di Gianfranco Ravasi: Dal buio di un mondo sommerso due volti nella luce (riguardo i ritrovamenti nella cataomba di Santa Tecla)
dal sito:
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Dal buio di un mondo sommerso due volti nella luce
di Gianfranco Ravasi
Proprio quando l’Anno paolino tocca il suo apice conclusivo e la Chiesa celebra la solennità dei principi degli apostoli, un fortunato intervento di restauro, promosso dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nelle catacombe romane di Santa Tecla sulla via Ostiense, non lontano dal complesso basilicale di San Paolo fuori le mura, ha offerto, tra l’altro, la sorpresa di un busto dipinto di san Paolo. È un evento straordinario che suggella in modo inatteso e sorprendente le iniziative che hanno cadenzato questo denso anno giubilare.
Il cubicolo dipinto, interessato dal restauro, rappresenta uno degli ultimi monumenti scavati nella catacomba. Uscendo da Roma, lungo la via Ostiense, si incontra, prima, il grande cimitero di Commodilla, dove riposano i martiri Felice e Adautto e, poi, il piccolo ipogeo di Timoteo, probabilmente situato nella « roccia di san Paolo », ricordato dagli itinerari medievali e forse riconoscibile nella piccola catacomba ancora visitabile nel costone della rupe. Ma così come Timoteo non può essere identificato con il compagno di Paolo, anche la Tecla che attribuisce la denominazione alla nostra catacomba – la terza che si incontra percorrendo la via Ostiense – non può essere identificata con la protagonista dell’antico apocrifo denominato Acta Pauli et Theclae.
Tale basilica-santuario, come suggerisce la Notitia Ecclesiarum, cioè l’itinerario dei pellegrini del VII secolo, era situata in australi parte (…) supra montem positam: corpus eius quiescit in spelunca. La catacomba, già nota nel Settecento all’archeologo Giovanni Marangoni, venne sistematicamente scavata negli anni Sessanta del secolo scorso. Già allora si conobbe l’esistenza di una martire romana di nome Tecla, della quale, purtroppo, non si hanno altre informazioni, anche se, dalla cronologia generale del cimitero, si può ipotizzare che la martire fu uccisa durante la persecuzione dioclezianea, agli inizi del IV secolo. Un’iscrizione, rinvenuta nel vicino cimitero di Commodilla, ricorda che un cristiano sepolto in questo complesso funerario morì nel natale domnes Theclae, ma tale testo risulta mutilo, per cui è impossibile conoscere almeno il dies natalis, ossia il giorno della morte della martire.
A questa Tecla, ricordata anche dalle fonti medievali, venne dedicata una basilichetta ipogea a cui si accede attraverso una scala laterale, che conduce alla navata destra, delle due che costituiscono l’edificio di culto. Esso, originariamente, doveva comprendere tre navate, manomesse da interventi moderni, che trasformarono l’edificio in cantina. Sul fondo, in un nicchione, rischiarato da un lucernario, era forse collocata la sepoltura della martire. Là si conservano due frammenti di intonaco dipinto trasferiti da un mausoleo rinvenuto durante la costruzione della via Cristoforo Colombo. Il primo frammento mostra una scena con una figura femminile aggredita da un uomo, evocazione della biblica Susanna molestata dagli anziani (Daniele, 13); il secondo frammento reca dipinta una coppia di figure virili, che indicano una stella, forse per alludere a una profezia.
Tornando alle sorprendenti scoperte di questi giorni, avvenute nel cubicolo situato nel settore meridionale della catacomba, dobbiamo, però, ricordare che il restauro è ancora in corso e che altre scoperte potrebbero incrementare il repertorio, già estremamente ricco, della pittura catacombale romana. Per ora, possiamo ammirare lo straordinario volto di Paolo, ma anche quello di Pietro, meno conservato, ma suggestivo. È un’ulteriore e importante testimonianza di quella concordia apostolorum, che è nel cuore della concezione religiosa della Chiesa romana nell’ultimo scorcio del IV secolo, concezione avviata già da Papa Damaso (366-384). Giorno dopo giorno, i restauratori stanno riportando alla luce storie della Bibbia e i volti degli apostoli, scrivendo un nuovo capitolo della storia dell’arte tardoantica, che rappresenta anche l’ultimo segmento della pittura catacombale, quando questa consegna idealmente il testimone all’arte monumentale degli edifici di culto.
Nel comunicare la scoperta del suggestivo busto clipeato di san Paolo nella catacomba di Santa Tecla, va ricordato che le ultime acquisizioni dell’iconografia paolina – se si eccettua il bronzetto di Cornus (Sardegna) e gli affreschi della grotta di Efeso – sono venute proprio dalle catacombe romane e dagli scavi o dai restauri curati dai responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, durante alcuni lavori di restauro, nella tricora orientale di San Callisto, venne alla luce un piccolo frammento di sarcofago, scolpito nell’atelier ove si era approntato il celebre sarcofago di Giunio Basso, alla metà del secolo IV. In questo esiguo frammento marmoreo – ora esposto alla mostra dedicata a « Paolo in Vaticano » nel Museo Pio Cristiano – si riconoscono i bei volti del Cristo e dell’apostolo delle genti, tra i più espressivi che ci abbia consegnato la produzione plastica paleocristiana.
Alla fine degli anni Novanta, poi, nelle catacombe dell’ex vigna Chiaraviglio, collegate al grande complesso funerario di San Sebastiano, furono intercettati alcuni ambienti dipinti con una maiestas Domini, ossia con l’immagine del Cristo tra i principi degli apostoli, e con il celebre abbraccio tra Pietro e Paolo, riferibili, come gli affreschi di Santa Tecla, alla fine del secolo IV, ossia alle ultime manifestazioni della pittura catacombale. Abbandonando il sereno repertorio augurale delle scene bibliche, si sceglievano sistemi iconografici più complessi, sperimentati nelle absidi, negli archi absidali e trionfali, lungo le navate e nelle controfacciate dei più prestigiosi edifici di culto del tempo.
Tutte queste scoperte provengono da un « mondo sommerso », da quelle oscure catacombe per troppo tempo considerate tristi luoghi di persecuzione, fuga e morte. Da quelle gallerie, da quei cubicoli, da quegli arcosoli, salvati miracolosamente dall’obliterazione e dagli interri, spuntano adesso le testimonianze eloquenti del cristianesimo dei primi secoli. Si crea, così, un vivace linguaggio iconografico, prima elementare, poi catechetico e, infine, sempre più sofisticato e allineato al pensiero dei Padri della Chiesa e dei Pontefici, destinato a tradurre in figura le idee, i programmi e i nuovi progetti della fede.
(©L’Osservatore Romano – 28 giugno 2009)