CRISTO CROCIFISSO STOLTEZZA…PER I PAGANI (1Cor 1,23) (Padre Prof. Marco Adinolfi)
CRISTO CROCIFISSO STOLTEZZA…PER I PAGANI (1Cor 1,23)
PARTE SECONDA:
2.2. Il Dio incarnato
Ispirandosi al kerygma primitivo delle preesistenza divina di Cristo, un antico inno esaltava Cristo Gesù che “pur essendo di natura divina…, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…, facendosi obbediente fino alla morte…di croce” (Fil 2, 6ss).
Cristo crocifisso, Dio fattosi uomo nel seno di una vergine e morto in croce: un’altra stoltezza per i pagani.
Trifone gridava al paradosso e all’insipienza (1) ed invitava Giustino a non raccontar favole simili a quella greca di Perseo, che sarebbe nato da Danae fecondata da Zeus, apparsole sotto forma di pioggia d’oro (2).
Alludendo ai tanti miti, “ciance, presi da essi sul serio”, Taziano ritorceva l’accusa che i pagani rivolgevano ai cristiani di essere stolti, di insegnare stupidaggini e di muovere al riso (3).
È vergognosa (4) per Celso l’incarnazione di Cristo. È insulsa, dal momento che l’onniscienza e l’onnipotenza permettono a Dio di sapere e di agire tra gli uomini senza bisogno di scendere sulla terra (5). È assurda, dato che non può consentire di alterarsi Dio, sommamente buono, bello, felice, magnifico (6)
2.3. Dio il Cristo crocifisso
Se è stoltezza un Dio che s’incarna, per i pagani è stoltezza ancora più mostruosa un Dio che muore sulla croce.
Si pensi al crocifisso blasfemo, graffito nel paedagogium imperiale sul Palatino nel II-III secolo con la scritta: “Alexamenos adora Dio”. Quale Dio? Un uomo dalla testa d’asino confitto in croce.
Paurosamente infame per gli antichi il supplizio della croce, che Cicerone chiama “il più crudele e il più tetro” (7) e Tacito “la morte più turpe” (8). Una pena riservata di solito al ladro sacrilego, al disertore, al ribelle, al reo di alto tradimento. Una nefandezza che, secondo Cicerone, i cittadini romani non possono giuridicamente provare nella loro carne, e il cui solo nome dev’essere lontano dal loro pensiero, dalla loro vista e dal loro udito (9).
Comune certamente l’obiezione pagana riportata da Lattanzio. Se il Dio incarnato credeva necessario morire – una ipotesi che Celso stimava “cosa cattiva ed empia” (10) – avrebbe dovuto scegliersi almeno un genere di morte decoroso e degno di lui, e non già sopportare un supplizio così turpe e infamante come la croce, indegno perfino di un uomo libero anche se colpevole (112).
Giustino rigetta l’accusa pagana di follia per la fede cristiana nella divinità del crocifisso (12) appellandosi tra l’altro alle profezie messianiche dell’Antico Testamento (13), profezie che il giudeo Trifone prende a senso unico, come annuncianti un Messia “glorioso e grande (endoxon kai megan), e non già come quello adorato dai cristiani, senza onore e senza gloria (atimos kai adoxos)…poiché fu crocifisso” (14).
Celso deride i cristiani che propongono come Dio un Cristo di cui la vita fu la più infame (epirrêtotatos) (15), l’arresto il più disonorevole (atimotatos) (16), l’uccisione la più miserevole (oiktios) (17) e la più infamante (aischistos) (18) che si possano immaginare.
Oltre che per aver preso corpo umano, Porfirio disprezza Cristo “per l’infamia della croce, propter crucis opprobrium” (19); così come Giuliano l’apostata ha pena degli stolti cristiani che, facendo perversamente appello alla parte dell’anima amante di favole, puerile e sciocca, adorano il legno della croce, si tracciano quel segno sulla fronte e lo scolpiscono sull’atrio delle case (20)
Insomma la croce di cristo, a detta di Sant’Atanasio, è l’unico motivo delle calunnie e delle risate sguaiate (platy gelôsi) dei pagani alle spalle dei cristiani (21).
2.4. Il Cristo risorto
Anche se insisteva sulla morte di Gesù, sul suo carattere ignominioso, la sua potenza salvifica e la sua azione discriminante, il kerygma di Cristo non si fermava alla tragedia del Calvario. Proseguiva con la glorificazione della pasqua. “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto, che cioè Cristo morì (apethanen) per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato (egêgertai) il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15, 3-4).
Un’altra stoltezza per i pagani la risurrezione di Cristo crocifisso.
Poiché predica la risurrezione, i curiosi filosofi epicurei e stoici di Atene invitano all’Areopago Paolo, che considerano sprezzantemente spermologos chiacchierone, ciarlatano, sputasentenze (At 17, 18). E quando lo sentono dire che per giudicare il mondo Dio ha designato un uomo “accreditandolo dinanzi a tutti col risuscitarlo (anastêsas) dai morti” (v. 31), alcuni apertamente deridono (echleuazon) l’annunciatore di simili stupidità, altri lo liquidano salvando una parvenza di galateo (v. 32).
Nella sua autodifesa al re Agrippa II Paolo afferma di predicare elusivamente quello che è stato predetto dai profeti, che Cristo cioè avrebbe sofferto (pathêtos) e sarebbe stato il primo a risorgere dai morti (ex anastaseôs nekrôn) (At 26, 23). Sa di parlare secondo verità e saggezza (v. 25). Ma deve sentirsi dire dal procuratore pagano Porcio Festo di aver perso la testa, di delirare: “Sei pazzo (vaneggi: mainê), Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello (portato alla pazzia: eis manian)” (v.24)
Lo stesso senso di disgusto per la risurrezione, che mette alla frusta il buon senso, in Celso. Secondo Origene, Celso schernisce l’impotenza di Cristo a rimuovere la pietra del suo sepolcro (22), esclude che qualcuno sia mai risorto (23), e respinge la risurrezione come dottrina empia (miaron) e turpe (aischron), ripugnante (apoptyston), sciocca (êlithion) e assurda (adynaton) (24).
2.5. Il Cristo nella passione e nella risurrezione
Ancora stoltezza per i pagani l’atteggiamento tenuto da Cristo nella sua passione e risurrezione.
Oltre che venir meno all’ideale di apatheia, di impassibilità, nella sua passione, Gesù fu agli antipodi del sapiente così com’e è visto, ad esempio, da Zenone e dagli stoici: “è invincibile, senza rivali…non può subire costrizione da parte di alcuno…né avere impedimenti…né sottostare a violenza…né essere oggetto di male…né essere ingannato…è felice al sommo grado, fortunato, beato…pieno di dignità”. (25)
Si spiega come Celso metta in ridicolo Cristo che trema per la paura e va scappando vergognosamente; si nasconde, si fa abbandonare e tradire dai suoi apostoli, si fa arrestare (26); non respinge né punisce i suoi derisori (27); è incapace di aiutarsi da sé o di farsi aiutare dal Padre (28); lancia sulla croce prima di morire un grido ignobile (29).
Si spiega come Porfirio disistimi come oscure, stupide e indegne di un sapiente che non può non disprezzare la morte le parole del Getsemani rivolte ai discepoli: “Vegliate e pregate…” e al Padre: “Passi da me questo calice” (30). E come contesti il comportamento di Gesù che subisce ingiustizie e insolenze, senza mostrare coraggio e senza pronunciare, nemmeno davanti a Caifa e a Pilato, parole degne di un sapiente. (31)
Sulla stessa lunghezza d’onda si trovano le obiezioni pagane riportate da Lattanzio contro la debolezza con cui Gesù tollera villanie, violenze e condanna invece di sbaragliare gli avversari con la onnipotenza, facendo rifulgere così, almeno nell’imminenza della sua morte, la sua maestà divina. (32)
Criticando il modo stolto di agire di Gesù tornato in vita, Celso da…maestro di saggezza, insegna che il risorto avrebbe dovuto apparire non a poche donne e a pochi discepoli, ma ai suoi offensori e ai suoi giudici, a tutti, anzi, per manifestare la sua potenza divina ed esporre le ragioni per cui era sceso sulla terra (33).
* * *
“Nessuno si avanzi, che sia persona istruita (pepaideumenos), nessuno che sia saggio (sophos), nessuno fornito di giudizio (phronimos)! Queste doti da noi sono considerate pessime! Ma se c’è qualcuno ignorante (amathês), qualcuno insensato (anoêtos), qualcuno senza istruzione (apaideutos)” (34)
Questi, secondo Celso, sarebbero i precetti cristiani. Cristo crocifisso è veramente “stoltezza per i pagani”! Per i pagani di ieri e per i pagani di sempre, per i quali la croce di Cristo è negazione del senso, della cultura, della sapienza, di cui tanto si gloria il mondo.
Ma Dio detesta ogni vanto che non sia della croce. Perché è per mezzo di essa che per Paolo e per ogni credente il mondo è stato crocifisso (Gal 6,14). È stato ucciso, spazzato via “come somma e forma delle possibilità esistenziali terrene ed umane”, insieme con tutte le sue esigenze e le sue seduzioni. Non ultima né meno ambita la sapienza autosufficiente, per la quale Dio è un non problema e il suo Cristo crocifisso un non senso.
NOTE
1. Giustino, Dialogo con Trifone 48 (Pg 6, 580)
2. Giustino, Dialogo con Trifone 67, 2 (PG 6, 629)
3. Taziano, Discorso ai Greci, 21, 1 (PG 6, 852)
4. Origene, Contro Celso 4,2 (PG 11, 1029)
5. Origene, Contro Celso, 4,3 (PG 11, 1031)
6. Origene, Contro Celso 4,14 (PG 11, 1044)
7. Cicerone, In Verrem, 2, 5 64, 165
8. Tacito, historiae 4, 3, 11;
9. Cicerone, Pro Rabirio 5,16
10. Origene, Contro Celso 7, 14 (PG 11, 1440)
11. Lattanzio, Divinae institutiones 4,26 (PL 6, 529)
12. Giustino, Apologia 1,13, 4 (PG 6, 348)
13. Giustino, Apologia, 1, 53, 2 (PG 6, 405)
14. Giustino, Dialogo con Trifone 32, 1 (PG 6, 541.543)
15. Origene, Contro Celso 7, 53 (PG 11, 1497)
16. Origene, Contro Celso 2, 31; 6, 10 (PG 11, 852.1305)
17. Origene, Contro Celso, 7, 53 (PG 11, 1497)
18. Origene, Contro Celso 6, 10 (PG 11, 1305)
19. Agostino, De Civitate Dei 10, 28 (PL 11,307)
20. Cirillo Alessandrino, Contro l’imperatore Giuliano 2,6 (PG 76, 560c 796d-797°)
21. Atanasio, Contro i pagani 1 (PG 25,4)
22. Origene, Contro Celso 5, 58 (PG 11, 1273)
23. Origene, Contro Celso, 2,55 (PG 11, 884)
24. Origene, Contro Celso, 5,14 (PG 11, 773)
25. Crisippo, in STOBEO, Ecloga 2,7, 11g (SVF III, 567)
26. Origene, Contro Celso 2, 9 (PG 11, 808)
27. Origene, Contro Celso, 2, 35 (PG856-857)
28. Origene, Contro Celso, 1, 54 (PG 11, 760)
29. Origene, Contro Celso 2, 58 (PG 11, 888)
30. Porfirio, Contro i cristiani fr. 62 (ed Harnack)
31. Porfirio, Contro i cristiani, fr 63;
32. Lattanzio, Divinae istitutiones, 4, 22 (PL 6, 18)
33. Origene, Contro Celso, 2, 63.73 (PG 11, 896.909)
34. Origene, Contro Celso 3, 44 (PG 11, 976)