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Omelia del card. Scola nella Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore

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« LA CHIESA, COMUNITÀ DI REDENTI GENERATA DALLA PASQUA »

Omelia del card. Scola nella Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore

MILANO, domenica, 8 aprile 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata oggi dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, durante la Messa del giorno nella Pasqua di Risurrezione.
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1. «Questo è il giorno che ha fatto il Signore; rallegriamoci e in esso esultiamo» (Sal 117): così, col ritornello del Salmo responsoriale, la Chiesa nostra Madre ci ha invitato alla gioia. Perché? Ce lo dirà con forza ineguagliabile un passaggio sconvolgente e paradossale del Prefazio: «beata mors, quae nodos mortis exsolvit», beata, cioè eternamente felice -la beatitudine, infatti, dice la felicità eterna, quella che non passerà più-, la morte [del nostro Redentore] perché ha sciolto per sempre i lacci della morte.
Come si può parlare di una morte beata? Da dove viene alla Chiesa, e quindi a ciascuno di noi, la certezza circa una tale possibilità? Come mai, dopo il giorno di Pasqua, i discepoli poterono ritornare sui tragici eventi del Venerdì Santo e scoprire in essi quanto annunciato dalle Scritture? Forse siamo così distratti dall’abitudine che non ci rendiamo conto della assoluta singolarità dell’avvenimento della Risurrezione, di come ogni cosa dipenda dalla verità del suo annuncio.
2.Per poter rispondere alle domande poste è necessario contemplare quanto accadde ai discepoli «nei quaranta giorni» dopo la Pasqua (cf. Lettura, At 1,3). Le letture bibliche appena ascoltate. mettono in evidenza la reale presenza di Gesù risorto dopo la morte, testimoniata in modo autorevole da coloro che l’hanno visto e incontrato. Le apparizioni del Crocifisso Risorto sono la porta di accesso alla sconvolgente novità della Pasqua.
È questo l’annuncio esplicito di Paolo: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (Epistola, 1Cor 15,3-5).Paolo si considera apostolo in forza della medesima esperienza che egli condivide con gli altri apostoli: aver incontrato Gesù risorto vivo. In effetti è questa l’esperienza fondante e probante la verità dell’annuncio cristiano: l’evento è la morte redentrice di Gesù, certificata nel suo significato di salvezza dalla risurrezione. Lo mostrano le Scritture lette alla luce del fatto accertato delle apparizioni.
3. Anche l’inizio degli Atti degli Apostoli ci racconta di questo singolare momento in cui Gesù «si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove» (Lettura, At 1,3).
Che cosa fa il Signore Risorto dandosi a vedere dai Suoi? Li introduce nel rapporto nuovo inaugurato appunto dalla Sua Risurrezione. Infatti, «durante quaranta giorni» (Lettura, At 1,3) – il numero biblico indica sempre un tempo propedeutico: alla alleanza dopo il diluvio; alla rivelazione di Dio sul Sinai per Mosè, all’entrata nella Terra Promessa per il popolo, al ministero pubblico per Gesù, ecc. – il Risorto si accompagna a loro perché possano accertare la verità della nuova vita di Gesù e abituarsi, quindi, alla nuova modalità della Sua presenza; Gesù, inoltre, li istruisce sulle cose riguardanti il Regno di Dio, perché possano re-imparare alla luce della Risurrezione quello che avevano già da Lui ascoltato; il Risorto, infine, li prepara ad attendere il dono dello Spirito – «tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo» (Lettura, At 1,5) – che consente a tutti coloro che lo seguiranno di «aver parte» diretta con Lui.
Questi tre elementi – la novità della presenza del Risorto, la comprensione del disegno salvifico del Padre e il dono dello Spirito – descrivono l’esperienza del nuovo rapporto con Gesù. Non solo di quella dei primi, ma anche della nostra.
Chiediamoci: si può ancora sostenere che una simile forma di esperienza, l’esperienza cristiana, sia ragionevole? La sua rivendicazione della verità poggia su solide basi? Pensiamo, ad esempio, alla obiezione di quanti, a partire dalle strabilianti scoperte della scienza, sostengono che tutto è solo Natura (“naturalismo biologico”). Ebbene noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso – integrandoli con l’esistenza di un Dio Creatore e Redentore dell’universo. Non sono pochi gli scienziati credenti a testimoniarlo.
Qualcuno di loro ha coniato l’espressione “naturalismo teista” (Peacocke). L’esperienza cristiana è ragionevole anche per il sofisticato uomo del terzo millennio.
4. Il racconto evangelico approfondisce poi la natura dell’esperienza cristiana a partire dal rapporto con il Crocifisso Risorto, vivo in mezzo a noi.
Maria di Magdala è la prima a cui il Risorto si manifesta. Il fatto, del tutto sorprendente – ci si aspetterebbe che apparisse prima agli apostoli – è la registrazione di quello che davvero è avvenuto (nessun “falsificatore” avrebbe fatto una scelta così clamorosamente “scorretta”).
Con grande delicatezza ci viene indicato che il riconoscimento di Gesù Risorto è primariamente una questione di conoscenza amorosa. «Donna, perché piangi? Chi cerchi? (…) Signore se l’hai portato via tu… Maria!… Maestro» (Vangelo, Gv 20,15-16).
L’identificazione del Risorto chiede, tuttavia, a Maria un cambiamento: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli» (Vangelo, Gv 20,17). Non si può riconoscere il Risorto senza cambiare. Ecco perché, come ci ha ricordato il Santo Padre nell’omelia della Messa Crismale, «resta chiaro che la conformazione a Cristo» – che esige cambiamento personale e comunitario -«è il presupposto e la base di ogni rinnovamento» nella Chiesa, dell’autentica missione.
Le apparizioni di Gesù, a cominciare da quelle a Maria di Magdala, hanno lo scopo di abituare i discepoli alla sua nuova condizione divino-umana. Essa è riconoscibile nella Chiesa, sacramento universale di salvezza (cfr. LG 48) a partire dalla tracce del Risorto nella vita della comunità cristiana. Ne sono frutti: il perdono, la pace, la letizia, la carità – «per l’oppressione del misero ed il gemito del povero… Io risorgerò» (ci ha fatto pregare la Chiesa nel Sabato Santo) (Ufficio delle Letture, Ant. 5)» -, la missione fino alla consegna della propria vita nel martirio.
Così il Risorto si dà a vedere perché al riconoscimento segua il lieto annuncio che la vita nuova è accessibile a tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi. Le apparizioni del Risorto hanno come scopo di testimoniare la verità della risurrezione del Salvatore. Infatti, Maria rende testimonianza dicendo: «Ho visto il Signore» (Gv 20,18).
5. Veramente oggi con la liturgia ambrosiana possiamo esclamare: «O mysterium gratia plenum, O ineffabile divini muneris sacramentum, O sollemnitatum omnium honoranda sollemnitas» O mistero ricco di grazia, O ineffabile sacramento del dono divino. O festa che dà origine a tutte le feste (Prefazio). Poiché oggi è il giorno della liberazione, il giorno in cui la morte beata del Signore ci ha donato per sempre la grazia della libertà.
La libertà, infatti, è lo splendore della Pasqua che brilla sul volto degli uomini che Lo riconoscono. Ormai niente più, neanche il rumore sordo della morte che accompagna quotidianamente la nostra esistenza, può farci schiavi. Siamo stati acquistati a caro prezzo: il sangue dell’Agnello immolato, dell’Autore della vita. Noi uomini e donne del nostro tempo siamo così assetati di libertà! Al di là di tutte le contraddizioni e fragilità di noi cristiani, la Chiesa, comunità di redenti generata dalla Pasqua, è veramente la dimora della libertà, perché attraverso la testimonianza dei cristiani è possibile scoprire che «Dio – come ha scritto von Balthasar – non è una fortezza rinchiusa che noi con le nostre macchine da guerra (ascesi, introspezione mistica, ecc.) dobbiamo espugnare, è invece una casa piena di porte aperte, attraverso le quali noi siamo invitati ad entrare».
Buona Pasqua di risurrezione!

« IN CRISTO SI ATTUA LA SIGNORÌA DI DIO » – Omelia del card. Scola in occasione della Domenica delle Palme

http://www.zenit.org/article-30156?l=italian

« IN CRISTO SI ATTUA LA SIGNORÌA DI DIO »

Omelia del card. Scola in occasione della Domenica delle Palme

letture Domenica delle Palme liturgia Ambrosiana:

http://www.chiesadimilano.it/cms/almanacco/letture-rito-ambrosiano/anno-b-2011-2012/is-52-13-53-12-sal-87-eb-12-1b-3-gv-11-55-12-11-1.56152

MILANO, domenica, 1 aprile 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’omelia tenuta dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nel Duomo del capoluogo lombardo, in occasione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.
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1. «Sei benedetto Signore! Tu che salisti al monte, tu che spirasti in croce, tu che gustasti la morte, tu che glorioso regni» (Alla Comunione). Così ci farà pregare il Canto alla Comunione delineando, con un potente “crescendo”, l’ultimo tratto del cammino umano del nostro Redentore, dalla Passione alla Gloria. «Gustasti la morte», cioè ne bevesti il calice fino all’ultima goccia, assaporandola fino in fondo.
Sorelle e fratelli carissimi, questo è il nostro Dio: Uno che non si sottrasse in nulla all’orrore della sofferenza e della morte. Uno che sovrabbondò nell’amore per aprirci l’accesso alla sovrabbondanza della vita. Con la processione, le palme, gli ulivi, i canti ed i salmi abbiamo voluto immedesimarci con il popolo che accolse l’ingresso di Gesù a Gerusalemme con gli Osanna.
La Domenica delle Palme è il portico della Settimana Autentica: i fatti della vita di Gesù che la Chiesa nostra Madre, a partire da oggi, ci farà vivere rappresentano la verità presente nell’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio. Danno senso pieno all’esistenza di ciascuno di noi e di tutti gli uomini di ogni tempo, di tutta la storia. Viviamo quindi con fede questa Settimana eminente come figura del percorso della nostra vita.
2. «Osanna al re d’Israele!» (Vangelo, Gv 12,13) grida la folla uscendo incontro a Gesù. Con la sua acclamazione esprime la speranza che l’attesa messianica del popolo d’Israele finalmente si realizzi. «Non temere figlia di Sion, il tuo re viene…» (Vangelo, Gv 12,15). Ma inevitabilmente il popolo riveste questa attesa con le sue immagini. Le stesse che suscitano sentimenti opposti nei capi del popolo e nei sacerdoti che giungono fino a tramare di ucciderLo.
Anche il contesto in cui Giovanni colloca la narrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è ad un tempo carico di segnali di morte (oltre alla decisione del sinedrio, per cui Egli sarà costretto a nascondersi, l’unzione di Betania interpretata da Gesù stesso come annuncio della sua sepoltura…), ma anche da promesse e presagi di vita (le folle che Lo seguono, la fede di molti Giudei, l’episodio dei Greci che vogliono vedere Gesù…).
L’evento dell’entrata a Gerusalemme è quindi un evento dalle varie valenze, vissuto in maniera profondamente diversa dalla folla, dai capi e dal Signore Gesù. Come lo stiamo vivendo noi, qui ed ora?
Come sciogliamo questa ambivalenza?
Noi sappiamo che Gesù ci rivela chi è il nostro Dio: un Padre che ama la libertà dei figli a tal punto da non sopraffarla mai, senza mai cessare di pro-vocarla con la forza della verità. Essa ci scuote dalla “gaia rassegnazione” in cui spesso, quasi senza accorgercene, scivoliamo, incapaci – o semplicemente – stanchi di cercare il senso pieno della nostra esistenza.
3. «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Prima Lettura, Zc 9,9) annuncia il profeta. E Giovanni ne dà piena conferma.
Benedetto XVI nel primo volume del suo Gesù di Nazaret ci spiega che la parola greca per dire mansueto, umile (praýs) – la stessa impiegata anche nelle Beatitudini – è una parola usata tanto per descrivere chi è Gesù come per dire l’identità della Chiesa. Una parola che dice la natura della nuova “regalità” inaugurata da Gesù. La Sua mansuetudine è la sua obbedienza al disegno del Padre. Questa deve essere anche la nostra, di noi che portiamo il Suo nome: cristiani. La Chiesa nasce dal costato di Cristo e deve ogni giorno rinascere dal cuore di ogni fedele.
4. «I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte» (Vangelo, Gv 12,16). I discepoli sciolgono l’ambivalenza di cui, come il popolo erano vittime, solo di fronte alla Sua glorificazione. Con questo termine il Vangelo di Giovanni sintetizza l’evento della Pasqua di morte e resurrezione. È il termine che indica la manifestazione, il peso di Gesù nel mondo.
Così afferma San Paolo: al nostro Dio «è piaciuto che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cf. Epistola, Col 1,20).
La profezia di Zaccaria – «Egli annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra» (Prima Lettura, Zc 9,10) -si compie quindi non tanto nell’accoglienza di Gesù all’entrata a Gerusalemme, ma sul Calvario.
Gesù «con la sua obbedienza ci chiama dentro questa pace, la pianta dentro di noi» (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 1,106). Infatti nell’azione eucaristica il Re della pace ci educa a riconoscere che non c’è possibilità di bene per sé e di edificazione di vita buona a tutti i livelli dell’umana convivenza che non passi dal dono di sé. Se questo è vero, come è vero, a nessuno sfugga la grande attualità della Pasqua di nostro Signore.
5. «Egli è principio,primogenito di quelli che risorgono dai morti,perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Epistola, Col 1, 18). In Cristo si attua la signorìa di Dio sul mondo creato e redento, di cui Egli ci vuole partecipi. Ma di quale signorìa, di quale regalità si tratta? Ce lo indica il CCC 1884. Il Signore «non ha voluto riservare solo a sé l’esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina» (CCC 1884).
6. Apprestiamoci a vivere, qui nella nostra cattedrale e nelle nostre comunità, la potente liturgia della Settimana autentica. Lasciamoci com-muovere dall’invito di Andrea di Creta: «Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro, non però per stendere davanti a Lui, lungo il suo cammino, rami di olivo o di palme, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione, dinnanzi ai suoi piedi, le nostre persone».
«… stendere le nostre persone…». Che significa in concreto? Prostrarci nell’umile riconoscimento dei nostri peccati nel sacramento della Confessione, donare qualcosa di noi stessi e dei nostri beni a chi è nel bisogno materiale e spirituale, fare, mediante la partecipazione alla liturgia, intenso spazio al Crocifisso glorioso nelle nostre giornate, conformarci non a questo mondo ma al pensiero di Cristo. In una parola, con l’intercessione della Vergine Santissima, di San Giuseppe, di Sant’Ambrogio e di San Carlo invocare quel profondo cambiamento che abbiamo inseguito lungo tutta la Quaresima: la nostra conversione. Nella morte e Risurrezione di Gesù, la nostra morte e la nostra risurrezione. Amen.

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