QUEL LUME ALLA FINESTRA – DUE RACCONTI: GERUSALEMME 164 A.E.V; A BUCHENWALD NEL 1944
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QUEL LUME ALLA FINESTRA
DUE RACCONTI: GERUSALEMME 164 A.E.V; A BUCHENWALD NEL 1944
RAV SCIALOM BAHBOUT
La storia di Hanukkah, così com’è narrata nel Talmud, è molto strana e ancora più strano è il fatto che i Maestri abbiano fatto dell’episodio dell’ampolla d’olio e dell’accensione dei lumi l’elemento centrale della festa, una festa che è bene ricordare è l’unica stabilita in epoca postbiblica accettata da tutto Israele nel corso delle generazioni. Hanukkah deriva da una radice ebraica che ha vari significati e può essere tradotta con inaugurazione, in ricordo dell’inaugurazione del Tempio fatta dai Maccabei, oppure con consacrazione e destinazione di un oggetto alla sua funzione: quindi nel caso specifico, significa riconsacrazione del Tempio profanato dagli Ellenisti, per restituirlo alla sua primitiva funzione. La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche « educare ». La rivolta ebraica scoppiò quando il nemico greco tentò di colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e più precisamente, quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull’adesione all’educazione ebraica. Contro un nemico militarmente più agguerrito, gli ebrei opposero la propria determinazione nel difendere la propria cultura e il diritto alla diversità contro il livellamento culturale imposto dalla cultura ellenista imperante. Non sappiamo con certezza quale sia il significato della storia dell’ampolla d’olio rimasta pura tra le macerie del Tempio: forse essa rappresenta il manipolo di persone sempre pronto a lottare per difendere la propria identità e dignità ebraica, a Gerusalemme come a Buchenwald. L’olio, che sembra bastare per una sola generazione, si rivela sufficiente per alimentare lo spirito ebraico non per sette generazioni (un numero che rappresenta la sopravvivenza dell’uomo nei limiti della natura e della storia), ma per sette + uno, cioè per infinite generazioni, per un tempo che trascende la storia e la natura. Il miracolo di Hanukkah è davvero strano: gli ebrei credono che ogni anno, nel momento in cui un ebreo accende il proprio lume, il miracolo si compia ancora: è il miracolo della sopravvivenza di una piccola minoranza in un mondo che non ha ancora assimilato l’idea che si può essere diversi, ma godere di eguali diritti. Il lume di Hanukkah va acceso vicino alla finestra, in modo che sia ben visibile dall’esterno. Questo gesto ha sì lo scopo di rendere pubblico il miracolo e quindi rendere partecipi anche gli altri della gioia e del mistero della sopravvivenza del popolo ebraico, ma è anche un invito a tutti gli uomini a non lasciarsi intimidire da ogni sorta di prevaricazioni e sopraffazioni. Ma in questa lotta per i propri diritti, pur muovendosi tra le macerie, a Gerusalemme come ad Buchenwald, ieri come oggi, importante è riuscire a non perdere mai di vista i valori che devono caratterizzare la vita dell’uomo. Per l’ebreo questi valori si devono affermare salvaguardando la propria dignità umana ed ebraica, anche nelle condizioni più disperate. Mantenere la Kedushà (santità) dell’immagine divina che è in ogni uomo è stata una delle imprese più difficili per gli ebrei che sono passati attraverso l’esperienza terribile dei campi di concentramento nazisti. La resistenza ebraica al nazismo viene identificata con la rivolta armata del Ghetto di Varsavia e degli altri Ghetti, una lotta attraverso la quale gli ebrei avrebbero riguadagnato la propria dignità e il proprio diritto alla vita. Non dobbiamo tuttavia dimenticare un’altra resistenza, meno eclatante, ma non per questo meno importante: molti ebrei sono riusciti a mantenere alto l’onore d’Israele rifiutandosi di accettare la logica dell’assassino che voleva distruggere l’ebreo nella sua umanità ebraica, prima ancora che nel suo corpo. La resistenza armata è stata per molto tempo giustamente messa in primo piano: c’è da chiedersi se non sia doveroso oggi ricordare con orgoglio anche la resistenza che, giorno dopo giorno, gli ebrei sono stati capaci di opporre al nazismo nei campi di concentramento. La nostra generazione, che ha avuto il privilegio di vedere ricostruito il « corpo » d’Israele, ha anche la responsabilità di muoversi con urgenza e determinazione per ricostruire lo « spirito » e la cultura d’Israele. Per accendere, ancora una volta, la propria Hanukkah.
DUE RACCONTI A Gerusalemme intorno all’anno 164 A.E.V. Cosa è Hanuklah? Hanno insegnato i Maestri: il 25 del mese di Kislev iniziano gli otto giorni di Hanukhah, giorni in cui non si possono fare manifestazioni di lutto e non si può digiunare. Quando i greci entrarono nel Tempio, resero impuro tutto l’olio, e gli Asmonei, dopo aver sconfitto il nemico greco, cercarono e non trovarono che una sola ampolla d’olio, che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote. Questa ampolla sarebbe bastata per illuminare il Tempio un solo giorno. Accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni. L’anno seguente stabilirono di rendere quei giorni, giorni di festa e di lode. (Talmud Shabbath 21b)
A Buchenwald nel 1944 Inverno 1944. Campo di concentramento di Buchenwald. Blocco 62. 400 internati ebrei. Dopo cinque anni e mezzo di terrore, 400 internati ebrei, ormai ridotti a scheletri, quasi larve umane. Sui giacigli di legno si ammassano per dormire fino a 14 persone, uno sull’altro. Non ci si può rigirare nel letto senza svegliare tutti gli altri, quasi si trattasse di una catena umana. È l’ora della distribuzione del cibo. Vengono portate due grandi pentole e due internati di turno provvedono alla distribuzione. Il tedesco di guardia controlla la situazione. Ognuno riceve 150 grammi di pane: la razione giornaliera; un bicchiere di acqua calda che osano chiamare té e qualche volta una razione di margarina. Duecento grammi di margarina da dividere in 16 parti. Finita la distribuzione del cibo, gli addetti alla distribuzione chiedono all’S.S. tedesco cosa fare dei resti di margarina avanzati nella pentola. Il tedesco si fa portare la pentola. Prende i pezzi più grossi di margarina, quelli ancora solidi e divertito grida: « ora li getto per aria e chi li prende sono suoi ». A Buchenwald non mancano davvero persone che per la fame e per le molte sofferenze, hanno perso il senso della propria dignità ed ora sono lì, pronte a gettarsi ai piedi del tedesco pur di racimolare un po’ di margarina che forse permetterà loro di sopravvivere alla prossima selezione. Ed ecco che un terribile groviglio umano si forma ai piedi del tedesco. Ed egli gode alla vista ditale spettacolo. Nel blocco 62 c’è un vecchio. Non sembra aver paura delle selezioni. Quella margarina a lui non sembra importare. Egli mantiene uno sguardo e un portamento altero. Anche in quell’inferno non ha perduto la sua umanità e cerca di aiutare gli altri come può: con una buona parola, o privandosi di una parte del suo cibo. E neppure la sua dignità ha perduto il vecchio. Per questo non fa mai parte del groviglio umano che si gettava ai piedi del tedesco per conquistarsi un avanzo di margarina. Ecco un giorno, finita la distribuzione, il solito terribile rito si ripete. Il pane, il tè e la margarina sono ormai stati distribuiti e gli internati del blocco 62 assistono ad un insolito spettacolo: il vecchio che si getta sulla margarina e rimane disteso per terra finché non è ben sicuro che la margarina che è riuscito a racimolare è al sicuro. Anche lui, il vecchio, quello che sembrava essere il simbolo della dignità da non perdere, aveva ceduto, era crollato di fronte a una realtà disumanizzante. Anche lui aveva venduto la propria dignità per un po’ di margarina. Il vecchio si alza lentamente e qualcuno degli internati, mosso a pietà, gli consegna il proprio pezzo di margarina. E tra la meraviglia dei presenti, il vecchio li accetta. Poi, rifugiatosi in un angolo, il vecchio ebreo aspetta che il tedesco esca. Fa freddo a Buchenwald e la margarina nelle mani del vecchio è solida, ma lui la tiene vicino al bicchiere di té caldo e la margarina comincia a sciogliersi. Sembra impazzito, tira con forza i bottoni dalla sua vecchia divisa da internato e li strappa via. Anche lui a Buchenwald ha ceduto alle lusinghe della pazzia, convengono gli altri internati. Con gesti convulsi prende a sfilare alcuni fili dai lembi del vestito. Il vecchio si alza in piedi, ha in mano i bottoni, i fili e la margarina liquida e grida ai 400 internati del blocco 62 di Buchenwald: « Ebrei! oggi è Hanukkah » Dopo cinque anni e mezzo di terrore, quel vecchio, senza calendario ebraico, senza radio, senza alcun collegamento con l’esterno, era riuscito a tenere i conti, non aveva perso la nozione del tempo ed era riuscito a stabilire la data di Hanukkah. Sapeva con precisione quando cadeva Hanukkah e in quale giorno della festa si trovavano: aspettava solo il giorno della distribuzione della margarina. Prende i bottoni e li mette per terra; poi prende i fili e li infila nei bottoni e versa un po’ di margarina sui bottoni. Ecco… adesso aveva tutto ciò che gli era necessario per accendere i lumi di Hanukkah. Una persona arrotola un pezzo di carta e, dopo essersi arrampicato sulle spalle di un altro internato, lo accende usando il fuoco della lampada a nafta che illuminava debolmente il blocco. Poi lo consegna al vecchio, che, in piedi, in mezzo ai quattrocento internati, accende e i lumi recitando le benedizioni: Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai consacrato con i tuoi precetti e ci hai comandato di accendere i lumi di Hanuklah. Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che hai operato miracoli ai nostri padri in quei giorni, in questo tempo. Benedetto sii Tu, o Signore, Dio nostro re del mondo che ci hai mantenuto in vita e d hai fatto giungere a questo tempo. Solo allora, tutti i prigionieri che avevano seguito la scena in silenzio, cominciano a cantare, dapprima a bassa voce, ma poi sempre con maggior forza Maoz zur yeshuati. Il canto dei 400 internati si fa sempre più forte, nel blocco 62 del campo di concentramento di Buchenwald. La porta del blocco viene aperta con violenza, e al Kapò e all’SS di guardia del blocco, si presenta uno spettacolo incredibile: i quattrocento internati, per un momento, avevano riacquistato la loro libertà, come al tempo degli Asmonei: cinque anni e mezzo di terrore avevano fiaccato il loro corpo, ma non il loro spirito. Racconto orale (L’episodio è citato anche in Pardes Harlukkà, Petachia Rosenwasser, Ed. Zekher JeruBalem, pag. 327)
Rav Scialom Bahbout