Archive pour la catégorie 'FESTE DI SAN PIETRO E PAOLO'

Benedetto XVI: Pietro e Paolo, “sante radici” della Chiesa di Roma (Angelus)

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http://www.zenit.org/article-23033?l=italian

Benedetto XVI: Pietro e Paolo, “sante radici” della Chiesa di Roma

Angelus nella solennità dei Santi Apostoli

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento di Benedetto XVI pronunciato questo martedì durante la recita dell’Angelus dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico vaticano, al termine della Messa celebrata nella Basilica vaticana nella solennità dei Santi Pietro e Paolo.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi la Chiesa di Roma festeggia le sue sante radici, celebrando gli Apostoli Pietro e Paolo, le cui reliquie sono custodite nelle due Basiliche ad essi dedicate e che ornano l’intera Città cara ai cristiani residenti e pellegrini. La solennità è iniziata ieri sera con la preghiera dei Primi Vespri nella Basilica Ostiense. La liturgia del giorno ripropone la professione di fede di Pietro nei confronti di Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Non è una dichiarazione frutto di ragionamento, ma una rivelazione del Padre all’umile pescatore di Galilea, come conferma Gesù stesso dicendo: «né carne né sangue te lo hanno rivelato» (Mt 16,17). Simon Pietro è talmente vicino al Signore da diventare egli stesso una roccia di fede e d’amore su cui Gesù ha edificato la sua Chiesa e «l’ha resa – come osserva san Giovanni Crisostomo – più forte del cielo stesso» (Hom. in Matthæum 54, 2: PG 58,535). Infatti, il Signore conclude dicendo: «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19).

San Paolo – di cui abbiamo recentemente celebrato il bimillenario della nascita – con la Grazia divina ha diffuso il Vangelo, seminando la Parola di verità e di salvezza in mezzo ai popoli pagani. I due Santi Patroni di Roma, pur avendo ricevuto da Dio carismi diversi e missioni diverse da compiere, sono entrambi fondamenta della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, «permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunziare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Communionis notio, 28 maggio 1992, n. 4: AAS 85 [1993], 840). Per questo, durante la santa Messa di questa mattina nella Basilica Vaticana, ho consegnato a trentotto Arcivescovi Metropoliti il Pallio, che simboleggia sia la comunione con il Vescovo di Roma, sia la missione di pascere con amore l’unico gregge di Cristo. In questa solenne ricorrenza, desidero anche ringraziare di cuore la Delegazione del Patriarcato Ecumenico, a testimonianza del vincolo spirituale tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli.

L’esempio degli Apostoli Pietro e Paolo illumini le menti e accenda nei cuori dei credenti il santo desiderio di compiere la volontà di Dio, affinché la Chiesa pellegrina sulla terra sia sempre fedele al suo Signore. Rivolgiamoci con fiducia alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli, che dal Cielo guida e sostiene il cammino del Popolo di Dio.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in modo particolare gli Arcivescovi Metropoliti e quanti li accompagnano. A tutti auguro una buona festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo.

29 giugno 2010, la festa nella tradizione bizantina: …essi sono le ali della conoscenza di Dio… le braccia della croce…

dal sito:

http://collegiogreco.blogspot.com/2010/06/la-festa-dei-santi-pietro-e-paolo-nella.html

martedì 29 giugno 2010

La festa dei santi Pietro e Paolo nella tradizione bizantina

…essi sono le ali della conoscenza di Dio… le braccia della croce…

La festa degli apostoli Pietro e Paolo il giorno 29 giugno è celebrata in tutte le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente, e in alcune delle tradizioni orientali come quella bizantina è preceduta da un periodo di digiuno (quaresima) con una durata variabile in quanto essa inizia il lunedì dopo la domenica di Tutti i Santi, che è quella successiva alla domenica di Pentecoste. Collegata ancora alla presente festa dei due apostoli troviamo nella tradizione bizantina il giorno seguente la celebrazione (sinassi) dei Dodici Apostoli, discepoli del Signore, testimoni della sua Risurrezione, predicatori del suo Vangelo nel mondo intero. L’iconografia di Pietro e Paolo ci tramanda l’abbraccio fraterno tra i due apostoli; oppure l’icona di Pietro e Paolo che sorreggono l’edificio della Chiesa. Inoltre i tratti iconografici dell’uno e dell’altro sono quelli che troviamo già nella tradizione iconografica e musiva più antica di Oriente e di Occidente, tramandata fino a noi: Pietro con cappelli ricci, fronte bassa e barba corta arrotondata; Paolo invece, fronte alta, calvo e barba lunga e liscia. Questa fedeltà iconografica nei tratti del volto di ambedue ci permette di riconoscere la presenza di Pietro e di Paolo nell’icona della Pentecoste, nell’icona della Dormizione della Madre di Dio ed anche nell’icona della comunione degli Apostoli dove Cristo da una parte dell’icona dà il suo Corpo a Pietro e ad altri cinque apostoli, e dall’altra parte dell’icona Cristo che porge il calice con il suo Sangue a Paolo e ad altri cinque apostoli. Queste icone hanno una chiara simbologia ecclesiologica e sacramentaria e, quindi, vogliono sottolineare il ruolo centrale dei due apostoli nella vita della Chiesa. L’ufficiatura vespertina del 29 giugno nei tropari celebra e loda ambedue gli apostoli insieme. Essi vengono inneggiati come “primi tra i divini araldi”, “bocche della spada dello Spirito”. I testi liturgici sottolineano chiaramente che Pietro e Paolo sono gli strumenti dell’opera di salvezza che Cristo stesso porta a termine: “Essi sono le ali della conoscenza di Dio che hanno percorso a volo i confini della terra e si sono innal­za­te sino al cielo; sono le mani del vangelo della gra­zia, i piedi della verità dell’annuncio, i fiumi della sapien­za, le braccia della croce…”. Per tutti e due gli apostoli, il martirio è la meta per raggiungere Cristo stesso: “L’uno, inchiodato sulla croce, ha fatto il suo viaggio verso il cielo, dove gli sono state affidate da Cristo le chiavi del regno; l’altro, decapitato dalla spada, se ne è andato al Salvatore”. Pietro viene invocato anche come “sincero amico di Cristo Dio nostro”, e Paolo come “araldo della fede e maestro della terra”. L’innografia bizantina, come d’altronde anche quella di tradizione latina per la festa dei due santi apostoli, collega Pietro e Paolo alla città di Roma dove cui resero la testimonianza fino al martirio: “stupendi ornamenti di Roma…”, “per loro anche Roma si rallegra in coro…”; “o Pietro, pietra della fede, Paolo, vanto di tutta la terra, venite insie­me da Roma per confermarci”. I tropari del cànone del mattutino invece, attribuito a Giovanni monaco, alternano lungo le nove odi dei testi e dell’uno e dell’altro dei due apostoli inneggiati separatamente. Pietro viene celebrato come “protos” il primo nel suo ruolo nella Chiesa: “primo chiamato da Cristo”, “capo della Chiesa e grande vescovo”. Pietro è anche teologo in quanto ha confessato Gesù come Cristo: “Sulla pietra della tua teologia, il Sovrano Gesù ha fissato salda la Chiesa”. Pietro, pescatore, viene paragonato al mercante in ricerca di perle preziose: “Lasciato, o Pietro, ciò che non è, hai raggiunto ciò che è, come il mercante: e hai realmente pescato la perla preziosissima, il Cristo”. La Pasqua di Cristo diventa per Pietro da una parte la manifestazione del Risorto e dall’altra il risanamento dalla sua triplice negazione: “A te che eri stato chiamato per primo e che inten­samente lo amavi, a te come insigne capo degli apostoli, Cristo si manifesta per primo, dopo la risurrezione dal sepol­cro… Per cancellare il triplice rinnegamento il Sovrano rinsalda l’amore con la triplice domanda dalla sua voce divina”. Paolo invece, sempre nel cànone dell’ufficiatura mattutina, viene presentato nel suo ruolo di predicatore e maestro, chiamato a portare davanti alle genti il nome di Cristo: “tu hai posto come fondamento per le anime dei fedeli una pietra preziosa, angolare, il Salvatore e Signore”. Per Paolo, il suo essere portato fino al terzo cielo significa il dono della professione di fede trinitaria: “Levato in alto nell’estasi, hai raggiunto il terzo cielo, o felicissimo, e, udite ineffabili parole, acclami: Gloria al Padre altissimo e al Figlio sua irradia­zio­ne, con lui assiso in trono, e allo Spirito che scruta le profondità di Dio”. Paolo ancora svolge verso la Chiesa il ruolo del paraninfo che la presenta come sposa allo sposo che è Cristo: “Tu hai fidanzato la Chiesa per presentarla come sposa al Cristo sposo: sei stato infatti il suo paraninfo, o Paolo teòforo; per questo, com’è suo dove­re, essa onora la tua memoria”. Il vespro prevede tre letture prese dalla prima lettera cattolica di Pietro (1Pt 1,3-9; 1,13-19; 2,11-24). Per quanto riguarda le altre letture bibliche, l’ufficiatura del mattutino riporta la pericope evangelica di Gv 21,14-25, mentre nella Divina Liturgia si leggono 2Cor 11,21-12,9, e Mt 16,13-19. La tradizione bizantina chiama Pietro e Paolo “i primi corifei” (coloro che occupano il primo posto, la dignità più alta) e anche “i primi nella dignità” (protòthroni). Questo loro primo posto e dignità continua nella Chiesa nel loro “intercedere presso il Sovrano dell’universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la grande misericordia”.

P. Manuel Nin rettore Pontificio Collegio Greco

Publié dans:FESTE DI SAN PIETRO E PAOLO |on 29 juin, 2010 |Pas de commentaires »

VESPRI SOLENNI PER LA COMMEMORAZIONE DI SAN PAOLO – PAPA GIOVANNI XXIII (1961)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/homilies/1961/documents/hf_j-xxiii_hom_19610630_san-paolo_it.html

VESPRI SOLENNI PER LA COMMEMORAZIONE DI SAN PAOLO

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI XXIII

Patriarcale Basilica Ostiense

Venerdì, 30 giugno 1961

Venerabili Fratelli, diletti figli!

Ci sentiamo debitori a Sant’Agostino dell’invito a seguire con occhio attento quelle circostanze anche lievi della vita ordinaria, che egli chiama le misteriose coincidenze dei numeri (1).
Pensando stamane di buon’ora al colloquio che avremmo dovuto preparare per questo vespero a San Paolo, abbiamo scorto subito in capo pagina la data odierna, 30 giugno; ma preposta ad una Nostra pubblicazione dello scorso anno. Ricordiamo infatti, alla data del 30 giugno 1960, la nostra Lettera Apostolica «Inde a primis » (2) sulla devozione al Preziosissimo Sangue, associata a quella del Nome e del Cuore di Gesù. Nello stesso anno — 28 giugno 196o — primi vesperi di San Pietro, avevamo consegnato Noi stessi, nella Basilica Vaticana, ai figli Nostri di Roma, quale loro Vescovo, il volume del Sinodo diocesano, contenente tra l’altro in articoli distinti, ad edificazione ed a spirituale direzione dei fedeli, clero e popolo, la dottrina e la pratica di queste tre devozioni : del Nome, del Cuore e del Sangue di Gesù, convergenti, separate o congiunte, verso la stessa adorazione e lo stesso amore dolcissimo del Verbo di Dio fatto uomo a salute del mondo (3).
Al centro di questo anno, il terzo del Nostro, umilissimo da parte Nostra, ma alto servizio apostolico, sublime e formidabile, eccoci riuniti ancora in data 3o giugno.
Ma qui sono ricordi di San Paolo, il grande Dottore delle genti, che ci adunano e ci invitano a festeggiarlo e a rinnovargli il primo saluto, come se fosse al suo arrivo a questa Roma di venti secoli di storia e di gloria, intrecciante il suo nome con quello di Pietro : lui mundi magister, e Pietro coeli ianitor, l’uno e l’altro Romae parentes, arbitrique gentium.
In realtà tutto torna bene, e al posto suo : Pietro ha il governo universale della Chiesa; e Paolo l’altissima missione di Dottore delle genti, in subordinazione però perfetta dello stesso magistero confidato da Cristo al Principe degli Apostoli.
Ebbene, che cosa vogliamo ancora dire a San Paolo nella celebrazione centenaria del suo arrivo a Roma, dove ha già avuto una manifestazione degna, molteplice e solenne di ammirazione e di culto? È con lieto compiacimento che abbiamo seguito in spirito le varie segnalazioni promosse e organizzate dal fervore del Comitato esecutivo e degli incliti Monaci di questa gloriosa Abbazia Ostiense. Per la dignità del compito di custodire la tomba di San Paolo attraverso i secoli, questa Abbazia può appropriarsi alcune parole dell’inno di Elpide : Roma felix… tu purpurata ceteras excellis orbis una pulchritudines.
Pensavamo che la Nostra personale presenza a questa solenne cerimonia vespertina, che veramente fa onore a tutti per la dignità e lo splendore dei personaggi componenti il Sacro Collegio dei Cardinali, della Prelatura e dei nobili rappresentanti dell’Ordine Civico, avrebbe potuto avere un più appropriato suggello da una Nostra parola ampia e festosa.
Le circostanze di queste ultime settimane, l’angustia temporale, non Ci hanno concesso di poterla preparare. Le coincidenze per altro del 3o giugno non stanno esse innanzi a Noi, come ad indicarCi che niente di meglio e di più convenevole dovrebbe essere pronunziato in onore di San Paolo, apostolo delle genti, quanto un richiamo alla sua persona e alla sua dottrina, come ad illustrazione e a splendore fiammeggiante del Nome, del Cuore e del Sangue di Cristo?
Questa sera si conclude l’esercizio di pietà popolare del mese dedicato al Sacro Cuore; e domani si inizia il luglio che a Pio XI di venerata e gloriosa memoria piacque di consacrare con culto solenne al mistero del Sangue di Gesù.
Ah! certo, diletti figli, è a questa sorgente dì celeste dottrina e di pietà distintissima che bisogna ricondurre i nostri contemporanei, sottraendoli al gusto di troppe cisterne dissipate, in cui certa letteratura corre pericolo d’inaridirsi. Tornare ai Libri Sacri adunque, ad alcuni specialmente : i Salmi i ricchissimi Sapienziali dell’Antico Testamento; i Vangeli le Lettere Apostoliche del Nuovo.
Quanta semplicità ed immediatezza di insegnamento e di buon indirizzo per la vita pratica.
San Pietro, Princeps Apostolorum, ha scritto due Lettere sole ai cristiani che si trovavano a più diretto contatto con lui, ne abbiamo scelto ieri qualche tratto per i fedeli, che assistevano devotissimamente alla Messa che abbiamo celebrato nella sua festività sull’altare della Confessione.
San Paolo scrisse invece quattordici Lettere, alcune di assai profonda e di vasta importanza : tutte attraenti e preziose.
L’elogio che San Giovanni Crisostomo pronunciò e scrisse dell’epistolario paolino basta a sollevare godimento ed esaltazione. Sì : studi già compiuti e pubblicati nel riferimento e nel richiamo al Nome di Gesù, al suo Cuore ed al suo Sangue riempiono lo spirito di tale luce, il cuore di tale dolcezza, da porre in disgusto ogni altra lettura, e da ricreare anche nei figli della presente generazione quel desiderio, che è stato alla base della formazione felice di giovinezze messe in condizione di disporsi a portare con onore le responsabilità per l’avvenire.
In ogni composizione musicale che eccelle e solleva entusiasmi, si esprimono presto alcune note fondamentali che costituiscono tutto il fascino dell’opera d’arte.
Ebbene, uno studio attento, una illustrazione dottrinale circa il Nome, il Cuore e il Sangue di Gesù fatti sulle lettere di San Paolo, oh! quale incanto di carità divina; quale suadente richiamo al sacrificio di espiazione e di salute; quale esaltazione per lo spirito; quanta dolcezza di abbandono alla santa volontà del Signore, che ci vuole salvi tutti, e tutti santi e santificatori!
È a questo studio profondo e delicato delle basi teologiche delle principali devozioni del popolo cristiano che è. buona cosa incoraggiare sacerdoti e fedeli, avviare specialmente i futuri maestri della generazione a noi contemporanea e di quella che ci seguirà dappresso, a dignità e ad elevazione di alta e più penetrante catechesi di cui si scorgono qua e là indicazioni interessanti e fervorose.
Questo significa onorare i Santi più insigni nelle ricorrenze storiche che ne celebrano la vita e il culto. Far servire la dottrina di cui furono e restano maestri a progresso di profonda pietà, ad efficacia di santa edificazione.
Per dare ancora un tocco all’invito di Sant’Agostino a non trascurare nella vita cristiana le coincidenze dei numeri, sia concesso a quante anime ardenti seguono il vasto movimento di preparazione del Concilio Ecumenico Vaticano II di ricordare che la prima scintilla — veramente parva, ma decisa scintilla — è di qua, dappresso la tomba di San Paolo Apostolo che è brillata d’improvviso, ed ha determinato l’incendio di fraternità fervorosa, che è divenuta la grande gioia degli occhi e dei cuori di quanti credono in Cristo Gesù, nel suo Nome, nel suo sacrificio e nelle sue pacifiche conquiste.
O santa Chiesa Cattolica madre nostra, continua a cantare le glorie dei tuoi Apostoli più insigni, Pietro e Paolo. Ecco, noi intendiamo proseguire il tuo cantico così bello : le cui voci dal cielo s’intrecciano con le voci nostre. Tutto si risolve a vittoria finale della verità, della giustizia, della pace.

Te gloriosus apostolorum chorus! Te per orbem terrarum sancta con fitetur Ecclesia.

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(1) Cfr. S. AUG., Quaest. in Heptat. 1. I, qu. 152; P. L. 34, 589; de Doctr. Cler. 1. II, C. 38, n. 56; P. L. 34, 61; De Ordine, 1. II, c. S9, n. 50; P. L. 32, 1018; In Ioann. Evang., tr. 49, n. 7; P. L. 35, 1749.

(2) A.A.S. LII [1960], pp. 545-550.

(3) I Syn. Rom. art. 354-355-356.

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – Omelia di Paolo VI (1976)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1976/documents/hf_p-vi_hom_19760629_it.html

XIII ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DI PAOLO VI

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo

Martedì, 29 giugno 1976

Noi celebriamo oggi la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Quale immenso tema di meditazione! quale giocondo motivo di spirituale celebrazione! quale classica ragione di ecclesiale fiducia! Per noi Romani la festa si arricchisce di altri due titoli: che essi furono nostri concittadini, Romani anch’essi di adozione e di ministero; e che a Roma coronarono la loro vita col martirio nel nome di Gesù Cristo. Ed ecco, a questo supremo ricordo, scaturisce una polla di annose e grandi questioni: quando fu consumato tale martirio? dove? e come? e quale la vicenda e la sorte delle loro tombe e delle loro reliquie? Questioni storiche, archeologiche, letterarie, religiose di grande interesse, assai documentate, assai discusse, i cui vari e a volte contestati aspetti non infirmano il culto tributato in Roma e nella Chiesa intera a questi sommi eroi della fede, ma lo confermano e lo ravvivano.

A questo nostro tempo inoltre è stata data la fortuna di raggiungere, per ciò che riguarda San Pietro, la certezza, di cui si è fatto araldo il nostro venerato predecessore, Papa Fio XII di venerata memoria (Cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XII, 380), circa la collocazione della tomba dell’Apostolo Pietro in questo venerabile luogo, dove sorge questa solenne basilica a lui dedicata, e dove noi ora ci troviamo in preghiera; prova questa incontestabile della permanenza dell’Apostolo nell’Urbe, oggetto da parte di alcuni studiosi di critica negativa, che sembra farsi sempre più silenziosa. Inoltre a noi è toccata un’altra fortuna, quella di essere rassicurati dei risultati che sembrano positivi delle assidue ed erudite ricerche circa l’identificazione e l’autenticità delle veneratissime residue reliquie del beato Pietro, Simone figlio di Giovanni, l’umile pescatore di Galilea, il discepolo e quindi l’apostolo, eletto da Gesù Cristo stesso per essere capo del gruppo dei suoi primi qualificati seguaci, e posto a fondamento dell’edificio, chiamato Chiesa, che Cristo si è proposto di costruire e da lui garantito indenne nel misterioso conflitto con le potestà delle tenebre.

Riconoscenti a quanti hanno merito in questa ardua esplorazione, noi accogliamo con riverenza e con gioia l’esito di così significativo avvenimento archeologico, che conforta con nuovi argomenti storici e scientifici la secolare convinzione del culto qui professato al Principe degli Apostoli, e vi ravvisa una conferma e un presagio della sua drammatica, ma vittoriosa missione di propagare il nome di Cristo nella storia e nel mondo.

Ed è proprio su questa missione, che oggi vogliamo fermare, anche per un solo istante, la vostra attenzione, venerati Fratelli e Figli carissimi, la vostra devozione. Noi possiamo collegare tale missione ad una parola istituzionale e profetica di Cristo, che principalmente, ma non esclusivamente, a Pietro si riferisce. E la parola è quella di Gesù Cristo prima del suo congedo dalla umana conversazione; è registrata da San Luca nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli, il primo libro della storia della Chiesa, là dove il Signore risorto dice ai suoi: «voi sarete miei testimoni» (Act. 1, 8). Questa è una parola che ritorna frequente nell’economia della nostra religione, per quanto si riferisce ai suoi titoli originari e trascendenti, quelli della rivelazione, e alla sua fedele e perenne trasmissione. La tradizione cristiana, la diffusione e l’insegnamento della fede, la sua interiore e umana certezza, suffragata dal carisma dello Spirito Santo e dall’autorità divinamente stabilita del magistero della Chiesa cattolica, si riferiscono essenzialmente all’istituzione d’una testimonianza qualificata, che serve da tramite, da veicolo, da garanzia alla Verità, di cui solo alcuni, gli Apostoli, e i fedeli contemporanei «preordinati da Dio» (Act. 10, 41) ebbero diretta e sensibile esperienza. Da questa sperimentale realtà di fatto nasce il messaggio, nasce il «Kerigma», cioè una predicazione, una parola da trasmettere; la potestà ed insieme il dovere di comunicare ad altri la parola di verità conosciuta; nasce l’apostolato, quale sorgente genetica della fede.

Gesù darà a Pietro la celebre consegna, successiva alla pavida negazione di lui: «Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Luc. 22, 32); e poi, dopo la risurrezione e la triplice riparatrice professione d’amore, la triplice investitura pastorale: «pasci il mio gregge» (Cfr. Io. 21, 17). Pietro si sentirà ormai dominato da questa interiore imperiosa coscienza; il timido discepolo sarà ormai l’inflessibile testimonio, l’impavido apostolo: «noi non possiamo tacere – egli affermerà – quello che abbiamo visto e ascoltato» (Act. 4, 20); «noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui, Gesù Cristo, compiute . . .» (Ibid. 10. 39).

La documentazione potrebbe ancora essere assai ricca e potrebbe confortarci con l’esortazione alla fermezza nelle tribolazioni stesse, che possono provenire dalla professione della fede trasmessa dall’Apostolo alla Chiesa nascente: «Chi potrà farvi del male – egli scrive – se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi . ..! Beati voi, se siete insultati per il nome di Cristo . . . Se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (1 Petr. 3, 13; 4, 14-16). Il discepolo è diventato maestro e apostolo; e da apostolo animatore, e poi martire. E martire significa appunto testimonio, ma, nel linguaggio cristiano, da Stefano in poi s’intende testimonio nel sangue, come lo fu Pietro stesso, conforme alla profezia a lui fatta da Gesù medesimo (Io. 21, 18-19). «Cum autem senueris . . . alius cinget te . . .».

Due conclusioni ci sia concesso trarre da questo fugace accenno alla qualifica di testimonio attribuita da Cristo ai suoi Apostoli, ed in primo luogo a Pietro ed a Paolo, dei quali celebriamo la sempre gloriosa festività. La prima conclusione riguarda l’equazione che possiamo, in certa misura, stabilire fra l’apostolato e l’evangelizzazione, per riscontrare la potestà di magistero nella Chiesa apostolica e in quella che ne è legittimamente derivata, con le facoltà d’insegnamento, di interpretazione e di intrinseco sviluppo circa la rivelazione cristiana, nelle sue parole e nei suoi fatti, e sempre nella sua suprema esigenza di autenticità. Questo, lo sappiamo, è uno dei punti forti della cultura contemporanea e della discussione ecumenica del nostro tempo; forte per la controversia che vorrebbe ammorbidire la saldezza del magistero ecclesiastico, che si rifà a quello apostolico; lo si vorrebbe più flessibile, più docile alla storia, più relativo alla moda del pensiero, più pluralistico, più libero; cioè guidato da criteri soggettivi e storicisti, e punto vincolato a formulazioni d’un magistero tradizionale che si appella ad una dottrina rivelata e divina; e forte per l’atteggiamento storicamente e logicamente coerente, con cui la Chiesa di Pietro tutela il «deposito» dottrinale che le è affidato (Cfr. 1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14): non è ostinazione la sua, non arretratezza, non incomprensione delle evoluzioni del pensiero umano; è fermezza al Pensiero divino, è fedeltà, e perciò verità e vita, anche per il tempo nostro.

L’altra conclusione riguarda l’ampiezza che il termine «apostolato» deve assumere, inteso non nel senso di potestà d’insegnamento, affidata a coloro che «lo Spirito Santo ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio» (Act. 20, 28); ma nel senso di dovere di diffondere l’annuncio evangelico; esaltante dovere che nasce in ogni cristiano, battezzato e cresimato, chiamato come membro vivo della Chiesa a contribuire, come insegna il Concilio, alla edificazione della Chiesa stessa (Cfr. Lumen Gentium, 3 3 ; Apostolicam Actuositatem, 1, 9, 10, etc.; Ad Gentes, 21; etc. Cfr. etiam Eph. 4, 7; 1 Cor. 9, 16; etc.). Ogni cristiano, secondo le sue personali e sociali condizioni, dev’essere testimonio di Cristo; dovere questo che l’essere fanciullo, giovane, uomo, donna, impegnato in uffici secolari, o impedito da particolari doveri, o infermità, non dispensa dal suo compimento. Non indolenza, non timidezza, non scetticismo, non animosità critica e contestatrice, o altro sentimento negativo deve paralizzare, oggi specialmente, l’esercizio dell’apostolato, cioè la testimonianza personale, familiare, collettiva del buon esempio, dell’osservanza dei doveri religiosi, della professione, tacita almeno ma trasparente, della propria fede cristiana, dallo stile di vita, retto, buono, cortese, premuroso della carità (Cfr. J. ESQUERDA BIFFET, Noi siamo testimoni, Marietti, 1976). Cosciente di questa comune vocazione, nessuno si esima da questo fondamentale dovere della testimonianza personale e cattolica al nome di Cristo nella semplice, ferma, solidale comunione con gli Apostoli, di cui noi celebriamo, con la memoria liturgica, la successione storica ed ecclesiale; e nessuno di voi, venerati Fratelli e Figli carissimi, tralasci di offrire a Cristo, mediante l’invocata intercessione degli Apostoli Pietro e Paolo, per questo umile loro successore, che vi parla, una preghiera, affinché egli sia fedele nell’ufficio gravissimo che gli è stato affidato, per il bene della Chiesa e del mondo. Egli oggi ricambia la vostra carità, sempre nel nome degli Apostoli, con la sua speciale, specialissima Benedizione (Cfr. 1 Cor. 4, 2; 9, 27; Eph. 4, 3).

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO – OMELIA DI PAOLO VI (1977)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1977/documents/hf_p-vi_hom_19770629_it.html

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 29 giugno 1977

Sospendiamo un momento il rito, com’è saggiamente prescritto, per meditarne, per penetrarne, con qualche pensiero, con una vigilante preghiera, il senso.

Il rito che cosa ci presenta? Ci presenta due personaggi, i due apostoli Pietro e Paolo, ai quali Roma fa risalire le proprie origini cristiane, la propria fede religiosa. Essi sono testimoni; possiamo ad entrambi riferire, sebbene a titolo personale differente, le parole del Signore al gruppo degli apostoli, prima della sua ascensione: «voi mi sarete testimoni …» (Act. 1, 8). A loro è conferita una missione specifica, quella di diffondere un messaggio, quello evangelico, una Parola; una dottrina, una Verità, che «lo Spirito di Verità» direttamente loro insegnerà (Io. 16, 13), con il potere simultaneo di promulgare certi riti, i sacramenti, comunicativi di effetti soprannaturali.

Noi, oggi, solennemente li ricordiamo; e tutto quanto qui è offerto alla nostra immediata sensibilità ci stimola a celebrarne con carattere festivo la memoria storica, veneranda, gloriosa; è la loro festa che noi vogliamo esaltare; e tutto ce ne offre motivo: il ritmo annuale del tempo, che ci ricorda essere questo giorno benedetto legato alla ricorrenza della memoria apostolica, e la nostra presenza nelle basiliche monumentali erette sulle tombe degli Apostoli stessi ravviva così il nostro pensiero sulle loro sante figure che ci è spontaneo ripensare quasi vive fra noi; e poi la storia plurisecolare che fa capo a questi due annunziatori del Vangelo nell’Urbe ci sembra assumere quasi una reale attualità davanti ai nostri occhi lieti e stupiti di contemplarne il panorama; e la pietà infine, donde scaturisce sulle labbra di tutti una qualche orazione per ottenere l’intercessione dei Santi Apostoli, accresce, fino a riempirne i nostri animi, la fiducia della nostra conversazione con loro, S. Pietro e S. Paolo.

Tutto questo è vero, e sta bene. È festa la nostra, e il gaudio festivo non solo ne caratterizza la liturgia, ma lo spirito di chi la vive e la esprime. Lasciamo perciò che questo nostro sforzo di attenzione si risolva innanzi tutto in un sentimento di interiore sicurezza. O, per meglio dire, di fede. Siamo circondati da segni, da stimoli, che valgono a svegliarla, a confortarla. La religione qui assume un accento di gioiosa certezza, che viene a noi propizia nella solitudine spirituale, propria del nostro secolo, nell’assuefazione alla mentalità vacillante e desolante del malinteso soggettivismo, pluralismo lo chiamano, in fatto di religione, il quale concede a ciascuno di pensare alla fede come meglio piace al proprio arbitrio critico, o meglio alla propria fantasia affrancata dall’inequivocabile precisione del dogma cattolico. Qui la fede, riportata alle sue sorgenti apostoliche e all’autorità magistrale che la professa, la difende e la insegna, riacquista la sua obiettiva consistenza, garantita dalla parola originaria di Cristo: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luc. 10, 16). La personalità del fedele, che accetta, che crede e che cerca di conformare la vita alla propria fede, attinta alla sorgente della Verità trascendente (Gal. 2, 16; 3, 11) si ricompone e diventa forte; forte per asserire, per diffondere questo stupendo complesso di verità, che appunto è la chiave d’interpretazione, di spiegazione superiore del mondo e del destino umano; è l’irradiazione missionaria della fede, è la ragione del programma apostolico della Chiesa. Noi conosciamo il carattere specialissimo dei poteri di evangelizzazione conferiti da Cristo ai suoi discepoli, tra i quali dodici, ch’Egli insignì del titolo di apostoli (Luc. 6, 13), con particolare riguardo a Pietro, pastore dei pastori (Io. 21, 17; Luc. 22, 32; Act. 1, 15; etc.), e con singolare autorità anche a Paolo, come egli scrive di sé: «positus sum ego praedicator et apostolus . . . doctor gentium in fide et veritate» (1 Tim. 2, 7; Rom. 15, 16; cfr. JOURNET, L’Eglise du Verbe Incarné, I, 180 ss.).

Noi conosciamo come non solo il nome, ma il ministero altresì dei due massimi Apostoli sia legato a Roma (confronta la lettera di S. Paolo ai Romani e la sua prigionia a Roma – Act. 28), e come la controversia circa la tomba di S. Pietro sia felicemente conclusa per rivendicarne la sede e la storia precisamente nelle fondamenta della basilica, che appunto ci accoglie dove il Principe degli Apostoli ebbe la sua sepoltura e il suo michelangiolesco mausoleo.

E certamente è a tutti noto come la storia della religione cattolica cioè della Chiesa abbia in questa Basilica il suo centro locale e spirituale. Noi possiamo qui ripetere con sempre commovente convinzione e quasi con sensibile conferma la parola di S. Ambrogio: «ubi Petrus, ibi Ecclesia». La ripeteremo questa riassuntiva parola per ritrovare nella memoria apostolica la virtù di cui oggi ha bisogno la Chiesa che vive e che soffre. La promessa che Gesù Cristo stesso ebbe per i suoi due Apostoli di predilezione: «Io ho pregato per Te», Pietro (Luc. 22, 32); e a riguardo di Paolo: «costui è per me uno strumento eletto per portare davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele il mio nome . . .» (Act. 9, 15), ancora fa garanzia anche per noi, bisognosi come siamo di fortezza, nella fede, nell’unità, nella carità. È promessa, è conforto per noi che dagli Apostoli deriviamo la natura e l’urgenza del nostro mandato apostolico; è invito, è messaggio che non dobbiamo portare al nostro tempo, ai nostri fratelli, predisposti forse dallo stesso spirito di vertigine che li travolge ad arrendersi alla nostra fortuna apostolica.

Così sia, così sia, con la nostra Benedizione!

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 – SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 - SANTI  PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità dans FESTE DI SAN PIETRO E PAOLO

http://www.santiebeati.it/

LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009 – SANTI  PIETRO E PAOLO, APOSTOLI, Solennità

MESSA VESPERTINA E MESSA DEL GIORNO, PRESENTAZIONE DEGLI APOSTOLI, LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA VESPERTINA:

Seconda Lettura   Gal 1,11-20
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre.

Dalla lettera di san Paolo ai Gàlati
Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mentisco.

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
 
PREFAZIO LATINO E ITALIANO

Prefazio

Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre,
nos tibi semper et ubíque grátias ágere:
Dómine, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus.
Quia nos beáti apóstoli Petrus et Paulus
tua dispositióne lætíficant: hic princeps
fídei confiténdæ, ille intellegéndæ clarus assértor;
hic relíquiis Isræl instítuens Ecclésiam primitívam,
ille magíster et doctor géntium vocandárum.
Sic divérso consílio unam Christi famíliam congregántes,
par mundo venerábile, una coróna sociávit.
 Et ídeo cum Sanctis et Angelis univérsis te collaudámus,
sine fine dicéntes:

(testo italiano ufficiale della liturgia)

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli:
Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo,
Paolo, che illuminò le profondità del mistero;
il pescatore di Galilea,
che costituì la prima comunità con i giusti di Israele,
il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti.
Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa,
e associati nella venerazione del popolo cristiano
condividono la stessa corona di gloria.
E noi, insieme agli angeli e ai santi,
cantiamo senza fine l’inno della sua lode:

Santo, Santo, Santo …

PRIMI VESPRI

Lettura Breve   1 Rm 1, 1-3a. 7
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al Figlio suo; a quanti sono in Roma amati da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10
 
Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare. 

Responsorio   Cfr. Mt 16, 18-19
R. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non la vinceranno. * A te darò le chiavi del regno dei cieli.
V. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
R. A te darò le chiavi del regno dei cieli.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
 
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Responsorio
R. Paolo, apostolo del vangelo e maestro dei popoli, * sei degno di tutta la nostra lode.
V. Tu hai fatto conoscere ai popoli il mistero di Dio:
R. sei degno di tutta la nostra lode.

SECONDI VESPRI

Lettura breve  1 Cor 15, 3-5. 8
Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. Ultimo fra tutti apparve anche a me.

Mons. Gianfranco Ravasi : Il fascino di Paolo

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/ravasi2000/articoli2000.htm

MONS. GIANFRANCO RAVASI 

IL FASCINO DI PAOLO (2000) 

Giovedì 29 giugno si celebrerà, come ogni anno, la festa dei Ss. Pietro e Paolo che in quest’anno giubilare rivestirà un aspetto più solenne. Vorremmo in questo breve spazio far risaltare una figura di altissimo rilievo nel Nuovo Testamento, quella di Paolo, l’apostolo per eccellenza al quale sono attribuite dal Canone 13 lettere. In verità la nostra rubrica, a prima vista, non pan-ebbe adattarsi a questo missionario del vangelo. Infatti san Girolamo, il grande traduttore e interprete della Bibbia, non aveva esitato a scrivere che Paolo «non si preoccupava più di tanto delle parole, una volta che aveva messo al sicuro il significato».
E, secoli dopo, un altro grande studioso delle Scritture, Erasmo da Rotterdam, morto nel 1536, ribadiva che, «se si suda a spiegare le idee di poeti e oratori, con questo scrittore (Paolo) si suda ancor più a capire cosa voglia e a che cosa miri». Il suo effettivamente è un linguaggio strano, travolto dall’irrompere del suo pensiero e della sua passione: egli impedisce che l’incandescenza del messaggio da comunicare si raggeli negli stampi freddi dello stile e delle regole, insomma di un bel testo.
Ma proprio questa ribellione diventa la ragione del fascino che l’apostolo ha sempre esercitato coi suoi scritti, a partire dal vescovo e grande oratore francese Bossuet che in un paneginco del 1659 esaltava «colui che non lusinga le orecchie ma colpisce diritto al cuore», mentre un altro francese, il romanziere Victor Hugo nel suo William Shakespeare (1864) inseriva Paolo tra i genii, «santo per la Chiesa, grande per l’umanità, colui al quale il futuro è apparso: nulla è superbo come questo volto stupìto dalla vittoria della luce».
Conquistato dall’apostolo e dai suoi scritti era stato anche Pier Paolo Pasolini che nel 1968 aveva pensato di dedicargli un film del quale è ilmasto solo un abbozzo di sceneggiatura, pubblicato postumo nel 1977 col titolo San Paolo (ed. Einaudi). Il notissimo scrittore e regista pensava di trasporre la vicenda e il messaggio dell’apostolo ai nostri giorni, sostituendo le antiche capitali del potere e della cultura visitate da Paolo con New York, Londra, Parigi, Roma e la Germania. Scriveva, infatti, Pasolini:
«Paolo è qui, oggi, tra noi. Egli demolisce rivoluzionariamente, con la semplice forza del suo messaggio religioso, un tipo di società fondata sulla violenza di classe, l’imperialismo, lo schiavismo».
Certo, quella parola disadorna, «senza sublimità di discorso o di sapienza», come Paolo stesso confessava ai Corinzi (I Cor 2,1), ha incrinato tante strutture e tanti luoghi comuni del potere e della cultura imperiale romana. Ma la forza, la passione, l’entusiasmo del suo “messaggio religioso” erano nell’amore per Gesù Cristo. Un amore che gli fa dettare le pagine più intense e splendide. Per questo è del tutto insufficiente e fuorviante la definizione di «Lenin del cristianesimo» che gli riserverà una persona pur acuta e sincera come Antonio Gramsci. Per capire Paolo è necessario prendere in mano e leggere quelle sue lettere che – come diceva il nostro grande poeta Mario Luzi – s’insediano «nell’inquieta aspettativa degli uomini per dare un senso alla speranza». 

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