante del Figlio di Dio che “precipita” fino allo “svuotamento” (tale è il senso del verbo greco “ekenosen”) di tutta la sua gloria divina con la morte di Croce e con il supplizio dello schiavo, diventando così l’ultimo degli uomini, ma vicino e fratello dell’intera umanità; successivamente Paolo descrive l’ascesa trionfale che si compie nella Pasqua, quando Cristo si presenta nello splendore della sua divinità con il nome di Signore nell’esaltazione gloriosa celebrata da tutto il cosmo (cieli, terra e inferi) e da tutta la storia ormai redenti. Sono delle affermazioni molto belle, che fanno comprendere come la salvezza divina sia destinata a tutta l’umanità, perché è il frutto dell’intervento onnipotente di Dio nella storia dell’uomo; egli ha sacrificato il Figlio per la salvezza della sua creatura più cara; un “dono” che deve essere “meritato” attraverso una docile e gioiosa corrispondenza.
L’uomo, anche se credente, generalmente parla dell’Incarnazione e del sacrificio della Croce in modo superficiale, come di qualche cosa di semplice e di naturale; in realtà egli non ha nessuna esperienza della natura divina e conosce in modo superficiale anche se stesso. Quando questo “balzo” dall’eternità nel tempo è proposto come modello di carità, se non è meditato profondamente è possibile venga considerato come un semplice paradosso senza incidenza concreta. “Dare la vita per i propri fratelli” può diventare una “frase fatta” se l’esperienza di un Vangelo vissuto personalmente non crea almeno i presupposti di una vita in comune con Cristo incarnato, crocifisso e risorto.

IL VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,13-17
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui».

Il brano evangelico di questa particolare solennità segue il colloquio di Gesù con Nicodemo (fariseo, maestro della legge, che divenne discepolo di Gesù difendendolo davanti al sinedrio) e presenta in modo concreto la realtà della fede cristiana che dona la vita (la passione di Cristo simbolizzata nel serpente di bronzo, e l’amore del Padre che nel Figlio vuole la salvezza di ogni essere umano); un agire divino nella storia o, meglio, un rivelarsi dell’amore di Dio che, allora come oggi, non è stato da tutti compreso e accettato, provocando la divisione fra gli uomini. A Nicodemo il Rabbi di Nazareth rivela, che per avere la vita eterna, è necessario “rinascere”, cioè “nascere dall’Alto” (dal Cielo) per mezzo della potenza dello Spirito battesimale; concetti stupendi, ma di difficile comprensione, non solo per Nicodemo, ma anche per un vero cristiano credente. A causa del peccato umano, infatti, vi è una “distanza” enorme tra la terra e il cielo, che è la metafora per indicare il “luogo” inaccessibile del Dio trascendente al quale nessuno potrà mai accostarsi con le sole forze umane.
Solo Cristo, unica “primizia”, è già “asceso al cielo” dal Padre, perché è colui che da sempre è presente nella pienezza del seno paterno, da dove è disceso nell’abisso di perdizione degli uomini peccatori; egli è “il Figlio dell’uomo” (l’unico nome che Gesù si sia dato nella sua breve vita terrena), cioè colui che è presente in Dio, viene da Dio e da Dio è inviato (nella forma di figlio di uomo) agli uomini per riportare il Regno, la gloria e la gioia tra gli uomini. Quindi, Dio, essere divino, si è fatto uomo nel Figlio Gesù Cristo (il mistero dell’Incarnazione) per annunciare la salvezza all’intera umanità; una “venuta” che, nonostante sia stata annunciata dai Profeti, non fu realmente attesa dal popolo eletto. Egli, come il “serpente di bronzo” che Mosè eresse nel deserto per la conversione e la guarigione degli Israeliti, sarà “innalzato” o, meglio “esaltato” sulla Croce, il trono della divina gloria e dell’eterna misericordia; questa esaltazione del Figlio dell’uomo sofferente sulla Croce è voluta dal disegno divino, che sempre agisce in modo contrario alla logica umana. Dio ama da sempre il mondo e la sua creatura più cara in modo così esclusivo da comportarsi in modo apparentemente assurdo e quasi paradossale; egli, abbandonando sulla Croce l’unica realtà dovuta alla sua paternità divina (il suo unico Figlio), praticamente dona la parte più intima di se stesso. Per avere la salvezza eterna è necessario credere in questa grande verità che solo lo Spirito Santo può rivelare: un “intervento salvifico” operato dal Padre mediante il Figlio e lo Spirito.
Al termine del commento di questa stupenda pagina evangelica è bello evocare una delle più celebri parafrasi del “Padre nostro”, quella che, al canto undicesimo del primo girone del Purgatorio di Dante, è recitata dalla lenta processione degli spiriti superbi.

Preghiera

O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,

laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore
da ogne creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.

Vegna ver’ noi la pace del tuo regno
ché noi a essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.

Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.

Da’ oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più gir s’affanna.

E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.

Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.

Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restano.

Amen.

Publié dans:FESTE DEL SIGNORE |on 13 septembre, 2012 |Pas de commentaires »

15 GIUGNO : SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ – UFFICIO DELLE LETTURE

15 GIUGNO : SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo – 8, 28-39

L’amore di Dio si è manifestato in Cristo
Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?
Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello (Sal 43, 22).
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Responsorio Cfr. Ef 2, 5. 4. 7
R. Morti eravamo per i peccati, Dio ci ha fatti rivivere con Cristo: * grande è l’amore con il quale ci ha amati.
V. Per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia:
R. grande è l’amore con il quale ci ha amati.

Seconda Lettura
Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo
(Opusc. 3, Il legno della vita, 29-30. 47; Opera omnia 8, 79)

Presso di te é la sorgente della vita
Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.
Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37), per divina disposizione é stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed é, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48, 28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83, 4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12, 3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2, 10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.
Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l’intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell’eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.
O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità é senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile!
Da te scaturisce il fiume «che rallegra la città di Dio» (Sal 45, 5), perché «in mezzo ai canti di una moltitudine in festa» (Sal 41, 5) possiamo cantare cantici di lode, dimostrando con la testimonianza dell’esperienza, che «in te é la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35, 10).

Ascensione del Signore: Dai « Discorsi » di Guerrico d’Igny.

http://www.certosini.info/preghiera/lezion/b/tp_ascensione.htm

Tempo di Pasqua

ASCENSIONE DEL SIGNORE

Solennità

Dai « Discorsi » di Guerrico d’Igny.

« Padre, quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato ». Gv 17,12. Il Signore pregò così alla vigilia della sua passione. Tuttavia, non è sbagliato applicare questa preghiera al giorno dell’Ascensione: infatti fu quello il momento in cui si separò dai discepoli che affidava al Padre.
Il Signore che in cielo istruisce e guida i cori angelici che ha creati, si era associato in terra un gruppetto di discepoli per istruirli con la sua presenza corporea fino al momento in cui i loro cuori si fossero dilatati e lo Spirito avesse potuto ormai guidarli. Così Cristo amava quei piccolissimi di un amore degno della propria grandezza. Li aveva distolti dall’amore del mondo e li aveva indotti a lascìar cadere ogni speranza terrena: ora li vedeva dipendere unicamente da lui. Ma finché restò tra loro con il corpo, non prodigò tanto facilmente le espressioni del suo affetto, dimostrandosi fermo più che tenero, proprio come si addice a un maestro e a un padre.
2
Quando però giunse il momento della separazione, Cristo fu quasi sopraffatto dalla tenerezza del suo amore per i discepoli e non poté più dissimulare l’intensità e la dolcezza dei suoi sentimenti fino allora celati. Per questo nel vangelo si legge: « Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. » Gv 13,1. Allora fu come se effondesse per i suoi amici tutta la ricchezza del suo amore, prima ancora di riversare come acqua tutto sé stesso per i suoi nemici.
In quel momento consegnò loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituì la celebrazione: non so se in questo dobbiamo ammirare dì più la potenza o l’amore di Gesù. Cristo aveva trovato così un nuovo modo di rimanere con i discepoli per consolarli della sua partenza: pur allontanandosi in apparenza col corpo, sarebbe rimasto non solo con loro, ma addirittura in loro, in virtù del sacramento. Allora quasi dimentico della propria maestà, come facendo ingiuria a sé stesso – anche se la gloria della carità consiste nell’umiliarsi per gli amici – il Signore con meravigliosa condiscendenza lavò i piedi agli apostoli; con un solo atto dette l’esempio dell’umiltà e il sacramento del perdono.
3
Sempre in quella circostanza, dopo averli a lungo incoraggiati, li affidò al Padre. Felici loro che avevano per avvocato lo stesso giudice! Per essi prega colui che si deve adorare, con lo stesso amore che ha colui che viene implorato: il Padre, con cui Cristo è un unico spirito, una sola volontà e una sola potestà, poiché Dio è uno. E’ naturale che tutto quello per cui Cristo prega si realizzi, perché la sua parola è atto e la sua volontà efficace. Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste. Cristo afferma: « Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io. » Gv 17,24. Quanta e quale sicurezza per i fedeli! Quanta fiducia per i credenti! Basta soltanto che cerchino di non perdere la grazia ricevuta. Questa sicurezza infatti non è offerta unicamente agli apostoli o ai loro condiscepoli, ma a tutti quelli che per la loro parola avrebbero creduto nel Verbo di Dio.
4
« Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me. » Gv 17,20. A voi fratelli, è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui: Fil 1,29 come quelli che la fede nella promessa di Cristo corona con assiduo martirio nella quotidiana lotta contro i vizi; li rende infatti non inoperosi per la sicurezza ma più ferventi nell’ardore. Martirio assiduo ma facile; facile ma sublime. Facile, perché non comanda nulla oltre le forze. Sublime, perché trionfa di tutta la potenza del nemico che è come un forte armato. Non è forse facile portare il soave giogo di Cristo e sublime l’esser coronati nel suo regno? Quale cosa più facile del portare le ali che portano colui che le porta? Quale cosa più sublime del volare al di sopra dei cieli ove è asceso Cristo? Sì, i santi, la cui giovinezza si rinnoverà come quella dell’aquila, prenderanno ali e voleranno. Dove? « Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi ». Lc 17,37 sentenzia il vangelo di Cristo.

Maria, nuovo monte Sinai dove Dio discende

http://www.mariedenazareth.com/526.0.html?&L=4

Maria, nuovo monte Sinai dove Dio discende

La tradizione cristiana conta una importante serie di testi nei quali la Vergine è paragonata ad un monte, in generale e alcuni di essi salutano in lei il nuovo monte Sinai.
Romano il Melode (+ 560) :
« … io, il dolce, sono sceso infine dai cieli, come la manna, non sul monte Sinai, ma nel tuo seno. » [1]

San Giacomo di Sarug (+ 521)
paragona il grembo di Maria, adombrato dallo Spirito Santo, al monte Sinai, adombrato dalla nuvola. [2] Egli scrive :
« Come quando Mosé annunciò al popolo che l’Eccelso doveva discendere, e appena si furono purificati allora discese il Padre sopra il monte, così il Vigile [Gabriele] portò l’annuncio alla fedele [= Maria], la quale, come l’ebbe udito, si preparò e così in essa egli abitò. » [3]

Sant’Efrem Siro (+ 373):
« Come il monte Sinai io Ti ho ricevuto, tuttavia non rimasi bruciata dal fuoco tuo violento, poiché tu occultasti quel fuoco tuo affinché non mi nuocesse ; e non bruciò la fiamma tua che i serafini guardare non possono. » [4]
Si potrebbe citare anche Andrea di Creta e altri …. Perché dunque questi autori hanno salutato in Maria il nuovo Sinai ? Le radici di questo parallelismo si trovano nella Bibbia stessa.

Sul monte Sinai fu ratificata l’antica alleanza
Tre furono gli attori di quel grande evento :
Dio,
Mosè,
il popolo.
Dio, mediante Mosè, parlò alle tribù d’Israele radunate, manifestando il suo progetto di voler stringere con loro un legame particolarissimo, fondato sull’accoglienza della sua Legge.
« Poi Mosè salì verso Dio ;
e l’Eterno lo chiamò dal monte, dicendo:
Così dirai alla casa di Giacobbe e questo annuncerai ai figli d’Israele: « Voi avete visto ciò che ho fatto agli Egiziani, e come io vi ho portato sulle ali d’aquila e vi ho condotto da me. Or dunque, se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia. E sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d’Israele ».
Allora Mosè mandò a chiamare gli anziani del popolo, ed espose loro tutte queste parole che l’Eterno gli aveva ordinato di dire. E tutto il popolo rispose insieme e disse: « Noi faremo tutto ciò che l’Eterno ha detto ». Così Mosè riferì all’Eterno le parole del popolo. »
(Es 19,3-8)
« Mosè allora venne e riferì al popolo tutte le parole dell’Eterno e tutte le leggi. E tutto il popolo rispose a una sola voce e disse: « Noi faremo tutte le cose che l’Eterno ha detto ». »
(Es 24,3)

Da quel giorno, Dio divenne Sposo d’Israele e Israele sposa di Dio. (cfr Ez 16,8)

Anche a Nazareth, come già al Sinai, abbiamo tre attori
Dio,
l’angelo,
Maria.
Dio, mediante l’angelo Gabriele, fa conoscere a Maria il compito che stava per assegnarle : divenire madre del Figlio suo divino, nel quale è sigillata l’alleanza nuova ed eterna tra cielo e la terra. (Lc 1,26-33).
E Maria, opportunamente istruita dall’angelo, accoglie la proposta divina con le celebri parole:
« Sono la serva del Signore, oh, si ! avvenga di me secondo la tua parola. »
(Lc 1, 38)
A seguito del Fiat della Vergine, il Figlio dell’ Altissimo si incarnò nel suo grembo e divenne il Figlio di Maria.
 Il Sinai e Nazareth si congiungono
La montagna maestosa ove ebbe principio l’antica alleanza, cede adesso il paso all’umile borgata della Galilea, dove è inaugurata l’alleanza nuova di Dio, uomo tra gli uomini nel grembo di una donna.
Il Verbo prende dimora in lei come su un monte spirituale; scende il pacifico, dolce, misericordioso. A Nazaret commincia l’Alleanza nuova. 
Per essere più vicini a noi, e nostro « alleato », Dio preso nostra carne e nostro sangue, nostro volto, in una parola, nostra umanità.
Il racconto dell’Annunciazione (Lc 1, 26-38) rivela il modo con il quale Dio domanda il consento per far vivere l’Alleanza.

[1 ] Romanos le Mélode, Marie à la croix, strophe 6, Sources Chrétiennes n°128, p. 167
[2 ] A.Vona C., Omelie mariologiche di s. Giacomo di Sarug, Roma 1953, p. 144 et p. 147 (homelie sur l’Annonciation de la mère de Dieu), p. 212 (Homélie VI sur la nativité de notre Seigneur)
[3 ] Homélie VI sur la nativité de notre Seigneur traduit du syriaque par A.Vona C., Omelie mariologiche di s. Giacomo di Sarug, Introduzione, traduzione dal siriaco e commento, Roma 1953, p. 209
[4 ] Hymne à la Vierge n° 18, traduit par du Syriaque par G. Ricciotti, Turin, 1939, p. 92

A. SERRA
, La Donna dell’Alleanza, Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamento,
Messaggero di sant’Antonio – editrice, Padova 2006, p. 26-28 et p. 64
(www.edizionimessaggero.it)

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