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INTRODUZIONE AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI – L’ORIGINALITÀ

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INTRODUZIONE AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

LA PAROLA CRESCEVA… 

Daniel Attinger

edizioni Qiqajon – Comunità di Bose 

L’ORIGINALITÀ DEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

 Mentre vi sono nel NT quattro evangeli e molte lettere, solo gli Atti degli apostoli costituiscono una narrazione degli inizi della chiesa. Se si capisce facilmente il fascino che poteva suscitare il progetto di scrivere una “vita di Gesù” — non era forse l’evento di Dio nella nostra storia? — e se si comprendono anche senza difficoltà i motivi pastorali che hanno condotto alla redazione di lettere, meno evidenti appaiono le ragioni che hanno spinto Luca a scrivere gli Atti. Perché interessarsi alla storia della chiesa, senz’altro meno affascinante della vita del Figlio di Dio in mezzo agli uomini? Prima di rispondere a questa domanda va notato che gli Atti si presentano come un secondo libro, o meglio, come una seconda parola, rispetto a una “prima” che è l’Evangelo di Luca. Ambedue gli scritti hanno lo stesso destinatario, Teofilo, lo stesso linguaggio, la stessa teologia, Gli studiosi sono oggi unanimi nel dire che l’Evangelo di Luca e gli Atti degli apostoli formavano in origine un’opera sola in due volumi. Solo con la costituzione del canone e quando si cominciarono a leggere gli evangeli nelle assemblee cultuali (verso la meta del II secolo) Luca fu associato a Marco e Matteo, poi a Giovanni, e staccato dagli Atti, che diventarono una sorta di introduzione  generale alle epistole. Ciò significa che occorre ragionare sugli Atti come su di un libro che appartiene a un insieme più vasto del quale forma la seconda parte. Di conseguenza, la demanda da porre non è perché Luca si sia interessato alla storia della chiesa nascente, ma piuttosto perché abbia sentito la necessità di narrare l’evento della salvezza fine all’arrivo di Paolo a Roma, e non fino all’Ascensione soltanto.
Un’osservazione sul prologo degli Atti degli apostoli ci permette forse di intravedere una risposta. Atti 1, 3 dichiara che Gesù risorto apparve ai suoi discepoli per quaranta giorni parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Sappiamo che fin dall’inizio del sue ministero pubblico Gesù ha posto l’annuncio del regno di Dio al centro della sua predicazione:
Gesù disse [alle folle]: “E necessario che io annunci anche alle altre città la gioiosa notizia del regno di Dio; per questo sono state mandato” (Lc 4,43; cf. 8,1.10; 9,2.11,60; 10,9; eccetera).
Gesù parla quindi del Regno dall’inizio alla fine del suo ministero e anche dope la sua resurrezione, come ricorda l’inizio degli Atti:
Egli si mostrò [ai discepoli] vivo, dope la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio (At 1,3).
Ma ora, dopo che Gesù é tornato al Padre, come avviene questo annuncio? Alla fine degli Atti, Luca presenta Paolo a Roma, sotte sorveglianza, e scrive:
Dal mattino alla sera [Paolo] esponeva [agli ebrei] il Regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla Legge di Mosè e dai profeti…Trascorse due anni interi… annunciando il Regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento (At 28,23.30-31).
Così si spiega il prolungamento dell’opera lucana. L’autore non intende raccontare la “vita di Gesù”, né la storia della chiesa o la vita di santi come Pietro, Stefano o Paolo, la sua preoccupazione è invece quella di spiegare come l’annuncio del Regno, iniziato da Gesù, continua dopo l’Ascensione fino a raggiungere noi: questo annuncio ci perviene tramite la chiesa che il Cristo ha istituito come testimone perché annunci dovunque e in tutti i tempi la gioiosa notizia del Regno. Luca-Atti appare così come un grande commento al detto di Gesù:
Il regno di Dio non viene in mode da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là ». Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi (o forse: a vostra portata)!” (Lc 17,20-21).

I destinatari e il testo
Fin dal primo versetto sappiamo che il destinatario degli Atti (come dell’Evangelo di Luca) è Teofilo, ma di lui non sappiamo nulla. Più che di un nome fittizio — come alcuni hanno pensato — si tratta probabilmente del mecenate che ha finanziato l’edizione e la diffusione del libro, operazione che era molto costosa all’epoca. In questo l’opera lucana appare molto diversa dagli altri evangeli. Soltanto essa si presenta come l`opera di un “io” che ha scritto il testo dopo accurate ricerche (cf. Lc 1,1-4; At 1,1). Ciò non significa che è solo Luca-Atti ad avere un “autore », mentre gli altri evangelisti sono dei compilatori. Vuol dire invece che, mentre gli evangeli di Matteo, Marco e Giovanni sono nati dalla preoccupazione di edificare la comunità nella quale viveva il loro autore e sono quindi delle opere “pastorali », Luca-Atti invece è nato come “opera letteraria » a scopo storico-teologico su richiesta di un individuo, Teofilo. Non è però indifferente per noi il fatto che questo individuo si chiami Teofilo, cioè “amico di Dio ». Anche noi, se ci consideriamo amanti di Dio e quindi amati da lui, possiamo diventare i destinatari dell’opera lucana, incaricati, nel contempo, di diffondere quest’opera attraverso la nostra testimonianza.
Il manoscritto di Luca non ci è rimasto e nemmeno le copie fatte dai copisti pagati da Teofilo. I più antichi manoscritti che contengono parti degli Atti risalgono al III secolo e i più antichi testi completi sono del IV secolo. Si possono raggruppare essenzialmente in due famiglie: la prima, chiamata « alessandrina », é rappresentata da grandi manoscritti del IV-V secolo (come il Sinaiticus, il Vaticanus o l’Alexandrinus) ed é il testo che seguono le nostre attuali traduzioni; la seconda, detta “occidentale” (ma che di occidentale ha solo il nome), si trova soprattutto nel codex Bezae, anch’esso del IV-V secolo; è un po’ più lunga dell’altra, maggiormente segnata da preoccupazioni etiche e anche più antigiudaica. Non sembra che una famiglia dipenda direttamente dall’altra; probabilmente le due famiglie sono coesistite fin dal II-III secolo. Sorge quindi un problema: perché gli Atti esistono sotto due forme abbastanza diverse, mentre in Luca — che conosce pure le due famiglie — le differenze sono minime? Questa diversità può trovare una spiegazione nello statuto dei testi: molto presto l’Evangelo di Luca ha assunto un aspetto “canonico », perché era diventato testo liturgico e la sua forma si è quindi presto stabilizzata; gli Atti invece furono considerati come un’opera “diversa » che solo più tardivamente entrò a far parte delle letture liturgiche. Non avendo un carattere “canonico” (forse fino al IV secolo), nulla impediva di fare qua e là dei ritocchi e dei miglioramenti, o di aggiungere qualche spiegazione là dove il testo mancava di chiarezza. In ogni caso, queste due famiglie — cui occorre forse aggiungerne una terza, “antiochena », rielaborazione di quella « alessandrina », che è la più diffusa nel mondo greco a partire dal IV secolo — attestano la popolarità di cui ha goduto il libro degli Atti nella chiesa antica, nonostante non appartenesse ancora al canone ufficiale delle Scritture.

Autore e data
Fin dall’antichità gli Atti (e l’Evangelo di Luca) furono attribuiti a Luca, compagno di Paolo che l’Apostolo chiama il “caro medico” (Col 4,14; cf. Fm 24); a lui Paolo farebbe allusione quando parla del “fratello che ha lode in tutte le chiese a motivo dell’evangelo » (2Cor 8,18). Le sezioni in “noi” (cf. At 16,10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,1-28,16; il testo occidentale aggiunge 11,28) potrebbero corroborare questa attribuzione perché sembrano indicare che l’autore abbia accompagnato Paolo a partire da Troade. Questa attribuzione pone tuttavia molti problemi: se davvero Luca è compagno di Paolo, perché non si ritrovano, nella presentazione che Luca fa dell’Apostolo, alcuni temi centrali della teologia paolina, come la giustificazione per fede o la morte di Cristo “per noi » (a eccezione di At 20,28)? O perché non lo chiama mai « apostolo », titolo che invece Paolo ha rivendicato con forza(cf, 1Cor 1,1; 9,2; 15,8-10; 2Cor 1,1; 11,13-33; Gal 1,1; eccetera)? Anche la cronologia fa difficoltà perché è arduo far coincidere i dati delle lettere paoline con quelli degli Atti. Inoltre diversi tratti degli Atti (e particolarmente il discorso di Paolo a Mileto, cf. At 20,17-3 5) sembrano alludere a situazioni che meglio si capiscono alla luce del cristianesimo della terza generazione, dopo l’anno 80, Si possono evidentemente sempre trovare delle spiegazioni; ma credo che dobbiamo riconoscere, con la maggior parte degli studiosi, che ignoriamo chi sia l’autore di Luca-Atti, che continuerò, per convenzione, a chiamare Luca. Le sezioni in « noi” sembrano presupporre che egli provenisse dall’Asia Minore o da Filippi o forse che sia stato, ma solo temporaneamente, compagno di viaggio di Paolo.
Quanto alla data di composizione, gli esegeti sono abbastanza concordi nel fissarla attorno all’anno 80. Una tale datazione pone nuovamente due problemi non trascurabili. Innanzitutto perché, in un’epoca in cui le lettere paoline circolano già in tutte le chiese, gli Atti non dicono nulla dell’attività epistolare di Paolo? Si può forse rispondere che, raccontando l’attività missionaria di Paolo, Luca non ha menzionato le lettere di Paolo perché esse rientrano piuttosto nel quadro della sua attività pastorale e teologica. La seconda domanda é più seria: perché gli Atti non dicono nulla del martirio subito, circa vent’anni prima, da Pietro e da Paolo? Tornerò su questa domanda, per ora dico solo che questa « lacuna » sembra indicare che Luca non intendesse scrivere un “vita degli apostoli”. Il suo progetto infatti non si compie quando Pietro e Paolo (i suoi “eroi”, insieme a Stefano) muoiono, bensì quando l’evangelo è predicato a Roma “con tutta franchezza e senza impedimento » (At 28, 3 1).

Piano del libro
Come capita per quasi tutti i libri biblici, la ricerca di un piano è molto problematica e quasi ogni autore giunge a conclusioni diverse. Il problema deriva dal fatto che gli antichi manoscritti non hanno segni di punteggiatura né separazioni in capitoli o paragrafi, nemmeno spazi per separare le parole: tutto è scritto di seguito. Questo non vuol dire che l’autore non abbia un progetto che porta man mano avanti. Anzi, i manuali antichi danno molte indicazioni su come si debba procedere per scrivere un’opera storica di pregio, fra le quali anche quella di non passare a un punto successivo prima di aver esaurito la materia del punto precedente, e di elaborare accuratamente il passaggio dall’uno all’altro attraverso il procedimento dell’”intreccio », vale a dire: verso la fine di un paragrafo si devono inserire dei segnali che anticipino la parte successiva, e all’inizio di un nuovo paragrafo degli elementi che ricordino il paragrafo appena concluso. Ne abbiamo un chiarissimo esempio nel racconto dell’Ascensione che chiude l’Evangelo di Luca (24,50-53) e apre, in modo diverso, gli Atti degli apostoli (1,4-11). Le parti quindi non si distinguono quando si osserva una rottura nel testo, ma quando si nota un intreccio tematico. Tuttavia nemmeno questa regola consente di giungere a una conclusione unanime sulla struttura degli Atti.
La ricerca di un piano, seppure importante per noi, non è pero decisiva. Un testo é suscettibile di più interpretazioni e quindi di più architetture. L’importante é trovarne una che dia senso al testo. Di là si potranno poi scoprire altre strutture e nuovi significati nel libro che si legge. Tradizionalmente, si suddividevano gli Atti degli apostoli in due grandi parti consacrate ai due principali protagonisti: Pietro (cc. 1-12) e Paolo (cc. 13-28). Più recentemente, sottolineando l’importanza delle ultime parole di Gesù: “Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8) si e proposto un altro piano, sempre in due parti. Una prima (cc. 1-15) mostra come l’evangelo si radica saldamente a Gerusalemme e come, da questo centro, si estende in diverse province orientali dell’impero; in questa parte si assiste allo sviluppo teologico della chiesa: l’evangelo raggiunge ebrei, proseliti, samaritani e pagani, cioè tutte le categorie umane possibili. Questo sforzo missionario sfocia naturalmente nell’assemblea di Gerusalemme (c. 15). La seconda parte inizia da questa assemblea che è il punto di partenza di nuove missioni che devono permettere alla chiesa di raggiungere la sua piena statura geografica: l’evangelo arriva a Roma, segno che nulla potrà impedire alla testimonianza apostolica di raggiungere le estremità del mondo (dalla fine del c. 15 al c. 28). A partire dallo stesso testo di Atti 1,8, si potrebbero anche immaginare le seguenti grandi suddivisioni: Gerusalemme (cc. 1-7), Samaria e Giudea (cc. 8-12), apertura ai pagani e viaggio verso Roma (cc. 13-28); questo piano però misconosce il posto centrale che certamente Luca attribuisce all’assemblea di Gerusalemme. Nella lettura proposta in queste pagine si terrà conto soprattutto della presenza di una specie di ritornello sul progresso della parola del Signore:

-       La parola di Dio cresceva (At 6,7).
-       La parola di Dio cresceva e si moltiplicava (At 12,24).
-       Insegnavano e annunciavano la gioiosa notizia della parola del Signore (At 15,35).
-       Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava (At 19,20).
-       [Paolo] proclamava il regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento (At 7.8,31).

Aggiungiamo ancora la bella formula del discorso di Paulo a Mileto:
E ora vi affido al Signore e alla Parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati (At 20,32).
 Questo ritornello sembra indicate che i racconti che lo precedono narrano il grande e irresistibile progredire non tanto della missione degli apostoli, quanto della parola stessa di Dio nel mondo. Questo sarà quindi lo schema di lettura proposto in queste pagine:

1,1-11                        Prologo e Ascensione del Cristo.
1,12-6,7                     I. La Parola si diffonde a Gerusalemme.
6,8-12,25                   II. I testimoni: Stefano, Paolo e Pietro. L’evangelo raggiunge i pagani.
12,26-15,35 &             III. Prima missione fra i pagani,o:p> aassemblea di Gerusalemme.
15,36-21,16              IV. Le missioni di Paolo.
21,17-28,16              V. La “passione” di Paolo.
28,17-31                    Conclusione: la Parola non é incatenata.

Publié dans:LETTURE DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI |on 26 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

DIO HA SCELTO LE COSE DEBOLI: ATTI 16:6-15.

http://web.tiscali.it/alleluia/sediononrisponde.htm

Missione Cristiana Evangelica

DIO HA SCELTO LE COSE DEBOLI

TESTO: ATTI 16:6-15.

16:6 Poi attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia; 16:7 e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; 16:8 e, oltrepassata la Misia, discesero a Troas. 16:9 Paolo ebbe durante la notte una visione: un macedone gli stava davanti, e lo pregava dicendo: « Passa in Macedonia e soccorrici ». 16:10 Appena ebbe avuta quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, convinti che Dio ci aveva chiamati là, ad annunziare loro il vangelo. 16:11 Perciò, salpando da Troas, puntammo diritto su Samotracia, e il giorno seguente su Neapolis; 16:12 di là ci recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia; e restammo in quella città alcuni giorni. 16:13 Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite. 16:14 Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare. Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. 16:15 Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò dicendo: « Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi ». E ci costrinse ad accettare.

« Non abbiate l’animo alle cose alte, ma aspirate alle cose umili ».
 A volte siamo propensi o indotti a pensare che le opere promosse da Dio siano quelle sensazionali: grandi folle riunite o interventi eccezionali della potenza divina, a volte accade, ma non sempre Dio agisce allo stesso modo, non sempre i « risvegli » hanno inizio da grandi riunioni o da grandi movimenti, e non sempre questi movimenti sono sinonimo di risveglio. Il testo in questione ci pone di fronte all’inizio di uno dei più grandi movimenti di risveglio, e vediamo che è iniziato con estrema semplicità, ma indiscutibilmente con estrema efficacia, poiché ha dato inizio alla nascita della chiesa in Europa, la chiesa di Filippi è stata la prima comunità cristiana fondata in Europa, e con certezza nata da un movimento promosso dallo Spirito Santo.
La missione di Paolo.
Il secondo viaggio missionario di Paolo.
Paolo, dopo essersi bruscamente separato da Barnaba, si mette in viaggio con altri collaboratori, Sila e Luca che oltre ad essere un testimone oculare è anche l’autore del libro degli Atti. Raggiungono Derba e Listra, qui si unisce a loro il giovane Timoteo, cercano di entrare in Asia, ma accade a questo punto qualche cosa di particolare. Paolo ed i suoi collaboratori godevano della presenza di un accompagnatore d’eccezione: « Lo Spirito Santo », è Lui che li guida nella giusta direzione, che apre e chiude le porte, lo Spirito Santo impedisce loro di parlare in quei posti, si rimettono in cammino, attraversano la Frigia a la Galizia, e tentano di entrare in Bitinia (Turchia), ma lo « Spirito di Gesù » glielo impedisce, e questa definizione dello Spirito Santo unito al nome di Gesù, dovrebbe far riflettere tutti i moderni « ariani » che non riconoscono la divinità di Cristo. Il primo insegnamento che riceviamo da questa meditazione è che se vogliamo lavorare per il Signore, dobbiamo ascoltare le sue direttive!
Guidato dallo Spirito Santo.
Cosa significa essere guidati dallo Spirito Santo? Significa essere sensibili alla Sua voce, cogliere le direttive, ubbidire per fede. Paolo avrebbe potuto forzare la situazione e procedere secondo i suoi piani, ma non agisce così, ubbidisce, ascolta, si muove in armonia con lo Spirito Santo. Se tu vuoi servire nella pienezza dello Spirito Santo, devi imparare a sottomettere i tuoi piani al Signore, assicurarti che siano in armonia con la Sua volontà, impara ad esaminare le Scritture, esaminare le tue motivazioni, e se necessario chiedere consiglio a credenti più anziani e maturi nella fede, chiedi a Dio di « aprire o chiudere », secondo i Suoi piani.
La visione.
Dio non lascia i Suoi servitori nell’incertezza, dopo averli guidati per l’intervento dello Spirito Santo. Se guardiamo attentamente una cartina noteremo come lo Spirito imponesse loro una direzione precisa, adesso diventa ancora più specifico con la visione di un uomo macedone che rende chiaro il piano del Signore per la loro missione, ora sapevano con esattezza dove il Signore li aveva chiamati.
« Soccorrici ».
Lo stesso grido che noi ascoltiamo ogni giorno attorno a noi, di gente disperata, sofferente, inconsapevole della loro condanna, « salva quelli che vacillando vanno al supplizio, che se tu dici non ne sapevo nulla, tu sarai ritenuto colpevole », Dio mette ogni giorno davanti ai nostri occhi una visione, migliaia di essere umani che non conoscendo Gesù Cristo vivono nella schiavitù del peccato, « soccorrici » è il grido. Chi andrà, come andremo, cosa gli porteremo? Sono domande che ogni credente è in dovere di porsi, ma questo grido in ogni caso ci dà la certezza della volontà di Dio e della sua chiamata per ciascuno di noi.
La certezza della volontà di Dio.
Certamente la volontà di Dio è che ogni uomo sia salvato, ma da parte nostra non smettiamo di supplicare lo Spirito Santo che ci conduca presso quelle persone che Dio ha già preparato per incontrarlo, non lasciamo che sia il « caso » a guidarci, ma chiediamo a Dio che conosce e governa le circostanze.
Lo zelo, l’entusiasmo.
Paolo e i suoi collaboratori a questo punto sicuri e confermati partono all’attacco per strappare anime al demonio, e per conquistarle a Cristo, c’è vigore quando il Signore ci conferma, ricevuta la Sua approvazione siamo pieni di energie perché siamo in armonia con la Sua volontà, ma anche tutto questo non significa che vedremo ciò che noi desideriamo!!
La delusione, poche donne, una sola ascolta.
Dopo tutto quest’impegno, un viaggio di tanti chilometri, lo Spirito Santo, che agisce, ferma, chiude, dirige, quantomeno ci si aspetta una città intera da evangelizzare, radunamento da mille persone, mega riunioni, ma non è così, o meglio non sempre è così. Paolo si trova di fronte una città in cui nemmeno si trova una sinagoga, dalla quale era solito cominciare le sue azioni evangelistiche, forse è costretto a prendere informazioni per cercare qualche giudeo, trova questo posto fuori città, « Persechè », luogo di preghiera, dove poche donne si riunivano per pregare, e la maggior parte di loro non è nemmeno tanto interessata alla predicazione di Paolo, una sola sembra essere attenta. Di fronte ad una situazione così poco rilevante, forse noi ci saremmo persi d’animo, ma Paolo è sicuro di trovarsi nel posto giusto, nel centro della volontà del Signore, e questo gli dà la forza di perseverare e fare ciò che la sua chiamata gli impone « guai a me se non evangelizzo ».
La gioia di Dio.
« vi è gioia nel cielo per un solo peccatore che si ravvede », è la stessa gioia che deve muovere ogni credente, ogni comunità che vive per la potenza dello Spirito Santo. Ricordiamoci delle parabole della perla, della pecora perduta, della dracma, allo stesso modo dovremmo essere solleciti per cercare i perduti, e nel provare la stessa gioia del Signore nel vedere un’anima convertirsi. L’esempio dell’incontro avuto da Gesù con la donna samaritana al pozzo di Giacobbe dovrebbe essere per ogni credente un argomento di profonda riflessione, così come il risultato che ne derivò, una città che venne coinvolta dalla sua testimonianza!
Lidia una donna sulla via della salvezza.
La condizione di Lidia.
Molto normale, non si trattava di una tossicodipendente o di una alcolizzata, niente liberazioni da operare anzi, una donna ricca benestante, molto probabilmente stimata per la sua attività, che bisogno aveva di Gesù Cristo? Ma il bisogno di salvezza e di giustificazione presso Dio non dipende dalla nostra condizione sociale, dalla nostra statura morale, dalla nostra etica religiosa, queste cose possono essere presenti o no nella vita di una persona, ed è cosa giusta essere in una buona condizione morale, ma noi tutti abbiamo bisogno di essere salvati semplicemente perché siamo per natura peccatori e figli d’ira come dice la Scrittura
Cercava un rapporto con Dio.
Il fatto che una donna non giudea si riunisse a pregare l’Eterno, significava che le ricchezze, il successo, gli idoli della cultura occidentale non le davano soddisfazione
Temeva Dio.
Lidia era una « proselita », non era di nascita giudea, ma temeva Jahweh, per tanto si era unita alla religione ebraica, seguiva i loro riti, le loro preghiere, le loro feste, ma questo non faceva di lei una figliola di Dio, non lo era per l’eredità promessa ai figlioli d’Israele, e non lo era per adozione, era una buona religiosa certamente, moralmente sana, visto che temeva Dio, ma non era salvata, ed ora vedremo perché.
Lidia una donna salvata.
L’esperienza di Lidia c’insegna il modo di agire di Dio nei confronti dei peccatori bisognosi di essere salvati. Molte persone al pari di Lidia sono alla ricerca di Dio senza sapere che Dio le sta’ già cercando, e questa vicenda c’insegna che ci sono delle condizioni affinché si concretizzi questo incontro, perché non basta sapere che Dio esiste, non è sufficiente frequentare delle riunioni di preghiera, non basta avere timore di Dio, Dio non cerca dei « proseliti », ma dei peccatori che riconoscendo la loro condizione disperata accettino la grazia in Cristo Gesù, e che per tanto diventino suoi figli legittimi attraverso l’esperienza spirituale della nuova nascita.
L’opera della grazia di Dio.
Dio non è un burattinaio, Dio non sceglie alcuni ed altri no, Dio opera affinché ogni uomo sia salvato, Dio ci ha eletti a salvezza prima della fondazione del mondo, ma attenzione « In Cristo Gesù » al di fuori di Cristo noi restiamo dei buoni religiosi, ma perduti, fuori di Cristo noi siamo sotto la legge, per tanto sotto maledizione, perché dice la Scrittura di coloro che si affidano alla legge: « Maledetto chiunque non persevera in tutte queste cose », e chi mai potrà adempiere a tutta la Legge perfetta e giusta di Dio, ma Dio per grazia cerca l’uomo peccatore, lo raggiunge, lo prepara, gli annuncia il suo amore, fa in modo che il cuore sia aperto per ricevere il suo dono di perdono e salvezza, e lo strumento efficace è la Parola.

Lo strumento efficace è la Predicazione della Parola. I Cor.1:21-22, Romani 10:17.
Non cerchiamo altre soluzioni alternative, più facili, scorciatoie spirituali, lo strumento efficace per toccare i cuori è la Parola, la predicazione dell’evangelo, tutto il resto deve essere complementare, una bella cornice valorizza il quadro, ma il valore è nel dipinto.
La risposta.
« Ecco Io sto alla porta… se uno ode…se uno apre io entrerò ». A questo punto tutta la responsabilità è dell’uomo che ascolta, Gesù si presenta alla porta, ti fa udire la Sua voce, ma entrerà solo se tu aprirai la porta, questa è in sintesi la dottrina del Nuovo Testamento, la grazia sovrana di Dio, che cerca, raggiunge, convince, prepara, ma che in ogni caso non prevarica il libero arbitrio dell’uomo chiamato a scegliere se essere salvato in Cristo, o di essere perduto per sempre lontano dall’amore di Dio. Se la tua risposta è: « si, voglio appartenere a Cristo », ricorda che la tua vita cambierà, e la tua scelta può cambiare influenzare alcune circostanze attorno a te, tu puoi e devi diventare uno strumento di salvezza per altre persone!
Lidia una donna salvata per grazia che porta frutto.
La decisione di battezzarsi.
A volte i Pastori trascurano l’esortazione al battesimo, perché si pensa sia sconveniente forzarlo, altre volte con troppa semplicità si amministra il battesimo a persone che in realtà non sono nate di nuovo, ma come vediamo dalla Scrittura il battesimo è una spontanea conseguenza della conversione di chi ha udito la predicazione del vangelo, che comprende l’incoraggiamento ad ubbidire al comandamento del Signore, « chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato », è la scelta di chi ha creduto in Cristo, e riconoscendosi peccatore lo ha accettato come personale Salvatore e Signore. Ai Pastori, agli Anziani della chiesa dunque il delicato compito di valutare la « fedeltà », la sincerità della fede del neo convertito.
La testimonianza.
Se siamo decisi e fedeli vedremo frutto, nella famiglia e attorno a noi le persone saranno coinvolte dalla nostra testimonianza. Valutiamo con serietà l’esempio lasciatoci dalla sorella Lidia, se desideriamo vedere le nostre famiglie convertite, i nostri parenti, amici, colleghi, la conversione deve essere sincera, la testimonianza decisa, l’impegno preso con il Signore e con la comunità deve essere serio e costante!
La fedeltà.
Per Lidia la conversione al cristianesimo può essere costata, consideriamo che era una donna dedita al commercio, presumibilmente ricca, e noi sappiamo quanto i criteri del mondo siano contrari ai principi della fede cristiana, ma la vediamo fedele e costante, pronta ad accogliere i fratelli anche quando le cose si mettono male. Atti 16:40.
« Poiché chi potrà disprezzare il giorno delle piccole cose ».
Se Dio ti ha chiamato a compiere l’opera d’evangelista, non disprezzare le « piccole occasioni », se hai creduto e ti senti nella condizione di Lidia, il solo o la sola nella tua città, nella tua famiglia sul posto di lavoro, se ti senti inadeguato, impreparato, indegno, non all’altezza, guarda alla scelta fedele di Lidia, e considera i risultati, tutta la famiglia si convertì, poca cosa? Considera allora che pochi anni dopo in quella città nacque un gloriosa testimonianza, una chiesa prospera, ricordata con gioia dall’apostolo Paolo, non pensare di essere inutile nell’opera di Dio, tu sei « debole », ma Dio ha scelto le cose deboli per svergognare le forti! Dio vuole fare di te una « colonna del suo tempio ». Se invece ti trovi ancora in bilico tra il versetto 14 e il 15 di Atti 16, se ancora sei un buon religioso alla ricerca del vero rapporto con Dio, Cristo è la via la verità e la vita, ed è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, se non sei ancora sicuro di quale sarà la tua destinazione eterna, scegli oggi! Non limitarti a sapere che Dio esiste, non affidare la tua eternità ai deboli elementi del mondo, sacrifici, pratiche religiose, sforzi umani di buone opere, che per quanto giuste siano non ti possono far guadagnare ciò che Dio vuole donarti in Cristo Gesù, non limitarti a sapere che Dio e amore, lasciati amare da Lui, lascia che il suo amore entri nel tuo cuore per mezzo dello Spirito Santo.

Publié dans:LETTURE DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI |on 23 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

LA TEMPESTA, IL VENTO, LO SPIRITO (PAOLO, IL VIAGGIO A MALTA)

http://www.incontripioparisi.it/lectiodivina/2003-04_Atti_degli_Apostoli/La_tempesta_il_vento_lo_spirito.html

(ho un calendarietto giornaliero, ci sono brevi citazioni dalla Bibbia per ogni giorno, oggi c’era un breve passagio sul nafragio di Paolo a Malta, ho preso la Bibbia ed ho letto il capitolo 27, così ho cercato qualcosa per riproporlo anche a voi)

LA TEMPESTA, IL VENTO, LO SPIRITO (PAOLO, IL VIAGGIO A MALTA)

Di Pino Stancari

nella miseria del mondo

Paolo, nella sua esperienza di carcerazione e di solitudine, scopre di essere sempre più disponibile ad accogliere la realtà degli uomini, la miseria del mondo, la storia con tutte le sue complessità e con tutte le sue contraddizioni. Il mistero della misericordia di Dio trova in Paolo una interlocutore sempre più docile, sempre più paziente, sempre più disponibile ad accogliere e ad offrire da parte sua quello che in totale gratuità gli viene donato.
Paolo adesso è proprio lui ad essere abitato da quel mistero. E’ proprio lui che, indipendentemente da qualunque intenzione, da qualunque moralismo, da qualunque proposito di ordine pastorale, si configura come un sacramento vivente di quel mistero che si è rivelato a noi, nella incarnazione del Figlio, nella sua Pasqua di morte e resurrezione. Ecco, con potenza di Spirito Santo c’è un cristiano in mezzo a noi, un uomo con il cuore aperto per tutte le creature, comunque siano situate – in ambienti inquinati e addirittura inabitabili sulla scena del mondo-  un cuore umano che si apre esprimendo una imprevedibile capacità di accoglienza, di benedizione, di misericordia, una disponibilità a comprendere sempre  e ad interpretare tutto in una prospettiva di amore vero e gratuito.
La situazione del nostro personaggio tende a raccogliersi in un contesto sempre più nascosto, sempre più meschino, sempre più periferico. E d’altra parte noi abbiamo constatato come per l’evangelista Luca, Paolo, in questo suo carcere a Cesarea, è un cristiano che è in grado, e non per una sua particolare virtù acquisita in base a qualche esercizio ascetico, ma proprio per come è coinvolto nel mistero di Dio e nel mistero del Signore Gesù, di accogliere il mondo, accogliere la storia degli uomini, è in grado di intrattenere ogni relazione con le creature di Dio nel tempo e nello spazio, in una dimensione di vero amore, un povero amore. D’altra parte, l’amore vero è sempre povero, non può essere vero l’amore se non è povero e nella povertà del nostro Paolo un amore sempre più autentico e aperto e libero e gratuito e universale. Gli casca nel cuore il mondo, sempre più sprofondato il nostro Paolo in quella zona oscura che lì per lì sembra dimostrare il suo fallimento irreparabile. In quel suo sprofondamento in fondo ad un abisso Paolo scopre che gli entra nel cuore, gli cade nel cuore, gli si incide nel cuore la realtà del mondo intero. A lui tutto è affidato in una gratuita responsabilità d’amore. 

l’inizio del viaggio verso Roma

Cap. 27 Il viaggio di Paolo da Cesarea a Roma. Questo racconto ci presenta una teologia della vita cristiana.
Paolo si è appellato al tribunale di Cesare, il procuratore romano ha dovuto accettare questa richiesta, anche se si è mostrato molto imbarazzato per non avere in mano una documentazione che dia motivo sufficiente a questo invio presso il tribunale di Cesare di un imputato che addirittura dovrebbe essere condannato a morte, stando alla richiesta dell’accusa. Non si riesce a determinare il contenuto di una imputazione convincente. In ogni caso Paolo deve essere rinviato. Anzi, in questo modo il procuratore romano pensa di eliminare un fastidio con il quale non vuole più fare i conti.
Fino la v. 8 sembra che tutto si svolga secondo un programma logico, coerente, lineare. Nei vv. 9-12 cominciamo a percepire alcuni segni di incertezza che pregiudicano lo svolgimento del viaggio.
« Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia ». Ritorna il pronome di prima persona plurale: noi. Lo abbiamo incontrato già precedentemente e ci siamo resi conto che quando Luca usa la prima persona plurale vuole conferire un particolare rilievo agli eventi che ci stanno narrando; sono momenti che dal suo punto di vista meritano una piena e generale partecipazione, nel senso di un coinvolgimento intenso, affettuoso, di coloro che come noi sono lettori del testo. Noi: si intende che c’è anche Luca tra coloro che adesso si imbarcano; accanto a Paolo c’è anche lui, e, se c’è lui, ci siamo anche noi. Noi, nel senso di  lettori, siamo coinvolti personalmente in questa avventura di Paolo che ricapitola tutto il lungo viaggio.
« Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta ».
La partenza viene decisa da qualcun altro, Paolo non decide, non ha voce in capitolo, obbedisce alle autorità che fanno di lui secondo quanto è di loro gradimento. Paolo è imbarcato. C’è di mezzo un centurione, di nome Giulio.
« Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d’Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica ».
Di lui si è già parlato precedentemente, dunque sarebbe anche lui presente su quella nave, almeno per un tratto del viaggio. « Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure ». Giulio è un uomo buono (philantropos, in greco). E’ interessante vedete come ci sono altri prigionieri accanto a Paolo, ci sono anche alcuni più vicini a lui per altri motivi, Aristarco, forse Luca, ci siamo noi. Il viaggio, comunque, consente contatti che precedentemente erano impediti. Luca sa bene che Paolo nel suo carcere, per quanto abbia potuto muoversi, studiare, pregare, avere contatti con gli altri all’interno di quell’ambiente così ristretto, non ha avuto contatti con l’esterno. Magari avesse avuto contatti con l’esterno! Il procuratore romano si aspettava che qualcuno intervenisse per versare somme di denaro che egli avrebbe gradito non poco. Non è avvenuto questo. Ora Paolo è in viaggio e molti contatti sono resi possibili. Il nostro Luca segnala momenti di solidarietà, di immediata simpatia, attorno a Paolo: c’è gente buona, persone brave. Il centurione è un uomo sorridente che permette  a Paolo di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. A Sidone c’è una comunità dei discepoli del Signore e Paolo può sbarcare, può sostare per qualche tempo, il tempo della sosta prevista, perché la nave è una nave che scarica e carica merci. Paolo può godere  delle cure che quegli amici gli riservano. Il nostro Luca segnala questi momenti di sollievo dopo l’esperienza del carcere.  Paolo è particolarmente gratificato per queste testimonianze di disponibilità positiva nei suoi confronti, di affettuosa comprensione, di servizievole devozione da parte di quelli che incontra. Le cose stanno così perché questi sono i fatti, ma stanno così,  perché dopo l’esperienza del carcere, Paolo è più che mai predisposto a cogliere quei segnali. Se ne accorge. Paolo è lui predisposto, motivato interiormente ad intrattenere relazioni, ad aprire il dialogo, a riscontare un gesto cortese nel centurione, o a godere delle cure benevole con cui gli amici di Sidone si occupano di lui. Sono dei fatti, ma c’è una novità che è oramai una dimensione intrinseca del nostro personaggio, una sua sapienza interiore che gli consente di gustare con cuore aperto tutte le situazioni e i segnali di una positività gratuita.

i venti

Fatto sta che di nuovo:
« Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l’Italia e ci fece salire a bordo. Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all’altezza di Cnido..  il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmone, e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa ».
Per due volte è comparso il termine animos (vento). Ci sono venti contrari, soffiano in modo tale da determinare una certa deviazione nella rotta, un certo deviamento che esige ai naviganti, per quelle che sono le tecniche dell’epoca, di ricorrere a tutti gli accorgimenti necessari per poter ancora procedere. Tutto è possibile per arrivare finalmente ad un porto che consenta di svernare. Ci sono venti contrari che impongono misure nuove al programma. Siamo all’inizio del viaggio e già la situazione si sta inquadrando. C’è un programma, ma i venti soffiano in modo tale da imporre delle soluzioni alternative. Basta questa immagine perché noi troviamo modo di re-inquadrare tutto il percorso che Paolo ha compiuto lui, in prima persona, con il suo vissuto di cristiano, con la sua esperienza di evangelizzatore,  lungo tutto quel cammino di conversione che ha consentito anche a noi di accompagnarlo. Adesso siamo insieme sulla stessa nave.
Un particolare. Negli Atti per l’ultima volta è stato usato il termine pneuma, (spirito, soffio) nel cap. 21, esattamente vv. 4 e 11, in cui si descrive la situazione nella quale intervenivano gli amici che volevano intrattenere Paolo, deciso a salire a Gerusalemme. Poi Paolo è salito a Gerusalemme, qui è stato arrestato e così via.  Dal cap. 21 in poi non succede niente. Tutto negli Atti è determinato da quella effusione di Spirito Santo che, promessa dal Signore risorto e asceso al cielo, poi si è manifestata in quella pienezza traboccante di cui Luca ci ha dato notizia nel racconto della Pentecoste. Tutto procede negli Atti in continuità con quella spinta, in obbedienza a quella corrente così energica e risoluta che oramai pervade la scena del mondo, che irrompe e raccoglie lo svolgimento della storia umana in ralazione all’evento che si è compiuto una volta per tutte: la pasqua del Figlio di Dio, morto e risorto.
Dal cap. 21 in poi non compare il termine spirito.

il mare e la nave
Dunque venti contrari e adesso noi ci accorgiamo che questo irrompere del vento diviene sempre più vorticoso, travolgente. Il mare viene spazzato dal vento, ci troveremo tra non molto in piena tempesta. Il mare è un’immagine che ricapitola la realtà della storia umana e sulla superficie del mare galleggia una nave. Anche questa è una immagine, è un pezzo di mondo, è il mondo, è l’umanità che procede nel suo viaggio, è la storia umana che espone questa realtà tutto sommato così fragile, anche se così geniale. Una nave in grado di affrontare un viaggio con  prospettive  grandiose: la traversata del mare, contatti, commerci, le tecnologie necessarie per costruire quella nave, per governarla, per renderla strumento valido al servizio di un complesso di contatti, di incontri, di scambi che raccolgono la partecipazione dell’umanità intera. La nave è l’umanità che affronta il grande viaggio. Venti. Venti che soffiano fuori programma, che soffiano contro il programma. E soffiano esprimendo il massimo delle contraddizioni. Adesso verremo a sapere che all’improvviso tutti i venti irrompono provocando uno sconvolgimento tale per cui la scena non è più oggetto di un discernimento sereno, coerente, costruttivo. La stessa nave diventa una espressione di quanto sia assurda la storia degli uomini abbandonata a se stessa. E li è Paolo. Non è più comparso il termine pneuma. Adesso siamo alle prese con una vicenda esemplare che conduce Paolo a ritrovarsi nell’occhio del ciclone, che è la storia degli uomini, là dove il vento soffia. Paolo è condotto, in obbedienza a un disegno provvidenziale da lui non programmato, nell’occhio di quel ciclone che fa di lui un uomo finalmente, pienamente carismatico, l’uomo che è in grado di discernere con piena e matura intelligenza interiore l’opera dello Spirito di Dio. La scena è il mondo e  i contenuti di questa opera che lo Spirito di Dio sta realizzando nella gratuità della sua iniziativa, sono gli abitanti della nave, gli uomini, la storia umana. Là dove l’iniziativa umana è così tragicamente sconvolta, in questa evidenza epifania di cui Paolo sta contemplando il mistero, rivelazione della iniziativa di Dio, i venti soffiano.

leggendo il libro di Giona
vv. 9-12. La  situazione comincia a diventare più preoccupante. « Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era gia passata la festa dell’Espiazione ».
Il Kippur, una festa autunnale, siamo in ottobre-novembre, siamo sulla soglia dell’inverno, è già inverno. Non è più consigliabile navigare. E’ vero che l’equilibrio climatico po’ variare da un anno a quell’altro, quindi bisogna intendersi di queste cose e scegliere con competenza.
« Paolo li ammoniva dicendo: Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite ».
Questo è l’oggetto della preoccupazione di Paolo: le nostre vite. Nostre, dal momento che siamo insieme sulla stessa nave, perché questa è un’unica storia, è l’unica storia umana, e siamo tutti insieme e su quella nave ci sono tutti: marinai, commercianti, soldati, centurione, Paolo, forse con lui c’è qualcuno dei suoi, o forse è solo, gli altri sono rimasti indietro. E’ un’unica storia e  la vita di tutti è proprio questa nave, il campione rappresentativo dell’umanità intera. Non è un fatto nuovo nella rivelazione. Ci sono altri testi dell’AT che possiamo senz’altro interpretare alla luce di questa stessa immagine simbolica. Tanto per ricordarne uno il libro di Giona profeta e il viaggio di Giona su quella nave che si trova nella tempesta e che non può procedere nel suo viaggio, fino a quando Giona, proprio lui, scenderà dalla nave.
E’ come se lo stesso Paolo stesse leggendo il libro di Giona, stesse facendo la sua lettura spirituale, stesse facendo la sua  lettura biblica, quotidiana: mentre affronta il viaggio in nave, sta leggendo la storia di Giona profeta, che è la sua storia. Qui c’è il rischio che siano compromesse le nostre vite. E’ in questione la vita degli uomini, è in questione il senso complessivo e universale della storia umana. E per Paolo non c’è dubbio: il senso della storia umana si illumina in una prospettiva di salvezza. In questa prospettiva  bisogna assumersi delle responsabilità, bisogna esercitare esercitare le proprie competenze, per la salvezza, in obbedienza a questo disegno. Paolo non ha alcun dubbio: è meglio non procedere nel viaggio perché si pregiudicherebbe la salvezza delle nostre vite. Fatto sta che invece, quelli che hanno potere di decidere in un caso come questo, stabiliscono un comportamento ben diverso.

la tempesta
« Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo. E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l’inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale ». A sud-ovest, a riparo dai venti freddi, in un porto più accogliente. Compaiono i nomi dei venti: libeccio, maestrale. Nei vv. 13-26  siamo nel pieno della tempesta.
« Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta »
Un vento meridionale discreto e gradevole, che consente dunque di muoversi lungo la costa sud di Creta, senza temere l’irruenza dei venti invernali, venti che vengono da nord. « Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l’isola un vento d’uragano, detto allora Euroaquilone ». E’ la bora, è la tramontana, è vento da nord-est. Non c’è niente da fare, il vento vince l’iniziativa gestita con tanta meticolosa puntualità, energia, attenzione, lucidità da coloro che hanno armato la nave, l’hanno costruita, la sanno condurre, la sanno utilizzare.  Il vento vince, un vento d’uragano detto allora Euroaquilone. « La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva ». Siamo in piena tempesta, c’è il vento e poi le correnti, le onde, i flutti, i marosi. Non c’è niente da fare, non è più possibile controllare la nave, governarla, in nessun modo. Questa è la storia umana: dove va? L’iniziativa umana dove conduce il bastimento? Dove stiamo andando a finire? Appunto, è la fine, è il naufragio. Quale situazione si prospetta? Paolo ha detto fin dall’inizio che il senso di questa storia nostra è dato da una prospettiva di salvezza. Ma qui siamo alle prese con una situazione che incombe sempre più drammaticamente come premonizione di una tragedia irreparabile: il vento vince.
« Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti.. calarono il galleggiante e si andava così alla deriva ».
Il galleggiante è una specie di freno che dovrebbe consentire alla nave di sostenere  l’impatto con le onde, in ogni caso la nave non è più governabile.
« Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico ».
E’ il motivo per cui la nave è stata messa in grado di compiere il viaggio: per trasportare quel carico. Adesso il carico è abbandonato appunto perché si riduce all’essenziale: la sopravvivenza di coloro che sono raccolti, raggomitolati, rannicchiati su quella nove che orami è trascinata dal vento nel vortice di una tempesta indomabile.
« Il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l’attrezzatura della nave ». Non solo il carico, ma anche l’attrezzatura. « Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta ». C’è una disperazione circa la salvezza, salvezza nel senso del viaggio e nel senso della storia umana. Paolo fin dall’inizio aveva detto la sua: guardate che qui è in questione la salvezza delle nostre vite; la vita umana è il senso della storia degli uomini. Non salvezza come obiettivo privilegiato riservato ad alcuni, ma  il senso della storia umana, la storia di tutti, di tutti quelli che sono su quella nave, che è lo stesso bastimento in cui tutti sono coinvolti nella medesima vicenda. E li c’è Paolo! Paolo evangelizzatore, poi carcerato,  adesso si trova coinvolto in questa vicenda sconcertante. Al di là di ogni programma, si rende conto di essere inserito nella storia degli uomini al punto di condividere la medesima tragedia e la medesima sorte. Intanto il cielo è oscurato. Da vari giorni non comparivano più né sole né stelle. Siamo al buio. Nei vv. 21-26, nel contesto di quella tempesta, là dove il vento è vincitore. Il vento. Si riparla di un soffio, di un fiato, di un sospiro, di una potenza che irrompe nella storia degli uomini. L’immagine è diventata una esperienza empirica: la superficie del mare è sconvolta dal vento. Se ne riparla dopo che per un pezzo  avevamo perso la memoria dello Spirito di Dio. Ma dove è andato a finire lo Spirito?

lo Spirito che travolge e trascina
Lo Spirito di Dio soffia, irrompe, invade, trascina, travolge. La storia degli uomini nella tempesta precipita verso una fine disgraziata. Gli uomini, spaventati e disperati come sono, riescono soltanto a immaginare come tutto si concluderà in un naufragio infernale. C’è Paolo su quella nave e Paolo è in grado di interpretare il senso di quello che sta avvenendo. Paolo è profeta, evangelizzatore, non tanto perché elabora un certo messaggio e poi lo propone. Non soltanto questo. Paolo evangelizzatore si esprime con quel linguaggio profetico che nella maniera più immediata e diretta testimonia da parte sua qual è la interpretazione da dare a quella scena, a quel disegno, a quel complesso di eventi nel quale la nave è travolta. Là dove il vento soffia è l’opera di Dio che si compie, e l’opera di Dio si compie mentre così potentemente squalificata è l’iniziativa umana. In questo sconquasso generale niente resta più come prima, ma una novità che è in tutto  e per tutto affidata all’iniziativa di Dio si sta manifestando. Di questo nessuno può parlare, a riguardo di queste cose nessuno può rendere testimonianza, se non Paolo.
« Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse »
Il fatto che non si mangi conferma lo stato di disperazione generale, sono tutti diventati anoressici e non c’è più il gusto del cibo, non c’è più un’istanza che  motivi dall’interno la speranza di vivere. Paolo interviene e dice: « Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta.. avreste evitato questo pericolo e questo danno. Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave ».
Paolo insiste, e questa  terminologia che già abbiamo riscontrato precedentemente, adesso viene ripresa quasi come un ritornello: non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, questa non è una storia per la perdizione, ma per la salvezza. Questa è storia di salvezza, proclama Paolo, intanto siamo in mezzo alla tempesta, i venti turbinano, la nave è derelitta come un guscio di noce esposto ai moti ondosi più incontrollabili. Questa è una storia di salvezza, dice Paolo. E spiega: non ci sarà perdita di vite ma solo della nave. Niente resta più come prima, è veramente un mondo quello che si prospetta. La nave si sta consumando,  sbriciolando, è vero, ma tutto questo non in una prospettiva di  perdizione per la vita degli uomini, ma di una salvezza per la vita umana, attorno alla quale è un mondo nuovo che si sta delineando. E’ una nuova creazione.
Non è la prima volta che si parla del mare nella rivelazione divina. E’ come se questa esperienza del viaggio con la tempesta e con il naufragio, acquistasse  nel racconto degli Atti degli apostoli, il significato del grande battesimo di Paolo, battesimo che in realtà è già avvenuto per lui fin dall’inizio della sua vita cristiana, ma è un battesimo che adesso lo riguarda nell’esercizio dell’evangelizzazione, nel momento in cui è coinvolto nell’unico disegno che coinvolge la sorte dell’umanità intera. Stiamo andando a fondo, stiamo facendo naufragio, stiamo morendo perché è l’opera di Dio che si compie. L’opera di Dio non è per lasciare alla morte l’ultima parola. E’ l’iniziativa umana che giunge a questo termine, ma l’opera di Dio si compie in modo tale da instaurare una novità che apre prospettive di vita oltre la morte. Questo vale per ogni singola creatura che oramai è battezzata in Cristo morto e risorto. Questo riguarda il senso della storia umana, il senso della grande tempesta. Il naufragio, cui non si sfugge, è il battesimo. « Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione ».

bisogna che
Siccome ci sei tu che devi andare fino a Roma, tutti gli altri verranno con te. C’è una necessità: « bisogna che ». Questo è un verbo usato a più riprese dal nostro evangelista Luca, « è necessario che »… questo è un disegno provvidenziale.  Paolo deve arrivare a Roma: non c’è una prospettiva per te, non c’è una sorte per te, un disegno per te, una vocazione per te, che non sia la storia dell’umanità intera. E così come nel tuo battesimo, Paolo, tu sei condotto lungo un cammino di conversione per morire e risorgere in comunione con il Signore vivente, bene, vedi che questo è il senso della storia umana. Paolo sta realizzando in pienezza il suo ministero di evangelizzatore nel momento in cui, di per sé, sta condividendo il viaggio degli uomini che sono alle prese con una tempesta indomabile su quella stessa nave. Perciò dice Paolo: « Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. E’ inevitabile che andiamo a finire su qualche isola ». C’è una necessità, anche qui ritorna in greco quello stesso verbo: « è necessario che »… C’è una necessità per me, c’è una necessità per voi, un’unica necessità, un unico disegno di salvezza universale.
Nei vv. 27-44, il naufragio. Il testo si suddivide in tre quadri. Primo quadro, vv. 27-32: la notte. Secondo quadro, vv. 33-38, l’alba. Terzo quadro, vv. 39-44, il giorno. E’ una sequenza che ci rimanda immediatamente alle misure della Pasqua. Anche noi celebriamo il grande, unico evento in cui tutto si ricapitola, nel passaggio dalle notte fonda all’alba e al giorno.

la quattordicesima notte
 Primo quadro, notte. « Come giunse la quattordicesima notte ».. Due settimane per dire che è sempre notte, è una notte permanente, una notte senza luna, è una totale immersione nei flutti della storia umana, sotto una cappa oscura che impedisce di contemplare orizzonti che siano nuovi e aperti rispetto a quell’angolo ristretto e oscuro nel quale ci si sta seppellendo.
« Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo ».
Questa è la preoccupazione di Paolo: la salvezza di tutti su quella nave. I marinai non possono trovare una soluzione loro, privata, usando gli strumenti a loro disposizione, una scialuppa. « Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare ». La sorte è comune, nel buio della notte, nella condivisione della paura che è già un modo di realizzare un drammatico, ma intenso evento di comunione su quella nave.

l’alba .. e spezzò il pane
Secondo quadro, l’alba. « Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo ». All’alba Paolo incoraggia tutti a prendere cibo. Attenzione a questo « oggi »:  questo è un avverbio di tempo molto caro a Luca. « Oggi » è nato per voi (Lc 2,11), « oggi » queste parole si compiono (Lc 4,11), « oggi » io mi fermo a casa tua (Lc 19,5), « oggi » con me in paradiso (Lc 23,43). Qui è Paolo che dice « oggi », e questo « oggi » è l’alba che spunta, dopo quella notte; è all’interno di quella notte che sorge questo giorno nuovo che si chiama « oggi »: « Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto ». Un’affermazione che ricorre in Mt 10,30. Paolo incoraggia, in modo molto semplice e comprensibile. E’ gente affamata, allo sbando, disperata. Rifocillatevi. Ma guardate adesso il gesto che compie Paolo. « Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare ». Paolo celebra l’eucarestia. Eucaristeo è un verbo molto forte, intenso, potente, teologicamente inconfondibile. E’ la grande preghiera di benedizione, è l’eucarestia. E’ la sua grande benedizione sul mondo. Il mondo più mondo di così non potrebbe essere per Paolo. E’ un mondo allo sbando, sull’orlo dell’abisso, esposto al naufragio, e di fatto il naufragio è in corso. Paolo celebra l’eucarestia sul mondo: spezzò, mangiò. Il gesto da lui compiuto, già diventa incoraggiamento per altri, che pure non sono in grado di interpretare il valore sacramentale dell’eucarestia celebrata da Paolo. « Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo ». Tutti vengono sollecitati dal gesto compiuto da Paolo, sono scossi nell’animo, percepiscono un impulso che li riconcilia con la speranza di una vita piena, di una vita nuova, vera. Presero cibo, di quello che avevano conservato. « Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare ». Adesso non c’è più bisogno del cibo che avevano conservato, che tra l’altro avevano conservato rimanendo digiuni. Adesso hanno mangiato, perché Paolo all’alba, ha celebrato l’eucarestia, da solo, tutto solo, ma il gesto acquista una efficacia sacramentale che va al di là della comprensione a cui sono disponibili coloro che sono stati catechizzati, qualora su quella nave ci fossero già dei cristiani in grado di partecipare all’eucarestia. C’era lo stesso Luca? Ce lo chiedevamo fin dall’inizio. Paolo celebra l’eucarestia, è la grande preghiera di benedizione sul mondo, là dove oramai non c’è  più dubbio. Lo sconquasso che è determinato dal vortice dei venti è opera di Spirito Santo, perché in questo sconquasso generale tutto viene travolto perché tutto sia trasformato in comunione con la novità unica e definitiva: il corpo glorioso del Signore Gesù che è risorto dai morti. Oggi tutto si consuma, si disintegra, viene meno, perché oggi tutto si rinnova in Cristo.

l’approdo
Terzo quadro. Adesso è il giorno fatto. « Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra ». Adesso si vede la terra, la nave è ancorata, « ma notarono un’insenatura con spiaggia » E’  un kolpos: Questo termine nel NT compare in alcuni momenti strategici. Per esempio è usato da Giovanni quando parla di quel discepolo amico che appoggia il capo sul seno del maestro durante l’ultima cena (Gv 13,23). C’è un seno, uno spazio interiore, che allude a un certo gioco che la veste portata da questi antichi consentiva di trasformare il drappeggio in una specie di tasca. E’ un kolpos, uno spazio interiore, un grembo. E anche questa terra che appare all’orizzonte ha un kolpos, ha una spiaggia, un’insenatura, un grembo che ti accoglie. Noi stiamo naufragando  e stiamo precipitando nel grembo di un mistero che ci chiama alla vita.
« Decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia ».
Di nuovo il vento, questa volta è una brezza che li per li, dopo la grande tempesta sembra ancora di potere controllare, per cui mettono in funzione la vela maestra e muovono verso la spiaggia. « Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde ».
Non c’è niente da fare, la nave non può arrivare fino a riva. « I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, ma il centurione, volendo salvare Paolo impedì loro di attuare questo progetto ».
Per salvare Paolo, perché la salvezza di Paolo è inseparabile dalla salvezza degli altri. La vita di Paolo è la vita degli uomini, è la vita di tutti, è il senso della storia umana, è un battesimo in corso. E l’evangelizzazione cui Paolo è consacrato oramai da tanto tempo, è orientata a illustrare la definitiva pregnanza sacramentale di questo unico e immenso battesimo che coinvolge la storia di tutti gli uomini e tutte le creature di questo mondo, perché tutto sia riconciliato in Cristo, perché tutto sia convertito e trasformato, perché tutto sia redento, perché tutto sia filtrato in comunione con la sua morte e resurrezione.
Adesso il centurione « diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra ».

SAN PAOLO AD ATENE (ATTI, 17,16- 34)

http://www.marcellocaleo.it/San-Paolo-ad-Atene.pdf

(è un pdf ho dovuto stringere molto il testo)

SAN PAOLO AD ATENE (ATTI, 17,16- 34)

Agli amici Domenico Catalano, Matteo Nicola Carbonelli e Vito Russo

1. Per molti anni ho insegnato filosofia teoretica e, obtorto collo, mi sono imbattuto nel discorso tenuto ad Atene all’Areopago dall’ Apostolo Paolo. Pensavo di sapere tutto. Ma sapere non è conoscere. Come una cosa è la verità, altra cosa la verità tutta intera. Quel poco che avevo saputo è stato da me messo in scritto nel mio Apokolokyntosis dei filosofi nei discorsi del Simposio. Ma vedo che non è sufficiente. Anche perché da quello sguardo sintetico erano rimasti fuori altri particolari disseminati qua e là in altri miei scritti, specie nel primo dei due volumi: La filosofia della polis della mia La città e le leggi. Un altro contributo alla verità tutta intera spero di poterlo dare oggi, oggi che mi trovo a dover contestare la versione che di quel discorso è stata data da filosofi travestiti da teologi nella Bibbia interconfessionale. Lo leggeremo – al solito – alla luce del testo greco originale.
 2. 16Mentre Paolo aspettava Sila e Timòteo ad Atene, fremeva dentro di sé nel vedere quella città piena di idoli.
17Nella sinagoga invece discuteva con gli Ebrei e con i Greci credenti in Dio. E ogni giorno, in piazza, discuteva
con quelli che incontrava. 18Anche alcuni filosofi, epicurei e stoici, Si misero a discutere con Paolo. 2
Alcuni dicevano: ‘Che cosa pretende di insegnarci questo  ciarlatano?’. Altri invece sentendo che annunziava Gesù e la risurrezione osservavano: ‘A quanto pare è venuto a parlarci di divinità straniere’. Fermiamoci e riflettiamo confrontando questo passo con il testo greco:   [ qui c'è il testo greco] ( E mentre Paolo li attendeva in Atene, faceva soffrire lo spirito che era in lui in lui stesso, vedendo quella città abbandonata all’idolatria. Disputava egli pertanto nella sinagoga con i Giudei e con i proseliti, e nel foro ogni giorno con chi vi si incontrava. E alcuni filosofi Epicurei e Stoici lo attaccavano, e alcuni dicevano: Che vuole dire questo logorroico? Altri poi: Pare che sia messaggero di nuovi dei, perché annunziava loro Gesù e la resurrezione ).
 3  di mostrare le differenze – se pure ce ne fosse bisogno – vorrei ricordare che gli Stoici ponevano al vertice di ogni cosa il Logos e che gli Epicurei negavano alla morte ogni potere, anche quello di incutere paura. Ora, dando del logorroico all’Apostolo, gli Stoici negavano di fatto quello che ammettevano e cioè l’esistenza del Logos. Del Logos come continuo discorso. E gli Epicurei prendendosi gioco della resurrezione dei corpi, si mostravano schiavi della morte. La premessa mi sembrava indispensabile, perché credo di aver dimostrato nel mio citato I filosofi della Polische la morte a Roma di san Paolo, di cui si ignorano gli atti processuali e i capi di accusa, fu voluta proprio dai filosofi. Stoici ed Epicurei. Gli stessi che ad Atene portano ora in tribunale l’Apostolo. La mia – come dire – ricostruzione è difficile. Perché si fonda sulla decifrazione di quello
epistolario Seneca-San Paolo dichiarato sbrigativamente apocrifo. Ora è possibile portare una seconda testimonianza. E su due testimonianze, siamo nella verità. Intanto mostriamo le differenze tra le due versioni. La nuova versione porta scritto: fremeva dentro di sé nel vedere quella città piena di idoli. La versione originale: faceva soffrire lo spirito che era in lui in lui stesso, vedendo quella città abbandonata all’idolatria. Ora, freme chi è impaziente o in attesa. E dunque se l’Apostolo fremeva – come dicono – nel vedere quella città piena di idoli, vuol dire che non si stancava di vedere gli idoli della città. Ne era, come dire, estasiato. Ma san Paolo riceveva dallo spirito santo nel suo corpo la sofferenza per l’idolatria cui si abbandonava un intera città. Una città all’apparenza sacra. Piena invece di immagini di demoni. Ed è a motivo della idolatria se
disputava nella Sinagoga con Giudei e proseliti e non si lasciava sfuggire l’occasione di parlarne con chi incontrava nell’agorà. Ma i nuovi traduttori ci danno questa versione:Nella sinagoga invece discuteva con gli Ebrei e con i Greci credenti in Dio. E ogni giorno, in piazza, discuteva con quelli che incontrava. Domanda: secondo costoro di che discuteva? Non certo di idolatria, ma di altro, se dicono che in sinagoga invece discuteva ecc. Lo sport era un argomento sacro per i Greci. Allora certamente disputava di sport. Lui che pure non aveva né la passione né le physique du rôle. Avremmo finito. Pure non si può non notare che l’espressione: A quanto pare è venuto a parlarci di divinità straniere! è posta come a conclusione della disputa. Non è
un assurdo? Se la disputa si conclude con un’ opinione, allora dove è la disputa? La disputa presuppone opposte tesi. Convincimenti contrapposti. L’opinione è frutto dell’ascolto. E chi ascolta, non ribatte, ma riflette. Avrebbero portato in tribunale l’Apostolo se i filosofi lo avessero ascoltato? E’ che nel loro fanatismo non ammettevano ipotesi diverse dalle loro tesi. 2. Per questo – proseguono – lo presero e lo portarono al tribunale dell’Areòpago. Poi gli dissero: ‘Possiamo sapere cos’è questa nuova dottrina che vai predicando? 20Tu ci hai fatto ascoltare cose piuttosto strane: vorremmo dunque sapere di che cosa si tratta’. 21Infatti per tutti i cittadini di Atene e per gli stranieri che vi abitavano il passatempo più gradito era questo: ascoltare o raccontare le ultime notizie.5 Non meraviglia se il testo greco ci pone sotto gli occhi una diversa versione dei fatti. E infatti si dice: ( E avendolo preso, lo condussero all’Areopago, dicendo: possiamo noi sapere quel che sia questa dottrina, di cui tu parli? Dal momento che tu ci suoni alle orecchie certe nuove cose; vorremmo dunque sapere quel che ciò sia. Ora
gli Ateniesi tutti e i forestieri ospiti a nessuna altra cosa badavano che a dire o ascoltare qualcosa di nuovo. ) Il periodo – nella nuova versione – comincia con: Per questo lo presero e lo portarono al tribunale dell’Areòpago. Si capisce perché l’Apostolo era venuto a portare una dottrina nuova. E sia. Ma perché ripetere due volte la stessa motivazione? Riscatta, evidentemente, ora nei nuovi traduttori, allora nei filosofi Stoici ed Epicurei, un meccanismo di autodifesa che previene una novità che già
fiutano come nociva. Non basta. Perché nella nuova traduzione si dice anche: Possiamo sapere cos’è questa 6 nuova dottrina che vai predicando? Domanda: se si tratta di predica, dov’è la novità? Nella predica infatti si dicono e si ripetano sempre le stessa cose. E la novità? La novità è espressa come meglio non si potrebbe con la versione originale, perché si dice: tu ci suoni alle orecchie certe
nuove cose. Al posto della predica c’è la meraviglia. E la meraviglia desta la curiosità e la curiosità l’indagine. Per cose vecchie non si trascina nessuno in tribunale. Per le nuove, il sospetto è il primo giudice. Non metterebbe conto notare il resto. Ma sconcerta l’espressione finale:Infatti per
tutti i cittadini di Atene e per gli stranieri che vi abitavano il passatempo più gradito era questo: ascoltare o raccontare le ultime notizie. Domanda: Ultime notizie e cose nuove hanno lo stesso senso?
Le ultime notizie presuppongono le prime, ne sono una conseguenza. Mentre le cose nuove si pongono in principio. Da esse ne scaturiranno altre, le nuovissime, visto che le prime sono le nuove. Stando così le cose, sia gli Stoici che gli Epicurei non ignoravano le cose che tormentavano l’apostolo Paolo nel suo cuore. 3. Paolo – continuano – allora si alzò in mezzo all’Areòpago e disse: ‘Cittadini ateniesi, io vedo che voi siete persone molto religiose da tutti i punti di vista. 23Ho percorso la vostra città e ho osservato i vostri monumenti sacri; ho trovato anche un altare con questa dedica: al dio sconosciuto. Ebbene, io vengo ad annunziarvi quel Dio che voi adorate ma non conoscete. 7 Siamo entrati nel cuore del problema e non possiamoesimerci dal trovare la soluzione di un enigma che persiste da molto tempo. Cercheremo aiuto nel testo originale. E’ scritto: ( E Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areopago, disse: Uomini Ateniesi, io vi vedo in tutte le cose quasi più che religiosi. Infatti passando io, e considerando i vostri simulacri, ho trovato anche un altare sopra il quale era scritto: Al Dio Ignoto. Quello dunque che adorate senza conoscerlo, io annunzio a voi. ) Non si può non notare che nelle versione originale Paolo stava in piedi. Mentre nella nuova si dice che si alzò ecc. Ora in un tribunale si alza l’oratore o l’avvocato, non certo l’imputato. Costretto appunto a stare in piedi perché fosse additato a tutti. Le prime parole che suggeriscono a Paolo sono: Cittadini ateniesi, io vedo che voi siete persone molto religiose da tutti i punti di vista. I punti di vista – come dicono – saranno molti. Però si riducono sempre a due. Quello della fede e quello della ragione. Domanda: chi è religioso sia dal punto della fede che da quello della ragione non dubita? Se dubita è un filosofo non un religioso. Il che 8
significa che il Paolo che si alza in piedi è considerato un filosofo. Uno di quei filosofi usi a frequentare più le aule dei tribunali che le sinagoghe giudaiche. Aggiungono anche: Ho percorso la vostra città e ho osservato i vostri monumenti sacri; ho trovato anche un altare con questa dedica: al dio sconosciuto. Mentre, come abbiamo visto, la versione originale porta scritto: Infatti passando io, e considerando i vostri simulacri, ho trovato anche un altare sopra il quale era scritto: Al Dio Ignoto. Nel primo caso,
sembra che Paolo passeggi per la città per visitare i monumenti sacri. . Mentr’egli è costretto – passando – a osservare – come dice – i vostri simulacri. Domanda: L’idolatria non consiste nel creare immagini di dei simili a sé? Questo tratto dell’idolatria è presente in un detto di Senofane che dice pressappoco: se i cavalli fossero in grado di fare opere d’arte come lo siamo noi, simili a sé avrebbero
fatto i loro dei. Fa parlare le bestie, ma il riferimento alle oscenità bestiali di certe statue è evidente. E siamo all’altare con la scritta: Αγνωστω Θεω. Viene tradotto con dotta ignoranza: Al dio sconosciuto. La traduzione è beffarda. E la scena della beffa o, se si preferisce, la cena della beffa, è rappresentata nel Simposio di Platone, del quale mi sono occupato nel mio: Apokolokyntosis dei filosofi nei discorsi del Simposio. Chi è questo Dio sconosciuto? Ma Eros del quale nei fumi del vino i filosofi tessono le lodi. San Paolo che non conosce il doppio senso di espressioni che sono, come dire, il sale di ogni enigma,
capisce come legge e cioè: Al Dio Ignoto. Ma per i filosofi ciò che è noto non è conosciuto. O, se si vuole, noto e conosciuto sono la stessa cosa. Giuste le due facce di Eros, 9 che solo se conosciuto, diventa veramente noto. Verrebbe da concludere. Ma c’è sempre la coda da scorticare. E la coda è rappresentata dalle parole: Ebbene, io vengo ad annunziarvi quel Dio che voi adorate ma non conoscete. Il testo greco invece dice: Quello dunque che adorate senza conoscerlo, io annunzio a voi. Domanda: di Dio in Atene non c’erano i simulacri? Più immagini di Dio sono più dei. E se ci sono più dei, come si può dire che Dio non sia conosciuto? Alla pluralità infatti si arriva per mezzo della
conoscenza. E la conoscenza è amore. Ed ecco che Eros assurge a sostanza di tutte le divinità. Sia di quelle celesti che delle divinità infernali. Eros come divinità bifronte. Come amore coniugale e come amore omosessuale. Ma San Paolo in queste oscenità non entra. Tanto che non nomina Dio. Perché sapeva che nessuno aveva conosciuto Dio, se non il Figlio che era uscito da Dio. E la persona che
annuncia è il Figlio di Dio nella sua natura umana e non divina. Ridotto da persona a cosa per la nostra salvezza. Ecco: quello che fanno finta di non sapere gli uomini ateniesi è la riduzione a cosa della persona umana, proprio loro che per antico detto furono definiti eterni fanciulli dal vecchio sacerdote egiziano. Strumenti dunque di piacere per i sacerdoti: definiti vecchi ma solo per meglio evidenziare la dialettica dell’amore omosessuale. 4. E siamo al discorso che San Paolo pronunciò davanti
all’Areopago. I sensi sono predeterminati e perciò leggiamoli nel riflesso dell’uno con l’altro.
‘Egli – gli fanno dire i nuovi evangelisti – è colui che ha fatto il mondo e tutto quello che esso contiene. Egli è il 10 Signore del cielo e della terra, e non abita in templi costruiti dagli uomini. 25Non si fa servire dagli uomini come se avesse bisogno di qualche cosa: anzi è lui che dà a tutti la vita, il respiro e tutto il resto.26 Nel testo greco si dice:  ( Il Dio che ha creato il mondo, e le cose tutte che sono in
esso, essendo egli il Signore del cielo e della terra, non abita in templi manufatti, ed egli non è servito dalle mani degli uomini, come se avesse bisogno di qualcosa, egli che dà a tutti la vita, il respiro e tutte le cose.) Non si può non notare che la farsa del Dio sconosciuto viene ripresa. Infatti ora che l’Apostolo comincia – riprendendo il discorso del libro della Genesi – con il termine Dio, essi cominciano con il termine Egli. Un Io generico – tale è il significato di Egli – può mai fare tutte le cose? Non le può fare o creare. Perché le cose si riconoscono dal nome. E un io generico come può chiamare per nome le cose che non sono? Aggiungono anche : Egli è 11 il Signore del cielo e della terra ecc. Domanda: il Signore
non è colui che possiede tutte le cose? Ora, se il Signore è colui che possiede tutte le cose, il Signore non può essere uno sconosciuto. Un Egli come dicono i nuovi evangelisti. Deve essere per forza Dio. E cioè Colui che ha creato tutte le cose e perché le ha create ne vanta il possesso o il diritto.
Ma c’è di più. Perché mentre Dio non può abitare in templi costruiti dagli uomini, lo sconosciuto Signore non può non abitare in templi manufatti dagli uomini ed essere servito dagli uomini. La ragione? La ragione sta nel fatto che solo nella riduzione degli uomini a servi, lo sconosciuto può
assurgere alla dignità di Signore. Stiamo dicendo una cosa nuova? No. Perché il concetto è in Seneca. E dunque è parte integrante della visione stoica del mondo. La farò breve anche perché l’analisi l’ha fatto nel mio commento alle Lettere a Lucilio. Seneca così ragiona: Sono servi dunque sono uomini. Così ragionando non pone l’identità al posto della distinzione? Infatti l’essere uomo è fatto scaturire
dall’essere servi. Dunque, Seneca non si batte per la liberazione dell’uomo dalla schiavitù. Ma ragiona come se l’essere schiavo per l’uomo sia una condizione di natura. Ma Dio – dice l’Apostolo – non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa, egli che dà a tutti la vita, il respiro e tutte le cose. E come può essere sconosciuto Dio se a tutti dà la vita, il respiro e tutte le cose
senza pretendere niente in cambio? Se dà quello che ha, chi le riceve ha le stese cose che Dio ha. Siamo all’eguaglianza, o al principio di libertà per cui tutti siamo come Egli è. Ma ritornando a Seneca non è strano che egli da gran Signore qual era non dica: sono servi dunque sono Signori invece di 12
dire sono servi dunque sono uomini? E proseguono – invece che con il discorso di San Paolo – con le teorie stoiche. 5. ‘Da un solo uomo Dio ha fatto discendere tutti i popoli, e li ha fatti abitare su tutta la terra. Ha stabilito per loro i periodi delle stagioni e i confini dei territori da loro abitati. 27Dio ha fatto tutto questo perché gli uomini lo cerchino e si sforzino di trovarlo, anche a tentoni, per poterlo
incontrare. In realtà Dio non è lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Anche alcuni vostri poeti l’hanno detto: ‘Noi siamo figli di Dio’. In greco c’è scritto:
( E fece da un solo la progenie tutta degli uomini, che abitasse tutta quanta la estensione della terra, avendo definiti gli statuti dei tempi,, e i confini della loro abitazione: Perché cercassero Dio, se mai lo rinvenissero, 13sebbene egli non sia lontano da ciascuno di noi. Dal momento che in lui viviamo, e ci moviamo,e siamo: come anche qualcuno dei vostri poeti han detto: di Lui infatti siamo progenie. )
Pongono, dunque, in principio sulla bocca di San Paolo le parole: ‘Da un solo uomo Dio ha fatto discendere tutti i popoli, e li ha fatti abitare su tutta la terra. Ha stabilito per loro i periodi delle stagioni e i confini dei territori da loro abitati. Mentre, come abbiamo letto, San Paolo dice: E fece da un solo la progenie di tutti gli uomini ecc. La differenza? La differenza sta nel termine εθνοσ arbitrariamente inteso dai nuovi evangelisti come popolo mentre il suo significato
è progenie o, se si vuole essere più aderenti al termine greco, etnia. E con tale termine si indica la discendenza divina. La stirpe degli eroi, degli eletti e così via. Possono mai avere qualcosa in comune le etnie e il popolo, gli dei e gli uomini? Non possono. Non fosse altro perché i popoli
non discendono εξ ενοσ ma sono un agglomerato di razze e di individui. La cui formazione dipende dai luoghi dove abitano. Invece perché l’uno diventi i molti è necessario che i suoi discendenti abitassero tutta quanta la estensione della terra avendo fissati i tempi determinati e i confini delle loro abitazioni . In parole povere, che invadessero territori occupati dai popolo per organizzarsi a Città Stato.
Domanda: le Città Stato non furono fondate tutte da esseri divizzati? Se lo furono, come Ovidio nella Metamorfosi racconta di Crotone, il racconto vale per tutte. Domanda: perché Dio lasciò che si costituissero le Città Stato? San Paolo dice: affinché esse lo cercassero. Ma ecco vanificata 14
la speranza di Dio: 7Dio ha fatto tutto questo perché gli uomini lo cerchino e si sforzino di trovarlo, anche a tentoni, per poterlo incontrare. Se non sono le Città Stato che lo devono cercare, ma gli uomini, allora per i nostri nuovi traduttori, vuol dire che Dio è rifiutato a priori dalle Città
Stato o dalle Città dei migliori. E ad Atene l’Apostolo non poteva non trovare l’idolatria. Avremmo concluso. Ma non possiamo ignorare l’espressione finale: In realtà Dio non è lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Anche alcuni vostri poeti l’hanno
detto: ‘Noi siamo figli di Dio’.  Nel testo originale è detto : quantunque egli non sia
lontano da ciascuno di noi ecc. La differenza? Abissale. Perché nel primo caso, nel caso presentato dai nuovi traduttori, si dà a intendere che Dio è vicino a ciascuno dato il posto che occupa nell’universo. E dunque è per natura che è vicino a ciascuno. Nel secondo caso, nel caso della versione originale, Dio è vicino a ciascuno per sua volontà o scelta, non per natura. Si deve ricordare che Dio – per i
filosofi – abita in cielo un posto fisso? Indifferente alle sorti degli uomini? Ecco: San Paolo di Dio annunzia una cosa nuova: la sua scelta di stare vicino a ciascuno, se pure lo si rifiuti. Avremmo concluso. Ma anche nella citazione di Arato – se il poeta è Arato – le distanze tra San Paolo e i
nuovi Ateniesi rimangano abissali. Infatti San Paolo cita Arato così: Noi siamo di lui progenie. Mentre il verso di Arato nella nuova versione suona così: Noi siamo figli di Dio. Ora, una cosa secondo indiretta. E San Paolo che parla del Figlio di Dio come dell’Unigenito dal Padre poteva mai pensare a Dio
come al padre di uomini e dei? Padre di tutti mentre non è che il Padre di uno solo? 5. ‘Se dunque noi veniamo da Dio non possiamo pensare che Dio sia simile a statue d’oro, d’argento o di pietra
scolpite dall’arte e create dalla fantasia degli uomini. 30Ebbene: Dio, ora, non tiene più conto del tempo passato, quando gli uomini vivevano nell’ignoranza. Ora, egli rivolge un ordine agli uomini: tutti dappertutto devono convertirsi. 31Dio infatti ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia. E lo farà per mezzo di un uomo, che egli ha stabilito e ha approvato davanti a tutti,
facendolo risorgere dai morti’. Siamo davanti al pezzo finale pieno di lordura e falsità. Perché infatti il testo greco riferisce ben altre cose. E’ scritto infatti: 16 ( Essendo dunque noi progenie di Dio, non dobbiamo stimare che l’esser divino sia simile all’ oro, o all’ argento, o alla pietra scolpita dall’arte, e dall’invenzione dell’uomo. Ma sopra i tempi di una tale ignoranza avendo Dio chiusi gli occhi, intima adesso agli uomini, che tutti in ogni luogo facciano penitenze. E per questo motivo ha fissato un
giorno, in cui giudicherà con giustizia il mondo per mezzo di un uomo stabilito da lui, come ne ha fatto fede a tutti con risuscitarlo da morte) Cerchiamo di mostrare ora le differenze una per una. La
prima: mentre nella nuova versione si dice: … non possiamo pensare che Dio sia simile a statue d’oro ecc. mentre nel testo originale si dice: … non dobbiamo stimare che l’essere divino sia simile ecc. ecc. Domanda: non confondono la natura di Dio con l’immagine di Dio? Ora, se è vero che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, allora pensare che l’immagine di Dio sia simile alla nostra non è peccato. E’ peccato pensare che la natura di Dio sia simile all’oro e via dicendo, come se spirito e materia fossero la stessa cosa. La seconda: mentre essi traducono: Ebbene: Dio, ora, non tiene conto del tempo passato, quando gli uomini vivevano nell’ignoranza, San Paolo dice: Ma sopra i tempi di una tale ignoranza avendo Dio chiusi gli occhi, intima ecc. La differenza? La differenza sta nel fatto che Dio si vergognava delle turpi azioni degli uomini ed è per questo che ritirava il suo sguardo. Il che significa che tiene conto del passato ed è per 17 questo che ora intima ecc. ecc. La terza: mentre essi
traducono: … tutti dappertutto devono convertirsi, San Palo dice: …intima adesso agli uomini, che in tutti i luoghi facciano penitenza. Ora, una cosa è ordinare di convertirsi, altra cosa intimare di convertirsi. Infatti il comando toglie spazio alla conversione. Mentre, nel secondo caso, l’esecuzione della minaccia dipende dalla conversione. Se c’è, la minaccia viene tolta. La quarta: i nuovi filosofi
traducono: Dio infatti ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia. San Paolo invece dice: E’ per questo che ha fissato un giorno in cui con giustizia il mondo ecc. La differenza? La differenza dipende dalla premessa. E la premessa da una parte è data dal comando, dall’altra dalla minaccia. Domanda: sulla base del comando o, se si preferisce, in assenza di libertà, è possibile giudicare con giustizia? Non è possibile. E se dunque Dio giudica in base a un comando da Lui stesso dato, il giudizio ricade su di Lui non sul mondo. Si deve anche dire che gli Stoici credevano nel caso? Ecco: un giudizio su comando è il caso. La quinta: E lo farà per mezzo di un uomo, che egli ha
stabilito davanti a tutti, facendolo risorgere dai morti. L’Apostolo invece dice: … giudicherà con giustizia il mondo per mezzo di un uomo stabilito da lui, come ne ha fatto fede a tutti con risuscitarlo da morte. Ora, stabilire qualcuno davanti a tutti, significa porlo come giudice. Ma Dio non ha mandato il figlio per giudicare il mondo, ma per salvarlo. E come? Facendone fede – come scrive l’Apostolo,
risuscitandolo da morte. Sembra di difficile comprensione. Eppure non è difficile da intendere. Ora se il giudice presuppone la carica o, se si preferisce, non ci può essere giudice senza il tribunale, e la salvezza è l’esatto contrario 18del giudizio, allora per la salvezza non ci può essere tribunale. E l’ avvenuta resurrezione testimonia la fine della condanna. Per ciò chi crede nella resurrezione
dell’uomo nella persona del Figlio dell’uomo, non può non passare dalla morte alla vita. Dalla condanna alla giustizia. 6. Appena sentirono parlare di resurrezione dei morti, alcuni dei presenti cominciarono a deridere Paolo. Altri invece dissero: “ Su questo punto ti sentiremo un’altra volta “. ( Sentita nominare la resurrezione dei morti, alcuni ne fecero beffe, altri poi dissero: ti ascolteremo su ciò un’altra volta. ) Come si può vedere nel testo greco non si dice: cominciarono a deridere Paolo. Il termine Paolo è inserito a viva forza dai nostri traduttori. Il farsi beffe è in relazione a resurrezione, a resurrezione dei morti. E come potevano farsi beffe se non con un gesto di scongiuro? Siamo di fronte infatti a filosofi il cui credo è rappresentato dalla contemplatio mortis. Potevano filosofi Stoici ed Epicurei accettare la resurrezione dei morti essi che nella morte vedevano un sicuro rifugio? Altri mezzi contro la resurrezione non avevano se non appunto le beffe o il gesto osceno. 19
 Marcello Caleo 

LA FEDE DI FRONTE AL TRIBUNALE DELLA RAGIONE (Paolo ad Atene)

http://it.arautos.org/view/viewPrinter/27009-la-fede-di-fronte-al-tribunale-della-ragione

LA FEDE DI FRONTE AL TRIBUNALE DELLA RAGIONE    (Paolo ad Atene)

PUBBLICATO 2011/06/13

AUTORE: THIAGO DE OLIVEIRA GERALDO

Pur facendo parte della pianura dell’Attica, con il suo terreno roccioso e poco fertile, Atene vide nascere nel suo seno insigni pensatori i cui nomi cotinuano a risuonare nella cultura da più di duemila e cinquecento anni
Per compiere l’incarico di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo in tutto il mondo, i primi cristiani avevano bisogno di adattarsi alla cultura deiloro ascoltatori. L’Apostolo delle Genti lo realizzò in forma mirabilein un suo discorso nell’Areopago di Atene.
Thiago de Oliveira Geraldo

Pur facendo parte della pianura dell’Attica, con il suo terreno roccioso e poco fertile, Atene vide nascere nel suo seno insigni pensatori i cui nomi cotinuano a risuonare nella cultura da più di duemila e cinquecento anni. Vi fiorirono, nel V e IV secolo a.C., tre figure di spicco della Filosofia: Socrate, Platone e Aristotele, l’ultimo dei quali ha ricevuto da parte di studiosi insigni elogi come questo: « Più che ‘il maestro di coloro che sanno’, come lo reputava Dante, Aristotele meritava di essere chiamato l’ispiratore di coloro che disputano, in tutti i campi del sapere, dell’azione, della produzione ».1 O anche come quest’altro, di cui potrebbe vantarsi il più prestigioso degli intellettuali di oggi: « Pochi uomini hanno fondato una scienza; a parte Aristotele, nessuno ne fondò altre ».2
« PIÙ FACILE TROVARE UN DIO CHE UN ESSERE UMANO »
Per secoli, si affrontavano in Atene esponenti di diverse scuole di pensiero nei campi del sapere, della morale, della politica. In questa città, affacciata sul Mar Egeo, c’era anche, come in tutta la Grecia antica, un confronto tra le credenze politeistiche e il rigore del pensiero puramente umano, che portava ad interminabili discussioni circa le divinità e l’origine del mondo. « Ad Atene è più facile trovare un dio che un essere umano »3, ironizzava Petronio, scrittore romano del primo secolo. Nel secolo seguente lo scrittore greco Pausania così qualificava gli ateniesi: « essi sono anche più pietosi degli altri popoli ».4
In questo contesto di agguerrite dispute culturali e religiose, si immagini quale dovesse essere lo spirito di fede e la capacità intellettuale di un cristiano per annunciare in modo convincente la Buona Novella nella metropoli delle scienze, a pensatori di diverse scuole filosofiche, dotati di acuto senso critico e abili nelle schermaglie della dialettica.
Wikipedia, Victor Toniolo, Gustavo Kralj

Nei secoli V e IV a.C. fiorirono, ad Atene, tre figure di spicco della Filosofia: Socrate,
Platone e Aristotele
  »Socrate » – Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo, « Platone » – Musei Capitolini, Roma,
« Aristotele »- Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps
Questa missione la Provvidenza Divina la affidò all’Apostolo delle Genti, « l’uomo che Dio chiamò e inviò ad intraprendere la diffusione universale del Cristianesimo ».5

Dispute quotidiane con giudei e greci
Uomo di forte tempra, abituato ai sacrifici e alle difficoltà, San Paolo predicava con coraggio il Vangelo di Gesù Cristo in tutti i luoghi in cui lo portava il suo zelo apostolico. La sua audacia missionaria non si attenuò, quando si vide costretto a rimanere alcuni giorni ad Atene in attesa di Sila e Timoteo, per proseguire insieme il viaggio fino a Corinto.
Anche se si trovava lì di passaggio, come rimanere in quella città senza evangelizzare? Impossibile per uno che disse di se stesso: « Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (I Cor 9,16).
Quanto all’ambiente che San Paolo incontrò nella capitale della cultura, scrive un autorevole esegeta: « La città in quel tempo non era politicamente importante, anche commercialmente era molto decaduta, ma continuava ad essere ‘la pupilla della Grecia’ (Filon), ‘la fiaccola di tutta la Grecia’ (Cicerone). Come sede delle grandi scuole filosofiche e culla della più raffinata cultura greca, si distingueva sulle altre città dell’Impero Romano ed esercitava un’irresistibile forza di attrazione su quanti aspiravano ad acquisire scienza e cultura, specialmente sulla gioventù della nobiltà romana ».6
Tuttavia, la prima reazione dell’Apostolo quando venne a contatto con la realtà ateniese fu di avversione: « Mentre aspettava Sila e Timoteo, ad Atene, Paolo restò disgustato nel vedere quella città consegnata all’ idolatria » (At 17, 16). La sua indignazione, frutto della fede, accresceva in lui il desiderio di cogliere l’occasione per annunciare Gesù Cristo crocifisso a quegli adoratori di idoli. E San Paolo sapeva adattarsi al pubblico che lo ascoltava.
Ricardo Castelo Branco
Nelle missioni realizzate poco prima in varie città, predicò nelle sinagoghe ai giudei, rivelandosi un esimio conoscitore delle Scritture e dimostrando, sulla base di queste, che era stato necessario che Cristo soffrisse e risorgesse dai morti (cfr. At 17, 3). Ad Atene abitavano anche alcuni giudei, ma l’ardente evangelizzatore capiva perfettamente che lì l’immensa maggioranza dei suoi ascoltatori era costituita da greci, la cui mentalità era molto diversa da quella degli israeliti. Si lanciò subito alla conquista di anime anche in questo campo, poiché come narrano gli Atti degli Apostoli, San Paolo discusse « nella sinagoga con i giudei e proseliti, e tutti i giorni, nella piazza, con quelli che incontrava » (At 17, 17).

Uomini insaziabili di novità
Tra quelli che ascoltarono San Paolo nell’agorà – nome con cui i greci denominavano la piazza principale della città, dove avvenivano le discussioni politiche – c’erano filosofi epicurei e stoici. I primi avevano la fruizione dei piaceri come principale finalità dell’esistenza e, di conseguenza, fuggivano dal dolore quanto potevano; erano materialisti, ma non negavano l’esistenza degli dei, i quali, però, raramente interferivano nella vita degli uomini. Per i secondi, al contrario, l’autosufficienza e l’impassibilità di fronte al dolore erano considerate come grandi virtù.
Ascoltando la predicazione di quello straniero, alcuni filosofi lo canzonavano, chiamandolo spermologòs, ossia, ciarlatano o chiacchierone. Altri gli facevano una delle accuse che cinque secoli prima portarono Socrate a morte in questa stessa città: quella di propagare il culto a dèi stranieri. Infatti San Paolo predicava Gesù e l’Anástasis (Resurrezione), nomi che suonavano per loro come una coppia di divinità. Lo condussero allora all’Areopago, antico tribunale di Atene, nel quale si giudicavano anche questioni religiose e morali. Era questo, oltre che un organo giuridico, un punto di riunione degli ateniesi e forestieri che, in quest’epoca, « non si occupavano di altro se non dire o ascoltare le ultime novità » (At 17, 21).
Questa sete insaziabile di novità facilitava l’operato dell’Apostolo: tutti si mostravano avidi di conoscere quanto quello straniero avrebbe dovuto dire loro. Come avrebbe cominciato il suo discorso davanti a quell’esigente uditorio, costituito dai rappresentanti della più elevata cultura?
Trattandosi di gentili, a nulla sarebbe giovato presentare argomenti tratti dalle Sacre Scritture. « I primi cristiani, per farsi comprendere dai pagani, non potevano citare soltanto ‘Mosè e i profeti’ nei loro discorsi, ma dovevano servirsi anche della conoscenza naturale di Dio e della voce della coscienza morale di ogni uomo »7 – osserva il Beato Giovanni Paolo II.
Gustavo Kralj

Come sede delle grandi scuole filosofiche e culla della più raffinata cultura greca,
Atene esercitava un’irresistibile forza di attrazione su quanti aspiravano
ad acquisire scienza e cultura
« Scuola di Atene », di Raffaello Sanzio – Stanza della Segnatura, Vaticano
Nella città di Tarso, luogo di passaggio per il commercio in Asia, il giovane Saulo certamente non ricevette soltanto la formazione giudaica tradizionale, ma deve aver studiato anche discipline elleniche, come la retorica. Nelle loro scuole, oltre all’alfabetizzazione, gli alunni apprendevano ginnastica e musica.

Proclamazione della Fede con saggezza e sagacia
Era giunto per l’Apostolo dei Gentili il momento di mettere a servizio della Fede quello che aveva appreso dalla stessa cultura greca. « Il vivere in una città ellenica e l’educazione ellenistico-giudaica del giovane Paolo gli conferirono la competenza per poter utilizzare, più tardi, come cristiano, con autonomia e come patrimonio personale, lo spirito e la tradizione dell’ellenismo ».8
Adattò le sue parole al pubblico che aveva davanti a sé e, contenendo l’indignazione che gli aveva causato l’idolatria degli ateniesi, cominciò a tessere loro le lodi della religiosità. Agendo così, commenta il Beato Giovanni Paolo II, rivelò saggezza e sagacia: « L’Apostolo mette in evidenza una verità che la Chiesa ha sempre conservato nel suo tesoro: nel più profondo del cuore dell’uomo è stato seminato il desiderio e la nostalgia di Dio ».9
Intanto, il suo sguardo indagatore aveva catturato un dettaglio che gli servì per introdurre il tema della sua predicazione. « Percorrendo la città e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio! » (At 17, 23). Su questo, lo studioso Schökel commenta: « L’esordio, come entrata nell’argomento, è magistrale. Come un saluto cortese e ambiguo, che si trasforma in critica e sa individuare un valore profondo ».10
La religiosità dei greci era, in quel tempo, orientata sotto una prospettiva fortemente politeista e pagana, essendo la profusione di divinità, da loro venerate, vincolata alle diverse vicissitudini che la vita presenta. Gli ateniesi immaginavano che dietro ad ogni avvenimento ci fosse sempre l’azione di un dio, e temevano che gli capitassero disgrazie a causa di qualche culto omesso o mal realizzato. Di qui il loro impegno nell’erigere altari anche al « dio sconosciuto », come spiega Fillion: « Abituati a vedere in tutto, specialmente nelle circostanze pericolose (guerre, terremoti, malattie, ecc.), la manifestazione della divinità, e sempre temendo di offendere qualche dio sconosciuto, essi ricorrevano a questo mezzo per rendersi propizi tutti gli dèi, grandi e piccoli, dai quali potevano temere un atto di vendetta o sperare un beneficio ».11

Anche noi siamo della stirpe di Dio
Nel seguito del suo discorso, l’Apostolo si scaglia contro l’idolatria: Dio, creatore di quanto esiste, Signore del Cielo e della Terra, « non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo « , e di niente ha bisogno, poiché è lui « che dà a tutti la vita » (cfr. At 17, 24-25). Subito dopo, introduce un argomento incoraggiante: il Dio vivo e vero non è un essere inaccessibile agli uomini; al contrario, Egli ci incita a cercarLo, anche se « a tentoni », perché in realtà Egli « non è lontano da ciascuno di noi » (cfr. At 17, 27).
Alcuni ateniesi lanciavano a San Paolo una delle accuse che cinque secoli prima portarono Socrate a morte in questa stessa città: quella di propagare il culto a dèi stranieri
Con l’obiettivo di aumentare l’effetto delle sue parole di fronte a quegli ascoltatori colti ed eruditi, San Paolo cita un verso del poeta greco Arato (sec. III a.C.) per affermare che « anche noi siamo della stirpe di Dio » (At 17, 29).12 Avvalendosi di quanto detto, l’Apostolo delle Genti mostra agli ateniesi come è poco saggio, per chi è « della stirpe di Dio », adorare immagini scolpite da mani umane.
Entrando nel merito del suo discorso, San Paolo presenta un argomento particolarmente sensibile per chi faceva parte del tribunale dell’Areopago: Dio li invita a pentirsi dell’idolatria, « poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia » (At 17, 31). Ma, al contrario di quanto avviene nei tribunali umani, l’ammonimento relativo a questo giudizio divino veniva unito alla speranza di un grande perdono, come osserva un illustre esegeta del XX secolo: « Si tratta di un dono che Dio fa della sua grazia e del suo perdono della vita precedente, trascorsa nel peccato, affinché gli uomini possano superare il giudizio ».13

Il fulcro della predicazione: Cristo è risuscitato
Fino a qui, San Paolo faceva il suo annuncio della Fede in termini principalmente filosofici, ma era giunto il momento di entrare nel fulcro della questione: Cristo risuscitò dai morti. Questa Resurrezione tante volte predicata da lui, come si legge negli ultimi capitoli degli Atti degli Apostoli, forse è ciò che più gli causò accuse e persecuzioni. Così afferma il domenicano Michel Gourgues: « La fede nella Resurrezione di Gesù e la speranza nella resurrezione dei morti si presentano con insistenza come l’oggetto centrale della Fede e della predicazione cristiana e come il principale motivo delle opposizioni e delle accuse contro Paolo ».14
San Paolo diede dappertutto testimonianza della Resurrezione di Cristo in una forma tale che egli ben meritava di esser soprannominato Apostolo della Resurrezione. « L’apparizione di Cristo risuscitato a Paolo vicino a Damasco è un’esperienza di vita chiave per la fede e per l’insegnamento dell’Apostolo ».15 Come avrebbe potuto lui, allora, stare zitto riguardo a questo favoloso avvenimento?
Invece, quando lo udirono parlare di resurrezione dei morti, alcuni dei suoi ascoltatori si beffarono di lui ed altri interruppero il discorso, dicendo ironicamente: « Ti sentiremo su questo un’altra volta » (At 17, 32).
Gustavo Kralj

Così, dunque, i greci che credevano nell’immortalità dell’anima non furono capaci di accettare la resurrezione dei morti, cosa che oltrepassava i limiti della loro ragione, e per questo si presero gioco dell’Apostolo e della sua dottrina. Ma, questi stessi apologisti della sapienza e della logica non riuscivano a capire l’irrazionalità che presupponeva l’adorare dèi fatti di oro, argento, pietra o legno, prodotti dell’arte e dell’immaginazione dell’uomo.

Apparente insuccesso, risultati evidenti

Fu un insuccesso la predicazione di Paolo nell’Areopago?

Apparentemente, sì. Alcuni commentatori, anzi, furono indotti a pensare che la lettera scritta anni dopo alla comunità di Corinto avesse riconosciuto l’insuccesso di questo discorso: « Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. [...] La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza » (I Cor 2, 1-2.4a).
In realtà, San Paolo non fece invano questa sua fiera proclamazione di fede nella Resurrezione di Cristo. In primo luogo, il suo esempio serve da prezioso stimolo per quanti sono chiamati ad annunciare il Vangelo negli areopaghi paganizzanti di tutti i tempi e città. Oltre a questo, « alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areopago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro » (At 17, 34).
Degli altri convertiti, poco o nulla si sa. Ma prestiamo attenzione al soprannome di Areopagita, che indica trattarsi di un membro dell’elite intellettuale e giudiziaria della Grecia. Infatti, « questo titolo presuppone che Dionigi fosse un personaggio molto influente, poiché secondo le leggi di Atene, si arrivava a questa elevata posizione solamente dopo aver occupato un altro posto ufficiale importante e raggiunta l’età di sessant’anni ».16
©santiebeati.it

Così San Dionigi Areopagita entrò nella Storia come modello di pensatore convertito, che non ebbe bisogno di rinnegare la sua cultura e scienza per diventare cristiano. Al contrario, le sue notevoli qualità intellettuali e la vastità delle sue conoscenze giuridiche e filosofiche furono messe al servizio della Chiesa e caratterizzarono, senza dubbio, il suo ministero episcopale come primo Vescovo di Atene.

La Fede cristiana autentica non limita la ragione
Lo stesso avviene con qualsiasi popolo o nazione che decida di aprire le sue porte alle benefiche influenze della Chiesa. Insegna, a questo proposito, il Beato Giovanni Paolo II: « L’annuncio del Vangelo nelle diverse culture, esigendo da ognuno dei destinatari l’adesione alla Fede, non gli impedisce di conservre la propria identità culturale ».17
San Paolo si mostrò fedele all’annuncio della Buona Novella, adattandosi alle circostanze concrete che dovette affrontare ad Atene; fedele fu anche Dionigi, ricevendo umilmente la Rivelazione. Infatti, come ci insegna Papa Benedetto XVI, la tendenza moderna di considerare vero solamente lo sperimentale, limita la ragione umana. L’autentica Fede cristiana non impone limiti alla ragione, al contrario, incontrandosi e dialogando, entrambe possono esprimersi meglio. « La fede presuppone la ragione e la perfeziona; la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. La ragione umana non perde nulla aprendosi ai contenuti della fede, d’altronde, essi esigono la sua adesione libera e cosciente ».18

SUL SITO BIBLIOGRAFIA

LA TRASFIGURAZIONE DI PAOLO – CARLO MARIA MARTINI

http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/martini_confessioni_di_paolo7.htm

CARLO MARIA MARTINI

LE CONFESSIONI DI PAOLO

MEDITAZIONI

LA TRASFIGURAZIONE DI PAOLO

Partendo dall’episodio storico della sofferenza nella vita di Paolo, riflettiamo sulla trasfigurazione a cui l’ha portato l’interiore purificazione, per meditare poi sulla trasfigurazione del pastore.
Come grazia di questa meditazione chiediamo di potere, attraverso la conoscenza dell’ Apostolo, giungere alla conoscenza di Cristo, la cui gloria risplende sul suo volto e vuole risplendere in noi.
Ti ringraziamo, Padre, per il dono di gloria luminosa, affascinante, che hai posto sul volto del tuo Figlio Risorto. Questa gloria l’hai mostrata alla tua Chiesa, nel tuo servo Paolo, come l’avevi mostrata interiormente a Maria, Madre di Gesù, a Pietro e agli Apostoli.
Ti ringraziamo perché continui a mostrare questa gloria nella storia della Chiesa attraverso i santi. Ti ringraziamo per i santi che abbiamo conosciuto, per tutti coloro i cui scritti, le cui parole ci edificano, per tutti coloro la cui vita ci è di sostegno. Manifesta la gloria del volto di Cristo anche a noi, perché qualcosa di quello splendore risplenda in noi stessi e, interiormente trasformati, possiamo conoscere il tuo Figlio Gesù e farlo conoscere come sorgente di trasformazione della vita di ogni uomo. Te lo chiediamo, Padre, per Cristo nostro Signore. Amen.
Quanto abbiamo detto della sofferenza di Paolo per la rottura con Barnaba può essere esteso ad altri conflitti, che hanno segnato la vita di quest’uomo straordinario: i conflitti con le comunità, soprattutto quelli a cui fanno riferimento la seconda lettera ai Corinti e la lettera ai Galati. In esse Paolo ei appare chiaramente in contrasto con certi modi di agire e in situazioni di tensione, di dolore, di solitudine. Emblematico è il conflitto con Pietro ad Antiochia, in cui Paolo si trova in una situazione estremamente imbarazzante e difficile.
Innanzitutto ciò che dobbiamo ricavare da queste considerazioni è che non ei si deve stupire di queste cose: nella storia della Chiesa questi conflitti nascono. Le difficoltà di collaborazione tra preti, le difficoltà di collaborazione tra parroco e coadiutore sono di origine apostolica, cioè le troviamo già nel Nuovo Testamento.
È una realtà sulla quale dobbiamo, come Paolo, continuamente riflettere per purificarci e per trovarne la soluzione in un approfondimento delle cose e non in una semplice rassegnazione. Non stupirei, ma crescere nella comprensione di noi stessi e degli altri. Se nella vita di Paolo sono entrati, in qualche momento, dei personalismi, quanto più in noi. Bisogna sapersi conoscere, sapere comprendere come nei conflitti che viviamo non sempre è in gioco soltanto l’onore e la gloria di Dio, ma qualche volta anche la nostra personalità. Bisogna saper crescere nella misericordia che è l’atteggiamento con cui Dio considera la storia e le realtà umane.

Cosa si intende per trasfigurazione
Diamo alla meditazione il titolo di « trasfigurazione » perché il punto di riferimento è la Trasfigurazione di Cristo: «Mentre pregava, il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9, 29). È interessante osservare che il verbo usato qui è lo stesso che Luca userà nel descrivere la luce nella quale Paolo entra nel momento dell’apparizione di Damasco: anche Paolo vive il riflesso del Cristo trasfigurato.
Per descrivere la stessa scena il Vangelo di Marco parla di trasformazione: «Si trasformò, si trasfigurò» (cf. Mc 9, 2 ss). Il verbo greco è: «metamorfòthe: si trasformò», tradotto « si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime ». Questo verbo è il medesimo che Paolo usa nella lettera scritta ai Corinti per descrivere il processo di trasformazione che lui – e ogni apostolo e pastore dietro di lui ~ esperimentano, riflettendo la gloria di Cristo: «Noi tutti – è chiaro che esprime una sua esperienza che poi vuole condividere con noi – a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18). È la descrizione di quanto stiamo considerando: Paolo investito della gloria del Signore a Damasco, si trasforma. Ma il verbo è al presente per indicare una azione di continua trasformazione, di gloria in gloria, per la forza dello Spirito di Dio. Si trasforma ad immagine di Gesù, acquista la luminosità di Cristo.
Non dimentichiamo che la festa e l’episodio della Trasfigurazione è ampiamente usato nella liturgia della Chiesa greca per indicare ciò che avviene nel cristiano attraverso l’integrazione progressiva che egli fa dei doni battesimali e, per noi, della grazia dell’Ordinazione.
Parlando di «trasfigurazione» di Paolo voglio riferirmi al crescendo di luminosità e di trasparenza che avviene in lui lungo il suo cammino pastorale e che si riflette in maniera inimitabile nelle grandi lettere.
Leggendole siamo affascinati dalla chiarezza e dallo splendore della sua anima e dopo duemila anni sentiamo che dietro alle parole scritte c’è una persona viva, ricca, palpitante e illuminante.
Il suo aspetto trasfigurato attraeva la gente e costituiva uno dei segreti della sua azione apostolica. Era il risultato del lungo cammino di prova, di sofferenza, di preghiere incessanti, di confidenza rinnovata.
Anche il pastore, come Paolo, è chiamato a diventare, attraverso l’esperienza, le sofferenze, le fatiche, i doni di Dio, luminoso e trasparente.
Nelle sue parole e nella sua azione la gente deve trovare quel sentimento di pace, di serenità, di confidenza, che è indescrivibile ma che si percepisce senza alcun ragionamento.
Ciascuno di noi ha avuto modo, per grazia di Dio, di conoscere preti che sono stati così nella loro vita: irradiavano ciò che Paolo lascia trasparire abbondantemente da tutto il suo modo di parlare e di esprimersi.
Vediamo di descriverlo analiticamente perché possa essere specchio ideale del pastore su cui confrontarci. – Quali sono le caratteristiche della luminosità di Paolo?
Possiamo ricavarle da tre atteggiamenti interiori tipici di questa trasfigurazione e da due più esteriori. – Come raggiungere e mantenere in noi qualcosa di simile a questa trasfigurazione, che è dono di Dio anche per noi?

Gli atteggiamenti interiori della trasfigurazione
a) Il primo atteggiamento, che troviamo in tutte le lettere, anche le più conflittuali, è una grande gioia interiore e pace: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione» (2 Cor 7, 4). Paolo mette chiaramente insieme le sue moltissime tribolazioni con la gioia, anzi con una gioia sovrabbondante. Che non sia forzata o idealistica lo ricaviamo dalle stesse lettere: «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2 Cor 4, 7). Paolo riconosce che questa gioia straordinaria viene da Dio: da sé non potrebbe averla. È tipica della trasfigurazione, non frutto di buon carattere, non dote naturale, non umana. «Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo»(2 Cor 4, 8-10). Non è una situazione di tranquillità; è una gioia vera che fa i conti con tutti i tipi di pesantezze, di difficoltà, di cose spiacevoli che gli avvengono; coi malintesi, coi malumori nei quali vive la sua giornata. Come la viviamo noi. Paolo era un po’ nevrastenico di carattere e perciò soggetto a depressioni e a momenti di sconforto. Egli sperimenta gradualmente nella sua vita che non c’è momento di sconforto in cui non appaia qualcosa di più forte dentro di lui.
Ancora, è una gioia che guarda intorno a sé, è per la sua comunità, non è privata; è gioia per ciò che succede intorno a lui, per le comunità che sta seguendo. « Siamo i collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1, 24). E scrivendo ai Filippesi definisce le comunità come « mia gioia e mia corona» (Fil 4, 1). Non illudiamoci che fosse una comunità ideale, perfetta: anzi dalla lettera sappiamo che Paolo deve scongiurarli, quasi in ginocchio, di non litigare, di non mordersi, di non dividersi: «Non fate nulla per spirito di rivalità, per vanagloria» (Fil 2, 3). Vuole dire che c’erano rivalità e vanagloria, che la comunità non era facile, che gli creava problemi e molestie. Eppure riesce a considerarla come la sua gioia perché gli è stata donata una visuale di fede che va aldilà della considerazione delle cose puramente pragmatica, abituale, di routine. È un vero dono soprannaturale, potenza dello Spirito che era in lui ormai in grado eminente.
b) Il secondo atteggiamento interiore conseguente al primo è la capacità di riconoscenza. Esorta i suoi a ringraziare con gioia il Padre (Coll, 12). È tipico dell’Apostolo unire la gioia al ringraziamento.
Tutte le lettere cominciano con una preghiera di ringraziamento, eccetto quella ai Galati perché è di rimprovero. Paolo sa ringraziare e le sue parole non sono un formulario vuoto ma esprimono ciò che sente. D’altra parte lo stesso Nuovo Testamento incomincia con una preghiera di ringraziamento: infatti, con ogni probabilità, lo scritto più antico del Nuovo Testamento, quello che ha preceduto anche la stesura definitiva dei Vangeli, è la prima lettera ai Tessalonicesi. Quindi, la prima parola del Nuovo Testamento è: «Grazia a voi e pace. Ringraziamo sempre Dio per tutti voi ».
All’opposto, non troviamo mai in Paolo la deplorazione sterile. C’è il rimprovero, non la rassegnata amarezza. Come dono di Dio, nella sua trasfigurazione apostolica ha la capacità di vedere sempre per prima cosa il bene. Cominciare ogni lettera col ringraziamento, vuol dire saper valutare innanzitutto il positivo che c’è nella comunità a cui scrive, anche se poi ci saranno cose gravissime, negative. All’inizio della prima lettera ai Corinti la comunità è lodata come piena di ogni dono, di ogni sapienza; poi vengono i rimproveri; ma non è un’incongruenza. Gli occhi della fede gli permettono di vedere che un briciolo di fede dei suoi poveri pagani convertiti è un dono talmente immenso da fargli lodare Dio senza fine.
Il pastore maturo ha la capacità di riconoscere il bene che c’è intorno e di esprimerlo con semplicità.
c) Il terzo atteggiamento è la lode.
In Paolo abbiamo quelle lodi meravigliose che continuano la tradizione giudaica delle benedizioni. Egli le sa ampliare per tutto quello che riguarda la vita della comunità, nel Cristo. Per esempio: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1, 3). La preghiera di Paolo, così come la conosciamo nelle lettere, è prima di tutto di lode: diventa anche di intercessione ma spontaneamente la prima espressione che gli viene è di lode. Così può valorizzare i suoi momenti più oscuri: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio» (2 Cor 1, 3). Potremmo usare le sue frasi come specchio per domandarci se possiamo dirle in prima persona come espressione di ciò che c’è in noi di più profondo (o se invece sentiamo la fatica di dire queste cose).
La grazia da chiedere a Dio è che questi atteggiamenti tipici del pastore trasfigurato dal Cristo risorto, diventino nostra esperienza abituale. Il demonio ci tenta continuamente per farci ricadere nelle forme mondane della vita: la tristezza è caratteristica dell’uomo che vive nella chiusura delle prospettive. E la tristezza di fondo poi cerca l’evasione, il divertimento, tutto ciò che sembra rendere allegra la vita pur di non affrontare la tristezza.

Gli atteggiamenti esterni di Paolo trasfigurato nel Cristo
a) Il primo atteggiamento esterno è l’instancabile ripresa che ha davvero del prodigioso.
Fin dal primo giorno della sua conversione: predica a Damasco e deve fuggire; va a Gerusalemme, predica e lo fanno partire; a T arso rimane finché la provvidenza non lo richiama; quando lo richiama, dimenticati i risentimenti passati, riparte. Nel suo viaggio missionario praticamente ogni stazione è un ricominciare da capo; predica ad Antiochia di Pisidia, viene cacciato e va a Iconio; a Iconio minacciano un attentato contro di lui, tentano di lapidarlo e va a Listra. A Listra è sottoposto a una gragnuola di sassi. È interessante notare l’impassibilità con cui Luca descrive la scena: «Giunsero da Antiochia e da Iconio alcuni Giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città. Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe. Dopo aver predicato il Vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia» (At 14, 19-21).
È così un po’ tutta la sua vita: da Atene esce umiliato, preso in giro dai filosofi, eppure va a Corinto e ricomincia, anche se ha l’animo pieno di timore.
Questa ripresa non è umana: un uomo dopo alcuni tentativi falliti, umanamente resta fiaccato. Noi non possediamo la sua instancabilità, nemmeno lui la possedeva: è un riflesso di quella che chiamerà «la carità ». «La carità non si stanca mai» (1 Cor 13, 7). È la carità di Dio: «La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Il suo modo di agire è riversato dall’alto, è un dono, ed è quello che fa sì che la delusione non sia mai definitiva. «Siamo addirittura orgogliosi delle nostre sofferenze» (Rm 5, 3), «perché sappiamo che la sofferenza produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 3-5).
Se queste parole fossero dette da un neo-convertito ai primi inizi dell’entusiasmo, potremmo pensare che parli senza esperienza. Dette da un missionario che ha vissuto vent’anni di prove, acquistano un suono diverso e ci fanno profondamente riflettere. Nessuno sforzo umano può giungere a questo atteggiamento: è la carità di Dio diffusa nei nostri cuori per lo Spirito che ci è dato.
La trasfigurazione di Paolo è, ancora una volta, la forza del Risorto che entra nella sua debolezza e vive in lui.
b) Il secondo atteggiamento esterno è la libertà dello spirito. Sente di avere raggiunto una situazione in cui non agisce più per costrizione o per conformazione volontaristica a modelli esterni: agisce perché è ricco dentro. Può allora assumere atteggiamenti arditi che sarebbe temerario imitare. Vediamo questa libertà di spirito nella lettera ai Galati quando dice che umanamente sarebbe stato più prudente circoncidere Tito secondo le richieste dei giudeo-cristiani: «Ad essi però non cedemmo per riguardo neppure un istante perché la verità del V angelo continuasse a rimanere salda tra di voi» (Gal 2, 5). Paolo è libero da ogni giudizio o opinione corrente: è molto difficile perseverare isolati di fronte ad una mentalità comune, ad una cultura avversa. Lo fa con estrema libertà, senza vittimismi, perché la ricchezza che sente dentro non è paragonabile in peso all’opinione altrui. Questa sua forza gli permette, a un certo punto, di opporsi addirittura a Cefa. È un caso-limite di libertà: «(Ad Antiochia) anche gli altri Giudei imitarono Pietro nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia» (Gal 2, 13). Quella che chiama ipocrisia evidentemente per Barnaba era il desiderio di mediare tra le parti. Paolo non accetta e di qui la sua resistenza che chiarisce la situazione.
Una libertà che non è arbitrio o presunzione ma senso di assoluta e totale appartenenza come schiavo, come servo di Cristo. Lui stesso mette talora in parallelo l’essere servo di Cristo con l’essere libero da tutte le altre opinioni umane.
In questa luce la libertà diventa una forma rigorosissima di servizio: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico: Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato a osservare tutta quanta la legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia. Noi infatti pei virtù dello Spirito attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo. Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità. Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità? Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta. Io sono fiducioso per voi nel Signore che non penserete diversamente; ma chi vi turba, subirà la sua condanna, chiunque egli sia. Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce? Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano. Voi fratelli, siete stati chiamati a libertà… Purché questa libertà non divenga pretesto» – e noi sappiamo che sotto la parola libertà c’è molto spesso un pretesto – « per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 1-13). È uno dei pochi passi in cui essere a servizio – in greco essere schiavi – si applica gli uni agli altri. L’assolutezza del servizio di Cristo rende l’uomo libero al punto di non temere di farsi schiavo del fratello. Questa libertà quindi è fonte di servizio umilissimo ed è la radice di quel «con tutta umiltà»che è la caratteristica dell’apostolato di Paolo.
È difficile esprimere queste cose a parole perché si rimpiccioliscono, si banalizzano: il tentativo serve da invito a riprendere i testi di Paolo e a lasciare che agiscano su di noi come parola ispirata, in tutta la loro forza.

La trasfigurazione di Paolo
è modello della trasfigurazione del pastore
Ci proponiamo di riflettere quale sia la metodologia per raggiungere e mantenere questa condizione di trasfigurazione.
Paolo incomincia a diventare un pastore secondo il cuore di Cristo dopo quindici anni di fatiche e sofferenze. Lo diventa per dono di Dio, non per sua conquista.
Riconoscere che Dio nella sua misericordia ci trasfigura è la metodologia fondamentale.
- Il primo modo per ricevere il dono divino è la contemplazione del cuore di Cristo crocifisso, che effonde lo Spirito. Contemplazione che potremmo chiamare eucaristica: prendere sul serio la duplice mensa della Parola di Dio e dell’Eucaristia, lasciarsi nutrire dalla Parola di Dio come forza che chiarisce il significato storico-salvifico del cibo che è Cristo morto e risorto. Questo cibo diventa nostro nutrimento e ci inserisce nella storia di salvezza di cui la Parola di Dio ci comunica la realtà, l’ampiezza, la direzione.
Come per Paolo, anche per noi questa contemplazione è la via della Trasfigurazione. L’Apostolo ha vissuto la preghiera incessante e prolungata che è la contemplazione del Cristo morto e risorto.
- Il dono del cuore trasfigurato nella gioia, nella lode, nella riconoscenza, nella perseveranza, nella libertà, viene per intercessione di Maria.
Maria, come mistero di Dio nella storia della Chiesa e della salvezza, è colei che sostiene e che alimenta in noi la luminosità della fede. Una esperienza cristiana matura sa scoprire il posto .della Vergine come modello e intercessione per raggiungere l’umile dipendenza dalla Parola di Dio che ci trasfigura, assicurando la nostra continua apertura alla forza rinnovatrice dello Spirito. Maria ci richiama a vivere autenticamente quel livello di contemplazione e di ascolto che è il livello che essa occupa nella Chiesa.
- Il dono della trasfigurazione pastorale viene anche dalla condivisione} dalla capacità di mettere la mano nel buio sulla spalla di colui che vede la luce. È questa la nostra comunione ecclesiale e presbiteriale: tenere la mano sulla spalla di chi ha visto la lucei a vicenda.
Si innesta qui il tema della direzione spirituale, del colloquio penitenziale che sono molto importanti perché significano il tenerci la mano gli uni gli altri, la maniera pratica di aprirci e conservare in noi i doni di trasfigurazione che ammiriamo in Paolo.
- Il dono della trasfigurazione ha bisogno della vigilanza evangelica. «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione»; «lo spirito è pronto ma la carne è debole»; «vegliate e resistete saldi nella fede». Questo invito ripetuto è l’espressione esortativa della intuizione fondamentale che l’uomo è un essere storico, che si stanca, che di natura sua non è capace di perseveranza.
Ogni cristiano, ogni vescovo, ogni prete deve convincersi che nessuno è assicurato nella perseveranza e che il maggior rischio è in coloro che pensano di aver raggiunto un grado di stabilità tale che le precauzioni non sono più necessarie. La vigilanza neotestamentaria ci dice che fino all’ora della morte il demonio cerca di togliere in noi la gioia, la fede, la lode. Siamo sempre attaccati su questi atteggiamenti fondamentali.
Occorre vigilare sapendo che non c’è tregua in questa lotta e che rapidamente possiamo ritrovarci tristi, stanchi, nervosi, irritati, oppure dissipati in gioie esteriori che infiacchiscono la fede. Paolo ritorna più volte sul tema della vigilanza e della insistenza nella preghiera.
Chiediamo per intercessione di Maria, di poter vigilare con lei, con Gesù e con Paolo perché si compia in noi la trasfigurazione apostolica che assicura una vita pastorale in cui – malgrado le difficoltà, le sofferenze, le delusioni – il fondo di noi è afferrato da Cristo e saldamente posseduto dalla mano di Dio.

COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA DI MARIE NOËLLE THABUT

http://www.eglise.catholique.fr/foi-et-vie-chretienne/commentaires-de-marie-noelle-thabut.html

(traduco dal francese con Google il commento  alla prima lettura, le traduzioni sono sempre imperfette, ma i commenti di Marie NOËLLE THABUT, sono sempre molto istruttivi)

DIMANCHE 5 MAI : COMMENTAIRES DE MARIE NOËLLE THABUT

PREMIERE LECTURE – Actes 15, 1-2. 22-29

Abbiamo già sentito parlare della comunità di Antiochia in Siria nei testi di domeniche precedenti … Oggi troviamo di fronte a una crisi grave che siamo intorno all’anno 50 dC, fin dall’inizio, ad Antiochia c’erano cristiani ebrei e dei cristiani gentili, ma pochi solo tra di loro, la convivenza è diventato sempre più difficile, i loro stili di vita sono troppo diversi. Non solo i cristiani ebrei sono circoncisi e considerano i pagani che non sono, ma ancora più importante, tutti gli oggetti della vita di tutti i giorni, a causa della molteplicità di pratiche che i cristiani ebrei di origine Pagan non voleva sottomettersi: molte regole di purificazione, le abluzioni e le regole particolarmente severe per quanto riguarda il cibo.
 E poi un giorno i cristiani di origine ebraica venuti espressamente da Gerusalemme a convertire la contestazione, spiegando che bisogna ammettere che il battesimo cristiano di ebrei, in particolare, i Gentili sono invitati a essere ebrei prima (circoncisione compresa) prima di diventare cristiani.
 Dietro a questo argomento, ci sono almeno tre questioni: in primo luogo, dovrebbe sforzarsi di coerenza? Per vivere l’unità, la comunione, dovrebbe avere le stesse idee, gli stessi rituali, le stesse pratiche?
 La seconda questione è una questione di lealtà: tutti questi cristiani di tutte le provenienze vogliono rimanere fedeli a Gesù Cristo, è ovvio …! Ma in concreto, che cosa è la fedeltà a Gesù Cristo? Lo stesso Gesù Cristo era un Ebreo e non circonciso che dice di diventare un cristiano deve prima diventare un Ebreo come lui?
 E ‘anche vero che i primi cristiani erano tutti ebrei. Dal momento che gli apostoli scelti da Cristo erano tutti ebrei … e anche, di andare oltre, erano tutti dalla Galilea … Non limitare l’annuncio del Vangelo a tutti i Galilei … è ovvio!
Noi non limitare ad ebrei per nascita, non di più … Inoltre, la questione è già stata risolta in Antiochia. Alcuni cristiani di origine pagana, si è deja vu. Ma questi cristiani di origine pagana, forse avrebbe introdurre in primo luogo al giudaismo e poi farli cristiani? Concretamente, questo significa che siamo d’accordo a battezzare i pagani, a condizione che aderiscono prima alla religione ebraica e che sia circonciso.
 Sì, ma si può avere un altro motivo: Gesù Cristo ha fatto in circostanze in cui si trovava, in altre circostanze, avrebbe agito in modo diverso, per esempio, che era un Galileo è circondato da Galilea, ma non è un requisito per diventare un cristiano.
 La decisione, al momento, a Gerusalemme, abbiamo appena letto, come adottare questa seconda visione: essere fedeli a Gesù Cristo non significa necessariamente riprodurre un modello statico. In altre parole, la fedeltà non è ripetizione quando si studia la storia della Chiesa, siamo stupiti proprio adattabilità sapeva distribuire a rimanere fedele al suo Signore attraverso le fluttuazioni storia!
 Infine, c’è una terza questione, ancora peggio: è la salvezza donata da Dio incondizionatamente, sì o no? « Se non si riceve la circoncisione, non potete essere salvati », questo sta cominciando a sentire in Antiochia: ciò significherebbe che Dio stesso non può salvare non ebrei … vorrebbe dire che siamo noi a decidere al posto di Dio, che può o non può essere salvato … Infine, vorrebbe dire che la fede in Gesù Cristo non è sufficiente? Eppure Gesù stesso ha detto: « Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo » e lui non aggiungere che doveva essere Ebreo circonciso e … e quindi, per definizione, la grazia è gratis! Non possiamo aggiungere alle nostre condizioni alla grazia di Dio.
 Sappiamo che la fine della storia, gli Apostoli hanno preso due decisioni: gli ebrei cristiani non dovrebbero imporre la circoncisione e pratiche ebraiche di cristiani gentili, ma d’altra parte, i cristiani di origine pagana, in segno di rispetto per i loro fratelli ebrei, astenersi da che potrebbe disturbare la vita comunitaria, soprattutto per il pranzo. E ‘molto interessante notare che impone alla comunità cristiana che le regole che mantengono comunione. Questo è sicuramente il modo migliore per essere veramente fedele a se stesso Gesù Cristo, che ha detto « questo è l’amore che hai per l’altro che noi che siete miei discepoli » (Gv 13, , 35).
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 Supplementi
 Questi problemi circa la circoncisione e le pratiche della legge ebraica possono sembrare di un’altra epoca: siamo davvero preoccupati?
 Sì, perché la domanda fondamentale circa la grazia è ancora valida, abbiamo ancora bisogno di sentire ancora una volta diciamo che la grazia è libero: è il senso della parola! Questo significa che Dio non ha mai i conti con noi!

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