dal sito:
http://www.christusrex.org/www1/ofm/sbf/essays/essay12.pdf
essays SBF – jerusalem – 1998
GLI ANNI OSCURI DI GESÙ
Claudio Bottini, O.F.M.
STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM
Premessa
Sappiamo tutti che la tradizione evangelica primitiva si è interessata alla persona e all’opera di Gesù in quanto Messia e Figlio di Dio e non alla sua vicenda terrena in quanto tale. Lo schema fondamentale dei Vangeli è in certo modo riassunto nelle parole di Pietro riferite da At 10,37-43: « Voi conoscete bene l’evento accaduto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea dopo il battesimo che annunziò Giovanni, come cioè Dio unse Gesù di Nazaret con Spirito Santo e potenza ed egli passò beneficando e guarendo tutti quelli che erano oppressi dal diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che fece sia nella regione dei Giudei sia in Gerusalemme. Colui che uccisero appendendolo sul legno Dio lo risuscitò nel terzo giorno e fece sì che divenisse manifesto non già a tutto il popolo, ma a quei testimoni preordinati da Dio, cioè a noi che mangiammo e bevemmo con lui dopo che fu risorto dai morti; e ci comandò di annunziare al popolo e testimoniare che questi è il giudice dei vivi e dei morti destinato da Dio. A favore di lui tutti i profeti attestano che chiunque crederà in lui certamente riceverà la remissione dei peccati mediante il suo nome ». In questo brano si trova non solo la sintesi del cherigma, cioè dell’annunzio del Vangelo, ma pure la piùbreve e essenziale biografia di Gesù. L’ »inizio » è il battesimo di Gesù per mano di Giovanni, perchéfu da allora che iniziò la manifestazione di Gesù a Israele come il « Figlio di Dio » e il « Messia » (cf. Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22; Gv 1,34). E’ vero che i Vangeli secondo Matteo e secondo Luca raccontano la nascita di Gesù e alcuni episodi della sua infanzia, ma basta poco per rendersi conto che essi non sono sufficienti a darci una biografia. Anzi bisogna aggiungere che con tutta probabilità non intendono fare questo. Mt 1-2 e Lc 1-2 sono piuttosto due introduzioni teologiche sotto forma di racconto, non meno di Gv 1,1-18 che èuna introduzione teologica espressa in forma quasi lirica, che siamo abituati a chiamare appunto « prologo »1. Bisogna riconoscere che gli evangelisti lasciano volutamente nell’ombra quella parte della vita di Gesù che precede il suo ministero, tanto che oramai è invalso l’uso di chiamarla « gli anni oscuri di Gesù »2. A ciò bisogna aggiungere un’altra considerazione. Nel mondo antico in genere non aveva grande
importanza la prima età dell’uomo e non si usava raccontare l’infanzia dei grandi personaggi. Nel mondo ebraico poi non vi era nulla di quella concezione romantica del bambino e del suo fascino che si riscontra nel mondo occidentale. Il bambino era visto piuttosto come un essere mancante di qualcosa. Il suo valore era nella capacità di apprendere la Legge e di metterla in pratica e veniva ammirato solo nella misura in cui si dimostrava precoce in questo3. Riconosciuto tutto ciò, è più che legittimo valorizzare sia le poche ma preziose indicazioni dei racconti evangelici sull’infanzia e adolescenza di Gesù, sia quelle che si ricavano dalle fonti giudaiche antiche per illuminare la vita di Gesù che, come scrive il Vangelo di Luca: « quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni » (Lc 3,23).
1. Gesù e i suoi genitori
La psicologia moderna rivela quanto sia importante e quanto influisca sull’età adulta di ogni uomo una appropriata atmosfera familiare e un sano rapporto con i genitori. L’esperienza familiare vissutada Gesù fanciullo dovette essere estremamente positiva, se da adulto si comporterà sempre e verso tutti con un mirabile equilibrio, espressione di grande maturità.
La famiglia di Gesù è presentata da due testimonianze evangeliche: Matteo ne parla dal punto di vista di Giuseppe e Luca la rievoca dal punto di vista di Maria. Insieme delineano, secondo il pensiero della Chiesa, la famiglia modello4. Matteo mette in luce la figura di Giuseppe, narrando l’anunciazione dell’angelo a lui e il suo ruolo di capofamiglia. Giuseppe è definito « l’uomo (o il marito) di Maria » (ton andra Marias) (Mt 1,16; cf. 1,19.24) e Maria è chiamata « la donna (o moglie) di lui » (tën gynaika autou) (Mt 1,24; cf. 1,20) e quindi « madre di lui » (hë m ëtër autou) (Mt 1,18; 2,11), di Gesù, l’Emmanuele, Dio con noi (Mt 1,18; 2,11). Come consorte di Maria, Giuseppe è padre (legale) di Gesù. Per questo la gente del villaggio lo indicherà come « il figlio del carpentiere » (Mt 13,55). Matteo delinea anche la figura morale di Giuseppe dicendo che era « giusto » (Mt 1,19), un termine carico di significato che riassume tutta la spiritualità biblica (cf. Mt 5,20).
Luca dà rilievo alla figura e missione di Maria in alcuni quadri di vita familiare. Nel suo racconto Giuseppe è presentato con i tratti analoghi a quelli del racconto di Matteo, ma meno evidenziati: egli è discendente della « casa e della famiglia di Davide » (Lc 2,4), l’uomo a cui Maria, la fanciulla vergine, è fidanzata (Lc 1,27), il padre adottivo di Gesù (Lc 1,48; 2,33), il capofamiglia (Lc 2,4-5; cf. 2,43.48). Maria è descritta come: sposa vergine (parthenos) (Lc 1,27; cf. 1,34) di Giuseppe, donna « piena di grazia » (kecharitömenë), unita al Signore (Lc 1,28). Docile al messaggio divino, concepisce per lo Spirito Santo, che è la potenza di Dio (Lc 1,35) e dà alla luce Gesù « Figlio dell’Altissimo » e erede del trono di Davide (Lc 1,32), che essa ha portato nel suo ventre, come suo figlio (Lc 1,31; 2,5). Per questo è detta la « Madre del Signore » (Lc 1,43), la « benedetta fra le donne » (Lc 1,42). Dà alla luce Gesù, il suo « primogenito » (Lc 2,7), colui che gli angeli presentano ai pastori come il « Salvatore, il Cristo Signore » (Lc 2,7). Lo cresce e ne condivide il destino secondo le parole che rivolge a lei Simeone nel tempio: « Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima »(Lc 2,34-35). Lei e Giuseppe sono i genitori (hoi goneis) di Gesù (Lc 2,27.43), di questo Figlio incomparabile che costituisce la loro premura e il senso della loro vita (Lc 2,44-45.48), e che li stupisce per l’autonomia dalla loro persona: « Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? » (Lc 2,49bc). Di Gesù nella famiglia di Nazaret si dice poco, ma ciò che si dice è straordinaria–ente denso5. Ecco le affermazioni evangeliche fondamentali: « Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui » (Lc 2,40); « Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso… E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini » (Lc 2,51a.52).
2. La formazione e la pratica religiosa di Gesù
Poiché i racconti evangelici non dicono nulla sulla formazione umana e religiosa di Gesù, noi
possiamo colmare legittimamente il loro silenzio, usando le fonti giudaiche antiche che ci informano sull’educazione che riceveva un fanciullo. Un testo giudaico antico fissa così le tappe della vita del bambino e del giovane: « A cinque anni [comincia lo studio della] Bibbia, a dieci anni la Mishna [tradizioni orali integrative alla Legge scritta], a tredici [comincia a osservare] i precetti [della Legge],… a diciotto ha luogo la « cuppah’ [la celebrazione del matrimonio]« 6. Nel giudaismo antico la formazione religiosa dei figli è compito del padre. Un compito che si concretizza nell’introdurre all’osservanza della Legge, nell’insegnamento della professione di fede (Shema‘) e della preghiera quotidiana che consisteva nelle cosiddette « Diciotto benedizioni » (Shemonèezreh), nel condurre in sinagoga al sabato e al tempio nelle feste di pellegrinaggio. L’insegnamento della professione di fede (Shema‘) e della preghiera quotidiana – (« Diciotto benedizioni ») (Shemonè ezreh) – era obbligatorio in ogni famiglia e cominciava quando il bambino iniziava a parlare. In tal modo il bambino cresceva con quelle formule religiose sulle labbra e le associava spontaneamente alle prime esperienze di conoscenza e di affetto e, in concreto, ai genitori7. L’esperienza vitale dell’amore del papà e della mamma – alla base delle successive esperienze della persona – veniva legata e fusa con quella di Dio. Leggiamo a modo di esemplificazione la quarta, la quattordicesima e la diciottesima benedizione dalla preghiera delle « Diciotto benedizioni »: « Padre nostro, concedici la conoscenza che viene da te, la comprensione e il discernimento che vengono dalla tua Legge (Torah). Benedetto sei tu, Signore, che concedi la conoscenza »8; « Sii misericordioso, Signore Dio nostro, nella tua grande compassione, verso Israele tuo popolo e con Gerusalemme tua città, con Sion, dimora della tua gloria, con il tuo
tempio e la tua abitazione, con il regno della casa di David, tuo giusto messia. Benedetto sei tu, Dio di David, che ricostruisci Gerusalemme »9 « Manda la pace su Israele, tuo popolo, sulla tua città e sulla tua eredità, e benedici tutti noi insieme. Benedetto sei tu, Signore, che operi la pace »10. Difficile esagerare l’importanza di questa preghiera e della professione di fede nella formazione della coscienza religiosa del popolo giudaico. Non ci si sbaglia di certo nel ritenere che anche la psicologia religiosa di Gesù ne fu segnata profondamente: vi imparò a sentirsi vitalmente legato alsuo popolo; vi trovò il suggerimento a rivolgersi a Dio dicendo « Padre Nostro »; fin dai primi balbettii vi imparò a pregare per il regno venturo di Davide e per il giusto messia. La pietà giudaica conosceva non poche altre invocazioni o benedizioni distribuite lungo la giornata. Queste, assieme alle due preghiere fondamentali ricordate, santificavano l’intera giornata e creavano un’atmosfera vitale di grande religiosità. In essa anche Gesù visse la sua prima esperienza di Dio11. Ne ricordiamo due di speciale importanza. Prima dei pasti il capofamiglia diceva: « Benedetto sei tu, Signore, che fai crescere il pane della terra » e « Benedetto sei tu, Signore, re dell’universo, che hai creato il frutto della vite ». Questo itinerario comune di iniziazione alla fede e al rapporto con Dio va supposto pure per Gesù, anche se per lui vi deve essere stata una certa singolarità, dato che la sua vita familiare fu unica per certi aspetti. I genitori appaiono consapevoli di un destino misterioso del bambino (cf. Lc 2,33.50) e vegliavano con cura su di lui (Lc 2,48). Gesù restò celibe12. Cardine della vita religiosa di Israele era già al tempo di Gesù l’osservanza del sabato. Essa prevedeva in sinagoga una serie di riti religiosi piuttosto complessi e lunghi che iniziavano al mattino prima dell’aurora e si protraevano fin verso mezzogiorno. Dalla fluidità iniziale, al tempo di Gesù glielementi essenziali erano già fissati ed erano i seguenti13:
(1) recita dello Shema‘;
(2) recita della preghiera delle « Diciotto benedizioni »;
(3) lettura in ebraico della Legge: il lettore si arrestava dopo ogni versetto per permettere al traduttore che gli stava accanto di tradurre in aramaico, la lingua parlata14;
(4) lettura dei Profeti: fatta allo stesso modo; forse si sceglieva liberamente come fece Gesù (cf. Lc 4,16ss);
(5) la predica: non vi era persona speciale designata per questo, dipendeva dal capo della sinagoga invitare chi ritenesse preparato; si sa di Gesù e di Paolo che usarono di questa
opportunità (cf. Lc 4,20; Gv 18,20; At 13,15);
(6) la benedizione sacerdotale. Oltre alla liturgia in sinagoga, al sabato era prescritto il riposo con cui lo si santificava da tramonto a tramonto. Tutte le azioni lavorative indispensabili andavano anticipate al venerdì pomeriggio prima del tramonto. Si può quindi supporre che anche Gesù abbia aiutato Maria e Giuseppe per i preparativi del riposo sacro: doppia provvista di acqua alla fontana, pulizia della casa, riassetto della bottega. Pochi minuti prima dell’arrivo del sabato tutta la famiglia si radunava attorno al tavolo dove la donna o la madre, in questo caso Maria, accendeva la lampada e pronunciava una benedizione; la lampada doveva durare fino al mattino quando prima dell’aurora ci si recava in sinagoga. Gesù dunque, fin da bambino, ha senz’altro preso parte alla liturgia sinagogale del sabato e, a partire dal tredicesimo anno di età, ha potuto salire sul podio a leggere la Scrittura. A tredici anni infatti si diventava bar mizvah, « figlio del precetto », cioè adulto, tenuto all’osservanza della Legge. Alcuni studiosi hanno messo in relazione l’episodio di Gesù nel tempio fra i dottori (cf. Lc 2,41-52) con questo rito di iniziazione o di riconoscimento della maturità religiosa15. La partecipazione di Gesù al pellegrinaggio, nell’anno che precede o che realizza il riconoscimento della sua maturitàreligiosa, rende comprensibile la sua permanenza nelle adiacenze del tempio, dove i maestri insegnavano la Legge ai giovani. Gesù ascolta e interroga secondo il metodo di insegnamento in uso nelle scuole rabbiniche16.
Un altro elemento della pratica religiosa ebraica presente al tempo di Gesù erano le feste e, in particolare, quelle principali cui era legato il pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. L’evangelista Luca annota che « i suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua »(2,41). Le altre due feste erano quella di Pentecoste e quella delle Capanne. Ad esse vanno aggiunte quelle di Rosh Hashana o Capodanno e quella del Kippur e dell’Espiazione. Non è difficile néinverosimile pensare che anche la famiglia di Gesù le abbia vissute con intensa partecipazione spirituale. Questi fatti attestano che, anche se l’esperienza religiosa di Gesù, uomo adulto, è unica e irripetibile, la sua forma espressiva non è nuova, ma si trova nella fraseologia tradizionale della pietàgiudaica. Ciò si vede specialmente nel racconto della passione. Gesù aveva assimilato profondamente dalla prima infanzia le preghiere ufficiali del culto di Israele.
3. La formazione scolastica di Gesù
Elementi immancabili in qualsiasi villaggio di Palestina del tempo di Gesù (e non solo di allora) erano la fontana, la sinagoga, la scuola e le botteghe degli artigiani. Questo quadro vale anche per l’oscuro villaggio di Nazaret. Probabilmente anche qui, come accadeva in altri villaggi, la sinagoga, che di sabato accoglieva per la preghiera, durante la settimana diventava la scuola per i bambini. Al tempo di Gesù la scuola era già obbligatoria all’età di cinque o sei anni per i bambini maschi. Le bambine non andavano a scuola. Un detto del Talmud di Gerusalemme spiega che « non c’è sapienza per una donna se non nel fuso »17. Era compito della mamma preparare al mattino i figli e – almeno per i primi giorni – accompagnarli alla scuola e poi andarli a riprendere all’uscita. In un testo rabbinico si trova l’eco dei riflessi familiari suscitati dalla frequenza scolastica. La mamma si leva presto al mattino e lava la faccia ai bambini « prima di presentarli al maestro, poi all’ora sesta [a mezzogiorno] si reca a ricevere i figli che escono dalla scuola »18. Questo dovette essere più o meno il ritmo della famiglia di Nazaret per i cinque anni che il diritto ebraico prescriveva riguardo alla scuola primaria. Materia unica di insegnamento per i primi cinque anni era la Bibbia letta, declamata e ripetuta. Il maestro spiegava il rotolo dinanzi agli alunni, indicava loro il testo sacro versetto per versetto ed essi ripetevano a cantilena. Di versetto in versetto, di libro in libro, in cinque anni si passava tutta la Bibbia, specialmente la Torah, e si finiva per impararla a memoria. Al riguardo possediamo una testimonianza preziosa di Giuseppe Flavio, storico ebreo contemporaneo alla stesura dei Vangeli. Non senza una punta di giustificato orgoglio diceva: « Se uno di noi viene interrogato sulla Legge, èpronto a recitarla [a memoria] più facilmente che il suo proprio nome. Infatti noi la impariamo appena iniziamo ad avere l’uso di ragione e la portiamo come impressa nell’anima »19. Possiamo così legittimamente supporre che ciò avvenne anche per Gesù, del quale sappiamo, secondo la testimonianza dei Vangeli, che citava con frequenza la Scrittura in riferimento alla sua persona e alla sua missione. Credo sia giusto aggiungere che fu proprio nella Scrittura che Gesù trovòdelineato il suo ritratto umano-divino e la sua vocazione messianica20. Dopo i cinque anni di studio della Torah e degli altri libri biblici, il ragazzo verso l’undicesimo o dodicesimo anno, entrava nel secondo ciclo di formazione scolastica. Esso durava due anni e aveva per oggetto le tradizioni orali che la tradizione ebraica trasmetteva come complemento e spiegazione della Scrittura, facendole risalire a Mosè stesso e ai dottori della Legge. Il metodo era lo stesso, fondato sulla ripetizione e sull’allenamento della memoria e i ragazzi tornavano a scuola anche il pomeriggio. Probabilmente a questi anni di disciplina mentale e fisica allude l’evangelista Luca quando scrive che Gesù « cresceva e si fortificava, pieno di sapienza » (Lc 2,40). Quando a dodici anni Gesù dal villaggio di Nazaret sale a Gerusalemme lascia « pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte » i dottori e quanti l’udivano (Lc 2,47). I commentatori sottolineano questa significativa corrispondenza tra la fine del curricolo scolastico e la rivelazione di una sapienza superiore in Gesù, anche se la sua coscienza messianica, che proprio a Gerusalemme comincia a manifestarsi (cf. Lc 2,49, la risposta ai genitori) non è frutto dei sette anni di scuola a Nazaret21. Espletato il curricolo scolastico obbligatorio, il ragazzo non aveva più a che fare con la scuola. Il padre aveva l’obbligo di avviare il figlio a una professione, che spesso era quella che lui stesso esercitava. Erano pochi quelli che, volendo diventare scribi, giudici, maestri, capi-sinagoga, proseguivano gli studi a livello superiore. In questo caso dovevano lasciare il villaggio e mettersi alla scuola di qualche maestro celebre che dirigeva una bêt midrash o « casa dello studio ». Dalle fonti letterarie sappiamo che queste scuole erano in tutti i centri di una certa importanza. Due di queste, rinomate al tempo di Gesù, facevano capo a Hillel e Shammai ed erano situate nel recinto del tempio e collegate con il sinedrio. Fu anche Gesù alla scuola di qualche maestro? Di certo non lo sappiamo. Tuttavia la tradizione evangelica mostra in forma inequivocabile che il cammino di Gesù si è effettivamente incrociato con quello di Giovanni Battista. Questi aveva raccolto intorno a sé un gruppo di discepoli che con lui si distinguevano per la predicazione del battesimo e della conversione, per lo stile di vita e per alcune pratiche ascetiche e cultuali. Non sono pochi gli esegeti e storici i quali pensano che Gesù sia stato per qualche tempo discepolo di Giovanni Battista prima di iniziare il proprio ministero22.
4. Recenti apporti alla conoscenza degli anni oscuri di Gesù
Fin qui ho cercato di presentare il quadro, più o meno consueto, nel quale si vedono collocati i trenta anni di vita « nascosta » di Gesù. Negli ultimi anni, grazie alle accresciute conoscenze storico-letterarie e agli apporti archeologici, non pochi autori hanno suggerito di ritoccare tale quadro con nuovi e suggestivi elementi. Ne sintetizzo brevemente due. a) Le condizioni socio-economiche e culturali della Galilea Gli intensi e estesi scavi archeologici praticati in Galilea hanno portato gli studiosi a modificare l’immagine che si aveva di questa regione e a dare molto più credito di quanto non si facesse finora alla descrizione che di essa ci ha lasciato lo storico ebreo Giuseppe Flavio, di poco posteriore a Gesù. Lungi dall’essere una regione semi-isolata e esclusivamente dedita all’agricoltura, risulta che fosse un territorio aperto ai contatti culturali e commerciali. Anche se l’attività agricola era quella principale, non vi mancavano attività di tipo industriale, come la produzione della ceramica, del vetro e del pesce nella zona del lago di Tiberiade23. In particolare alcuni studiosi hanno messo in relazione Nazaret con la città di Sefforis distante solopochi chilometri, che gli scavi archeologici stanno portando alla luce da una decina di anni confermando l’affermazione di Giuseppe Flavio che la chiama « l’ornamento di tutta la Gallilea »24. Erode Antipa, figlio di Erode il grande, che governò la Galilea come tetrarca dal 4 a. C. al 39 d. C., proprio negli anni della giovinezza e della maturità di Gesù, aveva fatto di Sefforis un grande cantiere di lavoro dove affluivano manodopera e abitanti da tutti i villaggi circostanti. La deduzione di alcuni autori èche Giuseppe e Gesù, che vivevano del proprio lavoro, molto probabilmente lavorarono anch’essi, come tanti altri artigiani, a Sefforis o vennero almeno in qualche modo in contatto con la città e i suoi abitanti25. Se ciò è vero, bisogna ammettere che Gesù visse in un ambiente molto più urbano e raffinato di quanto si credeva fino ad ora26. Lo studioso più appassionato dell’argomento R. A. Batey si è spinto fino ad affermare che alcune immagini usate da Gesù nelle parabole riflettono il punto di vista di un artigiano o lavoratore in costruzioni27 e che l’uso della parola greca hypokrites (= attore drammatico) in tutte e quattro le fonti dei Vangeli suggerisce che Gesù aveva familiarità con gli attori in scena. Una dimestichezza che poteva aver avuto proprio a Sefforis dove gli scavi hanno rimesso in luce unosplendido teatro romano28. Un altro elemento non certamente nuovo ma ritornato alla ribalta di recente è il discorso sulle lingue parlate da Gesù. E’ un dato di fatto innegabile che da secoli l’aramaico era la « lingua franca »della Palestina, ma è altrettanto certo che l’ellenizzazione del paese, iniziata con la conquista di Alessandro Magno (333 a. C.), aveva fatto grandi passi permeando tutti gli ambiti della vita. La reazione maccabaica ne è una prova evidente. A ciò bisogna aggiungere la presenza politica e amministrativa romana e di conseguenza anche l’arrivo della lingua latina. Il panorama linguistico della Palestina, compresa la Galilea, si presentava dunque molto complesso nel primo secolo29. Il dibattito interessa direttamente anche il discorso sulle conoscenze linguistiche di Gesù. Riassumo brevemente le posizioni attuali esponendo il pensiero di tre autori che riflettono orientamenti diversi.Anzitutto l’opinione di Joseph A. Fitzmyer, esegeta e specialista di aramaico: il latino era limitato agli occupanti romani e usato per motivi e circostanze ufficiali; il greco era di sicuro ampiamente usato da vari strati della popolazione; l’ebraico continuava ad essere usato in alcuni strati sociali e regioni. Quanto a Gesù è almeno certo che egli parlava greco, oltre che aramico, ma è improbabile che egli predicasse e insegnasse in greco e, se lo fece, è impossibile ricavare dalla tradizione evangelica il relativo materiale. L’ebraico, come lingua di Gesù, resta una semplice speculazione30. Di parere in parte diverso è Stanley E. Porter, specialista di greco biblico e appassionato divulgatore delle sue idee: Gesù aveva una conoscenza linguistica non solo per conversare, ma anche per insegnare in greco durante il suo ministero. Dopo gli studi e le scoperte sull’ambiente culturale della Galilea, non si può dubitare che il greco vi fosse ben conosciuto e adoperato. In un gruppo di passi evangelici molto significativi è possibile scorgere la prova di questa affermazione31. R. Buth ritiene che Gesù era in grado di usare tre lingue. Egli conosceva certamente l’ebraico e l’aramaico (cf. Lc 4,16-20; Mc 5,41). Probabilmente usava l’ebraico parlato al suo tempo per le parabole, per motivi legali e per discussioni di argomento religioso (cf. Mc 2,1-12) e per questioni di vita quotidiana in Giudea. E’ probabile che egli usava soprattutto l’aramaico e il greco nelle circostanze della vita quotidiana in Galilea. Sembra che persino in Galilea il suo insegnamento rivolto a uditori ebrei si svolgesse in ebraico, anche se attualmente la prova al riguardo è incompleta. Il suo viaggio nella regione di Tiro e Sidone presuppone che Gesù doveva avere facilità ad esprimersi anche in greco32.
Concludendo è opportuno notare l’evoluzione in atto nella presentazione degli anni oscuri di Gesù. Da un ritratto di tipo romantico e fantastico, divenuto « classico » e stereotipo si sta passando a un identikit della persona di Gesù, basato sull’archeologia e sulla storia della cultura. La figura di Gesùviene così inquadrata in un vivace contesto umano, culturale e economico, quale era quello della Galilea del primo secolo, piuttosto che sui dati elaborati dalla fantasia, in genere piuttosto romanzesca e non aderente alla Scrittura.
NOTE
non le metto per motivi di lunghezza del testo, chi vuole leggerle può andare direttamente su PDF, grazie