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di dom Prosper Guéranger: Il senso della festa della Croce (14 settembre)

dal sito:

http://www.unavoce-ve.it/pg-14set.htm

di dom Prosper Guéranger

14 SETTEMBRE

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Il senso della festa della Croce.

« Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce ». Le parole dell’Apostolo, che leggiamo nell’Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell’era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l’orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l’Incarnazione e la morte sulla Croce.

Il supplizio della Croce.

Non era la croce considerata dagli antichi come « il supplizio più terribile e più infamante » (Cicerone, In Verrem II)? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l’atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l’asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

Il culto della Croce.

Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito, il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa).

Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore.

È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce, festa che ha un’origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

Origine della festa.

La data del 14 settembre segna l’anniversario di una dedicazione che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo.

Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell’Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall’imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto.

L’anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50  vescovi assistevano ogni anno alla solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

Doppio oggetto della festa.

Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell’antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell’olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

Diffusione della festa.

La cerimonia prese un’importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano.

I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l’imperatore Eraclio e Roma l’ebbe nel corso del secolo VII. Sotto papa Sergio († 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l’adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservato un’orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparì dagli usi romani, ma l’orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l’adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche chiese.

Nuovo splendore della festa.

Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del S. Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

Carattere nuovo della festa.

Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l’antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell’Impero.  Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l’Esaltazione del Figlio dell’Uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.

Essendo stata l’adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant’Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.

O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un’altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci!

Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l’inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell’inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno.

Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa’, te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l’uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.
 

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1072-1076

Publié dans:FESTE DEL SIGNORE, LITURGIA, LITURGIA STUDI |on 13 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (2008) – Custodia di Terra Santa

dal sito:

http://www.custodia.org/spip.php?article3875

CUSTODIA DI TERRA SANTA

Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (2008)

PEREGRINAZIONE AL SANTO CALVARIO – 14 Settembre 2008
Messo on line il domenica 14 settembre 2008 a 15h33
da  Mab
 
 Fratelli e sorelle:

Celebriamo oggi la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. La sua origine è la solennità liturgica con la quale il 14 settembre del 335 furono inaugurati a Gerusalemme i grandiosi edifici sacri fatti costruire dall’Imperatore Costantino nei luoghi stessi del Calvario e del Sepolcro glorioso di Cristo. Questa festa celebrata sempre con grande solennità e con numerose manifestazioni di gioia, sostituiva nella mente cristiana la festa ebraica dei Tabernacoli, che si celebra appunto in questa epoca. Molti degli elementi di questa festa ebraica sono passati alla liturgia cristiana della Dedicazione della Chiesa. Questa era la festa della Dedicazione della Chiesa per eccellenza: la Basilica del Santo Sepolcro. I testi biblici che abbiamo ascoltato ci parlano del valore salvifico della Croce. Gesù, per la sua umiliazione fino alla morte e alla morte di croce, è stato esaltato fino al diventare il Signore del cielo e della terra. Tutti coloro che guardano e seguono la Croce di Cristo saranno guariti e avranno la vita eterna.

La croce, centro della nostra fede

Oggi celebriamo festa dell’Esaltazione della Santa Croce; tutti i giorni orniamo la croce, la baciamo, la portiamo al collo, la esaltiamo… Noi cristiani, siamo matti? Lo aveva annunciato Paolo: la croce è “scandalo per i giudei e stoltezza per i greci”. Il “Vangelo della Croce” era, e continua ad essere, un assurdo totale per il mondo (cf. 1Cor 1,18-25). E, tuttavia, noi celebriamo la festa della croce di Cristo, cantiamo il “Vexilla Regis”. Lo stesso Padre nostro San Francesco, diceva a chi lo vedeva piangere: “Piango la Passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo” (Leggenda dei Tre Compagni, V,14: FF 1413). Perché questo? Perché per noi la croce di Gesù è il centro e il fondamento della nostra fede, perché Cristo è morto per il nostro amore e per la nostra salvezza. Cristo, dice Paolo, “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me » (Gal 2,20). Cristo è morto perché noi abbiamo la vita: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (GV 3,16). “Per riscattare lo schiavo – cantiamo nell’Exultet, nel Annuncio Pasquale, – hai consegnato il Figlio”.

Gesù regna dalla Croce

“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), giacché con la sua morte Gesù ha iniziato a “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52). Cristo, nel Calvario, fu crocifisso per la salvezza di tutti, per la tua salvezza, per la mia salvezza, e questa è la sua gloria, il suo trionfo: è stato crocifisso come uomo, è stato glorificato come Dio”, diceva San Gerolamo. E’ quello che dicono le parole scritte in greco sull’altare della Crocifissione: “hai realizzato la salvezza dal centro della terra” (Sal 44,12), giacché dalla croce ha riunito a tutte le nazioni (cf. Gv 12,32). Il Golgota è quindi così importante che ancora oggi, come succedeva nel passato, il sacerdote incaricato di custodire il Luogo Santo del Calvario viene chiamato “Presbitero del Golgota” oppure “Custode della Croce”. La Croce ci fa conoscere Dio: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), giacché la croce è la rivelazione più evidente dell’amore di Dio. E così si capiscono le parole che cantiamo il Venerdì Santo: “Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo” (“Ecce lingum crucis…”).

Onorare il Crocifisso

Sulla Croce del Calvario non c’è un malfattore, ma “Gesù il Nazareno, il Re dei giudei” (Gv 19,19). Pilato, senza volerlo, proclama la regalità di Cristo. Egli è il Re del mondo. “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12,23), diceva Gesù. E oggi tutti i cristiani adoriamo il legno santo, il legno della croce dove è stato appeso il Figlio di Dio. “Vexilla Regis prodeunt”, canteremo, “le insigne del Re avanzano”; diremmo ancora: “l’albero decorato e radiante, ornato con la porpora reale”, cioè il sangue prezioso di Cristo. Ripetiamo le parole che San Cirillo di Gerusalemme diceva ai suoi ascoltatori, precisamente qui: “Non ci vergogniamo di confessare la nostra fede nel Crocifisso”. Facciamo sempre il segno della croce. “è un gran mezzo di difesa”. Perché il Re crocifisso qui, sul Calvario, è il nostro Re, diceva Sant’Agostino; “Al suo trono vengono gli uomini di tutte le classi e stati. A Lui vengono i poveri e i ricchi, analfabete e saggi, uomini e donne, signori e servi, adulti e bambini, A lui vengo giudei e greci, romani e barbari. Egli non dominò il mondo con il ferro, ma con il legno della croce”. Perciò, continua San Cirillo di Gerusalemme: celebriamo “la vittoria che il Signore ha riportato qui, soprattutto in questo Santo Golgota, che noi vediamo e tocchiamo con la mano… Non ti vergognare di confessare la Croce…perché la Croce non è causa infamia ma coronata di Gloria”. Non nascondere la croce, giacché, continua il Santo, “colui che è stato crocifisso è adesso sopra in cielo! Forse ci potevamo vergognare se, una volta crocifisso e posto nel sepolcro, fosse rimasto rinchiuso in esso; ma Egli, dopo essere stato crocifisso qui, sul Golgota, è salito al cielo”.

“Salve, o Croce, unica nostra speranza”

Soltanto così cominceremo a capire che croce eretta sul Calvario non è l’annuncio di un fallimento, di una vita di sofferenza e di morte, ma essa è un messaggio trionfale di vita. E potremo dire con Paolo: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14), perché “tutto posso in colui che mi da la forza” (Fil 4,13). Cantiamo: “Rifulge il mistero della croce” (“Fulget crucis mysterium!”). E con più forza: “Salve, o Croce, unica nostra speranza”.

Gesù, crocifisso, modello del discepolo

“Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”, dice Gesù (Mt 10,38). Ci chiede che gli imitiamo, che lo seguiamo, prendendo ogni giorno la nostra croce. In questo possiamo gloriarci, diceva Francesco, se portiamo “alle nostre spalle ogni giorno la santa croce del nostro Signore Gesù Cristo”, giacché, dice Pietro, “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). Sappiamo che non è facile essere cristiano. Lo aveva predetto Gesù stesso: “Voi avrete tribolazioni nel mondo” (Gv 16,33), giacché “se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15,18). Ma siate sicuri: “chi perde la sua vita” “la salverà” (cf. Mc 7,35). Non dobbiamo avere paura delle opposizioni, delle persecuzioni, di niente. Lo ha detto Gesù a ciascuno di noi: “abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Arriveremo alla santità, dice il Concilio, se seguiamo “Cristo povero, umile e caricato con la croce, per meritare la partecipazione alla sua gloria” (LG 41).

Scendere dal Golgota al mondo

Oggi, qui, sul Golgota, abbiamo capito il valore della morte di Cristo in Croce: il suo amore crocifisso è stato la nostra salvezza. Non è il momento di mettersi a ridere di Gesù, come quelli personaggi del Vangelo, che gridavano: “scenda adesso dalla croce, perché vediamo e crediamo” (Mc 15, 32). Noi non possiamo fare altro che, in ginocchio, ripetere le parole di San Francesco: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo,… e ti benediciamo, perché per la tua Santa Croce hai redento il mondo”. Amen. Ed esclamare col Centurione: “Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). E dopo, bisogna ritornare al mondo partendo da questo Calvario. Nel 1207, Francesco, – racconta San Bonaventura -, nella Chiesetta di San Damiano, “pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere di una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con le orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: “Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!” (FF 1038). Si trattava della Chiesa che “Cristo acquistò col suo sangue”, dice il testo. E così Francesco, “munendosi col segno della croce”, incominciò la sua missione. Egli poté ripetere con Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca i patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Così hanno fatto i cristiani; così hanno fatto i francescani quando, arrivati in Terra Santa, hanno visto che non c’erano Santuari, non c’erano cristiani e non c’erano le campane del Santo Sepolcro: la Chiesa di Terra Santa era completamente in rovina! Tutti hanno avuto davanti ai loro occhi, come noi, Maria, la Madonna Addolorata. La Madre stava qui, presso la Croce. Non è arrivata al Calvario per caso, ma ha percorso, passo a passo, il cammino del suo Figlio. E adesso è qui, come Madre e discepola. La Madre di Gesù e la Madre di tutti i suoi discepoli è sempre al nostro servizio.

Festa della Trsfigurazione del Signore: Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo: E’ bello restare con Cristo! – Da «Le feste cristiane» di Olivier Clément: La trasfigurazione, un bagliore del Regno.

dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/santo/235.html

Trasfigurazione del Signore
Festa del Signore

DAGLI SCRITTI…

Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo: E’ bello restare con Cristo!

Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un’immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Filgio dell’uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28).
L’evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosé ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3). Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo. Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall’alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo sifa nostra guida e battistrada. Con lui sremo circondati di quella luce che solo l’occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata. Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni. Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, é bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).
Realmente, o Pietro, é davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi é di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce? Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E’ bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l’anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza é entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri.(Nn. 6-10; Mélanges d’archéologie et d’histoire, 67 [1955] 241-244).

Da «Le feste cristiane» di Olivier Clément.
La trasfigurazione, un bagliore del Regno.

(l’ho messo sotto il tag: ortodossia)

Gli evangelisti sinottici – Matteo, Marco, Luca – raccontano l’evento della Trasfigurazione in maniera pressoché identica. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni – gli ultimi due sono fratelli -, a più riprese suoi compagni privilegiati «perché erano più perfetti degli altri», dice Giovanni Crisostomo; Pietro perché amava Gesù più degli altri, Giovanni perché più degli altri era amato da Gesù, e Giacomo perché si era unito alla risposta del fratello: «Sì, possiamo bere il tuo calice» (cf Mt 20, 22).
Gesù li conduce in disparte su di un’«alta montagna», luogo per eccellenza delle manifestazioni divine; la tradizione dirà: il monte Tabor. Là egli appare raggiante di una splendida luce, che fluisce sia dal suo volto «splendente come il sole» che dalle sue vesti – opera d’uomo, della cultura umana – e si riversa sulla natura circostante, come mostrano le icone.
Mosè – la legge – ed Elia – i profeti – appaiono e conversano con Gesù. La prima alleanza addita l’alleanza ultima. Luca precisa che la conversazione verte sull’éxodos del Signore. Pietro in estasi suggerisce di piantare tre tende, nella speranza di poter rimanere a lungo in quello stato. Ma tutto è sommerso dalla «nube luminosa» dello Spirito, e in cui risuona nel cuore dei tre discepoli sconvolti, prostrati con la faccia a terra, la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!». Poi tutto svanisce, e resta Gesù, solo, che ordina a quei testimoni di tacere ciò che hanno appena visto, «finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
A partire dalla fine delle persecuzioni romane contro i cristiani, ovvero dal IV secolo, furono edificate diverse chiese sul Tabor. La loro dedicazione sembra essere all’origine della festa che, a partire dal VI secolo, si diffuse in tutto il Medio Oriente. Nel calendario occidentale essa fu introdotta stabilmente nel 1457, ad opera di papa Callisto III, in segno di ringraziamento per la vittoria da poco conseguita contro i turchi. Gli evangeli non consentono di fissare, nel ritmo annuale, una data per la Trasfigurazione. Con l’intuizione cosmica che lo caratterizza, l’Oriente fissò quella del 6 agosto, grande mezzogiorno dell’anno, apogeo della luce estiva. In quel giorno si benedicono i frutti della stagione; spesso, nei paesi del bacino mediterraneo, è l’uva a costituire il frutto benedetto per eccellenza. L’occidente, meno sensibile alla portata spirituale dell’evento, pur conservando una festa della Trasfigurazione il 6 agosto, ha preferito aggiungere una seconda celebrazione prima della Pasqua, la seconda Domenica di Quaresima, seguendo in tal modo più da vicino la cronologia della vita di Gesù.
In oriente, la festa pone l’accento sulla divinità di Cristo e sul carattere trinitario del suo splendore. «Conversando con Cristo, Mosè ed Elia rivelano che egli è il Signore dei vivi e dei morti, il Dio che aveva parlato un tempo nella legge e nei profeti; e la voce del Padre, che esce dalla nube luminosa, gli rende testimonianza», recita la liturgia bizantina.
Tuttavia la trasfigurazione non è un trionfo terreno, che sempre Gesù ha rifiutato nella sua vita – e qui sta l’errore di lettura di Callisto III -; essa non è neppure un’emozione spirituale da gustare – ecco l’errore di Petro -. È invece uno sprazzo, un bagliore di quel regno che è il Cristo stesso, una luce che è anche quella di Pasqua, della Pentecoste, della parusia, quando con il ritorno glorioso di Cristo, il mondo intero verrà trasfigurato. Mosè ed Elia, l’abbiamo detto, parlano con Gesù del suo éxodos, cioè della sua passione: solo quest’ultima farà risplendere la luce non in cima al Tabor, la montagna che rappresenta simbolicamente le teofanie e le estasi, ma al cuore stesso delle sofferenze degli uomini, del loro inferno, e infine della morte. La liturgia ci aiuta ancora a capire: «Ascoltate [dice il Padre] colui che attraverso la croce ha spogliato l’inferno e dona ai morti la vita senza fine».
Per la teologia ortodossa, la luce della trasfigurazione è l’energia divina (secondo il vocabolario precisato nel XIV secolo da Gregorio Palamas), vale a dire lo sfolgorare di Dio: Dio stesso che, mentre rimane inaccessibile nella sua «sovraessenza», si rende tuttavia partecipabile agli uomini per una follia di amore. Da cui si comprende l’importanza di questa festa per la tradizione mistica e iconografica.
Lo sfolgoramento, la folgorazione divina è tale da gettare a terra gli apostoli sulla montagna. Eppure sul Tabor essa rimane una luce esterna all’uomo. Ora essa ci è donata – scintilla impercettibile o fiume di fuoco – nel pane e nel vino eucaristici. Allora i nostri occhi si aprono e noi comprendiamo che il mondo intero è intriso di quella luce: tutte le religioni, tutte le intuizioni dell’arte e dell’amore lo sanno, ma è stato necessario che venisse il Cristo e che avvenisse in lui quell’immensa metamorfosi – così chiamano i greci la Trasfigurazione – perché si rivelasse infine che alla sorgente delle falde di fuoco, di pace e di bellezza presenti nella storia, vi è, vincitore della notte e della morte, un Volto.

L’anno liturgico di dom Prosper Guéranger: La festa del Sacro Cuore di Gesù (temi paolini)

dal sito:

http://www.unavoce-ve.it/pg-sacrocuore.htm

L’anno liturgico di dom Prosper Guéranger

VENERDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DOPO PENTECOSTE

LA FESTA DEL SACRO CUORE DI GESÙ 

Oggi la Chiesa ci propone di onorare con un culto speciale il Cuore sacratissimo di Gesù di cui il sacramento ci ha già rivelato l’immensa tenerezza. E per stimolarci ad onorare quel Cuore divino con maggior rispetto e devozione, Pio XI ha elevato questa festa al rito di doppio di prima classe e messo la sua Ottava alla pari di quelle di Natale e dell’Ascensione [1]. Il culto del Sacro Cuore – scriveva egli ancora Cardinale – è la quintessenza stessa del cristianesimo, il compendio e il sommario di tutta la religione. Il cristianesimo, opera d’amore nel suo inizio, nei suoi progressi e nel suo compimento non potrebbe essere identificato assolutamente con nessuna altra devozione come con quella del Sacro Cuore [2].

Oggetto della devozione al Sacro Cuore.

L’oggetto della devozione al Sacro Cuore è lo stesso Cuore ardente d’amore per Dio e per gli uomini. Dall’Incarnazione infatti Nostro Signor Gesù Cristo è l’oggetto dell’adorazione e dell’amore di ogni creatura, non soltanto come Dio ma come Uomo-Dio. Essendo la divinità e l’umanità unite nell’unica persona del Verbo divino, Egli merita tanto come Uomo che come Dio tutti gli omaggi del nostro culto; e come in Dio tutte le perfezioni sono adorabili, così pure in Cristo tutto è adorabile: il suo corpo, il suo sangue, le sue piaghe, il suo cuore, e per questo la Chiesa ha voluto offrire alla nostra adorazione questi oggetti sacri.

Il cuore di carne dell’Uomo-Dio.

In questo giorno essa ci mostra soprattutto il Cuore del Salvatore e ci chiede di onorarlo sia che lo consideriamo in se stesso sia che lo consideriamo come il simbolo vivente della sua carità.

In se stesso, questo Cuore di Gesù, per quanto sia solo un poco di carne, è già degno del nostro culto. Nella vita naturale del corpo umano, non è forse il cuore l’organo più nobile e più necessario, quello che distribuisce a tutte le membra il sangue che vivifica, che nutre, che rigenera e purifica? Adorare il Cuore di Gesù significa adorare per così dire, nel suo principio, nel suo fulcro, la vita di sacrificio e d’immolazione del nostro Salvatore. Significa adorare il prezioso recettacolo in cui le ultime gocce del sangue divino hanno atteso, per effondersi, che venisse a colpirlo la lancia di Longino. Quel cuore squarciato rimane per sempre come la testimonianza d’una vita che si è data interamente per la salvezza del mondo.

Nell’ordine morale, il cuore di carne occupa un posto altrettanto importante. Da sempre esso è considerato come la sede della vita affettiva dell’uomo, perché è l’organo che ne risente nella maniera più sensibile tutte le fluttuazioni. Le sue pulsazioni battono al ritmo dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, delle nostre passioni. Il linguaggio ha consacrato questo modo di vedere: è il cuore che ama, che compatisce, che soffre, si sacrifica e si dona. E come la bassezza di cuore genera tutti i vizi, così pure il cuore nobile ed elevato è la sorgente da cui s’irradiano insieme con l’amore tutte le virtù. Gesù, vero uomo, ha parlato così di se stesso. Ha offerto il suo cuore umano alla nostra contemplazione, mostrandolo circondato di fiamme ardenti e dicendo: « Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini », che lo ha portato verso tutte le sofferenze e le miserie dell’umanità, che ha avuto pietà dell’immensa moltitudine delle anime, e che Gli ha ispirato non solo di moltiplicare i miracoli, ma di istituire la Santissima Eucaristia, di fondare la Chiesa, di soffrire e di morire per riscattarci.

Se il cuore è per noi il centro in cui sono raccolte e il focolaio da cui s’irradiano le doti e le virtù, se sappiamo rendere omaggio al cuore delle persone particolarmente benefiche, quanto più non dobbiamo onorare il Cuore di Gesù come l’abisso, il santuario, il tabernacolo di tutte le virtù? Gli Inni dell’Ufficio e le Litanie le descrivono in numerose invocazioni che noi ripeteremo e mediteremo in questi giorni. E onde persuaderci ancor più dell’importanza e dell’utilità della devozione al Sacro Cuore, concludiamo ascoltando quanto scrive un certosino di Treviri morto nel 1461. Le sue parole saranno per noi un’indicazione di quello che dobbiamo fare per entrare nelle intenzioni della Chiesa che sono quelle stesse del suo celeste Sposo: « Se volete completamente e facilmente purificarvi dei vostri peccati, liberarvi delle vostre passioni e arricchirvi di tutti i beni… mettetevi alla scuola dell’eterna carità. Riponete, immergete spesso in ispirito… tutto il vostro cuore e la vostra mente nel Cuore dolcissimo di Nostro Signor Gesù Cristo in croce. Quel Cuore è pieno d’amore… Mediante lui noi abbiamo accesso al Padre nell’unità di spirito; egli abbraccia d’un immenso amore tutti gli eletti… In quel Cuore dolcissimo si trova ogni sorta di virtù, la fonte della vita, la consolazione perfetta, la vera luce che illumina ogni uomo, ma soprattutto chi ha fatto devotamente ricorso a Lui in ogni afflizione e necessità. Tutto il bene che si può desiderare lo si attinge abbondante in lui; ogni salvezza ed ogni grazia ci vengono da quel Cuore dolcissimo, e non da altrove. Esso è il focolare dell’amore divino che brucia sempre del fuoco dello Spirito Santo, che purifica, consuma e trasforma in sé tutti coloro che Gli sono uniti e che desiderano attaccarsi a Lui. Ora come ogni bene ci viene da questo Cuore dolcissimo di Gesù, così pure tutto dovete riferirvi… tutto restituirgli senza nulla attribuire a voi… In quello stesso Cuore confesserete i vostri peccati, domanderete perdono e grazia, loderete e ringrazierete… Per questo bacerete spesso con riconoscenza quel Cuore piissimo di Gesù inseparabilmente unito al Cuore divino, dove sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio, un’immagine, voglio dire, sia di quel Cuore, sia del Crocifisso. Aspirerete senza posa a contemplarlo faccia a faccia confidandogli le vostre pene; attirerete così nel vostro cuore il suo spirito e il suo amore, le sue grazie e le sue virtù; a Lui ricorrerete nei beni e nei mali, in Lui avrete fiducia, a Lui vi attaccherete, in Lui abiterete, affinché, in cambio, si degni di porre la sua dimora nel vostro cuore; e qui infine dormirete dolcemente e riposerete nella pace. Poiché anche se i cuori di tutti i mortali vi abbandonassero, quel Cuore fedelissimo non vi ingannerà e non vi abbandonerà mai. E non trascurerete di onorare devotamente e di invocare anche la gloriosa Madre di Dio e dolcissima Vergine Maria, perché si degni di impetrarvi dal Cuore dolcissimo del suo Figliolo tutto quanto vi sarà necessario. In cambio, voi offrirete tutto al Cuore di Gesù attraverso le sue mani benedette » [3].
 

MESSA

EPISTOLA (Ef 3,8-19). – Fratelli: A me, il minimo dei santi, è stata concessa questa grazia di evangelizzare tra i Gentili le incomprensibili ricchezze di Cristo, e di illuminare tutti riguardo all’attuazione del mistero ascoso da secoli in Dio, il quale ha creato ogni cosa, affinché dai principati e dalle potestà sia conosciuta per mezzo della Chiesa la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che egli ha mandato ad effetto per mezzo di Cristo Gesù Signor nostro, in cui abbiamo la fiducia di poterci avvicinare con tutta confidenza a Dio per mezzo della fede in lui. Quindi vi chiedo di non perdervi d’animo a motivo delle tribolazioni ch’io soffro per voi e che sono la vostra gloria. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, da cui ogni famiglia e nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere mediante lo Spirito di lui potentemente corroborati nell’uomo inferiore, in modo che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori, e voi, radicati nella fede, fondati nella carità, possiate, con tutti i santi, comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, anzi possiate conoscere ciò che supera ogni scienza, la stessa carità di Cristo, in modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio.

Il « Mistero di Cristo ».

È giusto ricordare questa pagina luminosa in cui san Paolo ci svela in termini sublimi l’amore infinito di Dio per la sua creatura. Da tutta l’eternità è stato concepito da Dio un disegno che è come la ragione, la spiegazione, il motivo della creazione, e tale disegno consiste nel chiamare tutta l’umanità a partecipare alla vita di Cristo. Dio ha tanto amato gli uomini che ha dato loro il suo Figliolo unigenito affinché per lui e in lui diventino a loro volta suoi figli per l’eternità. Cristo con i suoi tesori di sapienza e di scienza; Cristo nel quale sono benedette tutte le genti, nel quale gli uomini sono salvati e fatti simili a lui nell’unità del suo corpo mistico; Cristo che abita in noi e ci fa vivere mediante la fede e l’amore, ecco dunque il mistero appena intravisto dai Patriarchi e dai Profeti e che il Nuovo Testamento ci rivela con incomparabile chiarezza. Ma il mistero di Cristo non si completa veramente che in noi e con la nostra cooperazione. Tutte le ricchezze messe così generosamente da Dio a nostra disposizione e di cui Cristo è la fonte, la Chiesa, i sacramenti, l’Eucaristia, non hanno altro fine che la santificazione di ciascuna delle nostre anime individualmente. Per questo l’Apostolo innalza a Dio una preghiera insistente, chiedendogli che le sue intenzioni di misericordia e d’amore non vengano meno davanti alla nostra ostinazione e alla nostra ribellione e che non sia reso vano in noi lo sforzo compiuto sul Calvario. Solenne si fa la sua supplica perché regni completamente in noi quella vita interiore che ci è stata data nel battesimo, l’uomo nuovo, il cristiano, il figlio di Dio, e questo attraverso la fine dell’uomo vecchio, mediante una costante adesione a Dio, una reale comunione di vita che sottometta a lui tutta la nostra attività. Allora la carità crescerà sovrana in noi, e il piano di Dio pienamente realizzato si compirà per noi fino alla beatitudine eterna.

VANGELO (Gv 19,31-37). – In quel tempo: I Giudei, affinché non restassero in croce i corpi nel sabato (che era Parasceve ed era solenne quel sabato) chiesero a Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e fossero tolti via. Andaron quindi i soldati e ruppero le gambe al primo e all’altro che eran con lui crocifissi; ma quando furono a Gesù, come videro che era già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli aprì il costato; e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi vide lo ha attestato; e la sua testimonianza è vera. Ed egli sa di dire il vero, affinché voi pure crediate. Certamente, questo è avvenuto, affinché s’adempisse la Scrittura: Non gli romperete alcun osso. E un’altra Scrittura dice pure: Volgeranno gli occhi a colui che han trafitto.


« Volgeranno gli occhi a colui che han trafitto »! Ascoltiamo questo testo misterioso con il commosso raccoglimento della nostra santa madre Chiesa. Osserviamo la via donde essa è uscita. È appunto dal Cuore dell’Uomo-Dio che è nata. Non poteva avere altra origine, poiché è l’opera per eccellenza del suo amore, ed è appunto per questa Sposa che egli ha fatto tutte le altre opere. Eva fu tratta dal fianco di Adamo in un modo figurativo; ma non ne doveva restare traccia, perché fosse chiaro che la donna era stata tratta dall’uomo solo per un sublime mistero, e non vi si vedesse per lei inferiorità di natura. Ma nel Signore era giusto che la gloriosa traccia di quella uscita rimanesse, perché è una realtà. Bisogna che la sua Sposa, fondandosi su tale origine, possa continuamente far ricorso al suo amore, e sia sempre aperto davanti a lei il cammino perché raggiunga con sicurezza e con prontezza il suo Cuore in ogni cosa.

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[1] L’ottava del Sacro Cuore è stata recentemente soppressa. Vedi nota per la Festa del Corpus Domini, p. 53.

[2] Opere, II, p. 48.

[3] Cfr. Etudes, CXXVII, p. 605.

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 413-417

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