forse ho già postato questo ricordo, ma non ho cuore di controllare, bollettino parrocchiale, dal sito:
http://www.parrsanleonardo.altervista.org/VA-2010-09-10_web.pdf
SETTEMBRE – OTTOBRE 2010
ANNO LXXXII Nº 4
BOLLETTINO BIMESTRALE DELLA PARROCCHIA DI SAN LEONARDO (Parma)
Un ricordo riconoscente di Mons. Luigi Padovese
Carissimi parrocchiani,
l’anno sacerdotale indetto dal Papa Benedetto XVI si è chiuso con la drammatica vicenda di martirio del Vescovo Luigi Padovese.
Abbiamo conosciuto un martire della fede.
Abbiamo conosciuto Mons. Padovese in quanto uccessore di Mons. Ruggero Franceschini nella Diocesi (Amministrazione Apostolica) dell’Anatolia: volendo continuare la mutua conoscenza con quella Chiesa lo chiamai poco dopo la sua ordinazione episcopale avvenuta ad Iskenderun (l’antica Alessandretta) il 7 novembre 2004. Mi disse che per l’immediato non poteva promettere nulla ma probabilmente sarebbe tornato in Italia nella primavera successiva. Venne invece in autunno e conferì le cresima ai nostri adolescenti nell’Ottobre 2005. In seguito fu tra noi nel 2007, sempre per il conferimento della Cresima e nel 2009, questa volta per presiedere l’Eucarestia domenicale e intrattenersi in Canonica. In questi anni abbiamo anche avuto modo, con un gruppo di educatori, di essere suoi ospiti, nel Vescovado di Iskenderun.
Chi era Mons. Luigi Padovese.
Mons. Padovese era nato a Milano il 31 Marzo 1947 ed era entrato diciassettenne nei Frati Minori Cappuccini, presso i quali era stato ordinato sacerdote il 16 Giugno 1973. Era un esperto di Patrologia, ossia della teologia dei primi scrittori della Chiesa. In questa veste
per molti anni insegnò nelle università pontifice e in varie istituzioni accademiche.
Quindi, la nomina a Vescovo titolare di Monteverde e Amministratore Apostolico di una
vastissima zona della Turchia: quella terra che aveva conosciuto attraverso gli studi sui Padri, ora diveniva la sua missione. E lì ha versato il suo sangue il 3 Giugno 2010, mentre in tutta la Chiesa si celebrava la Festa del Corpo e del sangue del Signore: era l’ora di pranzo; l’ora in cui si imbandisce la mensa!
Il ricordo di Mons. Franceschini.
Non voglio soffermarmi ora sulla dinamica e sulla assurda e urlata presunzione del suo carnefice, per il quale, seguendo il mite insegnamento di Mons. Luigi ci è dato di pregare offrendo il sacrificio del nostro perdono. Per ora mi sembra bello offrirvi, cari parrocchiani, dalle pagine del nostro giornalino, le parole intense e luminose che Mons. Ruggero Franceschini, Arcivescovo Metropolita di Izmir (Smirne) a pronunciato a chiusura delle Esequie in Italia di Mons. Luigi Padovese, nel Duomo di Milano, il 14 Giugno 2010. Penso valga la pena farne oggetto di meditazione.
Cari fratelli e sorelle,
stiamo per dare l’ultimo saluto al nostro e vostro vescovo Luigi; come ho già detto nell’omelia ad Iskenderun, non è il caso di farne l’elogio funebre, di raccontare al mondo quanto fosse buono, mansueto, intelligente, modesto; chi ha testimoniato con il sangue non ha bisogno di parole, e neanche di miracoli. Lo sa bene la Chiesa, lo sapete bene voi, che avete ognuno un motivo speciale nel cuore per essere qui , e non avete bisogno di altro.Lo sa bene la sua chiesa di Anatolia, piccolo gregge disperso, esiliato in Islam, ed ora anche colpito, sgomento, impaurito. Hanno ucciso il pastore buono. Partito da questa città si era fatto pellegrino dello spirito e della mente, fino a diventare uno dei più competenti esperti sulla vita e le opere dei Padri della Chiesa vissuti nell’attuale Turchia. Poi, divenuto vescovo, si fece anche pellegrino del cuore, per mettersi accanto agli eredi di quella Chiesa delle origini, ai quali non mancava di ricordare le loro radici, e coi quali aveva deciso fin da subito di condividere paure e speranze. Impressiona leggere oggi una delle prime lettere pastorali ai suoi fedeli: “Cari fratelli”, scriveva, “ a noi, forse, non è chiesto di testimoniare la nostra fede sino al martirio, ma è pur vero che ci è chiesto di testimoniarla”. Ahimé, almeno per ciò che riguardava don Andrea Santoro e se stesso: purtroppo si sbagliava.
O forse era solo una premura per non spaventare la sua comunità. Nella stessa lettera infatti, lucidamente, scrive: “ tra tutti i paesi di antica tradizione cristiana, nessuno ha avuto tanti martiri come la Turchia. La terra che calpestiamo è stata lavata con il sangue di tanti martiri che hanno scelto di morire per Cristo anziché rinnegarlo”. La piccola Chiesa rimasta in Anatolia, anche se di tradizione apostolica, è troppo giovane per superare da sola una tragedia simile, troppo fragile per fronteggiare il male che l’ha colpita, troppo povera per trovare in se stessa le risorse per continuare a sperare… almeno di esistere.
Guai a noi, fratelli!
Se non sapremo raccogliere il grido, o meglio ormai, il lamento che si leva da questi figli della Chiesa e nostri fratelli, di una terra tanto vicina nello spazio e invece tanto lontana nel cuore. Scriveva mons. Luigi a proposito di san Policarpo (vescovo martire di Smirne, la mia città): “cari fratelli, vi ho ricordato questa testimonianza , ma sono migliaia i martiri della nostra amata terra di Turchia. Essi ci invitano ad essere coscienti e felici della nostra identità cristiana”. Un’esortazione che p. Luigi fa a voi, cari milanesi e amici tutti che avete voluto essere qui oggi, ma per il suo piccolo gregge rimasto là ben più di un invito, un’autentica sfida, in una terra dove, ancora secondo Luigi: “si tratta di parlare più con la vita che con le parole”; e, come abbiamo visto, a volte ben oltre.
Non dimenticateci! Questo il grido.
Finite l’emozione e la commozione di questo giorno, non scenda l’oblio anche su questo
sangue. E’ la preghiera che questo vescovo missionario vi fa in questa cattedrale oggi densa di fede, nella sua storia millenaria essa è comunque molto più giovane della Chiesa di Anatolia, che oggi vi chiede disperatamente aiuto.
Ognuno nel suo campo.
Alle chiese sorelle chiediamo vocazioni: in particolare sacerdoti, religiosi e religiose, per
una missione difficilissima, senza sconti e senza compromessi, non voglio ingannare nessuno, non davanti a questa bara. Venite a vivere il Vangelo, venite ad aiutarci a vivere, semplicemente. “Il senso della nostra missione: essere testimoni della speranza perché uomini di speranza, coscienti che Gesù ha “pagato” per tutti e che in tutti c’è una qualche potenzialità di bene che attende la nostra parola, la nostra azione per essere risvegliata. E’ San Paolo a ricordarcelo: Chi ama tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, non perde mai la speranza” (1 Cor 13,7).
Mons. Luigi Padovese, Vescovo in Anatolia.
A chi si occupa di informazione: tenete aperta una finestra su questa terra, e sul dolore della Chiesa che la abita, siate la voce di chi non ha neanche la libertà di gridare la propria pena. La verità e la giustizia, aldilà di ogni umana convenienza. E cosí a chi si occupa di politica e di economia.E infine a tutti voi che semplicemente vi sentite in comunione di fede, agli ammalati che offrono le loro sofferenze, a chiunque abbia a cuore la pace tra i popoli: aiutateci, teneteci nel cuore, sia questo il fiore che avrete deposto sul corpo benedetto di mons. Luigi.Ho detto che non avrei parlato della morte di mons. Padovese, e non lo farò. Del resto, cosa volete che vi dica di un vescovo missionario ucciso nella Solennità del Corpus Domini? Per lui parlano il suo corpo spezzato, e il sangue versato “per tutti”. Ai suoi cristiani scriveva: “voglio confermarvi la mia gioia di essere con voi. Considero un dono del Signore essere per voi e come voi, un cristiano della Chiesa dell’ Anatolia”. Oggi siamo tutti Chiesa di Anatolia, io, certamente, ma anche voi, il vostro arcivescovo, gli altri confratelli vescovi, e tutti siamo Chiesa di Milano, tutti siamo semplicemente Chiesa, corpo del Signore, martoriato, sofferente, ma risorto e glorioso.
Meritiamo questo sangue?
Sicuramente non meritiamo il sangue dei martiri: esso è un dono unito a quello della Eucaristia. Non meritiamo questo dono ma dobbiamo supplicare il Signore che esso dia frutto: in credenti, anzitutto. Credenti là nella terra di Turchia, culla della Chiesa; credenti tra di noi, frastornati da un soporifero relativismo di valori e distratti dal gusto per l’immediato, il visibile, il godibile senza sforzo. Il sangue di Padovese, come il sangue di ogni martire, grida le parole del Vangelo e nella nostra vecchia Europa forse dice anche: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora fede sulla terra?”.
Don Mauro