Mons. Gianfranco Ravasi: Paolo rappacifica Evòdia e Sintinché (Fil)
dal sito:
http://www.novena.it/ravasi/2005/382005.htm
MONS. GIANFRANCO RAVASI (2005)
PAOLO RAPPACIFICA EVÒDIA E SINTICHÉ (Fil)
Continua in questa domenica la lettura della Lettera di s. Paolo ai cristiani di Filippi. Nelle nostre memorie scolastiche questa città macedone — che portava il nome del suo fondatore, Filippo II, padre di Alessandro Magno (IV sec. a.C.) — è presente per la battaglia del 42 a.C. che vide lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio, da una parte, e Bruto e Cassio, dall’altra, e per quel celebre motto legato a questo evento: «Ci rivedremo a Filippi!», desunto dalla Vita di Giulio Cesare dello storico greco Plutarco. Per il cristianesimo Filippi, che ancor oggi offre una significativa testimonianza archeologica della sua gloria antica, è legata invece alla presenza di Paolo, qui giunto dopo la visione notturna avuta a Troade (nei pressi dell’antica Troia) nella quale un macedone implorava l’Apostolo: «Passa in Macedonia e aiutaci!» (Atti 16,9).
Dopo Epafrodito, presentato la scorsa settimana, da quella Lettera paolina facciamo emergere due donne cristiane, attorno alle quali si è consumato anche un piccolo giallo esegetico. Ma cominciamo con l’ascoltare le parole di Paolo che scrive: «Esorto Evodia ed esorto Sintiche ad andare d’accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me» (Filippesi 4,2-3).
Procediamo per ordine. Nella comunità cristiana di Filippi due cristiane si beccano tra loro tant’è vero che Paolo deve esortarle calorosamente ad “andare d’accordo”, letteralmente ad “avere le stesse idee”.
In questa vicenda, c’è un duplice paradosso. Il primo è esteriore ed è quasi divertente: i nomi delle due donne significano rispettivamente in greco “cammino buono, facile” (eu-odia), e “sorte comune”, “incontro” (syn-tyche), significati che vengono smentiti dai loro litigi. Il secondo paradosso è ben più lacerante: come ricorda Paolo, esse “hanno lottato”, con lui per il Vangelo
(il verbo usato è quello “atletico” più che militare) e ora smentiscono quel comune impegno di fede.
È a questo punto che entra in scena l’enigma a cui sopra si accennava. Infatti, l’Apostolo fa appello a un non meglio specificato “fedele collaboratore” perché funga da mediatore tra le due avversarie così da espletare la missione di pacificazione.
Ora, in greco “collaboratore” è syzygos (letteralmente “colui che condivide lo stesso giogo”, ossia lo stesso compito o incarico), un termine che può essere inteso anche come nome proprio. In questo caso, oltre a Epafrodito — già entrato in scena, a cui pensano anche in questo caso alcuni commentatori — e oltre a Clemente, un altro collaboratore a cui si fa cenno in questo stesso passo (4,3), salirebbe sulla ribalta un’altra figura della Chiesa filippese, questo misterioso Sizigo, non altrimenti noto ma dal nome suggestivo.
Certo è che anche una comunità così cara a Paolo e a lui costantemente vicina rivela al suo interno tensioni, divisioni e ripicche. Un fenomeno che esploderà a Corinto, come attesta la Prima Lettera indirizzata dall’Apostolo a quella Chiesa (1,1 1-13). Un elemento che ci mostra l”incarnazione” della parola di Dio nella storia di tutti i tempi, rivelando non solo gli splendori della fede ma anche le piccinerie e le miserie dei credenti.