dal sito:
http://www.parrocchiadibazzano.it/catechesi/scuolabiblica/filippesi2-4.pdf
Filippesi 2,17-30
17-18 « Anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, gioisco e me ne rallegro con tutti voi. Allo stesso modo anche voi gioite e rallegratevi con me ».
« Anche se io ». Più che di una ipotesi si tratta di una luce profetica. E in tutti i casi coglie una verità sostanziale: l’apostolo è « versato/effuso/sparso », in un certo senso « perduto ». E’ il mistero della piccolezza, della croce, del seme caduto per terra: porta frutto soltanto se muore. Andando alla tipologia sacrificale dell’Antico Testamento, certamente è più importante l’offerta sacrificale (agnello/vita della comunità) che la libagione (olio/apostolo), ma l’offerta è « gradita a Dio » quando c’è la libagione, cioè quel piccolo dono che fa sì che l’offerta, la liturgia sia completa e perfetta. « Sacrificio della vostra fede ». Non significa che credere, aver fede (cioè la vita secondo il vangelo) è sacrificio, è cosa faticosa (anche questo), ma che la fede è un « sacrificio », è una « offerta ». In realtà, l’apostolo chiama questo atteggiamento: liturgia, « liturgia della vostra fede »! Nella lettera ai Romani specifica la sostanza del sacrificio proponendoci il « culto secondo lo Spirito »e dice: « Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto » (Rm 12,1ss). Si tratta, nella novità iniziata da Cristo stesso (Ebrei 10,5ss), di offrire [« mettere a disposizione » (parastese) di Dio] i nostri corpi (vita). Questo cosa significa in pratica? Significa non conformarsi alla mentalità di questo secolo, ma trasformarsi in un rinnovamento della mente per discernere la volontà di Dio. E la volontà di Dio mira a questo: fare ciò che è buono (tante cose o opere sono buone!), a lui gradito (è qualcosa di più!), perfetto (è la perfezione/completezza dell’amore: siate perfetti/misericordiosi come il Padre vostro celeste). La « sostanza » quindi del sacrificio è una vita secondo il vangelo. L’apostolo, coadiuvando con il dono della sua vita la pienezza del sacrificio/amore che la comunità è richiesta di vivere, si rallegra e chiede che la comunità si rallegri con lui. « Dio ama chi dona con gioia » (2 Cor 9,7). Tutto questo ha il suo inizio e il suo compimento nella Messa. Nell’offerta del corpo di Cristo, noi che siamo il suo corpo, siamo offerti con lui. E non possiamo non esserlo. Non si tratta infatti di un gesto di generosità o di scelta eroica, ma semplicemente di verità e di autenticità: con Cristo io sono quel corpo (già) offerto. La nostra stessa morte nel Signore (verrà come verrà) è già inclusa come »offerta » nel Battesimo e nella Eucaristia.
19-24 « Ho speranza nel Signore Gesù di potervi inviare presto Timoteo, per esser anch’io confortato nel ricevere vostre notizie. Infatti, non ho nessuno d’animo uguale al suo e che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre, perché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Ma voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il vangelo con me, come un figlio serve il padre. Spero quindi di mandarvelo presto, non appena avrò visto chiaro nella mia situazione. Ma ho la convinzione nel Signore che presto verrò anch’io di persona » . Più volte Paolo sottolinea i legami tra lui e la comunità e il bisogno di sapere come vanno le cose nel Signore. Il conforto di Paolo è uno « star bene d’animo », un poter respirare (eupsicho). E’ tale il suo legame con la comunità che egli sta bene solo quando sa in quale modo la comunità cammina. Sembra quasi una simbiosi, un respirare assieme. « Ora viviamo, se rimanete saldi nel Signore » (1 Tes 3,8). Per questo manda Timoteo, perché questi condivide i sentimenti e gli atteggiamenti di Paolo, cioè prende sinceramente a cuore ciò che riguarda i Filippesi. Non tutti fanno così. Tutti cercano i propri interessi (le proprie cose) e non quelli di Cristo. Forse si riferisce al fatto che tutti cercano una propria salvezza, un « fare per sé » e costruiscono attorno a sé (e non a Cristo) una chiesa a loro immagine: costi quel che costi, anche la divisione nella comunità (vedi 2,3). Così facendo non dimostrano sollecitudine e amore per la comunità. E’ l’atteggiamento opposto a quello di Cristo, il quale si è abbassato…(2,5ss). Conoscete la prova da lui data. In che consiste? Ha servito il vangelo in una comunione profonda con me, da figlio a padre. Si è « approvati (si supera la prova) » solo se si vive nel servizio per il vangelo, in comunione filiale con la Chiesa, che l’apostolo rappresenta. Ma non sarà sufficiente mandare Timoteo, Paolo stesso andrà. Tutto però e nelle mani di Dio! (« ho fiducia nel Signore« ). 25-30 « Per il momento ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto, questo nostro fratello che è anche mio compagno di lavoro e di lotta, vostro inviato per sovvenire alle mie necessità; lo mando perché aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia. È stato grave, infatti, e vicino alla morte. Ma Dio gli ha usato misericordia, e non a lui solo ma anche a me, perché non avessi dolore su dolore. L’ho mandato quindi con tanta premura perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più preoccupato. Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui; perché ha rasentato la morte per la causa di Cristo, rischiando la vita, per sostituirvi nel servizio presso di me » Epafrodito (4,18) mandato dalla comunità di Filippi ad Efeso per recare una aiuto concreto (colletta) a Paolo, ora viene rimandato a Filippi. E’ chiamato: fratello (a motivo della stessa fede); compagno di lavoro (per la stessa opera della predicazione del vangelo); compagno d’armi (a motivo del soffrire per Cristo); apostolo vostro (mandato dalla comunità: è bello notare che è la comunità che manda); soccorritore (liturgo) delle mie necessità. Spesso l’aiuto al prossimo, specie ai poveri, è chiamato « liturgia ». In 2 Corinzi 9, 12 si parla di « servizio della liturgia » e si intende l’aiuto al fratello povero (di Gerusalemme). E’ un modo di dire inconsueto (per noi) ma molto illuminante: a ricordarci che la liturgia (che significa forse opera di popolo) si esprime a livello di rendimento di grazie (eucaristia) e a livello del suo riflesso in una vita fraterna. Colui che è « liturgo di Cristo Gesù esercitando il servizio sacro del vangelo di Dio » (Rm 15,16) lo è anche dei poveri. Quanti gradi di partecipazione, di comunione al vangelo si aprono per i discepoli del Signore! (1,5). Aveva grande desiderio di voi tutti ed era triste/mesto perché eravate a conoscenza della sua malattia. E’ stato infatti malato, vicino alla morte. Gioia e tristezza si comunicano e stanno assieme, poiché siamo un solo corpo. Ma Dio gli ha usato misericordia, e non solo a lui ma anche a me perché non avessi tristezza su tristezza. La salute e la malattia, la vita e la morte sono dentro alla misericordia di Dio: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? » (Rm 8,35). Lo mando con tanta premura perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più triste. Leggiamo Giovanni 16,22s: « Voi ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia ». Il vederci di nuovo dà gioia. Ma cosa significa « di nuovo »? Che ci vediamo una « seconda volta’, oppure anche un vedere « in modo nuovo e vero »? Accoglietelo dunque nel Signore con ogni gioia e abbiate grande stima verso persone come lui: ha rasentato la morte per l’opera (per compiere l’opera) di Cristo, avendo rischiato la vita per sostituirvi nel servizio presso di me. Secondo una immagine sportiva del tempo, Epafrodito viene paragonato ad un « lottatore dei giochi », a uno cioè che sa di avere come esito anche la morte! E questo lo ha fatto come apostolo dei Filippesi nel servizio (liturgia) di Paolo. Si è fatto vero rappresentante, inviato, apostolo della comunità. Ha supplito ciò che mancava al « vostro servizio verso di me », ha portato cioè a compimento il « vostro sevizio ». A questa luce, è utile rileggere Ebrei 13,7: « Ricordatevi dei vostri capi (vostre guide), i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede ». L’esito indica proprio un es-ito, una usc-ita. Il modo di vivere evangelico è un « es-ito », un qualcosa di diverso rispetto e che sfugge al modo di vivere terreno, un modo di viver che si attua nella conformità al vangelo, fino al vero es-ito che è il martirio o la morte per il Signore (vera novità). Di queste guide bisogna « ricordarsi », fare memoria. Come? Imitandone la fede.3,1-14
Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore. A me non pesa e a voi è utile che vi scriva le stesse cose (1)
- Il « rallegratevi nel Signore » può sembrare un saluto, in realtà è un nuovo vigoroso avvio che avrà ancora un’altra ripresa verso la fine (4,4). La gioia « nel Signore » è la gioia che soltanto il Signore può dare e che si esperimenta nel « vedere » il Signore risorto (Gv 16,22s), nell’esperimentarlo comerisorto e vittorioso sulla potenza della morte. E’ quindi una gioia che nessuno ci potrà togliere, nemmeno la morte (elargitrice soltanto di amarezza!). Ma è anche la gioia che si esperimenta « nel Signore », vivendo cioè la vita nuova, semplicemente la vita cristiana. Si traduce nell’accoglierci come fratelli (2,29). ® La gioia! Il motivo della gioia sarà ulteriormente sviluppato al capitolo 4. – Scrivendo la lettera, Paolo, non fa esercizio letterario, ma fa opera di apostolo: annuncia il vangelo. Pertanto non gli è di peso « scrivere », perché scrivere è « predicare », cioè annunciare e custodire il vangelo. D’altra parte, per i Filippesi, accogliere la lettera (cioè la predicazione del vangelo) e sentire « queste cose » è utile, o meglio « dà certezza e sicurezza » (cfr. Lc 1,4). ® Quale rapporto c’è oggi tra la predicazione, la catechesi, la teologia ecc. e la Scrittura? « Queste cose ». Le ammonizioni precedenti? Certo, ma anche quanto Paolo sta per dire, e cioè: « Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere! Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne, sebbene io possa vantarmi anche nella carne. Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge » (2-6)
- Tre volte viene ripetuto: guardatevi, state attenti! L’ammonimento risuona spesso nella predicazione di Gesù e degli apostoli (At 20,28ss). Guardarsi da chi? Dai cani, dai cattivi operai, dalla mutilazione. Non si vuole indicare tre generi di persone, ma sempre le stesse: sono quei giudei che ricercano la salvezza nella circoncisione (qui chiamata « mutilazione ») e non nella fede in Cristo. Polemicamente Paolo dice: quando la circoncisione pretende di dare la salvezza allora diviene « mutilazione » e « taglia » dalla salvezza in Cristo. [Paolo infatti non ha nulla da obiettare alla circoncisione in quanto tale: lui era circonciso; è lui che fece circoncidere Timoteo (At 16,3)]. Il problema vero è « da dove » viene la salvezza. La sintesi più chiara la dona Pietro stesso: « Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati [noi giudei circoncisi] e nello stesso modo anche loro [pagani credenti in Gesù] » (At 15,11). ® Quand’è che siamo cattivi operai? – Siamo noi la circoncisione. Chi sono i circoncisi, cioè quelli che appartengono al popolo che Dio ha chiamato e salvato? Sono coloro (sia giudei già circoncisi, sia pagani credenti) che « rendono il culto mossi dallo Spirito ». La vita intera infatti deve farsi culto e venerazione a Dio, ma questo è possibile soltanto « nello Spirito di Dio », cioè avendo creduto e pertanto ricevuto lo Spirito di Dio. Il culto procede dalla fede in Cristo: « Credi a me donna… i veri adoratori adorano Dio in spirito e verità » (Gv 4,21ss). Sono coloro che « si gloriano in Cristo Gesù e non nella carne ». L’accostamento tra Cristo e carne fa capire la abissale sproporzione tra le due vie. Si tratta di due sistemi. Il sistema di Cristo è la via dell’abbassamento, della piccolezza, della obbedienza al Padre fino alla morte di croce. A questo movimento corrisponde l’esaltazione da parte di Dio (2,5-11). Il sistema della carne è la via di una vita che pretende di autosalvarsi, cioè di piacere a Dio con le proprie forze (« carne » qui significa la propria forza): è la via dell’orgoglio umano (etico e religioso). Il cristiano trova il suo « vanto » e quindi la sua sicurezza in Cristo, e vivendo in Cristo compie quelle opere buone che « Dio ha
preparato perché noi le facciamo ». Anzi noi stessi « siamo sua opera » (Ef 2,10). Le opere buone sono risposta ad un dono: l’amore di Dio manifestato a noi nella croce di Cristo. E’ nello Spirito che noi possiamo e dobbiamo operare. – Paolo, « nella carne » (sue prestazioni etiche e religiose), ha di che vantarsi. Infatti, quanto a popolo è ebreo; quanto alla Legge è fariseo; quanto allo zelo è persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dalla osservanza della Legge è irreprensibile. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. (7-11). – Il guadagno è un « prezzo aggiunto » all’opera compiuta. E Paolo poteva vantare un grandissimo guadagno « a motivo della carne ». – Ma ora, « attraverso (a motivo di) Cristo », quello stesso guadagno si fa « perdita »; anzi tutto viene considerato perdita « attraverso la sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore; attraverso lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura ». L’espressione « attraverso » vuole indicare non primariamente la scelta o la intenzione di Paolo, ma la scelta e la intenzione di Cristo. E’ come che dica: è lui che mi ha conosciuto ed è lui che mi ha acquistato, per questo ho considerato tutto come « perdita »…- Perché io guadagni Cristo. Non è in contrasto con quanto detto prima. Guadagnato da Cristo, io lo debbo guadagnare; trovato da Cristo, io lo debbo trovare. Dono e impegno, sempre!
- Per essere trovato in lui. Significa: essere e vivere in lui.
- Non con una mia giustizia, derivante dalla Legge. Quell’essere giusti secondo la Legge, dà diritto al guadagno. Infatti la giustizia è « mia » e quindi ho diritto al guadagno. [Quale guadagno? Si può guadagnare la salvezza con le opere della legge? Romani 3,20 dice di no!] – Ma con quella che viene dalla fede in Cristo. E’ Dio stesso che ci fa giusti. Ma in che modo? Mandando a noi suo Figlio, l’unico giusto. Dio mi fa giusto per la fede, l’affidamento a lui. – Per conoscere lui… Paolo spiega cosa significa « conoscenza del Signore ». Non è un fatto intellettuale, o devozionistico, o magico… – Ma è esperienza della « potenza della sua risurrezione ». La risurrezione di Gesù, col dono del suo Spirito, pone in noi la potenza della risurrezione, cioè della vita nuova di Cristo (Ef 1,19). – E’ l’esperienza, la comunione delle sue sofferenze che ci conformano alla sua morte… La fede dunque è quell’affidamento a Gesù, tale che la sua vita diviene la nostra vita, la sua giustizia diviene la nostra giustizia, la sua risurrezione diviene la nostra risurrezione ora, e quella dai morti nell’ultimo giorno. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (12-14). – Tutta questa novità di vita non si è ancora compiuta definitivamente e io non sono maturo, perfetto: non sono giunto alla maturità di Cristo, che è maturità personale ed ecclesiale (Ef 4,11-16). Mi sforzo per raggiungere tale mèta o tale maturità in Cristo, poiché io stesso sono stato raggiunto, preso da e sotto Cristo. Ritorna sempre questo processo: sono stato preso e allora mi sforzo di prendere, sono stato trovato e allora cerco. In questo modo ciò che prendo, ciò che trovo, ciò che divento è frutto della fede che mi fa essere « in Cristo » e ottenere la sua giustizia. – Non ritengo di averla raggiunta. Una cosa sola (faccio): dimentico le cose del passato, (cioè la mia giustizia) e sono proteso alle cose che mi stanno davanti, (cioè la giustizia che viene da Dio). Corro verso la mèta, al premio che è la chiamata di lassù, di Dio in Cristo Gesù. Per noi, il « premio » non è qualcosa di diverso dalla chiamata. La chiamata infatti svela e dona tutto l’amore di Dio per noi. Occorre però uno « spirito di sapienza e di rivelazione per conoscere qual’ è la speranza della sua chiamata » (Ef 1,18).