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MONS. GIANFRANCO RAVASI: SÒSTENE, COLLABORATORE DI S. PAOLO (1Cor; Atti)

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/2005/032005.htm

MONS. GIANFRANCO RAVASI (2005)

SÒSTENE, COLLABORATORE DI S. PAOLO (1Cor; Atti)

«Paolo, chiamato a essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla chiesa di Dio che è in Corinto…».

Si apre con queste parole, che costituiscono la cosiddetta subscriptio o titolatura epistolare, la prima Lettera di san Paolo ai Corinzi che proprio in questa domenica si inizia a leggere nella liturgia. Abbiamo, così, deciso di far emergere questo oscuro personaggio, in greco Sosthénes, tradotto in Sòstene, una figura attorno alla quale ruota un piccolo e irrisolto enigma.

Se, infatti, prendiamo in mano il racconto che Luca fa, negli Atti degli Apostoli, del soggiorno di Paolo a Corinto, scopriamo questa informazione: quando l’Apostolo fu deferito dagli ebrei residenti in quella città greca al tribunale romano presieduto da Gallione, dopo la sua assoluzione e messa in libertà, i giudei « afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e lo percossero davanti al tribunale » (18,17).

Tuttavia lo stesso Luca, poche righe prima, parlava di unaltro «capo della sinagoga, Crispo», che « aveva creduto nel Signore assieme a tutta la sua famiglia » (18,8).

Ecco, allora, l’enigma: chi era questo Sòstene? Era un altro nome di Crispo? Oppure era un altro ebreo a capo di un’altra sinagoga di Corinto? È da identificare col Sòstene che si incontra nell’apertura della Lettera sopra citata? Alcuni hanno appunto ipotizzato un unico personaggio che, una volta convertito, si sarebbe con passione schierato dalla parte di Paolo, tanto da divenire una sorta di « co-autore » della prima Lettera ai Connzi, collaboratore fedele dell’Apostolo. Ora, Paolo scrive la sua epistola da Efeso (16,8), che è nell’attuale Turchia: come può Sèstene co-firmare lo scritto? Forse egli si era recato in visita a Paolo con quella delegazione corinzia che è evocata proprio nella finale della Lettera: « Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acaico, i quali hanno supplito alla vostra assenza; essi hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro » (16,17-18).

Forse, per la sua autorevolezza di ex-capo della sinagoga, egli presiedeva la delegazione e, così, Paolo l’aveva associato a sé nella stesura del testo che voleva destinare alla Chiesa corinzia, una comunità piuttosto turbolenta che aveva creato non pochi problemi all’Apostolo, come si riesce a dedurre dalla seconda Lettera che a essi Paolo in seguito indirizzerà. Sta di fatto che gli scritti paolini non mancano di far emergere nomi e volti di cristiani che partecipavano alla testimonianza e alla missione di evangelizzazione.

Così, vorremmo almeno far emergere quella Cloe che fa capolino poche righe dopo nella stessa Lettera (quelle che verranno lette la prossima domenica).
« Mi è stato segnalato », scrive Paolo, « dalla gente di Cloe che vi sono discordie tra voi » (1,1 1).

Probabilmente Cloe era un’imprenditrice che aveva traffici mercantili tra Corinto ed Efeso: era stata lei, attraverso i suoi dipendenti, a comunicare all’Apostolo la grave situazione di lacerazione in cui versava la Chiesa di Corinto. Era venuta da lei la spinta ideale alla risposta che Paolo e Sòstene avevano approntato per i cristiani corinzi.

IL PENSIERO DI SAN PAOLO IN WALTER KASPER NEL SUO INTEREVENTO SULLA PREGHIERA DEL VENERDÌ SANTO

IL PENSIERO DI SAN PAOLO IN WALTER KASPER NEL SUO INTEREVENTO SULLA PREGHIERA DEL VENERDÌ SANTO

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/197381

articolo di Sandro Magister del 12 aprile 2008

« . Entra in campo il cardinale Kasper »

testo da:

L’Osservatore Romano » del 10 aprile.

La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei

di Walter Kasper


La preghiera del Venerd
ì Santo per gli ebrei ha una lunga storia. La nuova formulazione della preghiera per la forma straordinaria del rito romano (Messale del 1962) realizzata da papa Benedetto XVI è stata opportuna perché alcune formulazioni sono state considerate offensive da parte ebraica e urtanti anche da parte di vari cattolici. La nuova formulazione ha portato importanti miglioramenti del testo del 1962. Ha, però, suscitato nuove reazioni irritate, sollevando questioni di principio sia presso gli ebrei che presso alcuni cristiani (1).

Le reazioni avutesi da parte ebraica sono in gran parte motivate non in modo razionale, ma emozionale. Non si deve però liquidarle precipitosamente come causate da ipersensibilità. Pure presso amici ebrei che da decenni sono coinvolti in un intenso dialogo con cristiani, la memoria collettiva di catechesi e conversioni forzate è ancora sempre viva. Il ricordo della Shoah è per l’ebraismo odierno una traumatica caratteristica di identità che crea comunione. Molti ebrei considerano la missione verso gli ebrei una minaccia alla loro esistenza; talvolta si parla addirittura di una Shoah con altri mezzi. Bisogna dunque avere ancora una grande sensibilità nel rapporto ebraico-cristiano.Nel frattempo le spiegazioni date sulla riformulata preghiera del Venerdì Santo hanno potuto eliminare i malintesi più

grossolani.

Già il puro fatto che la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 nella forma ordinaria del rito romano, quindi, adoperata di gran lunga nel maggior numero dei casi resti pienamente in vigore, dimostra che la riformulata preghiera del Venerdì Santo, adoperata soltanto da una parte estremamente piccola di comunità, non può significare un passo indietro rispetto alla dichiarazione « Nostra ætate » del Concilio Vaticano II.Ciò vale ancora di più per il fatto che la sostanza della dichiarazione « Nostra ætate » è compresa anche in un documento di più alto livello formale, la costituzione sulla Chiesa « Lumen gentium » (n. 16); perciò, per principio, non può

essere messa in questione.

Inoltre, a partire dal Concilio c’è stato un gran numero di prese di posizione dei pontefici, anche del papa attuale, che si riferiscono alla « Nostra ætate » e che confermano l’importanza di questa dichiarazione.Diversamente dal testo del 1970, la nuova formulazione del testo del 1962 parla di Gesù

come il Cristo e come salvezza di tutti gli uomini, quindi anche degli ebrei.

Molti hanno inteso questa affermazione come nuova e non amichevole nei confronti degli ebrei. Ma essa è fondata sull’insieme del Nuovo Testamento (cfr 1 Timoteo, 2, 4) e indica la differenza fondamentale, nota ovunque, che permane sia per i cristiani, sia per gli ebrei. Anche se non se ne parla esplicitamente nella « Nostra ætate », né nella preghiera del 1970, non si può estrapolare la « Nostra ætate » dal contesto di tutti gli altri documenti conciliari e nemmeno la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 dall’insieme della liturgia del Venerdì Santo che ha come oggetto, appunto, quella convinzione della fede cristiana.La nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1962, quindi, non dice nulla di veramente nuovo, ma esprime soltanto ciò che già

finora era presupposto come ovvio, ma che evidentemente, in tanti dialoghi, non era stato tematizzato a sufficienza (2).

Nel passato la fede in Cristo, che differenzia i cristiani dagli ebrei, si è trasformata spesso in un « linguaggio del disprezzo » (Jules Isaac) con tutte le gravi conseguenze che ne derivavano. Se oggi ci impegniamo per un rispetto reciproco, esso può fondarsi solo nel fatto che riconosciamo reciprocamente la nostra diversità. Perciò non aspettiamo dagli ebrei che concordino sul contenuto cristologico della preghiera del Venerdì Santo, ma che rispettino che noi preghiamo da cristiani secondo la nostra fede, come naturalmente anche noi facciamo nei confronti del loro modo di pregare. In questa prospettiva ambedue le parti hanno ancora da imparare.La vera questione controversa è: devono i cristiani pregare per la conversione degli ebrei? Ci può

essere una missione verso gli ebrei?

Nella preghiera riformulata non si trova la parola conversione. Ma è indirettamente inclusa nell’invocazione di illuminare gli ebrei affinché riconoscano Gesù Cristo. In più, c’è il fatto che il Messale del 1962 contiene titoli per le singole preghiere. Il titolo della preghiera per gli ebrei non è stato modificato; esso suona come prima: « Pro conversione Judæorum », per la conversione degli ebrei. Molti ebrei hanno letto la nuova formulazione nell’ottica di questo titolo, e ciò ha suscitato la reazione già descritta.In risposta a ciò, si può far notare che la Chiesa Cattolica, a differenza di alcuni gruppi « evangelical », non conosce una missione verso gli ebrei organizzata e istituzionalizzata. Con tale richiamo, però, il problema della missione verso gli ebrei di fatto non è ancora chiarito teologicamente. Questo è proprio il merito della nuova formulazione della preghiera del Venerdì

Santo, che, nella sua seconda parte, presenta una prima indicazione per una sostanziale risposta teologica.

Si parte ancora una volta dal capitolo 11 della Lettera ai Romani, che è fondamentale anche per la « Nostra ætate » (3).La salvezza degli ebrei è per Paolo un profondo mistero dell’elezione mediante la grazia divina (9, 14-29). I doni di Dio sono senza pentimento, e le promesse di Dio fatte al suo popolo, nonostante la disobbedienza di questo, non sono state revocate da Dio (9, 6; 11, 1.29). L’indurimento d’Israele torna a salvezza dei pagani. I rami selvatici dei pagani sono stati innestati sul ceppo santo d’Israele (11, 16s). Dio ha però la potenza di innestare di nuovo i rami tagliati (11, 23). Quando la pienezza dei pagani sarà entrata nella salvezza, sarà

salvato tutto l’Israele (11, 25s). Israele rimane quindi portatore della promessa e della benedizione.

Paolo parla, nel linguaggio dell’apocalittica, di un mistero (11, 25). Con ciò si intende esprimere qualcosa di più del fatto che gli ebrei sono spesso per gli altri popoli un enigma e che la loro esistenza è per altri ancora una testimonianza di Dio. Con il termine « mistero » Paolo intende l’eterna volontà salvifica di Dio, la quale si manifesta nella storia attraverso la predicazione dell’Apostolo. Si riferisce concretamente a Isaia, 59, 20 e Geremia, 31, 33s. Con ciò fa riferimento al raduno escatologico dei popoli in Sion, promesso dai profeti e da Gesù, e alla pace universale (shalom) che poi sorgerà (4).Paolo vede tutta la sua opera missionaria tra i pagani in tale prospettiva escatologica. La sua missione dovrebbe preparare il raduno dei popoli, il quale, poi, quando vi entrerà il numero completo dei pagani, tornerà a salvezza per Israele e farà

sorgere la pace escatologica per il mondo.

Si può dunque dire: non a motivo della missione verso gli ebrei, ma a seguito della missione verso i pagani Dio realizzerà alla fine, quando il numero completo dei pagani sarà entrato nella salvezza, la salvezza d’Israele. Solo Colui che ha indurito la maggior parte d’Israele, può anche scioglierne l’indurimento. Lo farà, quando « il liberatore » uscirà da Sion (11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12) (5).La riformulata preghiera del Venerdì Santo esprime questa speranza in una preghiera di intercessione rivolta a Dio (6). Con questa preghiera la Chiesa ripete, in fondo, l’invocazione del Padre nostro « Venga il tuo regno » (Matteo, 6, 10; Luca, 11, 2) e l’acclamazione liturgica protocristiana « Maranà tha »: Vieni, Signore Gesù, vieni presto (1 Corinzi, 16, 22; Apocalisse, 22, 20; Didachè

, 10, 6).

Tali preghiere per la venuta del Regno di Dio e per la realizzazione del mistero della salvezza, secondo la loro natura, non sono un appello rivolto alla Chiesa a compiere un’azione missionaria verso gli ebrei. Anzi, esse rispettano tutta la profondità abissale del « Deus absconditus », della Sua elezione per grazia, dell’indurimento, come della Sua misericordia infinita.Con la sua preghiera la Chiesa, dunque, non assume la regia della realizzazione del mistero imperscrutabile. Non lo può affatto. Piuttosto mette del tutto il « quando » e il « come » di tale realizzazione nelle mani di Dio. Solo Dio può far sorgere il Suo Regno, nel quale tutto l’Israele sarà salvato e la pace escatologica toccherà

il mondo.

Per sostenere quest’interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Chiaravalle, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà (7). Quanto sia giusta questa interpretazione risulta ancora dalla dossologia che conclude il capitolo 11 della Lettera ai Romani: « O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! » (11, 33). Questa dossologia manifesta ancora una volta che si tratta della glorificazione adorante di Dio e della sua elezione imperscrutabile mediante la grazia, e non di un appello a qualsiasi azione, neanche alla missione.L’esclusione di una missione mirata e istituzionalizzata verso gli ebrei non significa che i cristiani debbano stare con le mani in mano. Missione mirata e organizzata da un lato e testimonianza cristiana dall’altro lato vanno distinte. Naturalmente, i cristiani devono, dove è opportuno, dare ai fratelli e alle sorelle maggiori nella fede di Abramo (Giovanni Paolo II) testimonianza della propria fede e della ricchezza e bellezza della loro fede in Cristo. Ciò ha fatto anche Paolo. Durante i suoi viaggi missionari Paolo si è recato ogni volta prima nella sinagoga, e solo quando lì non vi ha trovato la fede, è

andato dai pagani (Atti degli Apostoli, 13, 5.14s.42-52; 14, 1-6 e altri; fondamentale Romani, 1, 16).

Tale testimonianza è richiesta oggi anche a noi. Deve avvenire certo con tatto e rispetto; sarebbe però disonesto se i cristiani nell’incontrare amici ebrei tacessero sulla propria fede o addirittura la negassero.Attendiamo altrettanto dagli ebrei credenti nei nostri confronti. Nei dialoghi che io conosco, quest’atteggiamento è del tutto normale. Un dialogo sincero tra ebrei e cristiani, infatti, è possibile solo, da un lato, sulla base della comunanza nella fede nell’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, e nelle promesse fatte ad Abramo e ai Padri, e, dall’altro, nella consapevolezza e nel rispetto della differenza fondamentale che consiste nella fede in Gesù

quale Cristo e Redentore di tutti gli uomini.L’incomprensione diffusa della riformulata preghiera del Venerdì Santo è un segnale di quanto grande sia ancora il compito che ci sta davanti nel dialogo ebraico-cristiano. Le reazioni irritate che sono sorte dovrebbero, quindi, essere un’occasione per chiarire e approfondire ancora le basi e gli obiettivi del dialogo ebraico-cristiano. Se si potesse avviare in questo modo un approfondimento del dialogo, l’agitazione sorta porterebbe alla fine davvero a un risultato positivo. Si deve certo essere sempre consapevoli che il dialogo tra ebrei e cristiani resterà, per sua natura, sempre difficile e fragile e che esige in grande misura sensibilità da entrambi le parti.

NOTE

(1) Una sintesi delle prime reazioni pro e contra si trova in « Il Regno » n. 1029, 2008, 89-91. Oltre a tali prime reazioni nei mass media, è pervenuta alla commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo una serie di prese di posizione dettagliate e particolareggiate, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti d’America, dalla Germania e dall’Italia, tra gli altri da R. Di Segni, « La preghiera per gli ebrei », in « Shalom » 2008, n. 3, 4-7.

(2) Ciò non vale per il dialogo ebraico-cristiano internazionale in cui questa questione è sorta già dopo la dichiarazione « Dominus Iesus » (2000). La commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ne ha tenuto conto e ha organizzato a questo scopo colloqui di esperti ad Ariccia (Italia), Lovanio (Belgio) e Francoforte (Germania); il prossimo colloquio è programmato da lungo tempo a Notre Dame (Indiana, Stati Uniti d’America). (3) Quanto all’interpretazione rimando soprattutto all’ampio commentario, ricco anche per la nostra questione, di Tommaso d’Aquino, « Super ad Romanos », capitolo 11, lectio 1-5. Commentari più recenti: E. Peterson, « Der Brief an die Römer » (Ausgewählte Schriften, 6), Würzburg, 1997, 312-330, specialmente 323; E. Käsemann, « An die Römer » (Handbuch zum Neuen Testament, 8a), Tübingen 1973, 298-308; H. Schlier, « Der Römerbrief » (Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 6), Freiburg i. Br., 1997, 320-350, spec. 337-341; O. Kuss, « Der Römerbrief », 3. Lieferung, Regensburg, 1978, 809-825; U. Wilckens, « Der Brief an die Römer » (EKK, VI/2), Zürich-Neukirchen, 1980, 234-274, spec. 252-257. Basilare il documento della Pontificia Commissione Biblica « Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana » (2001). Inoltre: F. Mussner, « Traktat über die Juden », München, 1979, 52-67; J. Ratzinger, « La Chiesa, Israele e le religioni del mondo », Torino, 2000; J. M. Lustiger, « La promesse », Paris, 2002; W. Kasper, « L’antica e la nuova alleanza nel dialogo ebraico-cristiano », in « Nessuno è perduto. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione », Bologna 2005, 95-119. A ciò si aggiunge una gran quantità di letteratura più

recente, la maggior parte di lingua inglese, sulle questioni del dialogo ebraico-cristiano.

(4) Importanti sono passi come Isaia, 2, 2-5; 49, 9-13; 60; Michea, 4, 1-3 e altri. In merito: J. Jeremias, « Jesu Verheißung für die Völker », Göttingen 1959. (5) Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell’attuale dialogo ebraico-cristiano: c’è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani? Tale questione tratta dell’universalità della salvezza, dal punto di vista cristiano irrinunciabile, in Gesù Cristo. Cfr la sintesi della letteratura più antica in J. T. Pawlikowski, « Judentum und Christentum », in « Theologische Realenzyklopä

die », 18 (1988), 386-403; Pawlikowski, a causa degli interventi miei e di altri, ha sviluppato la sua posizione in modo essenziale e ha riferito ampiamente circa lo stato attuale della discussione in « Reflections on Covenant and Mission » in: « Themes in Jewish-Christian Relations », ed. E. Kessler and M. J. Wreight, Cambridge (Inghilterra), 2005, 273-299. (6) La preghiera ha modificato questo testo nella misura in cui parla dell’entrata dei pagani « nella Chiesa », cosa che non si trova così in Paolo. Da ciò alcuni critici ebrei hanno concluso che si trattasse dell’entrata d’Israele nella Chiesa, cosa che non si dice nella preghiera. Nel senso dell’apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l’entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l’unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato.

(7) Bernardo di Chiaravalle, « De consideratione », III, 1, 3. In merito anche: « Sermones super Cantica Canticorum », 79, 5.

Publié dans:c.CARDINALI |on 13 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Mons. Gianfranco Ravasi: Lidia, l’imprenditrice di Filippi (Atti 13,50)

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/2004/182004.htm

Mons. Gianfranco Ravasi

Lidia, l’imprenditrice di Filippi (Atti 13,50)

A prima vista può sembrare una notazione di taglio antifeminnista, propria della cultura orientale di impronta maschilista (ma anche il mondo greco-romano al riguardo non scherzava!).

Nel brano degli Atti degli Apostoli proposto dalla liturgia di questa quarta settimana di Pasqua si ha la descrizione del successo che la predicazione di Paolo e di Barnaba registra tra i pagani nella città di Antiochia di Pisidia, nell’attuale Turchia centrale. Poi, però, Luca annota: « I Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio » (13,50). Ora, nella vicenda missionaria di Paolo le cose non andarono sempre così. Anzi, spesso le donne furono ardenti sostenitrici della nuova fede. Vogliamo, allora, proporre un personaggio femminile minore degli Atti degli Apostoli che risponde proprio a questa caratteristica. Si tratta di una certa Lidia, una donna d’affari della città greca di Filippi, in Macedonia. Là, infatti, nacque la prima comunità

cristiana europea, dopo che l’Apostolo a Troade, nell’attuale Turchia, aveva avuto la visione notturna di un Macedone che lo supplicava: « Passa in Macedonia, e aiutaci! » (16,9).

Così, salpando da Troade, era approdato a Filippi e, dopo una sosta di alcuni giorni, di sabato si era recato fuori dalle porte della città lungo un fiume: là, infatti, si radunavano gli Ebrei locali che, non avendo una sinagoga, pregavano sulle rive di quel fiume così da avere a disposizione l’acqua per le abluzioni rituali. Paolo, com’era suo costume, si rivolse proprio a costoro. « C’era ad ascoltare una donna di nome Lidia, commerciante di porpora della città

di Tiatira, una credente in Dio, e il
Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo » (16,14).
Lidia portava un nome comune allora diffuso; era quello di una regione dell’Asia Minore, famosa per la sua prosperità (suo re era stato Creso!). Fu convertita all’ebraismo dal paganesimo: tale, infatti, è il valore della formula usata da Luca: « credente in Dio ». Era originaria di una città dell’Asia Minore, Tiatira, situata sul fiume Lico, famosa per le sue industrie di trattamento della porpora: la corporazione dei tintori di quel centro è attestata da molte iscrizioni venute alla luce.
Alla comunità cristiana di quella città era indirizzata una delle sette lettere dell’Apocalisse (2,18-29).
Anche Lidia apparteneva a quella corporazione di operatori commerciali che trattavano la porpora rossa e viola, ma si era trasferita poi a Filippi. la sua vita fu mutata proprio da quell’incontro.

Scrive Luca negli Atti: « Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa. E ci costrinse ad accettare » (16,15). E, anche dopo la carcerazione che Paolo col suo collaboratore Sila dovette subire a Filippi, la casa di Lidia rimase sempre aperta, divenendo una sorta di chiesa domestica dove i cristiani filippesi, tanto cari all’Apostolo, si riunivano in fraternità e in preghiera (16,40).

Publié dans:Card. Gianfranco Ravasi |on 11 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Mons. Gianfranco Ravasi: Aquila e Priscilla, sposi Cristiani (epistolario paolino: lettere ai Romani, ai Corinzi e a Timoteo, degli Atti degli Apostoli, capitolo 18).

dal sito:

http://www.novena.it/ravasi/2004/032004.htm

Mons Gianfranco Ravasi

Aquila e Priscilla, sposi Cristiani (epistolario paolino: lettere ai Romani, ai Corinzi e a Timoteo, degli Atti degli Apostoli, capitolo 18).

In quella festa paesana che ha al centro una coppia anonima di sposi e che è narrata dal Vangelo di Giovanni (2,1-11), letto in questa domenica, c’è la storia di tante coppie cristiane che nella loro città o nel loro villaggio, ben lontano da Cana di Galilea, hanno consacrato il loro amore con la presenza santificante di Cristo. Vorremmo far emergere da quella folla immensa di sposi cristiani due figure neotestamentarie, Aquila e Prisca (o Priscilla). Esse occhieggiano nelle pagine dell’epistolario paolino (lettere ai Romani, ai Corinzi e a Timoteo) e in quelle degli Atti degli Apostoli (capitolo 18).

Il marito portava un nome latino, Aquila, grecizzato in Akylas, ma era un ebreo nativo del Ponto (regione dell’attuale Turchia). Da quel territorio era emigrato a Roma ove si era sposato con Prisca, chiamata col diminutivo di Priscilla, nome anch’esso romano.

Quando l’imperatore Claudio (41-50 d.C.) espulse da Roma con un editto gli Ebrei ivi residenti, anche i due, che si erano convertiti al cristianesimo, dovettero lasciare la capitale e rifugiarsi a Corinto, in Grecia.

Qui incontrarono Paolo e – come scrive Luca negli Atti degli Apostoli – « poiché erano del medesimo mestiere, Paolo si stabilì nella loro casa e lavorava con loro: erano, infatti, di mestiere fabbricatori di tende » (18,3).

Questa amicizia con l’Apostolo continuò anche quando egli si trasferì a Efeso, nell’attuale Turchia costiera: essi Io seguirono e lo aiutarono nell’attività missionaria, dedicandosi alla formazione, « con maggiore accuratezza », di un convertito di nome Apollo, che sarebbe poi diventato un acclamato predicatore cristiano (18,26).

Essi erano ancora con Paolo quando egli scrisse da Efeso la prima lettera ai Corinzi. Infatti, in finale a quel testo si legge: « Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa » (16,19). È suggestiva la menzione della loro casa nella quale i cristiani si incontravano per ascoltare la Parola di Dio e per celebrare l’Eucaristia, trasformando così quell’appartamento in una « chiesa domestica », come accadeva nei primi anni del cristianesimo.

Cessato il divieto di Claudio, Aquila e Priscilla ritornarono a Roma e, allora, Paolo – scrivendo da Corinto ai cristiani della capitale la famosa lettera che è anche il suo capolavoro teologico -non esita a ricordare i suoi amici, tessendo una lode e un ringraziamento per il loro amore nei suoi confronti, un amore che gli aveva salvato la vita durante un tumulto scoppiato a Efeso, quando vivevano ancora insieme: « Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù: per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa e ad essi non io soltanto sono grato! » (Romani16,3-4).

Anche scrivendo per la seconda volta al discepolo e collaboratore Timoteo, Paolo non esiterà a menzionare questa coppia di sposi 2 Timoteo 4,19: « Saluta Prisca e Aquila », un vero modello di coniugi cristiani impegnati a testimoniare il Vangelo con la semplicità della loro vita e l’intensità del loro amore.

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Gianfranco Ravasi (2003) – Apollo, colto e gran predicatore (At 18,24)

 dal sito:

http://www.novena.it/ravasi/2003/272003.htm

Gianfranco Ravasi (2003) – (At 18,24)

Apollo, colto e gran predicatore

No, non parleremo ora di Apollo, figlio di Giove e di Latona e fratello di Diana, il dio romano del sole, della musica, della poesia, delle arti e della medicina. L
Apollo che vogliamo mettere in scena in greco Apollòs era un comune mortale: anzi, il suo nome era il diminutivo di Apollonio, un nome popolare nel mondo classico, a partire dallo scultore omonimo o da Apollonio Rodio, lautore del poema greco Gli Argonauti (III secolo a.C.), o dallApollonio filosofo ambulante pitagorico, famoso per i suoi presunti miracoli.

A parlare di Apollo, predicatore cristiano, siamo spinti dal fatto che in questa domenica leggiamo nella liturgia un brano della seconda Lettera di Paolo ai Corinzi. Ebbene, Apollo secondo gli Atti degli Apostoli (18,24) era un ebreo nato nella comunità della Diaspora giudaica di Alessandria dEgitto ed era un seguace dei discepoli del Battista che, anche dopo il ministero pubblico di Gesù, erano rimasti indipendenti e praticavano il battesimo di purificazione del loro maestro.Apollo era «un uomo colto, versato nelle Scritture» e gran oratore, e si era lasciato conquistare dalla figura di Cristo. Su stimolo di una coppia cri- I stiana di sposi, Aquila e Priscilla, amici di Paolo, era stato non solo formato con maggior profondità sulla dottrina cristiana, ma anche convinto a trasferirsi da Efeso, la città dellAsia minore (attuale Turchia occidentale egea) ove si trovava, a Corinto, in Grecia. «Giunto colà», scrive ancora Luca negli Atti degli Apostoli, «fu molto utile per coloro che, per opera della grazia, erano divenuti credenti. Confutava con vigore i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo»

(18,27-28).

È così che la sua figura si legò indissolubilmente alla comunità cristiana della città greca di Corinto. Il legame fu così intenso che si era costituito un gruppo di suoi seguaci, probabilmente convertiti dal paganesimo e affascinati dalla sua eloquenza forbita. Costoro tendevano a far parte a sé, isolandosi rispetto agli altri gruppi di convertiti dal giudaismo o di tendenze più o meno aperte o rigoriste. Di questa situazione di tensione nella Chiesa di Corinto si ha testimonianza in un passo della prima Lettera di Paolo ai Corinzi.LApostolo, venuto a conoscenza a Efeso, dove soggiornava, di queste divisioni attraverso i dipendenti di una donna manager di Corinto di nome Cloe, scriveva: «Mi è stato segnalato dalla gente di Cloe, o frateffi, che vi sono discordie fra di voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: Io sono di Paolo! oppure: Io invece sono di Apollo! E altri: E io sono di Cefa! O ancora: Io sono di Cristo! Ma Cristo è stato forse diviso?» (1,1 1-13). È facile intuire il rischio che correva quella Chiesa, frantumata in correnti e movimenti che si guardavano in cagnesco o erano in concorrenza. Più avanti nella stessa lettera Paolo ritornerà sulla questione: «Quando uno dice: Io sono di Paolo! E un altro: Io sono di Apollo! Non vidimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Solo ministri attraverso i quali siete venuti alla fede… Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere»

(3,4-7).

In finale di lettera lApostolo cita ancora con rispetto «il fratello Apollo», che in quel momento era a Efeso con lui, annunziandone il ritorno, non però immediato, a Corinto (16,12). Da quel momento di Apollo non si saprà nulla. In passato alcuni (tra costoro ariche Lutero) ipotizzarono che fosse lautore della Lettera agli Ebrei.

Publié dans:Card. Gianfranco Ravasi |on 11 avril, 2008 |Pas de commentaires »

CARD. ANDREA CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO, CONFERENZA STAMPA PER L’ANNO PAOLINO

dal sito:

http://www.fides.org/ita/vita_chiesa/2008/annop_presenta_210108.html

 

21.01.2008 

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ANNO PAOLINO (28 GIUGNO 2008 – 29 GIUGNO 2009) E DEL PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE PRESSO LA BASILICA PAPALE DI S. PAOLO FUORI LE MURA, 

 

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Anno Paolino (28 giugno 2008 – 29 giugno 2009) e, in particolare, del programma delle iniziative presso la Basilica papale di S. Paolo fuori le Mura. 


Intervengono: l’Em.mo Card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete della Basilica papale di S. Paolo fuori le Mura; il Rev.do Dom Johannes Paul Abrahamowicz, O.S.B., Priore dell’Abbazia di S. Paolo fuori le Mura; l’Ing. Pier Carlo Visconti, Delegato per l’Amministrazione.
Pubblichiamo di seguito l’intervento del Card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo: 

 

• INTERVENTO DEL CARD. ANDREA CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO
In occasione della celebrazione dei Primi Vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo, nel pomeriggio del 28 giugno 2007, il Santo Padre Benedetto XVI dalla Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura ha annunziato al mondo intero la sua intenzione di celebrare, dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, un anno dedicato a San Paolo, con riferimento al bimillenario della nascita dell’Apostolo delle Genti.
Il Vescovo di Roma, nell’indire tale evento, invita tutti a cogliere la dimensione ecumenica dell’Anno Paolino, affermando che « L’Apostolo delle genti, particolarmente impegnato a portare la Buona Novella a tutti i popoli, si è totalmente prodigato per l’unità e la concordia di tutti i cristiani. Voglia egli guidarci e proteggerci in questa celebrazione bimillenaria, aiutandoci a progredire nella ricerca umile e sincera della piena unità di tutte le membra del Corpo misto di Cristo ». Allo stesso tempo, il Santo Padre ricorda che la Chiesa ha bisogno, oggi come allora, « di apostoli pronti a sacrificare sé stessi… di testimoni e di martiri come San Paolo ».
In una precedente conferenza stampa, ho avuto modo di annunziare che recenti scavi hanno permesso di rendere visibile per tutti i fedeli, i pellegrini ed i visitatori della Basilica di San Paolo fuori le Mura un fianco del grande sarcofago di marmo, che da venti secoli è conservato sotto l’altare papale, e raccoglie le spoglie dell’Apostolo delle Genti. Ciò sta già molto facilitando l’accesso dei pellegrini e favorendo la loro devozione verso l’Apostolo.
Probabilmente, il Santo Padre emetterà prossimamente un Documento di indizione dell’Anno Paolino, stabilendone gli scopi ed i benefici spirituali per i fedeli.

L’Anno Paolino offrirà dunque, particolarmente per i cattolici, l’invito e l’occasione:
a) di riscoprire la grande figura dell’Apostolo Paolo, la sua molteplice ed instancabile attività, i suoi numerosi viaggi, raccontati particolarmente negli Atti degli Apostoli, scritti da San Luca;
b) di rileggere e studiare le sue numerose lettere, indirizzate alle prime comunità cristiane;
c) di rivivere i primi tempi della nostra Chiesa;
d) di approfondire il suo ricchissimo insegnamento, indirizzato a tutti e particolarmente ai « gentili » e meditare sulla sua vigorosa spiritualità di fede, di speranza e di carità;
e) di compiere un pellegrinaggio sulla sua tomba, e nei numerosi luoghi che Egli ha visitato, dove ha fondato le prime comunità ecclesiali;
f) di rivitalizzare la nostra fede ed il nostro ruolo nella Chiesa di oggi, alla luce dei suoi insegnamenti;
g) ed infine di pregare ed operare per l’Unità di tutti i cristiani in una Chiesa che sia unita, e che sia vero « Corpo Mistico di Cristo ».

Numerose sono le attività previste in occasione dell’Anno Paolino. Le potremmo raccogliere in programmi diversi e descriverle brevemente:
1) il programma pastorale,

- con celebrazioni liturgiche quotidiane ordinarie e straordinarie,
- con incontri di preghiera,
- con la celebrazione del sacramento della penitenza;
2) il programma religioso-culturale,

- con la lectio Pauli e la catechesi sui testi di San Paolo,
- con conferenze, meditazioni, convegni, riflessioni teologiche (sono in programmazione 5 o 6 grandi incontri da tenersi in Basilica, con esperti paolini ed importanti testimonianze di noti personaggi),
- con eventi musicali;
3) il programma dei pellegrinaggi,

- il primo pellegrino sarà lo stesso Santo Padre, il 28 giugno 2008 per aprire l’Anno Paolino, accompagnato da rappresentanze di chiese e comunità cristiane;
- non sarà aperta la Porta Santa (aperta nel 2000 e legata a quella delle altre Basiliche)
ma sarà aperta una ‘Porta Paolina’ (simmetrica alla Porta Santa) e sarà eretto un braciere con la ‘fiamma paolina’, che arderà per tutto l’anno, alimentata dai pellegrini;
- vari programmi prevedono: l’accoglienza, l’assistenza e l’accompagnamento di chi giunge in Basilica [con ufficio prenotazioni, accoglienza e fornitura di guide e di apparecchiature audio per gruppi];
- la programmazione di visite a luoghi paolini, in Roma (12 luoghi in Roma) o nel mondo (Terra Santa, Turchia, Malta, ecc) [N.B. tutta l’organizzazione tecnica dei pellegrinaggi che richiedono prenotazioni, trasporti e alloggi sarà assicurata dall’Opera Romana Pellegrinaggi];
4) il programma culturale ed artistico,

- con esposizioni, visite guidate alla Basilica, conferenze, concerti,
- con esibizioni di rappresentazioni figurative paoline nel mondo,
- con esposizioni di pubblicazioni paoline, di francobolli paolini, ecc.,
- con la coniazione di una ‘medaglia del bimillenario’,
- con l’emissione da parte del Governatorato SCV di un francobollo e di una moneta da due Euro;
5) il programma editoriale,

- con la pubblicazione (in varie lingue) di una « guida della Basilica »,
- con una nuova edizione degli Atti degli Apostoli e delle Lettere di S. Paolo,
- con l’attivazione di un sito web (www.annopaolino.org) che, costantemente aggiornato, offre la possibilità di vivere in diretta i momenti salienti dell’evento, e permetterà la richiesta di informazioni e di prenotazioni;
6) il programma di lavori e restauri,

vorrei solo accennare a vari lavori di restauro e di adattamento che sono già stati eseguiti o sono ora in corso nel complesso della Basilica e delle sue adiacenze:
- è già stato completamente restaurato e ripulito il grande trono papale nell’abside;
- sarà anche ripulito e restaurato il baldacchino di Arnolfo di Cambio sopra l’altare papale;
- è stata totalmente rinnovata l’illuminazione nel transetto, e si spera di completarla presto anche per le cinque navate;
- nelle prossime settimane saranno trasferiti altrove i due negozi di souvenirs, che si trovano in ambienti presso il chiostro, per delimitare una nuova area espositiva e museale, che comprende il chiostro cosmatesco ed alcune sale circostanti;
- è in corso la riparazione o sostituzione di marmi fortemente deteriorati nel pavimento nell’abside;
- all’inizio della cosiddetta ‘passeggiata archeologica’, che segna la via d’uscita dei pellegrini e visitatori, sarà creato un atrio coperto, con accesso ad una nuova base di ‘pronto soccorso’, ad un semplice punto di distributori automatici di bibite e viveri e ad un centro provvisorio per la vendita di souvenirs;
- è stata completamente rifatta e raddoppiata tutta l’area che contiene i servizi igienico-sanitari, adottando tecniche modernissime;
7) il programma ecumenico:

Le attività ed i programmi svolti nel corso dell’Anno Paolino saranno sempre fortemente marcati da una chiara dimensione ecumenica, invitando anche i fratelli delle varie denominazioni cristiane ad unirsi nella preghiera per l’unità di tutti i fedeli nel Corpo Mistico di Cristo, come il Santo Padre ha ancora ricordato e sottolineato proprio durante l’Angelus di ieri, domenica 20 gennaio, in occasione della « settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani ».
In particolare, vorrei osservare quanto segue. Dopo il Motu Proprio del 2005 la celebrazione del Battesimo per i fedeli nell’area di San Paolo spetta alla parrocchia della Diocesi di Roma competente per territorio, e quindi la Cappella destinata a Battistero, che si trova tra la Basilica ed il Chiostro, non è più normalmente usata per celebrare Battesimi. Essa sarà quindi trasformata in Cappella ecumenica. Manterrà certamente la caratteristica di Battistero con il fonte battesimale da un lato, ma sarà destinata ad offrire ai fratelli cristiani che lo richiedano un luogo speciale di preghiera, per i loro singoli gruppi che vengono pellegrini presso la tomba di Paolo, oppure anche per pregare insieme con i cattolici, senza celebrazione di sacramenti. In essa sarà riposto l’altare che contiene i resti di San Timoteo di Antiochia (martirizzato nel 311) e di altri ignoti martiri del IV secolo, che fu rimosso nel 2006 dall’ipogeo di San Paolo per poter rendere visibile il sarcofago dell’Apostolo.
Va ricordato che il Battesimo è il sacramento che unisce tutti coloro che credono in Cristo e sono marcati dal sigillo della redenzione, mentre i Martiri dei primi secoli testimoniano la primitiva unità di tutta la Chiesa.
È da notare anche che questa Cappella, ristrutturata in forma di croce greca ed adattata dall’architetto Arnaldo Foschini negli anni 1928-1930, contiene antiche colonne di origine greca, mentre tutte le pareti sono ricoperte da strutture e specchiature marmoree, che contengono numerose formelle di marmi pregiati, tutti differenti fra di loro, provenienti dalle più disparate parti del mondo, proprio ad indicare la diversità e l’unità di tutti i cristiani. Questa Cappella dunque, oltre a servire per uno scopo ben preciso, è piena di simbolismi che indicano e conducono all’unità di tutti i cristiani.
Concludo con una semplice riflessione:
Questo Anno Paolino aiuti tutti a pregare ed agire affinché possiamo dire con Paolo, l’Apostolo delle Genti : « non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal 2,20) e per poter dire con San Giovanni, l’Apostolo ed Evangelista : « affinché tutti siano una cosa sola » (Gv 17,21).
 

MONS. GIANFRANCO RAVASI (2003): TIMOTEO, PREZIOSO COLLABORATORE DI PAOLO

dal sito:

http://www.novena.it/ravasi/2003/262003.htm

 

MONS. GIANFRANCO RAVASI (2003)

 

TIMOTEO, PREZIOSO COLLABORATORE DI PAOLO (2 Tim 4,6-8; Eb 13,23; 1Cor 16,10-11)

 

Certo, le figure dominanti di questa domenica sono Pietro e Paolo. Ma per tracciare accuratamente il profilo di ciascuno di loro non basterebbero alcune decine di puntate della nostra rubrica, che, tra l’altro, vuole far emergere solo personaggi di secondo piano. Così, abbiamo deciso di presentare uno dei discepoli più cari a Paolo, quel Timoteo a cui indirizza ben due lettere: anzi, nel brano della seconda, letto nella liturgia di questa domenica, gli consegna anche uno splendido e struggente testamento, mentre l’Apostolo sente avvicinarsi la sua ultima ora (4,6-8).

Timoteo, dal nome greco (“colui che onora Dio”), era nato a Listra di Licaonia, nell’attuale Turchia centrale, da padre greco e da madre giudeocristiana. Le sue origini familiari sono così rievocate da Paolo stesso: «Ricordo la tua fede schietta, che pervase prima tua nonna Loide e poi tua madre Eumce» (2 Timoteo 1,5). La sua figura emerge abbastanza nitidamente nel libro degli Atti degli Apostoli ove è registrato un fenomeno abbastanza curioso. Divenuto suo collaboratore, Paolo decise di far circoncidere Timoteo e questo «per riguardo ai giudei che risiedevano in quelle regioni: tutti, infatti, sapevano che suo padre era greco», cioè pagano (16,3).

È noto che per Paolo «la circoncisione non contava nulla, come l’incirconcisione» (1 Corinzi 7, 19); anzi, egli si era strenuamente battuto perché ai pagani convertiti al cristianesimo non fosse richiesto di transitare prima nel giudaismo circoncidendosi. Ora, però, per realismo pastorale e per quieto vivere, si rassegna a questa soluzione per non provocare i giudeo-cristiani e quell’area dell’Asia minore con la presenza di un predicatore non circonciso. Tuttavia è da notare che l’Apostolo non accetterà questa scelta per l’altro collaboratore più caro, Tito, che, «sebbene fosse greco, non fu obbligato a circoncidersi» (Galati 2,3).

Il nostro Timoteo è di scena ripetutamente nei capitoli 16-20 degli Atti degli Apostoli, durante il secondo viaggio missionario che conduce Paolo prima nella Turchia centrale, poi in Macedonia (a Filippi e a Tessalonica), per approdare infine a Corinto.
In ben sei lettere Paolo lo associa a sé nel saluto iniziale rivolto ai destinatari, corinzi, filippesi, colossesi, tessalonicesi (due lettere), e all’amico Filemone. Fa capolino anche nella finale della Lettera agli Ebrei, che non è però di Paolo: qui si legge che «il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà» (13,23). Forse si fa riferimento alla condivisione della prigionia romana di Paolo.

Certo è che questo prezioso collaboratore fu incaricato dall’Apostolo di missioni delicate, sia a Tessalonica, sia soprattutto a Corinto. In questa turbolenta comunità cristiana fu inviato per «richiamare alla memoria le vie indicate (da Paolo) in Cristo» (1Corinzi 4,17). Anzi, l’Apostolo presenta calorosamente questo suo «figlio amato e fedele nel Signore» perché venga trattato bene: «Quando verrà Timoteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l’opera del Signore. Nessuno, allora, gli manchi di riguardo; al contrario, accomiatatelo poi in pace, quando ritornerà da me: io lo aspetto coi fratelli» (1 Corinzi 16,10-11).

Infine, Paolo lo incaricherà ufficialmente di gestire la comunità di Efeso (la tradizione lo considera il primo vescovo di quell’importante città della Turchia costiera). Scrive, infatti, nella prima Lettera a lui indirizzata: «Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere a Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole…» (1,3-4). La leggenda vuole che egli morisse martire sotto l’imperatore Domiziano, mala notizia non ha fondamento storico ed è solo in un testo apocrifo, gli Atti di Timoteo (IV sec.) 

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