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25 Marzo: Annunciazione del Signore

dal sito:

http://www.diocesilucca.it/documenti/festivita/Annunciazione_del_Signore.pdf

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

25 marzo –

La festa

Cristiani d’Oriente e d’Occidente il 25 marzo festeggiano insieme l’annunciazione del Signore. Un particolare consente di capirne l’importanza nell’Oriente: quando la festa cade nella settimana santa i cristiani d’Occidente la celebrano dopo Pasqua mentre l’Oriente bizantino la celebra ugualmente (facendo grandi eccezioni alla liturgia) mantenendo così intatta la distanza esatta di nove mesi dal Natale, e questo per dare importanza alla festa che segna l’inizio della nostra salvezza. Questa centralità appare anche nel programma iconografico, infatti l’icona dell’annunciazione, oltre che nel registro delle grandi feste, si trova sui battenti della porta bella del santuario, al centro dell’iconostasi, suggerendo l’idea dell’ingresso di Dio nell’umanità attraverso il seno di Maria. Fin dall’inizio la festa fu celebrata in questa data perché nell’antichità era diffusa l’opinione che la creazione del mondo fosse avvenuta nell’equinozio di primavera – la notte del 20 marzo quando nessuna porzione del tempo rimane nel sole – e quella dell’uomo nel sesto giorno, cioè il 25. In base a questa convinzione apparve conveniente che l’incarnazione dell’Uomo nuovo fosse avvenuta lo stesso giorno della creazione del primo Adamo. Massimo il Confessore, nella Vita di Maria scrive: “Era il primo mese, il mese in cui Dio creò il mondo intero, per insegnarci che ora di nuovo egli rinnova il mondo invecchiato. Era il primo
giorno della settimana, cioè la domenica, nel quale ha annientato le prime tenebre e ha creato la luce primogenita, nel quale ebbe luogo la gloriosa resurrezione dalla tomba del re suo figlio e insieme la resurrezione della nostra natura”. I testi liturgici riprendono il parallelismo tra il vecchio e il nuovo Adamo e accanto a questo sviluppano anche il tema di Maria nuova Eva unita al nuovo Adamo nell’operare la salvezza. Inoltre va ricordato che la festa del 25 marzo riassumeva tutto intero il mistero della salvezza dal momento che si pensava che anche la crocifissione fosse avvenuta in questo giorno. La festa è testimoniata dal VI secolo; nei secoli precedenti probabilmente tutto il mistero dell’incarnazione veniva celebrato nel natale. A Roma la festa fu introdotta dal papa Sergio (sec VII) che era di origine siriana. Nella liturgia bizantina il clima della festa è di gioia indicibile, come si conviene a una celebrazione che esalta l’inizio della salvezza dando compimento alle attese della storia e alle promesse dei profeti. Così si esprime un tropario (composizione poetica tipica della festa e ripetuta più volte nell’ufficiatura) delle lodi: “Il mistero che è dall’eternità è oggi rivelato e il Figlio di Dio diviene Figlio dell’uomo, affinché, assumendo ciò che è inferiore possa comunicarmi ciò che è superiore. Fu ingannato Adamo un tempo, e avendo bramato divenire Dio, non lo divenne: ma Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio. Si rallegri il creato, danzi in coro la natura, perché l’arcangelo si presenta con timore alla Vergine e le reca il saluto ‘Gioisci’ che toglie la tristezza”. Il contenuto della festa è la l’incarnazione del Verbo, centro del messaggio cristiano presente nella professione di fede di tutte le chiese. Festa cristologia, dunque, alla quale è associata la madre di Dio “terra non inseminata, roveto inconsunto, viadotto, scala, arca dell’alleanza … tutti appellativi che la celebrano come umanità santificata per la presenza del Figlio. La ricca letteratura di omelie e inni evidenziano la doppia natura umana e divina del Cristo, affermando la vera fede contro l’arianesimo. Con lo stesso scopo troviamo l’affermazione della verginità di Maria che il concilio di Efeso (431) proclama Madre di Dio. Come si vede siamo al centro delle dispute dogmatiche dei primi secoli e la liturgia è il luogo in cui è manifestata la fede della Chiesa. Le fonti della festa – quindi dei testi liturgici e dell’iconografia – vanno ricercate nel vangelo di Luca e nell’apocrifo protovangelo di Giacomo.

Omelia nella Festa della presentazione del Signore (Diocesi di Lodi, Cattedrale, 2 febbraio 2006)

dal sito:

http://www.diocesi.lodi.it/LinkClick.aspx?fileticket=cAuZmePYFaQ%3D&tabid=842&mid=1705&language=de-DE

Omelia nella Festa della presentazione del Signore

 Giornata mondiale della vita consacrata
 
Diocesi di Lodi, Cattedrale, 2 febbraio 2006

La liturgia della Chiesa ci invita a celebrare oggi la festa della Presentazione di Gesù al tempio. Si tratta di un’antichissima festa che, secondo l’attendibile testimonianza delle pellegrina spagnola Egeria, veniva celebrata a Gerusalemme già verso la metà del IV secolo. A tutt’oggi questa festa è celebrata solennemente non solo nella Chiesa cattolica, ma anche in quella anglicana e ortodossa. Questa festa veniva denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione di Maria, in ricordo del momento della storia della Sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di « presentazione del Signore », che aveva in origine.
Dall’inizio della pagina evangelica appena proclamata possiamo facilmente cogliere il contenuto di questa festa liturgica: « Quando venne il tempo della  purificazione secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme, per offrirlo al Signore » (Lc 2,22). L’evangelista Luca parla di due cerimonie tra loro intrecciate: la purificazione rituale di Maria e la presentazione di Gesù al tempio. Secondo la Legge ebraica, la donna dopo il parto doveva essere purificata. Era stabilita l’offerta di un agnello, ma i poveri potevano dare al suo posto una coppia di tortore o di giovani colombe (Lv 12,1-8). Maria osserva la Legge, e in questo modo ella si presenta come un’israelita perfettamente obbediente alla Legge. La seconda cerimonia consisteva nel riscatto (offerta) del primogenito; infatti ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore (Lc 2,23). Al tempo di Gesù, la presentazione del maschio primogenito non era prescritta, ma era conveniente (cf Nm 18,15). Fu fatta, per esempio, da Elcana e da sua moglie Anna per la nascita di Samuele (cf 1 Sam, 1,24-28). Queste due cerimonie, tipiche della tradizione ebraica, in realtà, costituiscono nell’intento di san Luca, solamente la cornice entro cui collocare il vero nucleo di questa festa: l’incontro del Signore con il popolo dei credenti rappresentato dai vegliardi Simeone e Anna. La presentazione di Gesù al tempio costituisce infatti, al pari del Natale e dell’Epifania, la manifestazione di Gesù come l’atteso delle genti. Proprio per questo contenuto celebrativo, la festa odierna viene chiamata ancora oggi in Oriente l’Ypapante, cioè l’Incontro.
Anche noi questa sera siamo invitati ad andare incontro al bambino Gesù, per riconoscerlo come Colui che è la luce del mondo, e per essere il riflesso della sua luce nei confronti di ogni uomo che incrociamo sulle strade della nostra vita. Il rito della processione con le candele benedette che abbiamo compiuto poc’anzi richiama precisamente l’immagine della vita cristiana paragonata a un pellegrinaggio, a un cammino incontro a Cristo Signore e Salvatore, cammino che si concluderà solo quando lo incontreremo definitivamente  nella Gerusalemme celeste. Tale rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: « I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti ». Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di  festa della « candelora ».
Oggi è anche la X Giornata mondiale della vita consacrata. E’ stato l’amato papa Giovanni Paolo II  a istituire nel 1997, proprio in occasione della festa della Presentazione di Gesù al tempio, questa giornata. Mi piace richiamare in questo momento i motivi che spinsero Giovanni Paolo II a istituire dieci anni fa la Giornata della vita consacrata. Si tratta di considerazioni di notevole spessore spirituale che possono e debbono guidare la nostra riflessione di questa sera.  Giovanni Paolo II indicava tre motivi alla base dell’istituzione della Giornata della vita consacrata. In primo luogo, affermava il Papa, essa risponde all’intimo bisogno di lodare più solennemente il Signore e ringraziarlo per il grande dono della vita consacrata, che arricchisce e allieta la comunità cristiana con la molteplicità dei suoi carismi e con i frutti di edificazione di tante esistenze totalmente donate alla causa del regno. Non dobbiamo mai dimenticare che la vita consacrata, prima di essere impegno dell’uomo, è dono che viene dall’Alto, iniziativa del Padre…In secondo luogo, questa giornata ha lo scopo di promuovere la conoscenza e la stima per la vita consacrata da parte dell’intero popolo di Dio… Il terzo motivo riguarda direttamente le persone consacrate, invitate a celebrare congiuntamente e solennemente le meraviglie che il Signore ha operato in loro, per scoprire con più lucido sguardo di fede i raggi della divina bellezza diffusi dallo Spirito nel loro genere di vita e per prendere più viva consapevolezza della loro insostituibile missione nella Chiesa e nel mondo (Messaggio del santo padre Giovanni Paolo II per la Giornata della vita consacrata, 6 gennaio 1997).
Lo stesso Papa Giovanni Paolo II ebbe a dire nell’Esortazione Apostolica post-sinodale sulla vita consacrata del 1996: « Al di là delle superficiali valutazioni di funzionalità, la vita consacrata è importante proprio nel suo essere sovrabbondanza di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in un mondo che rischia di essere soffocato nel vortice dell’effimero. Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il sale della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione ».
A commento di queste parole del Papa, l’Arcivescovo di Chieti-Vasto, il teologo Bruno Forte, scrive: « Questo documento (l’Esortazione Apostolica) appare oggi più attuale che mai. La ragione della sua attualità risiede in quel coraggio dell’ ‘inattualità’ che in esso si respira, in quella libertà dal gusto di inseguire le mode e i gusti del presente, che non esita a riproporre la vita consacrata come segno di contraddizione proprio nel suo rapporto essenziale con la vocazione alla santità: avendo radicato l’identità e la missione della consacrazione a Dio non in motivazioni effimere, ma nell’abisso della vita trinitaria partecipata agli uomini, l’Esortazione sfida un contesto culturale indebolito dal relativismo, incapace di offrire fondamenti ultimi alle scelte di vita e perciò spesso del tutto impari al bisogno di senso e di speranza che c’è nel nostro cuore inquieto. Solo simili considerazioni inattuali sono in grado di sfidare il tempo che passa e di restituire agli uomini un’ancora significativa e credibile cui aggrappare il proprio destino ».
Cari religiosi e religiose, cari consacrati, membri degli istituti secolari, accanto alle parole del santo padre Giovanni Paolo II che ho richiamato, desidero manifestarvi  il mio personale apprezzamento per la vostra presenza questa sera qui in cattedrale e per la collaborazione, preziosa e generosa, che offrite,
attraverso le vostre diverse opere pastorali, all’annuncio del vangelo nella nostra terra lodigiana. Grazie per tutto quello che fate in tutti i campi dell’evangelizzazione e della promozione umana (scuola, sanità, assistenza, cultura, ecc.), e soprattutto grazie per ciò che voi siete, nella testimonianza dei vostri carismi sul senso della vita, sulla obbedienza al Signore e sulla dedizione nella carità.
Saluto e ringrazio in particolare le religiose e i religiosi che ricordano gli anniversari di professione religiosa, in modo speciale le suore e in genere i consacrati e le consacrate che non hanno potuto essere presenti questa sera per infermità o malattia. Il sacrificio eucaristico che ora offriremo insieme sia, giorno dopo giorno, alimento inesauribile per la vostra vita di dedizione a Dio e ai fratelli.
A loro, a tutti i consacrati e a tutti i presenti, chiedo la preghiera per la Chiesa e in particolare per le vocazioni, meglio per la risposta alle vocazioni del Signore, alle chiamate che non mancano mai.
Preghiamo perchè nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie aumenti l’impegno per aiutare anche nei più piccoli la crescita del senso vocazionale della vita, facendo della esistenza una risposta quotidiana alla chiamata del Signore.
E preghiamo poi specificamente per la risposta alla chiamata, alla vocazione, di speciale consacrazione, al sacerdozio, alla vita religiosa, alla vita consacrata.
Non mancano anche nel nostro mondo di oggi, anche nelle città e nei paesi della nostra Diocesi di Lodi, ragazzi e ragazze, giovani e giovani adulti, generosi, in grado di cogliere nella risposta alla chiamata del Signore il senso vero della vita.
Preghiamo il Signore perchè illumini la mente e riscaldi i cuori per l’intercessione della Beata Vergine Maria che fra qualche giorno invocheremo per il titolo delle apparizioni di Lourdes, di San Bassiano e di tutti i nostri Santi, specialmente dei fondatori dei vostri istituti e delle vostre congregazioni.

Gli anni Oscuri di Gesù (Bottini – SBF J.) PDF – lo metto per domani: Presentazione di Gesù al Tempio

dal sito:

http://www.christusrex.org/www1/ofm/sbf/essays/essay12.pdf

essays SBF – jerusalem – 1998

GLI ANNI OSCURI DI GESÙ

Claudio Bottini, O.F.M.

STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM

Premessa

Sappiamo tutti che la tradizione evangelica primitiva si è interessata alla persona e all’opera di Gesù in quanto Messia e Figlio di Dio e non alla sua vicenda terrena in quanto tale. Lo schema fondamentale dei Vangeli è in certo modo riassunto nelle parole di Pietro riferite da At 10,37-43: « Voi conoscete bene l’evento accaduto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea dopo il battesimo che annunziò Giovanni, come cioè Dio unse Gesù di Nazaret con Spirito Santo e potenza ed egli passò beneficando e guarendo tutti quelli che erano oppressi dal diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che fece sia nella regione dei Giudei sia in Gerusalemme. Colui che uccisero appendendolo sul legno Dio lo risuscitò nel terzo giorno e fece sì che divenisse manifesto non già a tutto il popolo, ma a quei testimoni preordinati da Dio, cioè a noi che mangiammo e bevemmo con lui dopo che fu risorto dai morti; e ci comandò di annunziare al popolo e testimoniare che questi è il giudice dei vivi e dei morti destinato da Dio. A favore di lui tutti i profeti attestano che chiunque crederà in lui certamente riceverà la remissione dei peccati mediante il suo nome ». In questo brano si trova non solo la sintesi del cherigma, cioè dell’annunzio del Vangelo, ma pure la piùbreve e essenziale biografia di Gesù. L’ »inizio » è il battesimo di Gesù per mano di Giovanni, perchéfu da allora che iniziò la manifestazione di Gesù a Israele come il « Figlio di Dio » e il « Messia » (cf. Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22; Gv 1,34). E’ vero che i Vangeli secondo Matteo e secondo Luca raccontano la nascita di Gesù e alcuni episodi della sua infanzia, ma basta poco per rendersi conto che essi non sono sufficienti a darci una biografia. Anzi bisogna aggiungere che con tutta probabilità non intendono fare questo. Mt 1-2 e Lc 1-2 sono piuttosto due introduzioni teologiche sotto forma di racconto, non meno di Gv 1,1-18 che èuna introduzione teologica espressa in forma quasi lirica, che siamo abituati a chiamare appunto « prologo »1. Bisogna riconoscere che gli evangelisti lasciano volutamente nell’ombra quella parte della vita di Gesù che precede il suo ministero, tanto che oramai è invalso l’uso di chiamarla « gli anni oscuri di Gesù »2. A ciò bisogna aggiungere un’altra considerazione. Nel mondo antico in genere non aveva grande

importanza la prima età dell’uomo e non si usava raccontare l’infanzia dei grandi personaggi. Nel mondo ebraico poi non vi era nulla di quella concezione romantica del bambino e del suo fascino che si riscontra nel mondo occidentale. Il bambino era visto piuttosto come un essere mancante di qualcosa. Il suo valore era nella capacità di apprendere la Legge e di metterla in pratica e veniva ammirato solo nella misura in cui si dimostrava precoce in questo3. Riconosciuto tutto ciò, è più che legittimo valorizzare sia le poche ma preziose indicazioni dei racconti evangelici sull’infanzia e adolescenza di Gesù, sia quelle che si ricavano dalle fonti giudaiche antiche per illuminare la vita di Gesù che, come scrive il Vangelo di Luca: « quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni » (Lc 3,23).

1. Gesù e i suoi genitori

La psicologia moderna rivela quanto sia importante e quanto influisca sull’età adulta di ogni uomo una appropriata atmosfera familiare e un sano rapporto con i genitori. L’esperienza familiare vissutada Gesù fanciullo dovette essere estremamente positiva, se da adulto si comporterà sempre e verso tutti con un mirabile equilibrio, espressione di grande maturità.

La famiglia di Gesù è presentata da due testimonianze evangeliche: Matteo ne parla dal punto di vista di Giuseppe e Luca la rievoca dal punto di vista di Maria. Insieme delineano, secondo il pensiero della Chiesa, la famiglia modello4. Matteo mette in luce la figura di Giuseppe, narrando l’anunciazione dell’angelo a lui e il suo ruolo di capofamiglia. Giuseppe è definito « l’uomo (o il marito) di Maria » (ton andra Marias) (Mt 1,16; cf. 1,19.24) e Maria è chiamata « la donna (o moglie) di lui » (tën gynaika autou) (Mt 1,24; cf. 1,20) e quindi « madre di lui » (hë m ëtër autou) (Mt 1,18; 2,11), di Gesù, l’Emmanuele, Dio con noi (Mt 1,18; 2,11). Come consorte di Maria, Giuseppe è padre (legale) di Gesù. Per questo la gente del villaggio lo indicherà come « il figlio del carpentiere » (Mt 13,55). Matteo delinea anche la figura morale di Giuseppe dicendo che era « giusto » (Mt 1,19), un termine carico di significato che riassume tutta la spiritualità biblica (cf. Mt 5,20).

Luca dà rilievo alla figura e missione di Maria in alcuni quadri di vita familiare. Nel suo racconto Giuseppe è presentato con i tratti analoghi a quelli del racconto di Matteo, ma meno evidenziati: egli è discendente della « casa e della famiglia di Davide » (Lc 2,4), l’uomo a cui Maria, la fanciulla vergine, è fidanzata (Lc 1,27), il padre adottivo di Gesù (Lc 1,48; 2,33), il capofamiglia (Lc 2,4-5; cf. 2,43.48). Maria è descritta come: sposa vergine (parthenos) (Lc 1,27; cf. 1,34) di Giuseppe, donna « piena di grazia » (kecharitömenë), unita al Signore (Lc 1,28). Docile al messaggio divino, concepisce per lo Spirito Santo, che è la potenza di Dio (Lc 1,35) e dà alla luce Gesù « Figlio dell’Altissimo » e erede del trono di Davide (Lc 1,32), che essa ha portato nel suo ventre, come suo figlio (Lc 1,31; 2,5). Per questo è detta la « Madre del Signore » (Lc 1,43), la « benedetta fra le donne » (Lc 1,42). Dà alla luce Gesù, il suo « primogenito » (Lc 2,7), colui che gli angeli presentano ai pastori come il « Salvatore, il Cristo Signore » (Lc 2,7). Lo cresce e ne condivide il destino secondo le parole che rivolge a lei Simeone nel tempio: « Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima »(Lc 2,34-35). Lei e Giuseppe sono i genitori (hoi goneis) di Gesù (Lc 2,27.43), di questo Figlio incomparabile che costituisce la loro premura e il senso della loro vita (Lc 2,44-45.48), e che li stupisce per l’autonomia dalla loro persona: « Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? » (Lc 2,49bc). Di Gesù nella famiglia di Nazaret si dice poco, ma ciò che si dice è straordinaria–ente denso5. Ecco le affermazioni evangeliche fondamentali: « Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui » (Lc 2,40); « Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso… E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini » (Lc 2,51a.52).

2. La formazione e la pratica religiosa di Gesù

Poiché i racconti evangelici non dicono nulla sulla formazione umana e religiosa di Gesù, noi

possiamo colmare legittimamente il loro silenzio, usando le fonti giudaiche antiche che ci informano sull’educazione che riceveva un fanciullo. Un testo giudaico antico fissa così le tappe della vita del bambino e del giovane: « A cinque anni [comincia lo studio della] Bibbia, a dieci anni la Mishna [tradizioni orali integrative alla Legge scritta], a tredici [comincia a osservare] i precetti [della Legge],… a diciotto ha luogo la « cuppah’ [la celebrazione del matrimonio]« 6. Nel giudaismo antico la formazione religiosa dei figli è compito del padre. Un compito che si concretizza nell’introdurre all’osservanza della Legge, nell’insegnamento della professione di fede (Shema‘) e della preghiera quotidiana che consisteva nelle cosiddette « Diciotto benedizioni » (Shemonèezreh), nel condurre in sinagoga al sabato e al tempio nelle feste di pellegrinaggio. L’insegnamento della professione di fede (Shema‘) e della preghiera quotidiana – (« Diciotto benedizioni ») (Shemonè ezreh) – era obbligatorio in ogni famiglia e cominciava quando il bambino iniziava a parlare. In tal modo il bambino cresceva con quelle formule religiose sulle labbra e le associava spontaneamente alle prime esperienze di conoscenza e di affetto e, in concreto, ai genitori7. L’esperienza vitale dell’amore del papà e della mamma – alla base delle successive esperienze della persona – veniva legata e fusa con quella di Dio. Leggiamo a modo di esemplificazione la quarta, la quattordicesima e la diciottesima benedizione dalla preghiera delle « Diciotto benedizioni »: « Padre nostro, concedici la conoscenza che viene da te, la comprensione e il discernimento che vengono dalla tua Legge (Torah). Benedetto sei tu, Signore, che concedi la conoscenza »8; « Sii misericordioso, Signore Dio nostro, nella tua grande compassione, verso Israele tuo popolo e con Gerusalemme tua città, con Sion, dimora della tua gloria, con il tuo

tempio e la tua abitazione, con il regno della casa di David, tuo giusto messia. Benedetto sei tu, Dio di David, che ricostruisci Gerusalemme »9 « Manda la pace su Israele, tuo popolo, sulla tua città e sulla tua eredità, e benedici tutti noi insieme. Benedetto sei tu, Signore, che operi la pace »10. Difficile esagerare l’importanza di questa preghiera e della professione di fede nella formazione della coscienza religiosa del popolo giudaico. Non ci si sbaglia di certo nel ritenere che anche la psicologia religiosa di Gesù ne fu segnata profondamente: vi imparò a sentirsi vitalmente legato alsuo popolo; vi trovò il suggerimento a rivolgersi a Dio dicendo « Padre Nostro »; fin dai primi balbettii vi imparò a pregare per il regno venturo di Davide e per il giusto messia. La pietà giudaica conosceva non poche altre invocazioni o benedizioni distribuite lungo la giornata. Queste, assieme alle due preghiere fondamentali ricordate, santificavano l’intera giornata e creavano un’atmosfera vitale di grande religiosità. In essa anche Gesù visse la sua prima esperienza di Dio11. Ne ricordiamo due di speciale importanza. Prima dei pasti il capofamiglia diceva: « Benedetto sei tu, Signore, che fai crescere il pane della terra » e « Benedetto sei tu, Signore, re dell’universo, che hai creato il frutto della vite ». Questo itinerario comune di iniziazione alla fede e al rapporto con Dio va supposto pure per Gesù, anche se per lui vi deve essere stata una certa singolarità, dato che la sua vita familiare fu unica per certi aspetti. I genitori appaiono consapevoli di un destino misterioso del bambino (cf. Lc 2,33.50) e vegliavano con cura su di lui (Lc 2,48). Gesù restò celibe12. Cardine della vita religiosa di Israele era già al tempo di Gesù l’osservanza del sabato. Essa prevedeva in sinagoga una serie di riti religiosi piuttosto complessi e lunghi che iniziavano al mattino prima dell’aurora e si protraevano fin verso mezzogiorno. Dalla fluidità iniziale, al tempo di Gesù glielementi essenziali erano già fissati ed erano i seguenti13:

(1) recita dello Shema‘;

(2) recita della preghiera delle « Diciotto benedizioni »;

(3) lettura in ebraico della Legge: il lettore si arrestava dopo ogni versetto per permettere al traduttore che gli stava accanto di tradurre in aramaico, la lingua parlata14;

(4) lettura dei Profeti: fatta allo stesso modo; forse si sceglieva liberamente come fece Gesù (cf. Lc 4,16ss);

(5) la predica: non vi era persona speciale designata per questo, dipendeva dal capo della sinagoga invitare chi ritenesse preparato; si sa di Gesù e di Paolo che usarono di questa

opportunità (cf. Lc 4,20; Gv 18,20; At 13,15);

(6) la benedizione sacerdotale. Oltre alla liturgia in sinagoga, al sabato era prescritto il riposo con cui lo si santificava da tramonto a tramonto. Tutte le azioni lavorative indispensabili andavano anticipate al venerdì pomeriggio prima del tramonto. Si può quindi supporre che anche Gesù abbia aiutato Maria e Giuseppe per i preparativi del riposo sacro: doppia provvista di acqua alla fontana, pulizia della casa, riassetto della bottega. Pochi minuti prima dell’arrivo del sabato tutta la famiglia si radunava attorno al tavolo dove la donna o la madre, in questo caso Maria, accendeva la lampada e pronunciava una benedizione; la lampada doveva durare fino al mattino quando prima dell’aurora ci si recava in sinagoga. Gesù dunque, fin da bambino, ha senz’altro preso parte alla liturgia sinagogale del sabato e, a partire dal tredicesimo anno di età, ha potuto salire sul podio a leggere la Scrittura. A tredici anni infatti si diventava bar mizvah, « figlio del precetto », cioè adulto, tenuto all’osservanza della Legge. Alcuni studiosi hanno messo in relazione l’episodio di Gesù nel tempio fra i dottori (cf. Lc 2,41-52) con questo rito di iniziazione o di riconoscimento della maturità religiosa15. La partecipazione di Gesù al pellegrinaggio, nell’anno che precede o che realizza il riconoscimento della sua maturitàreligiosa, rende comprensibile la sua permanenza nelle adiacenze del tempio, dove i maestri insegnavano la Legge ai giovani. Gesù ascolta e interroga secondo il metodo di insegnamento in uso nelle scuole rabbiniche16.

Un altro elemento della pratica religiosa ebraica presente al tempo di Gesù erano le feste e, in particolare, quelle principali cui era legato il pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. L’evangelista Luca annota che « i suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua »(2,41). Le altre due feste erano quella di Pentecoste e quella delle Capanne. Ad esse vanno aggiunte quelle di Rosh Hashana o Capodanno e quella del Kippur e dell’Espiazione. Non è difficile néinverosimile pensare che anche la famiglia di Gesù le abbia vissute con intensa partecipazione spirituale. Questi fatti attestano che, anche se l’esperienza religiosa di Gesù, uomo adulto, è unica e irripetibile, la sua forma espressiva non è nuova, ma si trova nella fraseologia tradizionale della pietàgiudaica. Ciò si vede specialmente nel racconto della passione. Gesù aveva assimilato profondamente dalla prima infanzia le preghiere ufficiali del culto di Israele.

3. La formazione scolastica di Gesù

Elementi immancabili in qualsiasi villaggio di Palestina del tempo di Gesù (e non solo di allora) erano la fontana, la sinagoga, la scuola e le botteghe degli artigiani. Questo quadro vale anche per l’oscuro villaggio di Nazaret. Probabilmente anche qui, come accadeva in altri villaggi, la sinagoga, che di sabato accoglieva per la preghiera, durante la settimana diventava la scuola per i bambini. Al tempo di Gesù la scuola era già obbligatoria all’età di cinque o sei anni per i bambini maschi. Le bambine non andavano a scuola. Un detto del Talmud di Gerusalemme spiega che « non c’è sapienza per una donna se non nel fuso »17. Era compito della mamma preparare al mattino i figli e – almeno per i primi giorni – accompagnarli alla scuola e poi andarli a riprendere all’uscita. In un testo rabbinico si trova l’eco dei riflessi familiari suscitati dalla frequenza scolastica. La mamma si leva presto al mattino e lava la faccia ai bambini « prima di presentarli al maestro, poi all’ora sesta [a mezzogiorno] si reca a ricevere i figli che escono dalla scuola »18. Questo dovette essere più o meno il ritmo della famiglia di Nazaret per i cinque anni che il diritto ebraico prescriveva riguardo alla scuola primaria. Materia unica di insegnamento per i primi cinque anni era la Bibbia letta, declamata e ripetuta. Il maestro spiegava il rotolo dinanzi agli alunni, indicava loro il testo sacro versetto per versetto ed essi ripetevano a cantilena. Di versetto in versetto, di libro in libro, in cinque anni si passava tutta la Bibbia, specialmente la Torah, e si finiva per impararla a memoria. Al riguardo possediamo una testimonianza preziosa di Giuseppe Flavio, storico ebreo contemporaneo alla stesura dei Vangeli. Non senza una punta di giustificato orgoglio diceva: « Se uno di noi viene interrogato sulla Legge, èpronto a recitarla [a memoria] più facilmente che il suo proprio nome. Infatti noi la impariamo appena iniziamo ad avere l’uso di ragione e la portiamo come impressa nell’anima »19. Possiamo così legittimamente supporre che ciò avvenne anche per Gesù, del quale sappiamo, secondo la testimonianza dei Vangeli, che citava con frequenza la Scrittura in riferimento alla sua persona e alla sua missione. Credo sia giusto aggiungere che fu proprio nella Scrittura che Gesù trovòdelineato il suo ritratto umano-divino e la sua vocazione messianica20. Dopo i cinque anni di studio della Torah e degli altri libri biblici, il ragazzo verso l’undicesimo o dodicesimo anno, entrava nel secondo ciclo di formazione scolastica. Esso durava due anni e aveva per oggetto le tradizioni orali che la tradizione ebraica trasmetteva come complemento e spiegazione della Scrittura, facendole risalire a Mosè stesso e ai dottori della Legge. Il metodo era lo stesso, fondato sulla ripetizione e sull’allenamento della memoria e i ragazzi tornavano a scuola anche il pomeriggio. Probabilmente a questi anni di disciplina mentale e fisica allude l’evangelista Luca quando scrive che Gesù « cresceva e si fortificava, pieno di sapienza » (Lc 2,40). Quando a dodici anni Gesù dal villaggio di Nazaret sale a Gerusalemme lascia « pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte » i dottori e quanti l’udivano (Lc 2,47). I commentatori sottolineano questa significativa corrispondenza tra la fine del curricolo scolastico e la rivelazione di una sapienza superiore in Gesù, anche se la sua coscienza messianica, che proprio a Gerusalemme comincia a manifestarsi (cf. Lc 2,49, la risposta ai genitori) non è frutto dei sette anni di scuola a Nazaret21. Espletato il curricolo scolastico obbligatorio, il ragazzo non aveva più a che fare con la scuola. Il padre aveva l’obbligo di avviare il figlio a una professione, che spesso era quella che lui stesso esercitava. Erano pochi quelli che, volendo diventare scribi, giudici, maestri, capi-sinagoga, proseguivano gli studi a livello superiore. In questo caso dovevano lasciare il villaggio e mettersi alla scuola di qualche maestro celebre che dirigeva una bêt midrash o « casa dello studio ». Dalle fonti letterarie sappiamo che queste scuole erano in tutti i centri di una certa importanza. Due di queste, rinomate al tempo di Gesù, facevano capo a Hillel e Shammai ed erano situate nel recinto del tempio e collegate con il sinedrio. Fu anche Gesù alla scuola di qualche maestro? Di certo non lo sappiamo. Tuttavia la tradizione evangelica mostra in forma inequivocabile che il cammino di Gesù si è effettivamente incrociato con quello di Giovanni Battista. Questi aveva raccolto intorno a sé un gruppo di discepoli che con lui si distinguevano per la predicazione del battesimo e della conversione, per lo stile di vita e per alcune pratiche ascetiche e cultuali. Non sono pochi gli esegeti e storici i quali pensano che Gesù sia stato per qualche tempo discepolo di Giovanni Battista prima di iniziare il proprio ministero22.

4. Recenti apporti alla conoscenza degli anni oscuri di Gesù

Fin qui ho cercato di presentare il quadro, più o meno consueto, nel quale si vedono collocati i trenta anni di vita « nascosta » di Gesù. Negli ultimi anni, grazie alle accresciute conoscenze storico-letterarie e agli apporti archeologici, non pochi autori hanno suggerito di ritoccare tale quadro con nuovi e suggestivi elementi. Ne sintetizzo brevemente due. a) Le condizioni socio-economiche e culturali della Galilea Gli intensi e estesi scavi archeologici praticati in Galilea hanno portato gli studiosi a modificare l’immagine che si aveva di questa regione e a dare molto più credito di quanto non si facesse finora alla descrizione che di essa ci ha lasciato lo storico ebreo Giuseppe Flavio, di poco posteriore a Gesù. Lungi dall’essere una regione semi-isolata e esclusivamente dedita all’agricoltura, risulta che fosse un territorio aperto ai contatti culturali e commerciali. Anche se l’attività agricola era quella principale, non vi mancavano attività di tipo industriale, come la produzione della ceramica, del vetro e del pesce nella zona del lago di Tiberiade23. In particolare alcuni studiosi hanno messo in relazione Nazaret con la città di Sefforis distante solopochi chilometri, che gli scavi archeologici stanno portando alla luce da una decina di anni confermando l’affermazione di Giuseppe Flavio che la chiama « l’ornamento di tutta la Gallilea »24. Erode Antipa, figlio di Erode il grande, che governò la Galilea come tetrarca dal 4 a. C. al 39 d. C., proprio negli anni della giovinezza e della maturità di Gesù, aveva fatto di Sefforis un grande cantiere di lavoro dove affluivano manodopera e abitanti da tutti i villaggi circostanti. La deduzione di alcuni autori èche Giuseppe e Gesù, che vivevano del proprio lavoro, molto probabilmente lavorarono anch’essi, come tanti altri artigiani, a Sefforis o vennero almeno in qualche modo in contatto con la città e i suoi abitanti25. Se ciò è vero, bisogna ammettere che Gesù visse in un ambiente molto più urbano e raffinato di quanto si credeva fino ad ora26. Lo studioso più appassionato dell’argomento R. A. Batey si è spinto fino ad affermare che alcune immagini usate da Gesù nelle parabole riflettono il punto di vista di un artigiano o lavoratore in costruzioni27 e che l’uso della parola greca hypokrites (= attore drammatico) in tutte e quattro le fonti dei Vangeli suggerisce che Gesù aveva familiarità con gli attori in scena. Una dimestichezza che poteva aver avuto proprio a Sefforis dove gli scavi hanno rimesso in luce unosplendido teatro romano28. Un altro elemento non certamente nuovo ma ritornato alla ribalta di recente è il discorso sulle lingue parlate da Gesù. E’ un dato di fatto innegabile che da secoli l’aramaico era la « lingua franca »della Palestina, ma è altrettanto certo che l’ellenizzazione del paese, iniziata con la conquista di Alessandro Magno (333 a. C.), aveva fatto grandi passi permeando tutti gli ambiti della vita. La reazione maccabaica ne è una prova evidente. A ciò bisogna aggiungere la presenza politica e amministrativa romana e di conseguenza anche l’arrivo della lingua latina. Il panorama linguistico della Palestina, compresa la Galilea, si presentava dunque molto complesso nel primo secolo29. Il dibattito interessa direttamente anche il discorso sulle conoscenze linguistiche di Gesù. Riassumo brevemente le posizioni attuali esponendo il pensiero di tre autori che riflettono orientamenti diversi.Anzitutto l’opinione di Joseph A. Fitzmyer, esegeta e specialista di aramaico: il latino era limitato agli occupanti romani e usato per motivi e circostanze ufficiali; il greco era di sicuro ampiamente usato da vari strati della popolazione; l’ebraico continuava ad essere usato in alcuni strati sociali e regioni. Quanto a Gesù è almeno certo che egli parlava greco, oltre che aramico, ma è improbabile che egli predicasse e insegnasse in greco e, se lo fece, è impossibile ricavare dalla tradizione evangelica il relativo materiale. L’ebraico, come lingua di Gesù, resta una semplice speculazione30. Di parere in parte diverso è Stanley E. Porter, specialista di greco biblico e appassionato divulgatore delle sue idee: Gesù aveva una conoscenza linguistica non solo per conversare, ma anche per insegnare in greco durante il suo ministero. Dopo gli studi e le scoperte sull’ambiente culturale della Galilea, non si può dubitare che il greco vi fosse ben conosciuto e adoperato. In un gruppo di passi evangelici molto significativi è possibile scorgere la prova di questa affermazione31. R. Buth ritiene che Gesù era in grado di usare tre lingue. Egli conosceva certamente l’ebraico e l’aramaico (cf. Lc 4,16-20; Mc 5,41). Probabilmente usava l’ebraico parlato al suo tempo per le parabole, per motivi legali e per discussioni di argomento religioso (cf. Mc 2,1-12) e per questioni di vita quotidiana in Giudea. E’ probabile che egli usava soprattutto l’aramaico e il greco nelle circostanze della vita quotidiana in Galilea. Sembra che persino in Galilea il suo insegnamento rivolto a uditori ebrei si svolgesse in ebraico, anche se attualmente la prova al riguardo è incompleta. Il suo viaggio nella regione di Tiro e Sidone presuppone che Gesù doveva avere facilità ad esprimersi anche in greco32.

Concludendo è opportuno notare l’evoluzione in atto nella presentazione degli anni oscuri di Gesù. Da un ritratto di tipo romantico e fantastico, divenuto « classico » e stereotipo si sta passando a un identikit della persona di Gesù, basato sull’archeologia e sulla storia della cultura. La figura di Gesùviene così inquadrata in un vivace contesto umano, culturale e economico, quale era quello della Galilea del primo secolo, piuttosto che sui dati elaborati dalla fantasia, in genere piuttosto romanzesca e non aderente alla Scrittura.

NOTE

non le metto per motivi di lunghezza del testo, chi vuole leggerle può andare direttamente su PDF, grazie 

Publié dans:FESTE DEL SIGNORE, FESTE DI MARIA |on 1 février, 2011 |Pas de commentaires »

Battesimo del Signore: Dai Discorsi di san Gregorio Nazianzeno

dal sito:

http://www.certosini.info/lezion/Santi/13%20gennaio%20Battesimo%20del%20Signore.htm

Battesimo del Signore

Dai Discorsi di san Gregorio Nazianzeno.

In sancta Lumina, oratio XXXIX, 14-16. 20. PG 36, 350-351. 354. 358-359.

   Abbiamo già celebrato nei giorni scorsi come si conveniva la nascita di Cristo, io, che sono l’animatore di questa festa, e voi insieme con me e tutto quello che è nel mondo e sopra il mondo. Siamo accorsi insieme con la stella e lo abbiamo adorato insieme con i magi; siamo stati illuminati insieme con i pastori e lo abbiamo glorificato insieme con gli angeli; lo abbiamo tenuto tra le braccia insieme con Simeone e gli abbiamo reso testimonianza insieme con Anna, l’anziana casta donna. E siano rese grazie a colui che è venuto in quello che era suo come se fosse un estraneo, poiché ha glorificato l’uomo che gli era estraneo.
   Ora però vi è un’altra azione di Cristo e un altro mistero. Non posso reprimere il piacere, divento ricolmo di Dio; poco ci manca che annunci anch’io la buona parola come fece Giovanni: anche se non sono precursore, vengo comunque dal deserto.
   Cristo nel battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
2     Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare anche il battezzatore; è chiaro comunque che vuole santificare la stirpe del vecchio Adamo seppellendola totalmente nelle acque. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. Egli è spirito e carne, per cui santifica nello Spirito e nell’acqua.
   Il Battista non accetta, ma Gesù insiste. Io ho bisogno di essere battezzato da te, dice la lucerna al Sole, la voce alla Parola, l’amico allo Sposo; colui che è il più grande tra i figli degli uomini parla così a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, riceve la sua adorazione: colui che precorreva e avrebbe ancora precorso a colui che era già apparso e sarebbe apparso ancora.
   Io ho bisogno di essere battezzato da te1. E potrebbe aggiungere: « in tuo favore ». Sapeva, infatti, che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
   E tu vieni da me?1 – domanda il Battista. Anche queste parole hanno un significato profetico: sapeva, infatti, che dopo Erode, anche Pilato si sarebbe scatenato contro Cristo; e poi Giovanni morirà per primo per mano di Erode, e Cristo gli andrà dietro nella morte.
   E Gesù che gli  risponde? Lascia fare per ora. Tale è il piano divino. Gesù conosce che poco dopo lui stesso battezzerà il Battezzatore. E che significa il ventilabro? La purificazione. Che significa il fuoco? L’azione infuocata dello Spirito Santo che distrugge quanto è leggero come pula.
3     Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto il cosmo: vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati, come il paradiso dalla spada fiammeggiante.
   E lo Spirito testimonia la divinità di Cristo: si presenta simbolicamente sopra colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità da cui proveniva chi in quel momento riceve la testimonianza.
   Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Molto tempo prima era stata pure una colomba ad annunziare la fine del diluvio. Se tu giudichi la natura divina in base al peso e alla misura e per questo motivo lo Spirito ti sembra di poco conto perché appare in forma di colomba, sei davvero meschino quando giudichi le cose più grandi; allora è il momento anche che disprezzi il regno dei cieli, perché è paragonato a un granellino di senapa. E devi porre l’Avversario ben sopra la sublimità di Gesù, perché quello è chiamato Alto monte e Leviatan, principe del regno del mare. Invece Gesù è l’agnello,la perla, la goccia ed è chiamato con altri nomi del genere.
4  Onoriamo in questo giorno il battesimo di Cristo e celebriamo com’è giusto questa festa non in piaceri di lauti banchetti ma nella letizia spirituale.
   Come ci dovremo dilettare? Lavatevi, purificatevi. Se siete color porpora a causa del vostro peccato, pur senza aver sangue sulle mani, diventate bianchi come la neve. Se invece siete imporporati di sangue, cercate di giungere al bianco della lana. In ogni caso, purificatevi e progredite in questa purezza.
   Di nessuna cosa Dio tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell’uomo. Per l’uomo sono appunto sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti tutti i misteri della rivelazione.
   Tutto è stato fatto perché voi diventiate come fiaccole nel mondo, cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa e sarete inondati dal suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpida e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio proveniente dal Dio unico attraverso Gesù Cristo nostro Signore. A lui vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli.

dom Prosper Guéranger – 14 settembre: Esaltazione della Santa Croce

dal sito:

http://www.unavoce-ve.it/pg-14set.htm

L’anno liturgico di dom Prosper Guéranger

14 SETTEMBRE

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Il senso della festa della Croce.

« Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce ». Le parole dell’Apostolo, che leggiamo nell’Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell’era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l’orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l’Incarnazione e la morte sulla Croce. (Fil, 2, 6-11, traduzione dal sito)

Il supplizio della Croce.

Non era la croce considerata dagli antichi come « il supplizio più terribile e più infamante » (Cicerone, In Verrem II)? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l’atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l’asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

Il culto della Croce.

Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito, il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa).
Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore.
È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce, festa che ha un’origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

Origine della festa.

La data del 14 settembre segna l’anniversario di una dedicazione che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo.
Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell’Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall’imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto.
L’anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50  vescovi assistevano ogni anno alla solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

Doppio oggetto della festa.

Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell’antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell’olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

Diffusione della festa.

La cerimonia prese un’importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano.
I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l’imperatore Eraclio e Roma l’ebbe nel corso del secolo VII. Sotto papa Sergio († 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l’adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservato un’orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparì dagli usi romani, ma l’orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l’adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche chiese.

Nuovo splendore della festa.

Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del S. Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.
Carattere nuovo della festa.
Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l’antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell’Impero.  Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l’Esaltazione del Figlio dell’Uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.
Essendo stata l’adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant’Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.
O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un’altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci!
Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l’inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell’inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno.
Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa’, te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l’uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1072-1076

Publié dans:FESTE DEL SIGNORE |on 13 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Per la festa della Trsfigurazione del Singore – Omelia Mons. Riboldi: Maestro è bello restare qui

dal sito:

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?mostra_id=7721

Maestro è bello restare qui

mons. Antonio Riboldi 

Trasfigurazione del Signore (Anno B) (06/08/2006)
Vangelo: Mc 9,2-10  

Non era facile, quando Gesù, Figlio di Dio, visse tra di noi, nella missione avuta dal Padre, di « vestirsi totalmente dei nostri panni » che sanno di infelicità, miseria, solitudine, e deviazioni.
Quando ci si ferma un istante a voler guardare la profondità del nostro vivere quotidiano, sembra proprio di entrare in una nube senza luce, che toglie speranza e gioia.
Ci fu un momento in cui Gesù chiese direttamente ai suoi, a quelli cioè che Lui aveva scelto e chiamati a stare con Lui, cosa la gente pensava di Lui. Tutti ricordiamo la risposta: « La gente crede che tu sei un grande profeta, come Mosè, Elia, o altri profeti ». Ma sempre un uomo come noi, un uomo speciale, che però non appariva tale a tutti. Aveva molti nemici e tante incomprensioni.
Quando rivolge la domanda agli apostoli: « E voi chi dite che io sia? » La risposta la conosciamo tutti e viene da Pietro, il generoso pescatore che poco sapeva e poteva sapere della meravigliosa realtà di Dio. « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente ». La replica di Gesù è di quelle che si incidono nella storia per non solo ricordare, ma come fondamento della vita, così come della fede della Chiesa che per anni sente nella risposta di Gesù il senso della vita. « Beato te, Simone figlio di Bar Iona. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non potranno prevalere mai ».
C’è una bella differenza tra queste affermazioni, che sono centro della storia dell’uomo e le tantissime che vengono da uomini che si propongono come « personaggi importanti » e sono come un urlo senza eco di ritorno e non saranno mai ciò che solo il Figlio di Dio è stato ed è per noi: « Cristo Gesù, nostro Signore, ieri, oggi, sempre ».
E come a incidere per sempre la propria identità, non più affidata alla parola, ma ad una manifestazione di chi davvero era ed è, tutti i Vangeli raccontano la trasfigurazione, che si propone a noi, se ci identifichiamo con Pietro, Giacomo e Giovanni.
Ogni volta che ho avuto il dono di visitare la Terra Santa, uno dei luoghi, che più attirava ed affascinava, era il Monte Tabor. Salendo, trasportato dai taxi che facevano spola verso il monte, cercavo di entrare nel fatto della trasfigurazione. E non si poteva sottrarre al fascino di quel monte che dominava tutta la pianura sottostante, come se non si fosse disperso lo stupore della trasfigurazione. Veniva voglia di grande silenzio e preghiera.
Così narra l’evangelista Luca: « Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e salì sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella loro gloria e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno: tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui. Mentre questi si separavano da Lui, Pietro disse a Gesù: Maestro è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elìa. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così venne una nube e li avvolse: all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: Questi è il mio Figlio, l’eletto, ascoltatelo. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno quello che avevano visto » (Lc 9,28-36).
Possiamo facilmente immaginare il silenzio di quella notte sul Tabor. Gesù era a colloquio con il Padre. E davanti a Lui sfilava la terribile storia del suo amore per noi, narrata già dai Profeti. Si vedeva arrestato, trattato come il peggiore dei nemici, con la sua dignità, di figlio di Dio, fatta a brandelli, fino alla crocifissione, da dove nulla più poteva manifestare della grandiosità di quello che prima operava tra gli uomini che correvano a Lui. E forse sentiva il bisogno di avere vicino qualcuno che credesse ancora in Lui e fosse poi testimone di quell’amore che è ora il grande tesoro che la Chiesa conserva e non solo racconta, ma rende presente.
Forse sapeva dell’abbandono, come avremmo forse fatto anche noi davanti al Crocifisso, ossia all’uomo della speranza, dell’amore, finito apparentemente nel pericoloso silenzio della morte. Forse per questo aveva voluto vicino Pietro, Giacomo Giovanni…per mostrare loro chi veramente era e la ragione del suo sacrificio.
E tutti sappiamo come sotto la croce non c’erano Pietro e Giacomo, ma solo Giovanni con Maria, sua madre, e l’altra Maria. Là non c’era posto per costruire le « tende »!
Eppure quella « gloria » non si è spenta sulla croce, ma anzi, per meravigliosa trasfigurazione, che è l’amore donato, quella gloria continua a manifestarsi.
Lo sanno i miei fratelli nella fede, che veramente « vivono Cristo » non superficialmente, ma in profondità, come nella contemplazione, a volte, ci si senta come sul Tabor e Gesù appare in tutta la sua gloria. Occorre uscire a volte dalla mediocrità della vita, e sapere salire sul Tabor in compagnia di Gesù, per carpire almeno qualche raggio di quella bellezza che Lui sa mostrare…anche nel dolore nostro.
Dipende dal rapporto di fede e di amicizia che corre tra noi e Lui. Ho davanti ai miei occhi tanti, che ho avuto la fortuna di conoscere o avere al mio fianco, per capire cosa voglia dire essere come rapiti dall’estasi, ossia dal vedere la gloria di Dio.
Ho avuto come compagno di riposo, in estate, un grande poeta convertito e datosi totalmente a Dio: Padre Clemente Rebora. Penso tanti di voi ne abbiano almeno sentito parlare o conoscano le sue liriche, che sono una gloria della poesia del secolo scorso.
Gli servivo ogni mattina la S. Messa, ma a volte sembrava non appartenesse più a questa terra, tanto si elevava. Chiedeva al Superiore di avere la camera vicina alla cappella, che è nel reparto riservato ai religiosi, nella grande basilica della Sacra di S. Michele, in Valle di Susa. E chiedeva questa camera perché diceva: « Sistemo il mio letto in modo che la sponda dove riposa la testa sia proprio vicino alla parete in cui è il tabernacolo. Così la notte dormo testa a testa con Gesù ».
Così come ho potuto avere il privilegio di assistere a parecchie Sante Messe nella Cappella privata dell’amato Giovanni Paolo II…anzi con lui concelebravo. Ma che differenza passava tra il Tabor e quella cappella, nel momento della consacrazione? Nessuna.
E di questi, che « vedono » Gesù trasfigurato, ce ne sono tanti…e non solo nei monasteri. E’ come vedessero il Volto di Dio. Un poco come quando noi, .ma in forma ridottissima, incontriamo il volto di una persona cara. Ci trasfiguriamo.
E in quello « stare con Gesù », si accetta ogni prova della vita, come dono di amore. Anzi a volte i santi, come S. Francesco d’Assisi o Padre Pio, accettano di partecipare alla passione con le stigmate.
Così, quasi, commenta tutto questo l’apostolo Pietro, oggi: « Carissimi, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre, quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: « Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto ». Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come la lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori » (Pt 1,16-19).
Sarebbe bello oggi condurvi per mano sul Tabor per gustare insieme la trasfigurazione, guidati dalle parole piene di passione del grande Paolo VI che, a Manila, nel Novembre 1970, così parlo di Gesù: « Guai a me se non predicassi il Vangelo. Io sono mandato da Lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone…Gesù Cristo, voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene a voi cristiani, io ripeto il suo nome: a tutti io lo annuncio: Gesù Cristo è il principio e la fine: l’alfa e l’omèga: Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo. Egli è per antonomasia, il Figlio dell’ uomo, perché Egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito. E’ il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, ma madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo Mistico.
Gesù Cristo! Ricordate, questo è il nostro perenne annunzio: è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra e per tutti i secoli ».
Quanta passione vi era nel Santo Padre. Crea confusione in noi che, a volte, per paura di lasciare questa terra, non riusciamo a sollevarci nella gioia di conoscerLo, amarLo e quindi vederLo.
Viene spontaneo il desiderio di dire quanto disse Pietro sul Tabor: « Maestro, facciamo tre tende qui, una per te e le altre per noi! »

FRANCIA, LOURDES 12-15 SETTEMBRE 2008, PAPA BENEDETTO, OMELIA, PER LA FESTA DELLA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080914_lourdes-apparizioni_it.html  
 
VIAGGIO APOSTOLICO
IN FRANCIA IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO
DELLE APPARIZIONI DI LOURDES
(12 – 15 SETTEMBRE 2008) 

SANTA MESSA PER IL 150° ANNIVERSARIO DELLE APPARIZIONI
(E PER LA FESTA DELLA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE)

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Prairie, Lourdes
Domenica, 14 settembre 2008

Signori Cardinali, caro Mons. Perrier,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari pellegrini, fratelli e sorelle,

“Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella”. È il messaggio che Bernadette ricevette dalla “bella Signora” nell’apparizione del 2 marzo 1858. Da 150 anni i pellegrini non hanno mai cessato di venire alla grotta di Massabielle per ascoltare il messaggio di conversione e di speranza che è loro rivolto. Ed anche noi, eccoci qui stamane ai piedi di Maria, la Vergine Immacolata, per metterci alla sua scuola con la piccola Bernadette.

Ringrazio in modo particolare Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, per la calorosa accoglienza che mi ha riservato e per le parole gentili che mi ha rivolto. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, così come tutti voi, cari pellegrini di Lourdes, in special modo i malati. Siete venuti in grande numero a compiere questo pellegrinaggio giubilare con me e ad affidare le vostre famiglie, i vostri parenti ed amici, e tutte le vostre intenzioni a Nostra Signora. La mia riconoscenza va anche alle Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questa Celebrazione eucaristica.

“Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna. E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini, per tutti gli uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, “Venite, adoriamolo!”. In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia.

E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza.

La Chiesa ha ricevuto la missione di mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce.

Per accogliere nelle nostre vite questa Croce gloriosa, la celebrazione del Giubileo delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes ci fa entrare in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Accogliendo il Figlio suo, che Ella ci presenta, siamo immersi in una sorgente viva in cui la fede può ritrovare un vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo. Gesù, nato da Maria, è Figlio di Dio, unico salvatore di tutti gli uomini, che vive ed agisce nella sua Chiesa e nel mondo. La Chiesa è inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore. Questa missione, che è stata affidata da Gesù ai suoi discepoli, riceve qui, in occasione di questo Giubileo, un soffio nuovo. Che al seguito dei grandi evangelizzatori del vostro Paese, lo spirito missionario, che ha animato tanti uomini e donne di Francia nel corso dei secoli, sia ancora la vostra fierezza e il vostro impegno!

Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Nel loro cammino spirituale i cristiani sono chiamati essi pure a far fruttificare la grazia del loro Battesimo, a nutrirsi di Eucaristia, ad attingere nella preghiera la forza per testimoniare ed essere solidali con tutti i loro fratelli in umanità (cfr Omaggio alla Vergine Maria, Piazza di Spagna, 8 dicembre 2007). E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo!

Proseguendo nella sua catechesi la “bella Signora”rivela il suo nome a Bernadette: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché “ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48).  Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. “Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Essa è la bellezza trasfigurata, l’immagine dell’umanità nuova. Presentandosi così in una dipendenza totale da Dio, Maria esprime in realtà un atteggiamento di piena libertà, fondata sul pieno riconoscimento della sua vera dignità. Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza.

Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione” (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti.  

La presenza dei giovani a Lourdes è anche una realtà importante. Cari amici, qui presenti stamattina intorno alla Croce della Giornata Mondiale della Gioventù, quando Maria ricevette la visita dell’Angelo, era una giovane ragazza di Nazaret che conduceva la vita semplice e coraggiosa delle donne del suo villaggio. E se lo sguardo di Dio si posò in modo particolare su di lei, fidandosi di lei, Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse “sì” senza esitare. Grazie al suo “sì” la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire “sì” alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore! Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore. Siete in molti a venire a Lourdes per un servizio attento e generoso accanto ai malati o ad altri pellegrini, mettendovi così sulle orme di Cristo servo. Il servizio reso ai fratelli e alle sorelle apre il cuore e rende disponibili. Nel silenzio della preghiera, sia Maria la vostra confidente, lei che ha saputo parlare a Bernadette rispettandola e fidandosi di lei. Maria aiuti coloro che sono chiamati al matrimonio a scoprire la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele! A coloro tra voi che Egli chiama a seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa, vorrei ridire tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini. Siano le famiglie e le comunità cristiane luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo!

Il messaggio di Maria è un messaggio di speranza per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di qualunque Paese siano. Amo invocare Maria come Stella della speranza (Enc. Spe salvi, n.50). Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo “sì”, mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Felici gli uomini e le donne che ripongono la loro fiducia in Colui che, nel momento di offrire la sua vita per la nostra salvezza, ci ha donato sua Madre perché fosse nostra Madre!

Cari fratelli e sorelle, in questa terra di Francia, la Madre del Signore è venerata in innumerevoli santuari, che manifestano così la fede trasmessa di generazione in generazione. Celebrata nella sua Assunzione, essa è la Patrona amata del vostro Paese. Sia sempre onorata con fervore in ciascuna della vostra famiglie, nelle vostre comunità religiose e nelle parrocchie! Vegli Maria su tutti gli abitanti del vostro bel Paese e sui pellegrini venuti numerosi da altri Paesi per celebrare questo Giubileo! Sia per tutti la Madre che circonda d’attenzione i suoi figli nelle gioie come nelle prove! Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen.

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