Archive pour la catégorie 'BIBBIA – ANTICO TESTAMENTO SALMI'

SALMO 62 – SOLO IN DIO È LA NOSTRA PACE

http://sottoilmantodimaria.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=180:salmo-62&Itemid=126

SALMO 62 – SOLO IN DIO È LA NOSTRA PACE

salmo 62
1 Al maestro del coro. Su «Iedutùn». Salmo. Di Davide.
2 Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
3 Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.
4 Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme
come un muro cadente,
come un recinto che crolla?
5 Tramano solo di precipitarlo dall’alto,
godono della menzogna.
Con la bocca benedicono,
nel loro intimo maledicono.
6 Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
7 Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.
8 In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
9 Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore:
nostro rifugio è Dio.
10 Sì, sono un soffio i figli di Adamo,
una menzogna tutti gli uomini:
tutti insieme, posti sulla bilancia,
sono più lievi di un soffio.
11 Non confidate nella violenza,
non illudetevi della rapina;
alla ricchezza, anche se abbonda,
non attaccate il cuore.
12 Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:
la forza appartiene a Dio,
13 tua è la fedeltà, Signore;
secondo le sue opere
tu ripaghi ogni uomo.

COMMENTI
RAVASI
Il salmo nasce da un abile dosaggio di elementi di fiducia nel pericolo, di elementi di speranza e di ringraziamento nello sfondo della liturgia del Tempio, di elementi personali e comunitari, di elementi sapienziali e morali. Un impasto di temi e di sentimenti retti da una certezza basilare: ne violenza ne rapina ne ricchezza salvano, solo Dio è rupe e salvezza, «solo in Dio il mio cuore riposa», come si ripete nell’antifona dei vv. 2-3 e 6- 7. Le forze del male scatenano il loro assalto contro il giusto. Egli è, sì, debole come un muro sbrecciato e pericolante eppure resiste perché, in realtà, dietro la sua fragilità apparente, si erge la rocca imprendibile del Signore (v. 4). Nel giorno della sua vocazione profetica a Geremia Dio aveva detto: «Ecco oggi io ti faccio come una fortezza, come un muro di bronzo… Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno perché io sono con te per salvarti» (1,18-19). Lo strapotere del male e dell’ingiustizia è in realtà come l’erba dei campi, destinata ad essere falciata e a seccare: «illusione sono i potenti del mondo: a pesarli, insieme, sono aria» (v. 10).

LINO PEDRON
Questo salmo è l’atto di fede più esplicito di tutto il salterio. È un salmo sapienziale sulla malizia degli uomini, il nulla della creature, la vanità delle ricchezze, l’imparzialità di Dio giudice.
Su tutto campeggia la figura di Dio, vera potenza e misericordia somma, sicurezza incrollabile e pace infinita. E questo è il grande messaggio della sapienza del salmo: in questa unione tra potenza e grazia è autenticamente espressa la natura essenziale della fede dell’Antico Testamento in Dio; la potenza senza la grazia non dà alcuna fiducia, la grazia senza la potenza è privata della sua serietà e della sua giustizia.
Questo salmo apre impietosamente i nostri occhi sul vuoto che nascondono molti pseudo-valori proposti dal mondo come mèta somma di ogni sforzo. S. Giovanni della Croce ha scritto: « Per arrivare a gustare tutto non bisogna aver gustato nulla, per arrivare a sapere tutto non bisogna sapere nulla, per arrivare a possedere tutto non bisogna possedere nulla, per arrivare ad essere tutto non bisogna essere che un nulla ».
Dobbiamo cercare un solo tesoro: Dio. Le nostre labbra non devono mormorare altro nome. Lui è il nostro amico, senza di lui non c’è felicità.

PADRI DELLA CHIESA
v. 2 « Salmo sul figlio eterno di Dio che verrà come giudice. La sottomissione è unità di pensiero col Cristo » (Origene).
« Il nostro Signore Gesù Cristo al momento della sua incarnazione manifesta la sua obbedienza come risposta al peccato di Adamo. Si è fatto obbediente per renderci obbedienti. Ha potere su tutti, ma non per questo deve essere nella volontà di tutti. In un certo senso non è ancora sottomesso al Padre, ma lo sarà pienamente quando lui sarà tutto in noi e noi saremo liberi dal peccato » (Ambrogio).
« Nel salmo un fedele che rappresenta tutti gli altri afferma di allontanarsi dai vizi e di essere sottomesso a Dio. Umilmente e con forza adempie ai comandamenti di Dio; in Dio si delizia, in Dio riprende forza: non desidera altro » (Cassiodoro).
« Una cosa sola è necessaria: Dio stabilisce il piano della salvezza e io mi conformo ad esso » (Ilario).
« La salvezza è Gesù » (Euseibio).
v. 4 « Il Cristo guarda i persecutori: Non sapete che sono venuto per la redenzione di tutti? In questo uomo dobbiamo vedere rappresentati simbolicamente tutti » (Ambrogio).
« Le potenze avverse si scagliano sull’uomo che è già molto incline al male. Per la sua naturale debolezza è un muro inclinato che può essere abbattuto da un colpo di vento » (Atanasio).
v. 5 « I demoni ci hanno fatto decadere dal nostro onore e ci hanno costretti ad adorare il legno e la pietra » (Cirillo di Alessandria).
« Il salmista ritorna alle sue riflessioni: Non hanno che uno scopo, quello di privarmi della provvidenza di Dio dalla quale viene il mio onore. Infatti l’onore dei fedeli è il servire Dio » (Teodoreto).
v. 6 « Molti mali mi vengono dai malvagi, ma io tengo lo sguardo rivolto a Dio. A lui è rivolta la mia attesa e la mia speranza. Per questo sopporto quanto mi viene fatto. Mi soccorre sempre, mi soccorrerà anche questa volta; non permetterà che i malvagi riescano nel loro disegno e trionfino su di noi » (Origene).
« Sa che la sua passione viene da Dio: non respingerà i colpi né il fiele » (Ilario).
v. 7 «Ripòsati in Dio. « Non permetterà che siate tentati al di là delle vostre forze » (1Cor 10,13)» (Atanasio).
v. 8 « Sia che si tratti della mia salvezza o della mia gloria, attendo tutto da colui che mi ha dato l’esempio nella sua passione » (Giroalmo).
v. 9 « Dalla sua salvezza personale il profeta passa a considerare i beni futuri e invita tutti gli uomini a tendervi per mezzo della carità: Affidatevi a lui che può guarire ogni infermità » (Eusebio).
«Non cedete a quanti vi dicono: « Dov’è il tuo Dio? » (Sal 42-43,4)» (Agostino).
v. 10 « L’uomo è niente, paragonato al Cristo. Inoltre ha in sé il vizio: i figli degli uomini sono falsi. Sono menzogneri per una loro instabilità ingannatrice » (Cassiodoro).
« I figli degli uomini sono fumo. Sono falsi come le bilance che hanno un equilibrio instabile » (Teodozione).
v. 11 « Se l’abbondanza entrerà nelle vostre case come un fiume, la vostra vita non ne divenga schiava » (Teodoreto).
v. 12 « Ho ascoltato Dio. Ha detto che ci sarà un giudizio, che buoni e cattivi riceveranno il loro salario » (Teodoreto).
« Dio genera un solo Verbo » (Agostino).
«Dio ha parlato molte volte ai nostri padri, ma ha parlato una sola volta dicendo: « Mio Figlio sei tu, io oggi ti ho generato » (Sal 2,7)» (Cassiodoro).
v. 13 « Il profeta pensa al giudizio e parla del giudizio che si farà con potenza e misericordia » (Cirillo di Alessandria).
« Il salmista allude al giudizio che compirà il Cristo » (Cassiodoro).

ROBERTO TUFARIELLO
In questo Salmo leggiamo immagini di grande poesia ed efficacia: così quel « muro cadente », quel « recinto che crolla »(v4), quel « precipitare dall’alto »(v.5). E poi l’immagine che comprende il soffio e la bilancia: ricorda la fragilità della nostra condizione - »sono un soffio i figli di Adamo »-; anche se ci consideriamo nella nostra totalità, « pesiamo » ben poco – « tutti insieme, posti sulla bilancia, sono più lievi di un soffio »(v.10). Nemmeno battendo le vie della violenza, del sopruso, della ricchezza… possiamo garantirci una posizione più forte, più alta e sicura. Ma come il salmista, così anche noi abbiamo udito la parola che il Signore fedele ha detto, e a questa attingiamo la nostra sicurezza, il rifugio sicuro, la speranza e la salvezza.

L’ANGOLO DELLA SAPIENZA
Leggiamo immagini di grande poesia ed efficacia: così quel « muro cadente », quel « recinto che crolla »(v4), quel « precipitare dall’alto »(v.5). E poi l’immagine che comprende il soffio e la bilancia: ricorda la fragilità della nostra condizione - »sono un soffio i figli di Adamo »-; anche se ci consideriamo nella nostra totalità, « pesiamo » ben poco – « tutti insieme, posti sulla bilancia, sono più lievi di un soffio »(v.10). Nemmeno battendo le vie della violenza, del sopruso, della ricchezza… possiamo garantirci una posizione più forte, più alta e sicura. Ma come il salmista, così anche noi abbiamo udito la parola che il Signore fedele ha detto, e a questa attingiamo la nostra sicurezza, il rifugio sicuro, la speranza e la salvezza.

DIMENSIONE SPERANZA
Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo… Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude. Rm 5, 1-2. 3-5
Signore Dio, che hai deposto in noi desideri d’infinito, concedici di non attaccarci né agli uomini né alle cose di quaggiù: sono meno che un soffio. Fa che il nostro cuore inquieto non cerchi e non trovi pace e rifugio che in te.

FIGLIE DELLA CHIESA
- v. 12: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite »: è una formula numerica nota ai saggi e ai sapienti (cfr. Pvr 6,16-17; 30, 15-17; Sir 25,7-11). Il salmista così introduce un oracolo divino, proferito da un sacerdote o da un profeta cultuale del tempio. – « il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia »: è una affermazione teologicamente forte. Alla lett.: « il potere appartiene a Dio, e a te, Signore, la grazia ». In Dio convivono potere e grazia, potenza e misericordia. Nel contesto di fiducia del salmo, l’orante vuole dire che nessuno può fargli del male, perché solo Dio ha potere e forza su tutti e mostra benevolenza verso chi gli è fedele.
v. 13: « secondo le sue opere tu ripaghi… »: si esprime il potere giudiziale di Dio secondo il principio della responsabilità personale sancito dal profeta Ezechiele (cfr. Ez 18). A conclusione del salmo viene ricordato il grande principio della religione veterotestamentaria che è quello della divina retribuzione, positiva o negativa, per ogni azione buona o malvagia commessa dall’individuo. Nei vv. 12-13 c’è il passaggio della terza persona alla seconda. Il contenuto dell’oracolo diventa anche professione di fede.

Il v. 13 …….è ripreso da Mt 16,27; Rm 2,6-11; Ap 2,23. Per la « speranza » del v. 6, cfr. Rm 15,13.

Dossologia
Accostiamoci al trono di grazia,
al Signore cantiamo la lode,
che ci aiuta a tempo opportuno:
è sua gloria la nostra salvezza.

Preghiera
Ci basti tu, nostro Dio:
non vogliamo affidarci alla potenza di nessuno!
Non ci sono uomini che liberano,
ci sono solo uomini che si liberano !
Perciò non ci seducano le vane illusioni
della forza e del potere,
ne gli ingannevoli splendori
di questi regni,
o Dio dell’unica libertà e dell’unica pace.
Amen.

 

Publié dans:BIBBIA - ANTICO TESTAMENTO SALMI |on 23 octobre, 2017 |Pas de commentaires »

LA PAROLA “GRAZIA” È QUASI SCOMPARSA DALLA PREGHIERA DEI SALMI

http://www.30giorni.it/articoli_id_21814_l1.htm

LA PAROLA “GRAZIA” È QUASI SCOMPARSA DALLA PREGHIERA DEI SALMI

Nei testi dei Salmi della Bibbia Cei del 1971 la parola “grazia” compare 52 volte; nei corrispondenti testi della Bibbia Cei del 2008 appare invece solo 7 volte, mentre per ben 35 volte è sostituita dalla parola “amore”.
Alle 52 occorrenze della parola grazia nei Salmi della versione della Bibbia Cei 1971 corrispondono le seguenti parole nei Salmi della versione Cei 2008: amore 35, grazia 7, fedeltà 3, bontà 2, misericordia 1, alleato 1, beni 1, ricompensa 1, pietà 1

di Lorenzo Bianchi

<I>La guarigione dell’emorroissa</I>, catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Roma [© Pontificia Commissione Archeologia Sacra, Roma]
La guarigione dell’emorroissa, catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Roma [© Pontificia Commissione Archeologia Sacra, Roma]
Dalla prima domenica di Avvento del 2010 diventerà ufficiale la nuova traduzione della Bibbia in lingua italiana fatta dalla Cei. Data alle stampe nel giugno 2008, dopo più di vent’anni dall’inizio della sua preparazione, sarà obbligatoria per il Lezionario della Santa Messa (non dunque per il Breviario).
Traduzione di un testo vuol dire interpretazione: questo vale in maniera particolare per la Bibbia. Ha detto recentemente papa Benedetto XVI: «Essendo la Scrittura una cosa sola a partire dall’unico popolo di Dio, che ne è stato il portatore attraverso la storia, conseguentemente leggere la Scrittura come un’unità significa leggerla a partire dal popolo di Dio, dalla Chiesa come dal suo luogo vitale e ritenere la fede della Chiesa come la vera chiave d’interpretazione. […] La Tradizione non chiude l’accesso alla Scrittura, ma piuttosto lo apre» (dal Discorso del santo padre Benedetto XVI ai docenti, agli studenti e al personale del Pontificio Istituto Biblico, 26 ottobre 2009).
Tenendo conto delle parole di Benedetto XVI, vogliamo segnalare almeno una particolarità della nuova traduzione.
Molte sono le espressioni che, sfogliando una accanto all’altra questa edizione e quelle Cei precedenti (1971 e 1974), risultano cambiate, in omaggio a un dichiarato tentativo di maggior fedeltà al tono e allo stile delle lingue originali. Al semplice fedele appariranno più evidenti i cambiamenti nei testi più noti, quelli che la Chiesa ha inserito nell’uso liturgico, come i Salmi, spesso conosciuti a memoria perché ripetuti nelle preghiere della santa messa e soprattutto nelle preghiere dell’ufficio delle Ore. E proprio leggendo, da semplici fedeli, i Salmi, non si può non notare la quasi totale scomparsa della parola cristiana più bella, la parola “grazia”.
Nei testi dei Salmi della Bibbia Cei del 1971 la parola “grazia” compare 52 volte; nei corrispondenti testi della Bibbia Cei del 2008 appare invece solo 7 volte, mentre per ben 35 volte è sostituita dalla parola “amore”.
Il quadro sinottico mostra come di queste 52 occorrenze, la quasi totalità (46) corrispondano al latino della Vulgata di san Girolamo misericordia, che ha un quasi esatto corrispettivo nelle ricorrenze (47) nel greco dei Settanta eleos (parola dal medesimo significato).
Sia la Vulgata (con misericordia) che, ancor prima, i Settanta (con eleos) hanno interpretato e reso nella stessa maniera lo stesso termine, l’ebraico hesed, che le prime traduzioni Cei (1971 e 1974) hanno poi tradotto in italiano con “misericordia” o “grazia”.
Leggiamo nella presentazione scritta da monsignor Giuseppe Betori, allora segretario generale della Conferenza episcopale italiana, per il web in occasione dell’evento “La Bibbia giorno e notte”, organizzato presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma e trasmesso dalla Rai dal 5 all’11 ottobre 2008: «Fedeltà al testo originale significa anche rispetto dei valori semantici del lessico ebraico. Così ad esempio per il termine hesed si è cercato di attenersi il più possibile al suo significato di “amore” o “bontà”, superando quello troppo restrittivo di “misericordia”, riservato invece alla traduzione del vocabolo rahamim».
È lo stesso ragionamento che ha portato anche alla sostituzione dell’altra traduzione di misericordia, cioè “grazia”: ce ne rendiamo conto leggendo ad esempio le note alla Bibbia Cei 2008 edita nel 2009 dalle Edizioni San Paolo (La Bibbia Via Verità e Vita; direzione per l’Antico Testamento di monsignor Gianfranco Ravasi, le note sulle modifiche introdotte dalla nuova versione sono dei biblisti Giacomo Perego, Filippo Serafini e Marco Zeppella), dove questo viene detto esplicitamente e anzi si sottolineano specificamente come eccezioni due occasioni in cui hesed continua ad essere tradotto “grazia” (Sal 109, 21 e Sal 119, 29): «… contrariamente al solito, non è stata corretta la versione precedente».
Se forse si può discutere della effettiva corrispondenza del termine latino misericordia di san Girolamo con il senso attuale di “misericordia” in italiano, tra “amore” e “grazia” invece la differenza è immediata. “Amore” è un termine generico, tant’è che può anche indicare – e normalmente indica, soprattutto nel linguaggio comune, anche volendo tralasciare i significati più stantii e banali – un affetto dell’uomo. “Grazia” è l’amore gratuito di Dio, che precede, desta, accompagna e sostiene la risposta dell’uomo. Come insegna la preghiera della domenica XXVIII per annum: «Tua nos, quaesumus, Domine, gratia semper et praeveniat et sequatur, ac bonis operibus iugiter praestet esse intentos».
Il rapporto del fedele con Dio è posto in atto in ogni istante dalla grazia di Dio. Il semplice fedele rimane perciò disorientato se legge, ad esempio nella nota a Sal 144, 2, «… l’ebraico hesed, che la versione del 1974 rende con “grazia”. Di solito tale termine viene tradotto con “amore”, perché indica la tensione positiva e favorevole fra i due partner dell’alleanza (specialmente di Dio nei confronti dell’uomo)…».
Orante, cubicolo della <I>velatio</I>, catacombe di Priscilla, Roma [© Pontificia Commissione Archeologia Sacra, Roma]
Orante, cubicolo della velatio, catacombe di Priscilla, Roma [© Pontificia Commissione Archeologia Sacra, Roma]
Non Pater noster dunque, ma Partner…
E ancora di più il fedele non comprende se legge, nella nota a Sal 142, 8: «”Mi avrai colmato di beni” traduce la medesima espressione che nel Sal 13, 6 è resa con “mi hai beneficato”, attenendosi al testo ebraico che non ha un sostantivo. La versione precedente (“mi concederai la tua grazia”) è forse influenzata dal linguaggio cristiano» (il corsivo è nostro, ndr).
Il linguaggio cristiano è dunque fuori luogo nella Bibbia? Ma perché il semplice fedele dovrebbe leggere la Bibbia, se non per riconoscervi Cristo? Lo dice sant’Agostino: «A Domino illa Scriptura sed nihil sapit nisi Christus intelligatur», «La Scrittura viene dal Signore, ma non ha nessun sapore [cioè nessun interesse umano] se non vi si riconosce la presenza di Gesù Cristo» (In Evangelium Ioannis IX, 5); e aggiunge in un altro passo: «Modo ergo tota intentio nostra est, quando psalmum audimus, quando prophetam, quando legem, quae omnia antequam veniret in carne Dominus noster Iesus Christus, conscripta sunt, Christum ibi videre, Christum ibi intelligere», «Quindi tutta la nostra attenzione, quando ascoltiamo i salmi, o i profeti, o la legge, cose che, tutte, sono state scritte prima che venisse nella carne il nostro Signore Gesù Cristo, deve essere rivolta a vedervi Cristo, a cogliervi Cristo» (Enarrationes in psalmos 98, 1).
Henri de Lubac in Esegesi medievale riassume così il modo con cui i cristiani hanno letto e leggono la Bibbia: «Le due forme del Verbo abbreviato [il Verbo fatto carne, ndr] e dilatato [la Sacra Scrittura, ndr] sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio» (Esegesi medievale. I quattro sensi della scrittura, vol. III, [Opera omnia 19], Jaca Book, Milano 1997, p. 271).

Publié dans:BIBBIA - ANTICO TESTAMENTO SALMI |on 7 février, 2017 |Pas de commentaires »

SALMI 113-118: L’HALLEL EGIZIANO

http://www.paroledivita.it/upload/2005/articolo5_25.asp

SALMI 113-118: L’HALLEL EGIZIANO

Rita Torti Mazzi

I Sal 113-118 costituiscono l’Hallel, che già nel Talmud babilonese è detto «egiziano», in quanto, come commenta Rashi a bBerakot 56a[1], è detto a Pasqua per celebrare l’uscita dall’Egitto. Secondo i maestri furono scelti questi salmi, perché contengono cinque temi fondamentali della fede giudaica: l’esodo (Sal 114,1), la divisione del Mar Rosso (Sal 114,3), il dono della Torah al Sinai (Sal 114,4; cf. Gdc 5,4-5), la risurrezione dei morti (Sal 116,9) e la sofferenza che precede la venuta del Messia (Sal 115,1) (bPesachim 118a). Tutto converge verso la Pasqua ultima, verso la redenzione messianica. L’Hallel è nato per la Pasqua e la sua origine sarebbe molto antica: «Al tempo in cui Israele uscì dall’Egitto, uscì dalla sua schiavitù di fango e mattoni, fu allora che dissero l’Hallel» (Midrash Salmi 113,2). Se Rabbi Eleazaro l’attribuiva a Mosè e al popolo d’Israele «quando erano risaliti dal mare», altri invece l’attribuivano a Davide, ma si preferiva la prima opinione, perché non sembrava possibile «che il popolo d’Israele avesse offerto l’agnello pasquale o preso i rami di palma [il lulav, composto da palma, mirto, salice e cedro, che si agita a Sukkot], senza avere mai detto canto [di lode]» (bPesachim 117a).

L’Hallel nella liturgia di Israele Si sa dalla Mishnah che l’Hallel era cantato nel tempio durante gli otto giorni della festa delle Capanne (Sukkah IV 5), il 14 Nisan, nel momento in cui nel tempio si offriva il sacrificio pasquale (Pesachim V 7), e nelle case durante il Seder pasquale (Pesachim X 6). Dopo la distruzione del tempio divenne parte integrante della liturgia sinagogale. Il Talmud stabilisce che si reciti completo, dopo la camidah (preghiera delle Diciotto benedizioni) del mattino, negli otto giorni della festa delle Capanne (Sukkot), negli otto giorni della «festa delle luci» (o della «Dedicazione», Chanukkah), nel primo giorno di Pasqua (Pesach) e della festa delle Settimane (Shavucot) [nella diaspora nei primi due giorni] e nel Seder pasquale (bArachin 10b). Si recita invece abbreviato (omettendo i Sal 115,1-11 e 116,1-11) negli ultimi sei giorni di Pesach (secondo il Midrash Dio rimproverò gli angeli che si apprestavano a intonare canti di giubilo mentre gli egiziani perivano nel mare, dicendo: «Le opere delle mie mani periscono nel mare e voi osate cantare canti di giubilo?») e anche all’inizio di ogni mese (Rosh Chodesh), secondo un uso sviluppatosi prima in Babilonia e poi in Israele (bTaanit 28b). Nel Seder pasquale si recita l’Hallel diviso. Prima di bere la seconda coppa, chi presiede ricorda che in ogni generazione ognuno ha l’obbligo di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto (cf. Es 13,8) e per questo deve «ringraziare, lodare, glorificare, esaltare colui che ha fatto ai nostri padri e a noi tutti questi miracoli […]. Diciamo dunque davanti a lui: Alleluia!» (Pesachim X 5). Seguono i Sal 113-114 e poi la benedizione della «redenzione», di cui la seconda parte, attribuita a Rabbi Aqiba (verso il 135 d.C.), ha un evidente carattere messianico (Pesachim X 6). La seconda parte dell’Hallel (Sal 115-118) si recita invece dopo il pasto sulla quarta coppa e si conclude con la «benedizione del canto» (bPesachim 118a). Non si sarebbe potuto recitare l’Hallel al di fuori della festa: chi lo dice ogni giorno lo svilisce e lo profana (bShabbat 118b). La gioia che vi si esprime è incontenibile: deve essere cantato «con bellezza» (Cantico Rabba II 31) e cioè con forza, con entusiasmo. Si dice: «La Pasqua “nella casa” e l’Hallel fora il tetto» (Cantico Rabba, II 31)[2]. Uno dei modi più comuni e antichi di recitarlo comporta la ripetizione di «alleluia» da parte dell’assemblea a ogni mezzo versetto dei salmi: complessivamente 123 volte[3]. Unità e molteplicità L’Hallel è sempre stato sentito nella tradizione ebraica come un unico poema, con cui Israele loda il Signore per le meraviglie da lui compiute e lo ringrazia. È composto secondo un ordine; se non si leggesse secondo quest’ordine non si adempirebbe il precetto (bMeghillah 17a). Riassume tutta la storia della salvezza: «Quando Israele uscì dall’Egitto» [Sal 114,1] si riferisce al passato. «Non per noi, Signore, non per noi» [Sal 115,1] alle presenti generazioni; «Amo, perché il Signore ascolta la mia voce» [116,1] ai giorni del Messia; «Legate la festa con funi» [118,27] ai giorni di Gog e Magog; «Mio Dio sei tu e ti rendo grazie» [118,28] al secolo futuro (jBerakot II 4; jMegillah II 1. et al.). Ma, pur facendo parte di un insieme, i singoli salmi che costituiscono l’Hallel (Sal 113-118), restano evidentemente dei testi a sé stanti, ciascuno collocato nel proprio tempo e ciascuno con il proprio genere letterario.

Salmo 113: invito alla lode universale Apre l’Hallel il Sal 113, che nel v. 1 invita «‘i servi del Signore» (possono esserlo, perché sono stati liberati dalla «schiavitù» d’Egitto) a una lode universale, che abbraccia il tempo («ora e sempre», v. 2) e lo spazio («dal sorgere del sole al suo tramonto», v. 3, e quindi dall’est all’ovest, su tutta la terra). 1 Alleluia    Lodate, servi del Signore,    lodate il nome del Signore. 2 Sia benedetto il nome del Signore    ora e sempre. 3 Dal sorgere del sole al suo tramonto,    sia lodato il nome del Signore. 4 Su tutti i popoli eccelso è il Signore    più alta dei cieli è la sua gloria. 5 Chi è pari al Signore nostro Dio    che siede nell’alto 6 e si china a guardare    nei cieli e sulla terra? 7 Solleva l’indigente dalla polvere,    dall’immondizia rialza il povero 8 per farlo sedere tra i principi    tra i principi del suo popolo 9 fa abitare la sterile nella sua casa    quale madre gioiosa di figli.

In ebraico il salmo inizia e termina con l’alleluia, che abbraccia a un tempo la lode e il nome divino (Hallelu-Yah = «Lodate YHWH»), unificando la composizione in una grande inclusione. E l’alleluia risuona ancora due volte nel v. 1, nell’imperativo hallelu («lodate»). Nei vv. 2-3, disposti chiasticamente, si riprende l’invito, esortando a «benedire», a «lodare» il nome del Signore (cf. Zc 14,9). La motivazione della lode è la «grandezza» del Signore, su cui si insiste nella seconda strofa, affermandone con forza l’incomparabilità (v. 5): è «eccelso» sopra tutti i popoli; la sua gloria (kabod) arriva fin sopra i cieli (v. 4: cf. Is 6,3; Sal 29), ma mentre «sta in alto (siede per giudicare)» allo stesso tempo «si abbassa per guardare» (vv. 5-6; cf. Is 57,15). Cerca gli ultimi della terra e ne capovolge la situazione: i vv. 7-9 mostrano che il Signore è grande perché esalta gli umili, i poveri (cf. Is 66,2). La maestà di Dio si manifesta nella sua misericordia. «Chi è pari al Signore nostro Dio?», chiede il salmista con una domanda retorica nel Sal 113,5. Che nessuno sia pari al Dio d’Israele lo dicono chiaramente i due salmi che seguono immediatamente, i Sal 114 e 115, considerati nella LXX un’unità (113A e 113B): il primo mostra il cosmo intero sconvolto dalla presenza del Signore accanto al suo popolo, il secondo ne proclama la superiorità assoluta sugli idoli dei pagani. Salmo 114

1 Alleluia    Quando Israele uscì dall’Egitto,    la casa di Giacobbe da un popolo barbaro, 2 Giuda divenne il suo santuario,    Israele il suo dominio. 3 Il mare vide e si ritrasse,    il Giordano si volse indietro; 4 i monti saltellarono come arieti,    le colline come agnelli di un gregge. 5 Che hai tu, mare, per fuggire    E tu, Giordano, perché torni indietro? 6 Perché voi, monti, saltellate come arieti?    E voi, colline, come agnelli di un gregge? 7 Trema, o terra, davanti al Signore,    davanti al Dio di Giacobbe, 8 che muta la rupe in un lago,    la roccia in sorgenti d’acqua.

Nei primi quattro versi si riassume il cammino che porta il popolo di Dio dall’Egitto alla terra promessa: il mare e il Giordano si fanno da parte per lasciarlo passare; montagne e colline tremano, quando Dio si manifesta sul Sinai per dare la Torah a Israele. Il locutore sa cosa sta succedendo, ma finge di non sapere per suscitare una certa attesa, mettendo così in evidenza l’eccezionalità dell’avvenimento: perché il mare, il fiume, le montagne sono sconvolti da questo popolo in marcia? Il salmista non cerca una risposta alla sua domanda, né si preoccupa di darla, ma nel v. 7 invita la terra a tremare davanti al Dio di Giacobbe. Allora tutto diventa chiaro: lo sconvolgimento cosmico è provocato dalla presenza di Dio accanto al suo popolo[4]. Il Signore è il Dio creatore, che fa sgorgare l’acqua dalla roccia (v. 8). La sua potenza creatrice trasforma tutto: la roccia diventa stagno e il granito sorgente (v. 8: cf. Es 17,6): anche in altri passi l’episodio di Meriba è descritto come un prodigio di Dio (Is 48,21; Sal 107,35) come una figura dell’esodo futuro, una nuova creazione (Is 35,6s; 41,18; 43,20). Anche a Israele Dio dà una nuova identità, ne fa il suo popolo e lo conduce nella terra promessa ai Padri: il v. 1 sottolinea sia la sua separazione dall’Egitto, sia la relazione di appartenenza a Dio (cf. v. 7). Salmo 115

1 Non a noi, Signore, non a noi,    ma al tuo nome da’ gloria,    per la tua fedeltà, per la tua grazia. 2 Perché i popoli dovrebbero dire:    «Dov’è il loro Dio?» 3 Il nostro Dio è nei cieli,    egli opera tutto ciò che vuole. 4 Gli idoli delle genti sono argento e oro    opera delle mani dell’uomo. 5 Hanno bocca e non parlano,    hanno occhi e non vedono, 6 hanno orecchi e non odono,    hanno narici e non odorano. 7 Hanno mani e non palpano,    hanno piedi e non camminano;    dalla gola non emettono suoni. 8 Sia come loro chi li fabbrica    e chiunque in essi confida. 9 Israele confida nel Signore:    egli è loro aiuto e loro scudo. 10 Confida nel Signore la casa di Aronne:    egli è loro aiuto e loro scudo. 11 Confida nel Signore chiunque lo teme:    egli è loro aiuto e loro scudo. 12 Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:    benedice la casa d’Israele,    benedice la casa di Aronne. 13 Il Signore benedice quelli che lo temono,    benedice i piccoli e i grandi. 14 Vi renda fecondi il Signore,    voi e i vostri figli. 15 Siate benedetti dal Signore    che ha fatto cieli e terra. 16 I cieli sono i cieli del Signore    ma ha dato la terra l’ha data ai figli dell’uomo. 17 Non i morti lodano il Signore    né quanti scendono nella tomba. 18 ma noi, i viventi, benediciamo il Signore    ora e per sempre

L’inizio è insolito: un grido improvviso rivolto al destinatario della lode, il cui nome (YHWH) è invocato fin dal v. 1 e ripetuto poi in ogni verso nei vv. 9-18. Si vuole scuotere il Signore, sottolineando che sono in gioco il suo onore, la sua fama. Dio non può venire meno, senza perdere di credibilità, alle qualità essenziali su cui si fonda l’alleanza: l’amore, la magnanimità, la fedeltà, la lealtà, la verità. Nel duplice «Non a noi!» risuona il desiderio di uscire dalla vergogna: se Dio glorifica il suo nome, anche i suoi fedeli verranno glorificati[5]. Se gli altri popoli dubitano delle capacità del Dio d’Israele ed esprimono il loro scherno con la domanda: «Dov’è il loro Dio?» (v. 2), l’orante col suo «perché?» esorta il suo Dio a intervenire e, replicando in base al significato letterale dell’interrogativa degli avversari, li mette a tacere con una stupenda risposta: «Il nostro Dio è nei cieli e opera tutto ciò che vuole!» (v. 3). Reagendo all’insulto, si glorifica Dio, riuscendo a ribaltare la situazione: non il Signore, ma gli idoli dei pagani sono un nulla; nei vv. 4-8 se ne sottolinea l’impotenza con sette negazioni enfatiche. Gli idoli sono opera delle mani dell’uomo: chi confida in essi resta confuso. Possono invece confidare nel Signore, Israele, la casa di Aronne, coloro che lo temono: per tre volte si ripete che egli è veramente «loro aiuto» e «loro scudo» (vv. 9-11). Se gli idoli sono impotenti (vv. 4-8), non lo è certamente il Signore, che si ricorda del suo popolo e lo benedice (vv. 12-13). È il Creatore del cielo e della terra, e, come ha benedetto in passato, così benedirà anche in futuro: una benedizione che è fecondità (vv. 14-15). E la fede diventa lode, una lode che dura per tutta la vita, costituendo l’atteggiamento fondamentale del credente (vv. 17-18).

Salmo 116: l’azione di grazie La lode è concatenata alla supplica nel Sal 116, nel quale LXX e Vulgata vedono due blocchi distinti (i vv. 1-9 costituiscono il Sal 114; i vv. 10-19 il Sal 115). 1 Alleluia.    Amo il Signore perché ascolta    il grido della mia preghiera. 2 Verso di me ha teso l’orecchio    nel giorno in cui lo invocavo. 3 Mi stringevano funi di morte,    ero preso nei lacci degli inferi.    Mi opprimevano tristezza e angoscia. 4 e ho invocato il nome del Signore:    ti prego, Signore, salvami! 5 Buono e giusto è il Signore,    il nostro Dio è misericordioso. 6 Il Signore protegge gli umili;    ero misero ed egli mi ha salvato. 7 Ritorna, anima mia, alla tua pace,    poiché il Signore ti ha beneficato; 8 egli mi ha sottratto dalla morte,    ha liberato i miei occhi dalle lacrime,    ha preservato i miei piedi dalla caduta. 9 Camminerò alla presenza del Signore    sulla terra dei viventi. 10 Alleluia.    Ho creduto anche quando dicevo:    «Sono troppo infelice». 11 Ho detto con sgomento:    «Ogni uomo è inganno». 12 Che cosa renderò al Signore    per quanto mi ha dato? 13 Alzerò il calice della salvezza,    e invocherò il nome del Signore. 14 Adempierò i miei voti al Signore,    davanti a tutto il suo popolo. 15 Preziosa agli occhi del Signore    è la morte dei suoi fedeli. 16 Sì, io sono il tuo servo, Signore,    io sono tuo servo, figlio della tua ancella;    hai spezzato le mie catene. 17 A te offrirò sacrifici di lode    e invocherò il nome del Signore. 18 Adempirò i miei voti al Signore    davanti a tutto il suo popolo, 19 negli atri della casa del Signore    in mezzo a te, Gerusalemme

Si può considerare il salmo una composizione unitaria, racchiusa dal termine «invocare» nei vv. 2 e 17. Lo stesso verbo ricorre anche nei vv. 4 e 13, ma la prima volta il salmista ha invocato il nome del Signore per essere salvato dalla morte (v. 3), la seconda volta, invece, lo invoca per rendergli grazie. I vv. 8-9 in posizione centrale[6] mettono bene a fuoco la situazione: l’orante ha attraversato una prova mortale, ma è stato liberato; resterà in vita. Cosa potrà dare al Signore in cambio di quanto ha ricevuto? (v. 12). Ha ricevuto la vita e pertanto deve offrire la vita che gli è stata donata. L’orante comprende che il fatto di non morire gli permette di continuare a invocare il nome di YHWH e questa volta non per chiedere aiuto, ma semplicemente per rendere grazie[7]. La supplica era il grido della sua fede; la stessa fede viene ora espressa nell’azione di grazie: alzerà «il calice della salvezza» invocando il nome del Signore davanti al suo popolo (questa seconda parte del Sal 116 è diventata nella liturgia cristiana il salmo eucaristico per eccellenza). Salmo 117

In questo salmo, il più breve di tutto il Salterio, l’invito alla lode è universale, anche se la motivazione è nazionale: 1 Alleluia.    Lodate il Signore, popoli tutti,    Voi tutte nazioni, dategli gloria; 2 perché forte è il suo amore per noi    e la fedeltà del Signore dura in eterno.

Israele parla alle nazioni: «La lode ha per contenuto un avvenimento annunciato da Israele, annunciato fuori di Israele. Israele che loda è Israele che testimonia»[8]. In Rm 15,9 Paolo, citando questo salmo in una catena di citazioni bibliche, dirà che le nazioni pagane «glorificano Dio per la sua misericordia». Salmo 118L’Hallel termina col Sal 118, che ricorda agli ebrei la liberazione dall’Egitto, la salvezza operata dalla destra del Signore: la Pasqua è il giorno fatto dal Signore per il suo popolo (v. 24), il giorno in cui Israele è stato scelto come pietra angolare (v. 22) per costruire la dimora di Dio in mezzo agli uomini. Il salmo si apre e si chiude con l’invito a celebrare il Signore «perché è buono, perché eterna è la sua misericordia» (vv. 1.29). I diversi gruppi a cui viene rivolto l’invito (cf. Sal 115,9-11) rispondono in coro: «Eterna è la sua misericordia» (vv. 2.3.4), ritornello ripetuto in ogni versetto anche nel Sal 136. Un personaggio principale (il re? Il popolo rappresentato da un individuo?), superato un grave pericolo, rende grazie pubblicamente: loda il Signore perché l’ha esaudito, l’ha salvato (vv. 14-15.21). L’intera comunità chiede: hoshya-na = salvaci! (v. 25). È l’Osanna (cf. Mc 11,9), utilizzato dopo l’esilio (in particolare nella festa delle Capanne) essenzialmente come domanda. Si rinnova la domanda per il futuro, acclamando il Signore, l’unico capace di salvare. Al culmine della cerimonia (vv. 28-29) il personaggio principale pronuncia il suo atto di fede e di fedeltà verso il Signore («Sei tu il mio Dio») e, al tempo stesso, la sua azione di grazie, a cui tutti sono invitati a unirsi.

SALMO 143 / LA MISSIONE COME TESTIMONIANZA DELLA BONTÀ DI DIO

http://www.saverianibrescia.com/missione_oggi_stampa.php?centro_missionario=archivio_rivista&rivista=2013-06&id_r=147&sezione=parola_e_missione&articolo=salmo_143_la_missione_come_testimonianza_della_bont_di_dio&id_a=5455

SALMO 143 / LA MISSIONE COME TESTIMONIANZA DELLA BONTÀ DI DIO

GIUGNO/LUGLIO 2013

di: Flavio Dalla Vecchia

Il Salmo 143 è l’ultimo dei sette salmi penitenziali. Il v. 2, dichiarando che ogni essere umano è peccatore, è stato uno dei punti di partenza della riflessione di Paolo, soprattutto nelle lettere ai Galati e ai Romani (dove è citato in 3,20). Espressioni come « io sono il tuo servo » (v. 12); « sei tu il mio Dio » (v. 10), solo apparentemente cerimoniali, possono nascondere alcune pretese, come insegna Gesù raccontando la parabola del fariseo e del pubblicano. Non è raro infatti, dal punto di vista umano, gettare in faccia a Dio la propria fedeltà, la propria lealtà nei suoi confronti, soprattutto i tanti costi a cui lo stare dalla parte di Dio sottopone. Così come non è raro che un uomo religioso divida il mondo in giusti ed empi: e il Dio santo dovrebbe prendere posizione!

UN’ACCORATA SUPPLICA FONDATA SULL’AMORE DI DIO
A prima vista il salmo può lasciare un po’ perplessi e si potrebbe essere tentati di leggervi una visione oscura della condizione umana. Ci sono tuttavia dei segnali che questo non è il punto di vista dell’orante. Egli infatti non rivendica alcuna giustizia propria: solo YHWH possiede fedeltà e giustizia (v. 1), anzi « davanti a te nessun vivente è giusto » (v. 2). Vi è una chiara sintonia tra quanto afferma il salmista e l’affermazione del saggio: «Chi può dire: « Ho la coscienza pulita, sono puro dal mio peccato? »» (Pr 20,9).
Si inizia con un’accorata supplica, fondata sull’amore di Dio, sulla fedeltà alle sue promesse (v. 1), motivo ripreso nel v. 5, quando il salmista fa memoria di quanto Dio ha fatto nel passato per lui e per il suo popolo, ricollegandosi a un argomento che echeggia anche altrove nelle invocazioni bibliche: «nell’oscurità si è certi che Dio non tacerà per sempre e il « ricordo » memoriale delle sue opere salvifiche passate è uno stimolo a far sì che egli torni a intervenire» (G. Ravasi).

NELL’ANGOSCIA OPPRIMENTE DELL’INGIUSTIZIA GRATUITA
Eppure la vita si presenta talvolta con un immenso carico di ingiustizia, anche per chi serve con impegno Dio: tutto il salmo è ritmato dall’angoscia che opprime l’orante, a causa della persecuzione cui lo sottopongono i suoi nemici. Non va dimenticato che il fedele in questo caso non legge tale situazione come una punizione divina per un peccato che egli avrebbe commesso. Il male non si spiega soltanto con un rapporto diretto colpa-castigo: vi è tanto male per così dire gratuito, perché ci sono bambini che muoiono, innocenti perseguitati, malattie che stroncano giovani vite. Da che parte sta dunque Dio?

IL SALMISTA COME ETTY HILLESUM
Anche chi crede talvolta si scontra con il volto nascosto di Dio (v. 7), non capisce più le vie di Dio (v. 8) e se valga la pena battere ancora i sentieri da lui indicati. Si tratta di un’aridità (v. 6: « come terra assetata ») che rimette in discussione una relazione: lo spirito vitale viene meno (v. 7). Nel buio della sofferenza ci può essere chi si ribella a Dio, o chi, come Etty Hillesum scrive: « Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui. So quel che ci può ancora succedere [...]. Le ultime notizie dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall’Olanda in Polonia, passando per il Drenthe. E secondo la radio inglese, dall’aprile scorso sono morti 700mila ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato ».

CHIEDE A DIO DI RIAFFERMARE IL SUO POTERE SUL MONDO
Anche il fedele che ha lasciato la sua memoria nel Salmo non demorde: egli invoca lo spirito buono di Dio (v. 10), affinché il suo vigore ritorni; chiede a Dio di riaffermare il suo potere sul mondo, facendo rivivere il suo fedele: infatti nella vita dei suoi fedeli si manifesta la signoria di Dio (il suo « nome », v. 11) e con essa la sua giustizia. Per chi prega con questo salmo, la giustizia divina si manifesta pienamente allorché il nemico è sterminato (v. 12), quando cioè coloro che opprimono i deboli saranno finalmente dalla parte degli sconfitti; una richiesta che accompagna tanti passi biblici che si fanno voce di chi non ha voce e che esplicitano il grido che la Bibbia ricorda che sale a Dio fin dal primo essere umano vittima di violenza e oppressione (il giusto Abele).

ATTRAVERSO L’INTERRUZIONE DELLA CATENA DELLA VIOLENZA
Senza negare il valore di pagine come questa, il cristiano è tenuto, però, a ricordare che l’affermazione della giustizia di Dio non si ha soltanto nella sconfitta e nella morte dei nemici: in Gesù, Dio gli ha svelato che il suo potere si manifesta anche quando i suoi fedeli sono provati dalla persecuzione e dalla sofferenza. E che la vera vittoria sul nemico non è quella che decreta la sua fine, ma quella che fa volgere anche lui a Dio. Gesù non muore imprecando contro i suoi uccisori, ma pregando per loro: ci apre dunque a una nuova solidarietà con il mondo invischiato nel male, quella attraverso la quale si può interrompere la catena della violenza, proclamando al mondo la « bontà » (v. 12: la Bibbia CEI traduce con « fedeltà », ma il vocabolo ebraico esprime l’attitudine benevola e misericordiosa di Dio nei confronti delle creature) che sta al di sopra di ognuno e vuole raggiungere ogni mortale che non può rivendicare alcuna giustizia propria.

FLAVIO DALLA VECCHIA

SALMO 143

1Salmo. Di Davide.
Signore, ascolta la mia preghiera!
Per la tua fedeltà, porgi l’orecchio alle mie suppliche
e per la tua giustizia rispondimi.

2Non entrare in giudizio con il tuo servo:
davanti a te nessun vivente è giusto.

3Il nemico mi perseguita,
calpesta a terra la mia vita;
mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi
come i morti da gran tempo.

4In me viene meno il respiro,
dentro di me si raggela il mio cuore.

5Ricordo i giorni passati,
ripenso a tutte le tue azioni,
medito sulle opere delle tue mani.

6A te protendo le mie mani,
sono davanti a te come terra assetata.

7Rispondimi presto, Signore:
mi viene a mancare il respiro.
Non nascondermi il tuo volto:
che io non sia come chi scende nella fossa.

8Al mattino fammi sentire il tuo amore,
perché in te confido.
Fammi conoscere la strada da percorrere,
perché a te s’innalza l’anima mia.

9Liberami dai miei nemici, Signore,
in te mi rifugio.

10Insegnami a fare la tua volontà,
perché sei tu il mio Dio.
Il tuo spirito buono
mi guidi in una terra piana.

11Per il tuo nome, Signore, fammi vivere;
per la tua giustizia, liberami dall’angoscia.

12Per la tua fedeltà stermina i miei nemici,
distruggi quelli che opprimono la mia vita,
perché io sono tuo servo.

 

Publié dans:BIBBIA - ANTICO TESTAMENTO SALMI |on 11 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

SALMO 142, 1-11: PREGHIERA NELLA TRIBOLAZIONE – GIOVANNI PAOLO II

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/04-05/1-Salmo_142.html

SALMO 142, 1-11: PREGHIERA NELLA TRIBOLAZIONE

Papa Giovani Paolo II

Il Salmo 142, l’ultimo dei cosiddetti «Salmi penitenziali» nel settenario di suppliche distribuite nel Salterio (cf Sal 6; 31; 37; 50; 101; 129; 142) viene pregato alle lodi del giovedì, della IV settimana del Salterio. La tradizione cristiana ha utilizzato questo tipo di salmi per invocare dal Signore il perdono dei peccati. Il testo che vogliamo approfondire era particolarmente caro a San Paolo, che ne aveva dedotto una radicale peccaminosità in ogni creatura umana: «Nessun vivente davanti a te, (o Signore), è giusto» (v. 2). Questa frase viene assunta dall’Apostolo a base del suo insegnamento sul peccato e sulla grazia (cf Gal 2,16; Rm 3,20). La Liturgia delle Lodi ci propone questa supplica come proposito di fedeltà e implorazione di aiuto divino agli inizi della giornata. Il Salmo infatti ci fa dire a Dio: «Al mattino fammi sentire la tua grazia, poiché in te confido» (Sal 142,8).

Dinanzi al male del mondo Il Salmo inizia con un’intensa e insistente invocazione rivolta a Dio, fedele alle promesse di salvezza offerta al popolo (cf v. 1). L’orante riconosce di non avere meriti da far valere e quindi chiede umilmente a Dio di non atteggiarsi a giudice (cf v. 2). Poi egli tratteggia la situazione drammatica, simile ad un incubo mortale, in cui si sta dibattendo: il nemico, che è la rappresentazione del male della storia e del mondo, lo ha condotto fino alle soglie della morte. Eccolo, infatti, caduto nella polvere della terra, che è già un’immagine del sepolcro; ecco le tenebre, che sono la negazione della luce, segno divino di vita; ecco, infine, «i morti da gran tempo», cioè i trapassati (cf v. 3), tra i quali gli sembra di essere già relegato.

Sorge una speranza L’esistenza stessa del Salmista è devastata: manca ormai il respiro e il cuore sembra un pezzo di ghiaccio, incapace di continuare a battere (cf v. 4). Al fedele, atterrato e calpestato, restano libere solo le mani, che si levano verso il cielo in un gesto che è, al tempo stesso, di implorazione di aiuto e di ricerca di sostegno (cf v. 6). Il pensiero infatti gli corre al passato in cui Dio ha operato prodigi (cf v. 5). Questa scintilla di speranza riscalda il gelo della sofferenza e della prova in cui l’orante si sente immerso e in procinto di essere travolto (cf v. 7). La tensione, rimane, comunque, sempre forte; ma un raggio di luce sembra profilarsi all’orizzonte. Passiamo, così, all’altra parte del Salmo (cf vv. 7-11).

Compiere il volere di Dio Essa si apre con una nuova, pressante invocazione. Il fedele sentendo quasi sfuggirgli la vita, lancia a Dio il suo grido: «Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito» (v. 7). Anzi, egli teme che Dio abbia nascosto il suo volto e si sia allontanato, abbandonando e lasciando sola la sua creatura. La scomparsa del volto divino fa piombare l’uomo nella desolazione, anzi, nella morte stessa, perché il Signore è la sorgente della vita. Proprio in questa sorta di frontiera estrema fiorisce la fiducia nel Dio che non abbandona. L’orante moltiplica le sue invocazioni e le appoggia con dichiarazioni di fiducia nel Signore: «Poiché in te confido… perché a te si innalza l’anima mia… a te mi affido… sei tu il mio Dio…». Egli chiede di essere salvato dai suoi nemici (cf vv. 8-12) e liberato dall’angoscia (cf v. 11), ma fa anche ripetutamente un’altra domanda, che manifesta una profonda aspirazione spirituale: «Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio» (v. 10a; cf vv. 8b. 10b.). Questa ammirevole domanda la dobbiamo fare nostra. Dobbiamo capire che il nostro bene più grande è l’unione della nostra volontà con la volontà del nostro Padre celeste, perché soltanto così possiamo ricevere in noi tutto il suo amore, che ci porta la salvezza e la pienezza della vita. Se non è accompagnata da un forte desiderio di docilità a Dio, la fiducia in Lui non è autentica.

In attesa del giorno luminoso L’orante ne è consapevole ed esprime quindi questo desiderio. La sua è allora una vera e propria professione di fiducia in Dio salvatore, che strappa dall’angoscia e ridona il gusto della vita, in nome della sua «giustizia», ossia della sua fedeltà amorosa e salvifica (cf v. 11). Partita da una situazione quanto mai angosciosa, la preghiera è approdata alla speranza, alla gioia e alla luce, grazie ad una sincera adesione a Dio e alla sua volontà, che è una volontà di amore. È questa la potenza della preghiera, generatrice di vita e di salvezza. Fissando lo sguardo verso la luce del mattino della grazia (cf v. 8), San Gregorio Magno, nel suo commento ai sette Salmi penitenziali, così descrive quell’alba di speranza e di gioia: «È il giorno illuminato da quel sole vero che non conosce tramonto, che le nubi non rendono tenebroso e la nebbia non oscura… Quando apparirà Cristo, nostra vita, e cominceremo a vedere Dio a viso aperto, allora fuggirà ogni caligine delle tenebre, svanirà ogni fumo dell’ignoranza, sarà dissipata ogni nebbia della tentazione… Quello sarà il giorno luminoso e splendido, preparato per tutti gli eletti da Colui che ci ha strappato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto. La mattina di quel giorno è la Risurrezione futura… In quel mattino brillerà la felicità dei giusti, apparirà la gloria, si vedrà l’esultanza, quando Dio astergerà ogni lacrima dagli occhi dei santi, quando ultima sarà distrutta la morte, quando i giusti rifulgeranno come il sole nel regno del Padre. In quel mattino, il Signore farà sperimentare la sua misericordia… dicendo: “Venite, benedetti dal Padre mio” (Mt 25,34). Allora sarà manifesta la misericordia di Dio, che nella vita presente la mente umana non può concepire. Il Signore ha infatti preparato, per quelli che lo amano, ciò che occhio non vide né orecchio udì né mai entrò nel cuore dell’uomo» (PL 79, coll. 649-650).

 Giovanni Paolo II – L’Osservatore Romano, 10-07-2003

SALMI – A CURA DI ENZO BIANCHI

http://ora-et-labora.net/salmi.html

SALMI – A CURA DI ENZO BIANCHI

IL CONTENUTO
Il Salterio si presenta suddiviso in cinque libri scanditi da una dossologia finale; il Quinto libro è concluso da una piccola collezione di Salmi (dal 146 al 150), detti alleluyatici perché hanno come titolo l’espressione «Lodate il Signore» (halelûyah), che fungono da dossologia conclusiva non solo del Quinto libro ma dell’intero Salterio (dal greco psaltérion, lo strumento a corde che accompagnava i Salmi).
Questa antica suddivisione, risalente almeno al Il secolo a.C. ma probabilmente più antica, riproduce la suddivisione in cinque libri della Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) e sottolinea l’autorevolezza dei Salterio: anch’esso è una Torah! La dossologia finale di ciascun libro si accompagna a una beatitudine che troviamo all’interno di ognuno dei Salmi che chiudono i cinque libri: 41,2; 72,17; 89,16; 106,3; 146,5 (all’inizio della collezione alleluyatica conclusiva dei Salterio). Il doppio registro della «beatitudine dell’uomo» e della «lode di Dio» scandisce così ciascuno dei libri dei Salterio. Ma si può dire di più: visto che i Salmi 1 e 2 costituiscono il «prologo» dell’intero Salterio e sono racchiusi dal concetto della beatitudine dell’uomo (1,1; 2,12), e visto che i Salmi 146-150, che costituiscono l’epilogo laudativo del Salterio, sono interamente pervasi dalla lode di Dio, è l’intero libro dei Salterio a essere racchiuso – secondo un tipico procedimento stilistico della letteratura ebraica detto «inclusione» -dal doppio registro della beatitudine dell’uomo e della lode di Dio. li Salterio è cosi un libro dell’uomo e di Dio, un libro teandrico, che indica all’uomo la via della felicità affermando che questa si compie nella lode di Dio: nei Salmi 146-150 la radice hll, «lodare», ricorre ben 31 volte e il Salmo 145, che di fatto è l’ultimo del corpo del Salterio – essendo i Salmi 146-150 l’epilogo – è, come recita la sua soprascritta al versetto 1, una «lode», una tehillâ.
La testimonianza di un popolo che sapeva pregare. Il Salterio è forse il libro biblico più particolare. Si tratta di una raccolta di 150 componimenti poetico-religiosi, differenti per autore, data di composizione, ambiente di origine, tonalità letteraria, lunghezza, modalità di composizione. Accanto al brevissimo Salmo 117 con i suoi due soli versetti, vi è il maestoso Salmo 119 composto da ben 176 versetti. Vi sono Salmi «studiati a tavolino», redatti da capo a fondo con l’elaborato ricorso ad artifici letterari raffinati, come il già ricordato 119; altri, invece, mostrano le tracce e il peso della storia nella stratificazione letteraria di cui sono portatori, come il Salmo 68, costituito da un nucleo originario antichissimo che celebrava una vittoria militare all’epoca dei giudici, da una successiva «rilettura» che lo ha adattato al tempo della monarchia di Giuda, e infine dall’intervento con glosse e ampliamenti di una terza «mano» nell’epoca postesilica. Tutto ciò rende impossibile parlare di una teologia dei Salmi compatta e unitaria.
Tuttavia tali componimenti hanno in comune il fatto di essere preghiere, di essere le parole che hanno retto il dialogo fra Israele e il suo Dio. È con questa prospettiva particolare che essi si collocano all’interno della struttura teologica centrale con cui Israele ha letto il proprio rapporto con Jhwh: «l’alleanza». I Salmi costituiscono la risposta di Israele alla parola di Dio, al suo intervento nella storia: essi sono «preghiere», e la «teologia del Salterio», se cosi si può dire, è essenzialmente una teologia della preghiera biblica. Questa preghiera conosce una grande quantità di inflessioni e modulazioni, parallela all’estrema diversità delle situazioni esistenziali e storiche: il Salterio è preghiera nella vita e nella storia, anzi, è storia e vita messe in preghiera. Esso può dunque essere giustamente considerato la migliore «Scuola di preghiera» in quanto tende a unificare vita e preghiera, storia e preghiera: esso insegna che «la preghiera è vivere alla presenza di Dio». Anche in una prospettiva cristiana, la quale ha al suo centro l’incarnazione e individua la storia e il mondo come il luogo della risposta a Dio, essi restano la preghiera per eccellenza: la Liturgia delle ore, vale a dire la preghiera ufficiale della chiesa, è intessuta essenzialmente di Salmi e afferma la sostanziale irrinunciabilità dei Salmi per la chiesa. E non sarebbe difficile mostrare come le grandi tematiche che attraversano la preghiera salmica (la confessione del nome salvifico di Dio, il riconoscimento della fraternità che lega i credenti nel Signore, la preghiera per l’avvento dei suo Regno, la confessione di peccato e la richiesta di perdono ecc.) sfociano quasi come in un compendio nella preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre nostro (cf. E. Beaucamp, Israël en prière. Dès Psaumes au Notre Père, Cerf, Paris 1985). Né si deve dimenticare che i Salmi, essendo pregati in tutte le confessioni cristiane, sono preghiera «ecumenica» per eccellenza.
I Salmi sono lode di Dio. I Salmi attestano che i due polmoni della preghiera biblica sono «la supplica» e «la lode». O forse, meglio, la lode e la supplica. Infatti, la lode costituisce l’orizzonte inglobante di tutta la preghiera di Israele. «La lode non è soltanto una « forma letteraria » all’interno del Salterio; la lode di Dio risuona in tutti i Salmi ed è pronunciata anche de profundis, dal profondo dell’angoscia. Lodare Dio: questa è la peculiarità di Israele, poiché nella lode è espresso il riconoscimento che il popolo di Dio è consapevole di essere « semplicemente dipendente » dal suo Dio e, al tempo stesso, che deve se stesso e tutto ciò che ha ricevuto e riceve alla bontà di Dio creatore. La lode è quindi la risposta tipica di Israele» (H. J. Kraus, Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia 1989, p. 109). La supplica implica sempre la lode (perché la lode è anzitutto confessione di fede nel nome di Dio e questo è sempre presente nelle suppliche, anche le più disperate, come invocazione del volto e dei nome che solo può salvare) e la supplica tende sempre alla lode, com’è ben visibile nei Salmi di supplica che terminano con tonalità di lode (cf. le due parti dei Salmo 22, la prima sotto il segno dell’angoscia – versetti 2-22 – e la seconda impregnata di gioia e di esultanza – versetti 23-32; si veda anche l’espressione «ancora lo celebrerò! » dei levita esiliato che si esprime con tono di lamento in Salmi 42-43). Così, sebbene le suppliche siano il genere di preghiera più presente nel Salterio, si comprende il nome di «Lodi» (Tehillîm) che la tradizione ebraica ha attribuito all’insieme del libro. L’intersecarsi di questi diversi registri di preghiera e di atteggiamenti davanti a Dio (domanda e ringraziamento, lamento ed esultanza, grido angosciato e fiducia, lacrime e risa) dice l’intrinsecità del rapporto fra lode e supplica: « Quando ho levato il mio grido a lui, / la mia bocca già cantava la sua lode» (66,17).
I Salmi sono preghiera personale e collettiva. L’interscambio colto a proposito della lode e della supplica riguarda anche la dimensione personale e collettiva della preghiera del Salterio. Spesso queste dimensioni sono compresenti ìn uno stesso Salmo (cf. 22; 51; 130): a volte forse perché l’orante è il re, dunque una personalità corporativa che abbraccia in sé il destino del popolo, altre volte forse perché un Salmo originariamente individuale è stato rimaneggiato in senso collettivo per meglio adattarlo alla preghiera comunitaria. In ogni caso, al di là delle spiegazioni di dettaglio, va rilevato che la dimensione teologica dell’alleanza implica una intrinsecità fra «io» e «noi». Nei Salmi di ringraziamento l’orante invita i presenti al tempio a unirsi alla sua lode nella piena coscienza che il beneficio che il Signore gli ha procurato gli è stato ottenuto non grazie ai propri meriti, ma alla propria appartenenza al popolo con cui Dio ha stretto alleanza (cf. 34,4); la supplica dell’orante che invoca il perdono dei proprio peccato in vista della propria restaurazione personale e della propria riammissione alla presenza di Dio è seguita dall’invocazione a Dio per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e la ripresa del culto al tempio (51,3-19 e 20-21). La stessa utilizzazione comunitaria e liturgica di Salmi composti da un individuo fa sì che « io » del singolo e «io» di Israele si collochino in situazione di circolarità e non di esclusione. In ogni caso, il fatto che le preghiere contenute nel Salterio siano destinate a essere cantate e musicate indica che esse trovavano nella liturgia il loro luogo di destinazione. La qual cosa non ha impedito che divenissero testi usati anche nella pietà personale. Il Salterio tuttavia lascia trasparire numerose situazioni liturgiche, rituali e cultuali in cui venivano utilizzati i Salmi: processioni (48,13-15; 68,25-26; 118,26-27), pellegrinaggi (84; la collezione dei 15 Canti delle salite, espressione presente nelle soprascritte dei Salmi 120-134), sacrifici (50,23; 66,13-15; 116,17 ecc.), liturgie di ingresso al tempio (15; 24), benedizioni sacerdotali (115,14-15; 118,26; 128,5; 134,3), oracoli (12,6; 60,8-10; 81,7-17).
I Salmi sono musica e gestualità. Il riferimento a numerosi strumenti musicali (cf. 150,3-5) mostra l’estrema vivezza di queste liturgie: strumenti a corda (arpa, lira, cetra), fiati (flauti, liuti, oboe), corni (sia naturali che artificiali, cioè di bronzo o rame o argento), e poi cimbali, tamburi, campanelle… Ma lo strumento per eccellenza della preghiera salmica, e biblica in genere, è il corpo: «Il fragile strumento della preghiera, l’arpa più sensibile, il più esile ostacolo alla malvagità umana, tale è il corpo. Sembra che per il salmista tutto si giochi là, nel corpo. Non che sia indifferente all’anima, ma al contrario perché l’anima non si esprime e non traspare se non nel corpo. Il Salterio è la preghiera del corpo. Anche la meditazione vi si esteriorizza prendendo il nome di « mormorio », « sussurro ». Il corpo è il luogo dell’anima e dunque la preghiera traversa tutto ciò che si produce nel corpo. È il corpo stesso che prega: « Tutte le mie ossa diranno: Chi è come te, Signore? » » (P. Beauchamp, « La prière à l’école des Psaumes », in O. Odelain – R. Séguineau, Concordance de la Bible. Les Psaumes, Desclée de Brouwer, Paris 1980, P. XVII). Ecco dunque che il corpo si esprime nella preghiera inginocchiandosi (95,6), levando in alto le mani (141,2), protendendo in avanti le mani (143,6), sciogliendo le membra in danze (149,3), battendo le mani (47,2), prostrandosi faccia a terra (29,2), alzando gli occhi verso l’alto in segno di supplica (123) ecc. È cosi che i Salmi strappano la preghiera ai rischi di cerebralità e la presentano come linguaggio globale, di tutto l’uomo.
I Salmi sono poesia. Questa totalità di espressione dell’uomo trova la sua più adeguata manifestazione nella forma poetica: non bisogna dimenticare che i Salmi sono poesia e che pertanto la musicalità e il ritmo, le assonanze e le allitterazioni, cosi come tutti gli altri elementi stilistici della poetica ebraica che compongono la trama dei Salmi, sono essenziali per penetrarli, o meglio, per lasciarsene penetrare. Senza addentrarsi nella grande ricchezza della poetica ebraica, basti qui ricordare che la regola fondamentale della poesia ebraica si basa sul fatto che la lingua ebraica è accentuale, regolata dall’accento tonico distribuito fra pause e cesure. Ogni parola ha un accento su cui cade il tono della voce nel canto o nella recitazione, e il ritmo si adatta al carattere proprio di ciascun Salmo: i Salmi sapienziali, meditativi, avranno più frequentemente un ritmo pacato e disteso di 3+3 accenti (per esempio 1); le suppliche hanno spesso il ritmo detto qinâ («lamento»), un ritmo strozzato di 3+2 accenti che riproduce il parlare sincopato di chi è preso da singhiozzi e pianto (42-43). Tuttavia molti Salmi non presentano affatto una regolare struttura ritmica o per la lunga e stratificata storia letteraria che li ha prodotti, o per le corruzioni e lacune che si possono essere prodotte nel corso della tradizione manoscritta.
Altra regola essenziale della poesia ebraica è quella del «parallelismo»: un concetto è ripetuto una o più volte con parole diverse, con espressioni variate, per ottenere lo scopo di una adeguata interiorizzazione. I Salmi delle salite (120-134), tutti databili all’epoca postesilica – eccetto il Salmo 132, di origine più antica – sono redatti facendo ricorso al procedimento della «ripetizione»: una stessa parola o espressione è ripetuta più volte per aiutare la memorizzazione del testo, tra l’altro sempre molto breve (tranne, ancora, il Salmo 132). Si trattava infatti di componimenti che dovevano essere recitati durante il pellegrinaggio a Sion (detto «la salita», poiché a Gerusalemme, data la sua collocazione geografica, «si sale»: cf. Vangelo secondo Marco 10,33), e dunque dovevano essere semplici, adatti a tutti i livelli della popolazione, e facilmente memorizzabili.
Al «parallelismo sinonimico» (6,2) si affianca il «parallelismo antitetico», in cui un’idea è rafforzata dal suo contrario: «Gli uni contano sui carri, gli altri sui cavalli; / noi invochiamo il nome di Jhwh nostro Dio; / quelli si piegano e cadono, / noi restiamo in piedi e siamo saldi» (20,8-9).
Il « parallelismo sintetico » si riferisce a un concetto che, espresso nel primo membro di un versetto, viene completato dal secondo: « La volontà del Signore è luminosa / dà trasparenza allo sguardo » (1 9,9cd).
Il «parallelismo ascendente» mostra il continuo e progressivo accrescimento dell’idea fondamentale espressa: «Riconoscete a Jhwh, figli di Dio, / riconoscete a Jhwh gloria e potenza / riconoscete a Jhwh la gloria del suo nome» (29,1-2a).
Preghiera di tutto l’uomo, i Salmi rivelano la grande quantità di linguaggi che può esprimere la relazione con il Signore. Il sussurro, il brusio sommesso della meditazione (1,2), i singhiozzi e le lacrime del pianto del supplice (6,7-8; 56,9), la protesta nei confronti di un agire di Dio che non si riesce a comprendere («Perché, Signore?», 88,15), il silenzio (65,2), il grido e l’urlo (22,6; 61,2; 69,4), l’invettiva (58; 83,10ss), il lamento (5,2), la riflessione e il dialogo interiore (4,5; 42,6.12; 43,5; 73,16), il riso incontenibile della gioia straripante (126,2). Ogni linguaggio rinvia a una situazione esistenziale e storica che l’orante cerca di leggere davanti a Dio.
La molteplicità di situazioni e di atteggiamenti espressa nei Salmi si riflette sulla variegata gamma di generi letterari presenti nel Salterio che di seguito analizzeremo. Occorre però dapprima premettere che in realtà molti Salmi presentano una tale mescolanza di generi al loro interno che risulta quasi impossibile rinchiuderli in una sola griglia. Così il 36 combina il registro sapienziale con quello della supplica; il 52 contiene elementi sapienziali, ma anche i toni dell’invettiva e della requisitoria, del lamento personale e del ringraziamento; il 75 può essere annoverato tra i ringraziamenti, benché vi emerga la tematica della regalità di Jhwh e presenta elementi liturgico-profetici; il 95 e il 115 sembrano tradire un’origine liturgica senza che sia possibile specificare il tipo di liturgia; il 125 unisce il tono della supplica a quello della fiducia; il 126 è un Salmo di ringraziamento che diviene lamentazione e supplica; il 129 vede coabitare in sé i toni della supplica, della fiducia e del ringraziamento… E questo, che potrebbe essere verificato su molti altri Salmi, da un lato dice la precarietà dell’attribuzione di un Salmo a un determinato genere (mentre spesso si tratta piuttosto di giudicare la preponderanza di un tono rispetto a un altro), dall’altro attesta che i Salmi riflettono anzitutto la complessità e la non linearità della vita e della storia più ancora che la regolarità ingessata di forme e moduli letterari rigidi.

N.B.: Questo testo è solo una piccola parte dell’introduzione ai Salmi
curata da Enzo Bianchi e riportata nel volume citato più sopra.

12

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01