Archive pour la catégorie 'Arcivescovi e Vescovi – † Mons. Luigi Padovese,'

MONS LUIGI PADOVESE – UN MESE DALLA MORTE, DUE ARTICOLI…

LINK  DAL GIORNALE « AVVENIRE » DI OGGI:

http://www.avvenire.it/Commenti/editoriale_padovese_201007030747539000000.htm

Monsignor Padovese, un mese fa

La scandalosa eloquenza di una vita offerta

da « ASIANEWS »:

http://www.asianews.it/notizie-it/P.-Antuan,-primo-gesuita-turco,-prima-messa-in-ricordo-di-mons.-Padovese-e-p.-Andrea-Santoro-18841.html

P. Antuan, primo gesuita turco, prima messa in ricordo di mons. Padovese e p. Andrea Santoro

Il sacerdote, già laureato in economia, si è convertito dall’islam nel ’97. Ma non oppone cristianesimo e islam. Impegnato sui temi della bioetica, in dialogo con il pensiero cattolico e musulmano. Si attende l’apertura del processo contro Murat Altun, l’assassino di mons. Padovese, Vicario dell’Anatolia.

Ankara (AsiaNews) – Domani, nella cappella di Santa Teresa di Gesù Bambino ad Ankara, p. Antuan Ilgit, primo gesuita turco, celebrerà la sua prima messa in lingua locale con i circa 50 fedeli della capitale. Alla messa partecipano il nunzio apostolico mons. Antonio Lucibello e i provinciali gesuiti dall’Italia e dal Medio oriente.
 
A un mese esatto dall’uccisione di mons. Luigi Padovese, il vicario apostolico dell’Anatolia assassinato dal suo autista Murat Altun, la prima messa di p. Antuan è un segno di speranza per i cattolici turchi.
 
Egli stesso, ordinato a Roma lo scorso 26 giugno, nell’omelia del giorno dopo, nella chiesa del Gesù, ha ricordato il sacrificio di mons. Padovese, che lo ha sempre sostenuto nella vocazione, e quello di don Andrea Santoro, ucciso nel 2006 a Trabzon. Egli ha voluto dedicare la sua preghiera “a mons. Padovese e a don Andrea, i cui i corpi sono stati spezzati e il sangue è sparso su quella terra che io amo e che amavano anche loro”.
 
P. Antuan è nato 38 anni fa in Germania, da genitori turchi emigrati da Mersin. Nel ’78 la famiglia ritorna in patria e nel 1994 si laurea in Scienze economiche e amministrative presso l’Università Gazi, ad Ankara. Lì, musulmano, scopre a poco a poco il cristianesimo. “Per la prima volta – racconta – compresi chiaramente le parole delle preghiere rivolte ad Allah e rimasi stupito per il fatto che mi veniva presentato un Dio amico dell’umanità, compagno del cammino, misericordioso, umile fino a darsi da mangiare e da bere”.
 
Il 29 marzo 1997, alla Veglia pasquale, proprio nella cappella dove domani celebrerà la sua prima messa in terra turca, egli viene battezzato. P. Antuan non ama esibire la sua conversione, come un’opposizione fra cristianesimo e islam: “le religioni – spiega – vengono molto strumentalizzate politicamente e questo non aiuta il dialogo”.
 
“Non è vero che sono stato strappato dalla mia fede originaria: il Signore piuttosto mi ha fatto percorrere un itinerario per conoscerlo più intimamente attraverso Gesù Cristo. E la cosa più bella che ho scoperto è che attraverso di Lui amo ancora di più il mio paese e la mia gente”.
 
“Attraverso la fede musulmana – dice ancora -  il Signore si è rivelato a me, come unico Dio. Si è avvicinato a me in questo modo. Non rinuncio a questa parte della mia vita: il cristianesimo è un’ulteriore tappa del mio cammino che, nel suo insieme, considero un dono inestimabile che Dio mi ha fatto”.
 
Nell’ultima lettera a lui inviata, mons. Padovese lo esorta: “Antuan, ora (come presbitero) dai quello che hai ricevuto: pace, consolazione, speranza, carità”. Per seguire questo percorso, p. Antuan si sta specializzando su alcuni temi di bioetica, paragonando il pensiero cattolico con le fatwa sul tema diffuse dalla Presidenza degli affari religiosi in Turchia.  E aggiunge: “È il primo passo dello stile di dialogo che desidero portare avanti”.
 
Intanto, le comunità cristiane turche attendono la conclusione dell’inchiesta sull’uccisione di mons. Padovese e l’inizio del processo contro l’assassino, Murat Altun. A un mese dal martirio del vicario di Anatolia, vi sono state preghiere e messe, celebrate in modo sobrio. Ad Antiochia, il 28 giugno scorso, si sono tenuti i vespri per la festa di san Pietro e Paolo, celebrati insieme a diversi rappresentanti ecumenici. L’indomani, davanti alla cosiddetta “grotta di san Pietro”, si è tenuta una celebrazione eucaristica.

Luigi Padovese: Cristiani in Turchia: il valore della testimonianza

dal sito:

http://www.oasiscenter.eu/it/node/4776

Cristiani in Turchia: il valore della testimonianza

Luigi Padovese, 14/10/2009

Intervento di S. E. Mons. Luigi Padovese, Vicario Apostolico in Anatolia (Turchia), alla seconda Assemblea Ecclesiale del Patriarcato di Venezia. Basilica di San Marco, 11 ottobre 2009

Eminenza, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per l’invito a questo incontro sul senso dell’essere testimoni di Cristo nella nostra società al termine del vostro cammino di riflessione su questo tema.

In questo particolare momento storico di Europa a molti cristiani, presumibilmente per una concezione individuale e intimistica di religione sulla quale si dovrebbe riflettere e nella quale la si vorrebbe relegare, risulta difficile confessare a parole la loro fede. V’è un diffuso timore nel trattare temi religiosi e manca il coraggio di affermare sia in pubblico che in privato la propria fede, spesso per scarsa formazione. Il che ci ricorda come sia necessaria una nuova grammatica della fede che significa anzitutto chiarire a se stessi perché e come essere cristiani, e poi chiarirlo e mostrarlo a chi non lo è. Penso che anche alla nostra realtà italiana si possa applicare quanto scriveva tempo fa il vescovo di Erfurt in Germania: « Alla nostra chiesa cattolica (in Germania) manca qualcosa. Non è il denaro. Non sono i credenti. Alla nostra Chiesa cattolica (in Germania) manca la convinzione di poter guadagnare nuovi cristiani… e quando si parIa di missione v’è l’idea che essa sia qualcosa per l’Africa o l’Asia, ma non per Amburgo, Monaco, Lipsia o Berlino”.

Particolarmente oggi, in epoca di pluralismo, va ravvivata la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede l’annuncio, anzi è il primo annuncio. E’ sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro di uomini che vivono da cristiani convinti. Ci conforta in questa convinzione il metodo missionario che Francesco d’Assisi consigliava ai suoi frati « che non facciano liti e dispute…e confessino d’essere cristiani”.

È in sintonia con questo modo di sentire quanto leggiamo nell’Evangelii nuntiandi dove si parla della testimonianza senza parole che suscita domande in quanti vedono. Già questa – leggiamo – « è una proclamazione silenziosa ma molto forte ed efficace della buona novella… un gesto iniziale di evangelizzazione”.
Questo modo di essere testimoni silenziosi è stato quello scelto da don Andrea Santoro, il mio sacerdote ucciso il 5 febbraio 2006 a Trebisonda. Quando la mattina successiva all’assassinio mi sono recato all’obitorio per vedere il cadavere, la prima impressione, del tutto spontanea, è stata la somiglianza tra il corpo nudo di don Andrea con il capo riverso e il segno del foro al fianco e l’immagine di Cristo morto del Mantegna. Non abbiamo mai saputo che cosa ha indotto il giovane assassino a questo atto di violenza. Dal processo è emersa la sua colpevolezza, ma delle connessioni, delle influenze, del clima di odio che ha determinato l’assassinio nulla sappiamo e, credo, non lo sapremo mai.

Don Andrea era venuto in Turchia affascinato da questa terra, dal suo passato, dal desiderio di essere un ponte tra islam e cristianesimo, ma pure tra Oriente ed Occidente. La piccola rivista che aveva creato con amici di Roma portava il titolo « Finestra sull’Oriente ». Ora questa finestra – grazie al suo martirio – s’è spalancata, e attraverso di essa la nostra situazione, prima conosciuta a pochi, ora è divenuta nota a molti. Con il sacrificio della sua vita don Andrea ha fatto veramente da ponte attraverso una testimonianza fatta di non molte parole, ma di una vita semplice, vissuta con fede.
 

Nell’email che m’ha inviato il 1° ottobre 2005, scriveva: « Abbiamo ripreso la nostra vita regolare, fatta di studio, di preghiera, di accoglienza, di cura del piccolo gregge, di apertura al mondo che ci circonda, di tessitura di piccoli legami, a volte facili, a volte difficili. Il Signore è la nostra fiducia, nonostante i nostri limiti e la nostra piccolezza. Io sono qui finché mi pare di poter essere utile e finché le circostanze lo consentono. Il Signore mostrerà le sue vie ». Tre mesi dopo questa sua testimonianza, fatta nel piccolo, è emersa agli occhi di tutta la Chiesa mettendo in luce la nostra realtà cristiana di Turchia. Veramente si tratta ormai di ben poca cosa. Uno sguardo alla recente storia porta a riconoscere che parecchi cristiani tra quel 20% che agli inizi del ’900 costituivano la popolazione totale, a motivo delle discriminazioni e vessazioni sperimentate, hanno scelto – almeno formalmente – di rinunciare alla loro fede omologandosi ai musulmani, almeno sui documenti ufficiali. Altri – assai pochi e perlopiù al sud del paese o nei grandi centri – hanno mantenuto la propria identità, ma a volte senza un reale approfondimento.

L’hanno conservata nel rispetto della tradizione come si conserva in casa un quadro antico di cui non si apprezza il valore. Lo si tiene perché fa parte dell’arredamento della casa, ma senza dargli il giusto rilievo, facendone una ragione di vita. D’altra parte, la situazione d’emarginazione in cui i cristiani sono stati isolati, la loro diminuzione numerica, la scarsità del clero e l’impossibilità di formare nuove leve, la totale scomparsa della vita monastica, hanno portato il cristianesimo ad un vistoso ridimensionamento e a perdita di visibilità.

Ultimamente proprio le tragiche morti di don Andrea, del giornalista armeno Hrant Dink, dei tre missionari protestanti di Malatia come altri episodi registrati dalla stampa locale e internazionale, hanno portato alla ribalta la realtà di un cristianesimo che in Turchia esiste ancora e reclama pieno diritto di cittadinanza volendo uscire dall’anonimato in cui è stato relegato. In questo impegno ha un suo peso, all’interno del paese, l’affermarsi di un islam tollerante rispetto alle religioni non islamiche. La stessa potente spinta che viene dall’Europa non è priva di effetti per le comunità cristiane di Turchia. Vorrei qui accennare all’interesse mostrato dalle autorità per le celebrazioni a Tarso dell’anno paolino. Eppure anche a questo riguardo la richiesta rivolta da più parti al governo turco di poter utilizzare la Chiesa/museo di Tarso, precedentemente confiscata dallo Stato, come luogo permanente di culto sta ancora attendendo una risposta. Se, come mi auguro, ci verrà concessa questa Chiesa, sarà per me il segnale che la Turchia non soltanto a parole, ma anche nei fatti, si sta aprendo ad un clima di libertà religiosa.

Non va comunque dimenticato che questo cammino è tutto in salita. Potrebbero confermarlo le numerose difficoltà che noi vescovi ci troviamo spesso ad affrontare. Penso anzitutto all’impossibilità di formare sacerdoti turchi che garantiscano un futuro a queste Chiesa per l’impossibilità di aprire seminari. E se noi cristiani latini che in Turchia come Chiesa non esistiamo possiamo sopperire a questo impedimento con personale che viene dall’estero, la cosa è più grave per le Chiese etnico religiose riconosciute dallo Stato i cui vescovi e preti devono essere cittadini turchi. Ma se queste Chiese non possono aprire seminari, quale futuro le attende se non una lenta, progressiva, estinzione? Un processo che si terrà nei prossimi mesi contro il metropolita siro ortodosso di Mor Gabriel riguarda proprio il fatto di avere tenuto nel suo monastero alcuni giovani seminaristi.
 

Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue.

Due settimane fa a Roma abbiamo avuto il primo incontro di preparazione del prossimo Sinodo delle Chiese orientali che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010. Attraverso la voce dei diversi patriarchi è stato toccante sentire quante difficoltà i cristiani d’Egitto, della Palestina, d’Israele, dell’Iran, dell’Iraq, della Turchia stanno ancora sperimentando. Viviamo per buona parte in un clima di discriminazioni che sta determinando la riduzione numerica dei cristiani da questi paesi se non addirittura la loro scomparsa. A noi il Papa ha proposto come tema del Sinodo « Comunione e testimonianza – Erano un cuor solo ed un’anima sola ». In altre parole: essere uniti per essere testimoni. La scelta di questo tema non riguarda soltanto le nostre Chiese di Oriente che vivono in una situazione minoritaria e di confronto con il mondo islamico, ma si può applicare anche alle Chiese di Europa messe a confronto con una società pluralistica e dove è anche dalla comunione dei cristiani tra di loro che deve nascere la loro testimonianza. Come è stato osservato la Chiesa non ha una missione, non fa missione, ma è missione. E dunque va capita da essa. Se vuole rimanere Chiesa di Cristo, deve uscire da sé. In quanto – come dice il Concilio. Vaticano II – è « sacramento universale di salvezza », essa è ordinata al Regno, è al suo servizio, esiste per proclamare il vangelo, e non soltanto oggi come misura d’emergenza in tempo di crisi, ma come costitutiva del suo essere. E il senso di tale impegno è di far si che un’esperienza divenuta messaggio torni ad essere esperienza.
 

« Noi parliamo di ciò che abbiamo visto ed udito”, dichiara Giovanni (1 Gv 1,3). La missione dunque è testimonianza resa all’amore di Gesù Cristo e al volto di Dio da lui rivelato. Da questo punto di vista essa non ha perso nulla della sua urgenza anche se s’impone un nuovo stile di missione meno ecclesiocentrico e meno interessato, come se Chiesa terrena e Regno di Dio coincidessero perfettamente. Si tratta di portare gli uomini a scoprire liberamente che il cammino di fede alla sequela di Gesù arricchisce la vita: va restituito al vangelo il carattere di vangelo, cioè di notizia che dà gioia, trasmettendo la visione che Gesù aveva del Regno, ma pronti a raccogliere anche delusioni. Non può essere altrimenti poiché la fede, in quanto espressione congiunta della grazie di Dio e della libera adesione umana, non si può imporre ma soltanto proporre.
 

Ed è qui che il ruolo della testimonianza diventa fondamentale anche perché, come diceva un Padre della Chiesa – « gli uomini si fidano più dei loro occhi che delle loro orecchie ». Nello scrivere una lettera pastorale ai fedeli delle nostre Chiese in occasione dell’anno paolino, noi vescovi di Turchia abbiamo rilevato come le difficoltà che Paolo ha sperimentato nell’annuncio del Vangelo non lo hanno frenato. Egli le ha intese piuttosto come il proprio contributo personale perché il Vangelo portasse effetto. Annunciare Gesù Cristo per l’Apostolo è stata una necessità che nasceva dall’amore per Lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole.

L’apostolo che ha sperimentato la difficoltà di queste annuncio, anche da parte dei fratelli di fede, ci ricorda come quello che conta è che Cristo « venga annunciato » (Fil 1,8), ma ci richiama pure alla nostra comune responsabilità nei confronti di quanti non sono cristiani. Lo abbiamo definito l’apostolo dell’identità cristiana, perché s’è strenuamente battuto affinché l’annuncio del vangelo non smarrisse la propria essenza e non si diluisse in forme sincretiste. Questa è stata la sua missione fin dall’inizio, sia nel prendere posizione contro rigurgiti di pensiero giudaizzante che vanificava l’azione salvifica di Cristo, ma pure contro la tentazione di dar vita ad un cristianesimo che non esigeva conversione. Egli – oggi come allora – ci ricorda che « cristiani non si nasce, ma si diventa » e ci richiama ad una realtà di Chiesa intesa anzitutto come il ‘noi’ dei cristiani e non una realtà soprapersonale, un’istituzione in cui trovare mezzi di salvezza. Essa è solidarietà, scambio, comunicazione dall’uno all’altro, comunione fraterna, unanimità che prega, ambiente di conversione, partecipazione alla croce, comunità di testimoni. Questa è la prima testimonianza da offrire. « In essa – scriveva Metodio d’Olimpo – i migliori portano i mediocri e i santi i peccatori. Quanto a quelli che sono ancora imperfetti, che cominciano appena negli insegnamenti della salvezza, sono i più perfetti che li formano e li partoriscono, come attraverso una maternità ». V’è dunque un servizio ‘materno’ della comunità cristiana e propriamente dei laici. Occorre prenderne sempre più coscienza e mi auguro che le mie poche parole di riflessione possano servire anche a questo.

Eucarestia in suffragio di Mons Padovese: una « messa pasquale » (ieri mattina…)

ieri mattina nella Basilica di Sant’Antonio a Roma c’è stata una messa di suffragio per Padre Luigi Padovese organizzata dalla Pontificia Università Antonianum, dove ho studiato per una parte dei miei corsi teologici, dovo ho conosciuto come professore, fratello e Padre, Mons. Padovese, naturalmente sono andata;

la Basilica era piena, i concelebranti erano tantissimi, hanno fatto molti nomi, ma i nomi mi sono sfuggiti e il mio pensiero era per il caro Padre Luigi, ho riconosciuto molti dei miei ex professori, da diverse Università; tutti, per quello che ho sentito incontrandoci prima della messa, eravamo convinti della santità di Padre Luigi e del suo « martirio », ma un peso era dentro di noi, come ignoto o nuovo, ma, come ha giustamente detto Padre Paolo Martinelli – ora Preside dell’Istituto di Spiritualità – che ha pronunziato l’omelia: « Pensando alla morte cruenta di Mons. Padovese abbiamo sentito anche noi come una pietra posarsi sulle nostre labbra, siamo come ammutoliti, increduli di fronte ad un dolore così grande e inaspettato… »

tuttavia quel peso è stato sollevato dalla « speranza nella resurrezione »: « chi ci separerà dall’amore di Cristo » (Rm 8, 35) è stato proclamato nella prima lettura da San Paolo, Rm 8, 35 39 (non ricordo quale estenzione aveva la lettura) così nel Vangelo sulla resurrezione di Gesù, ma, strano ricordo solo Paolo;

all’ingresso abbiamo cantato : « È la Pasqua del Signore.. » alla presentazione dei doni: « Sull’altare della croce, Agnello immolato, dal fuoco dell’amore il tuo corpo bruciato al Padre hai offerto come incenso gradito, hai fratelli hai donato come pane di vita (ritornello), alla comunione: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo… », ci stava veramente bene e come sempre alla lettura di Paolo – in questo caso ancora di più – mi sono commossa, alla comunione ancora un passo da Giovanni 15, 12ss;

che altro posso dire, non ci sono parole per descrivere i sentimenti, è il Signore che aiuta, c’è Paolo con le sue infinitamente dolci parole di sicurezza nel Signore e di amore;

sul sito della Università Antonianum c’è l’Omelia di Padre Paolo Martinelli, molto decisa e forte nel Signore; il Signore stesso gli ha suggerito le parole di cui tutti avevamo bisogno, vi rimando alla lettura dell’Omelia, leggetela, corrispondeva ai nostri sentimenti, il link è all’avviso della Concelebrazione in suffragio di Padre Padovese, trovate il collegamento all’Omelia sotto il nome di fra Paolo Martinelli, sotto ancora, se non le avete lette, o volete rileggerle, il collegamento alle altre Omelie, di mons. Edmond Farhat, già Nunzio apostolico in Turchia e le due di Milano di Mons Tettamanzi e Mons Fisichella, link: :

 

http://www.antonianum.eu/avvisiViewSenza.php?id=284

FUNERALI IN DUOMO PER IL « MARTIRE » PADOVESE – MA COME PER GESÙ TROPPI SUOI AMICI « ASSENTI », PERÒ A MILANO TANTI…

stammattina ho visto il funerale in Duomo del Vescovo e caro Padre Luigi Padovese, mi sono collegata con il sito della « Chiesa di Milano » che trasmetteva in diretta; il Duomo pieno; tantissimi concelebranti; ma soprattutto, Lui, il corpo martoriato in una bara, ma la sua anima ma non più qui in paradiso, tra i martiri, questa parola ha « osato » dirla solo qualcuno, mi sembra Mons. Franceschini, e questo stesso significato è emerso nella omelia di Mons. Tettamanzi; poche parole sono arrivate dalla Santa Sede, un telegramma a nome del Papa del Cardinale Bertone;

nel mio cuore non voglio giudicare nessuno, una cosa penso e continuo a rimurginarla dentro di me: si poteva e doveva riconoscere subito di che morte è passato al Signore Mons. Padovese, la coincidenza (coincidenza?) con la Solennità del Corpus Domini, la coincidenza (coincidenza?) con la fine dell’anno sacerdotale, e quanta altri segni che a me possono sfuggire, perché non si sono visti i « segni » che il Signore stava dando, offrendo e donando, con il « sangue versato » di Padovese? forse la mano del Signore si è avvicinata a tutti noi offrendoci un agnello immolato, e non è stato accolto, come per Gesù troppi suoi « amici » forse non hanno compreso, forse hanno avuto paura;

sull’Osservatore Romano di oggi ci dovrebbe essere un editoriale di Vian;

ancora sconcerto emerge nel cuore di tanti per il troppo silenzio intorno alla sua persona e alla santità della sua vita e della sua morte, non a Milano, ma nel resto dell’Italia e…a Roma;

per ora metto quanto pubblicato già dal sito della Chiesa di Milano ed uno dal giornale La Stampa di Torino:

DAL SITO DELLA CHIESA DI MILANO:

http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index

L’OMELIA DEL CARDINALE TETTAMANZI (PDF)

Chicco di grano per la speranza di una Chiesa

http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/omelia_padovese.pdf

Mons. Padovese, un segno di speranza

http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=2518965

Intervento al termine della Messa di Mons. Ruggero Franceschini

http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/Intervento_Franceschini.pdf
——————————————–
DAL GIORNALE: LA STAMPA DI TORINO

Il martire dimenticato

di Lorenzo Mondo

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7470&ID_sezione=&sezione=

Ai funerali di mons. Padovese, l’Arcivescovo che lo consacrò: Il Papa si informa continuamente e rispetta le competenze della magistratura turca

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22836?l=italian

Ai funerali di mons. Padovese, l’Arcivescovo che lo consacrò

Il Papa si informa continuamente e rispetta le competenze della magistratura turca

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 13 giugno 2010 (ZENIT.org).- L’Arcivescovo Edmond Y. Farhat rappresenterà la Santa Sede al funerale di mons. Luigi Padovese, in programma per lunedì 14 giugno alle ore 10.30 nel Duomo di Milano.

Secondo quanto confermato a ZENIT da padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, al funerale “vi sarà un messaggio del Papa all’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Dionigi Tettamanzi”.

“Il Papa ha dimostrato la sua partecipazione e il suo dolore in occasione del viaggio a Cipro e continua a tenersi informato – ha aggiunto padre Lombardi –. Del resto la Segreteria di Stato rispetta le competenze della magistratura turca, che ha assunto le indagini sull’assassinio”.

Mons. Farhat è stato Nunzio in Turchia dal 2002 fino al 2005 – quando è stato nominato mons. Padovese – e il 7 novembre del 2004 ha consacrato il Vescovo barbaramente ucciso.

Padovese è tornato a casa, in un cargo merci, come un agnello sgozzato;

Padovese è tornato a casa, in un cargo merci, come un agnello sgozzato; (notizia del giornale: La stampa)

ben in altro modo venivano trattati i martiri nella Chiesa primitiva, sì, scrivo martire perché lui ha amato  quelle terre, quei popoli, come un fratello, come un Padre ha trattato i suoi persecutori ed assassini;
come sarebbe bello avere, anche ora, in questo tempo degli « Atti dei Martiri » e trovarvi scritta la storia di coloro che sono stati uccisi in questo tempo, assassinati, forse neppure per un idea religiosa, ma, purtroppo, semplicemente per odio, odio per chi fa il bene, odio per chi è mite, odio per chi è saggio, odio per i cristiani e per Cristo; in questi « Atti dei Martiri » ritrovare il racconto tragico, orribile, ma anche vittorioso in Cristo della morte di Mons. Padovese; ci sarà qualcuno che avrà coraggio di scrivere per la Chiesa, per i cristiani, gli Atti del martirio di Padovese, insieme quello di tanti altri?
è finito proprio in questi giorni, oggi, l’anno sacerdotale, sarebbe stato bello proporre come modello di virtù eroiche, tra gli altri,  Mons. Luigi Padovese;
sarebbe stato bello se tra gli scandali di preti che non hanno vissuto il loro ministero con purezza, proporre quello di chi, innocente, mite,  saggio, è morto per Cristo, per una volta si poteva – e doveva – non dubitare;
la Chiesa è anche questa, oggi,  quella santa di Mons. Padovese,

Gabriella

TURCHIA: LA BATTAGLIA DI MONS. PADOVESE PER LA CHIESA SAN PAOLO A TARSO

dal sito:

http://www.asca.it/news-TURCHIA__LA_BATTAGLIA_DI_MONS__PADOVESE_PER_LA_CHIESA_SAN_PAOLO_A_TARSO-921160-ORA-.html

03-06-10 

TURCHIA: LA BATTAGLIA DI MONS. PADOVESE PER LA CHIESA SAN PAOLO A TARSO 
 
(ASCA) – Citta’ del Vaticano, 3 giu – Una lunga battaglia combattuta con le armi della diplomazia, della pazienza e della determinazione: e’ quella combattuta per anni da mons.
Luigi Padovese – il vicario apostolico in Turchia, ucciso oggi dal suo autista – perche’ fosse restituita al culto cristiano la chiesa di San Paolo a Tarso, l’unica della citta’ dove ebbe i natali l’Apostolo delle Genti. Trasformata in un museo dalle autorita’ turche, dove i cristiani potevano entrare solo pagando il biglietto ed era loro permesso di celebrare la messa solo prenotando con giorni d’anticipo, grazie alla mediazione del presule la chiesa stava venendo lentamente restituita al culto dei pellegrini che negli ultimi anni sempre piu’ numerosi arrivavano nella piccola cittadina turchi, soprattutto dopo l’Anno Paolino voluto da papa Benedetto XVI.

E’ di poco piu’ di una settimana fa la notizia che le autorita’ turche avevano tolto l’obbligo di pagare il biglietto per i pellegrini che volevano pregare nella chiesa e rimosso l’obbligo di prenotazione per le messe all’interno della chiesa-museo.  »Ora – aveva detto mons. Padovese in un’intervista al Servizio di Informazione Religiosa della Cei – si puo’ celebrare tranquillamente senza alcun preavviso, quando prima era richiesta una prenotazione previa di almeno tre giorni, portati poi addirittura a dieci con inevitabili problemi organizzativi. Il consiglio ai pellegrini, tuttavia, resta sempre quello di avvisare dell’arrivo per permettere alle suore di allestire la chiesa al meglio ». Le istituzioni turche avevano anche annunciato, seppure solo verbalmente , senza un formale impegno scritto, di volerla destinare a luogo permanente di culto.  »Siamo ancora a livello di trattativa – aveva spiegato mons. Padovese – la situazione non e’ pienamente risolta. Cio’ che di fatto ci interessa non e’ tanto la proprieta’ della chiesa o che questa venga data in gestione alla chiesa cattolica o alla comunita’ ortodossa.

Ci interessa soprattutto la possibilita’ di celebrare liberamente e con tranquillita’ cosicche’ tutti i pellegrini possano andare a Tarso sapendo che possono pregare senza essere disturbati e senza nessuna limitazione ». Questo fatto, aggiungeva,  »assume grande importanza per il fatto che con l’Anno Paolino, Tarso e’ diventata una meta di pellegrinaggio continuo. Abbiamo gruppi che arrivano quasi quotidianamente e prevedo un sensibile aumento nei prossimi mesi. Tarso, con Antiochia e la Cappadocia, e’ rientrata nei grandi percorsi di pellegrinaggio e questo e’ un bene anche per la Chiesa che e’ in Turchia ».

La piccola comunita’ delle suore  »Figlie della Chiesa » che vive e opera a Tarso, prestando servizio ai pellegrini che arrivano nella chiesa-museo di san Paolo, non a caso stenta a credere alla morte di mons. Padovese.  »Siamo sotto shock – dichiarano -. Non abbiamo perso solo un vescovo, ma un padre, un amico, un sostegno materiale e spirituale. Siamo addolorate non riusciamo ancora a credere che si successa una cosa simile. In questi posti si vive alla giornata, e’ imprevedibile ».

 »Viviamo una grande tristezza, siamo sotto shock – aggiungono, interpellate dal Servizio di Informazione Religiosa della Cei – e’ un dolore per tutta la chiesa di Anatolia e turca. Si e’ tanto prodigato perche’ le autorita’ turche concedessero la chiesa-museo di san Paolo di Tarso come luogo permanente di culto, ottenendo che i pellegrini potessero celebrare tranquillamente senza una lunga prassi di prenotazione. Lui stesso, poi, ci aiutava nell’accoglienza dei pellegrini che arrivavano e continuano ad arrivare da tutto il mondo. La nostra chiesa oggi piange un padre ».

asp/mcc/ss

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