Archive pour la catégorie 'ANTICO TESTAMENTO – SALMI (I)'

Salmo 121 : Il Dio custode

dal sito:

http://dedalo.azionecattolica.it/documents/Ferrari.pdf

Il Dio custode

Salmo 121 (120)
1 Canto delle salite.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
8 Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.

Commento al salmo 121
.
Il Salmo 121 è il secondo dei salmi “delle salite” (Sal 120-134). Si tratta di un salmo molto semplice
– forse solo apparentemente – come è proprio dei questo gruppo di salmi. Vi troviamo immagini molto forti e nello stesso tempo molto immediate che ci parlano del rapporto tra Adonai e il credente. Il nostro Salmo non è una preghiera, non è una lode, un ringraziamento, una supplica… Si tratta di un monologo di un pellegrino, forse originariamente di un guerriero, che vuole rafforzare la sua fiducia in un Dio che è “custode” sempre! Il salmista non parla a Dio, ma parla di Dio. È molto importante questo aspetto e lo riprenderemo: Dio non è custode solo in momenti straordinari, ma sempre egli è colui che “custodisce” Israele e la vita dell’uomo e della donna. Potremmo dire che per questa sua caratteristica questo Salmo è “il salmo del quotidiano”, perché di Matteo ferrari*
afferma quale debba essere la relazione tra Dio e il suo fedele non in momenti straordinari della vita, ma in ogni momento. Se ci pensiamo bene, questo è un annuncio molto importante che potrebbe condurci a imparare a memoria questo testo, per “mormorarlo” giorno e notte – come dice il Salmo 1 – per rafforzare la nostra fiducia in un Dio che è “custode” della vita (nephesh).
Allora cerchiamo di entrare in questo Salmo, lasciando che sia il testo a parlarci con la sua struttura, le sue immagini, il suo “vocabolario”.  La struttura del Salmo Dopo la soprascritta (v. 1a) che ci ricorda la collezione nella quale il Salmo si inserisce, cioè i “salmi delle salite”,1 il Slamo si suddivide in quattro strofe:
a) 1b-2 I strofa
b) 3-4 II strofa
c) 5-6 III strofa
d) 7-8 IV strofa
È un Salmo molto ben costruito attraverso le regole della poesia ebraica. In particolare troviamo l’aggancio tra i versi con la ripetizione all’inizio del secondo verso di ogni strofa di una delle ultime
parole di quello precedente (anadiplosi). Così vengono legati tra loro i vv. 1-2; 3-5; 5-6; 7-8.
C’è poi una inclusione formata dal verbo “venire” tra il primo e l’ultimo versetto, quindi tra la prima e l’ultima strofa. Si forma così una “cornice” che racchiude i due versetti centrali uniti tra loro dalla ripetizione per tre volte del participio del verbo “custodire” (sh-m-r). Al centro di tutto il Salmo viene così a trovare l’espressione: «Adonai è il tuo custode». Vediamo allora che la struttura stessa del Salmo, così accurata, ci conduce a individuarne il centro e in qualche modo il titolo: il salmo ci parla di Dio come “custode”. C’è un altro aspetto della struttura che non possiamo dimenticare. Il verbo “custodire” (sh-m-r) ritorna sei volte. Le prime tre volte (vv. 3-5) lo troviamo al participio, le altre tre volte (vv. 7-8) nella forma yiqtol (cfr. ALONSO SHÖKEL, I Salmi, II, 635). Al centro di queste sei ricorrenze del verbo “custodire” troviamo un altro attributo di Dio molto importante nelle Bibbia: Dio è definito come “ombra” (tsel). Dio nel Salmo è chiamato “custode di Israele”, ma subito dopo, in modo personale, “tuo custode”. Ugualmente anche l’immagine dell’ombra, che rimanda sempre all’azione di Dio di custodire e proteggere, è usata in modo personale: il Signore è “la tua ombra”. Nel Salterio l’ombra è legata all’azione di custodire. Nel Salmo 17,8 sono messi in parallelo il verbo “custodire” e il termine “ombra”: 3 «Custodiscimi (sh-m-r) come pupilla degli occhi, all’ombra (tsel) delle tue ali nascondimi». Tante volte nel Salterio ritorna l’immagine di Dio che custodisce “all’ombra delle sue ali” (17,8; 36,8; 57,2; 63,8). L’immagine dell’ombra compare anche in Sal 91,1. Come Adonai è stato “ombra” per Israele nel cammino dell’Esodo, così egli è “ombra” che custodisce nel cammino anche il salmista nella sua esistenza personale. È come se il Salmo ci volesse dire: «Dio è per te personalmente, nella tua concreta esistenza ciò che è stato per i tuoi padri, per il popolo di Isarele». .Le immagini e il messaggio del Salmo Dopo aver visto la struttura del Salmo, nella quale già abbiamo potuto cogliere il centro del suo messaggio, proviamo ora a ripercorrerne le quattro strofe.

I strofa: gli occhi Nella prima strofa troviamo una domanda retorica che il salmista si pone: da dove mi verrà l’aiuto? Ma il primo riferimento che troviamo è un’immagine molto bella: «Alzo gli occhi verso i monti…». La prima strofa si apre con un riferimento allo sguardo, agli occhi. Nei momenti di difficoltà, quando abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti noi siamo soliti volgere il nostro sguardo verso la persona o la cosa che pensiamo possa aiutarci. Basta pensare alla immagine di un bambino in pericolo che alza subito il suo sguardo per incontrare quello della mamma, affinché essa intervenga in suo aiuto. Nel contesto del nostro Salmo questa immagine può avere molti significati. Innanzitutto i monti, le “alture” erano per i popoli in mezzo ai quali viveva Israele dei luoghi di culto per le loro divinità. L’immagine del nostro Salmo potrebbe proprio riferirsi a questo. Il salmista non deve cercare in “altri dei” l’aiuto che gli può venire solamente dal Signore suo Dio. Sarebbe quindi una immagine anti-idolatrica. Il nostro salmo – non dimentichiamolo, usato successivamente per i pellegrinaggi – avrebbe così un significato di rifiuto dell’idolatria e di scelta del Signore come Dio unico. Il pellegrinaggio esteriore del camminare verso il Tempio di Adonai in Gerusalemme,
diventerebbe per il salmista anche un “pellegrinaggio interiore” di purificazione di ogni forma
di idolatria, la quale consiste nel porre la propria ricerca Dio nel Salmo è chiamato “custode di Israele”, ma subito dopo, in modo personale,“tuo custode”. Ugualmente anche l’immagine dell’ombra, che rimanda sempre all’azione di Dio di custodire e proteggere, è usata in modo personale: il Signore è “la tua ombra” fiducia in chi non ci può aiutare. In secondo luogo l’azione di alzare lo sguardo verso i monti potrebbe essere quella di una sentinella che guarda dalle mura della città assedia a – Gerusalemme? – i monti dai quali possono giungere i rinforzi. È un’immagine militare anch’essa molto forte che introduce la risposta: l’aiuto non viene dall’esterno, da rinforzi che aspettiamo dai monti che circondano la città, ma dal Signore. Un’immagine che potrebbe riferirsi a tanti momenti della travagliata storia di Gerusalemme e di Israele. Infine potremmo vedere questa immagine del Salmo in riferimento all’esperienza del pellegrino che giunge a Gerusalemme dalle montagne che la circondano e attende di vedere il monte del Tempio del Signore che è la meta del suo cammino. Un tema quello del cammino che viene ripreso nella strofa successiva. Un’ultima sottolineatura. Ciò che cerca il salmista è “l’aiuto”. È suggestivo pensare che questo termine (‘ezer) indica anche è ciò che cerca l’Adam nei racconti della creazione. Eva è «un aiuto come davanti a lui». È nella volontà di Dio che Adam abbia questo aiuto (2,18: non è bene (lo tov) che Adam sia solo). Questo riferimento può farci leggere questo Salmo in una chiave di relazione molto intensa. Il Salmo parla del “mio aiuto”. Dio è l’Altro per eccellenza che è “necessario” alla vita dell’uomo e della donna. Il salmista nella sua esperienza religiosa trova nel Signore questa alterità che fonda la sua esistenza.

II strofa: i piedi Nella seconda strofa si passa dagli occhi ai piedi. Se lo sguardo del salmista si
può innalzare solo a Dio per avere l’aiuto di cui ha bisogno, così Dio è colui che fa sì che i suoi piedi
non vacillino lungo il cammino del suo pellegrinaggio reale o simbolico. Troviamo qui ancora un riferimento velato al cammino dell’Esodo, che si ricollega all’immagine dell’ombra. Come Dio ha custodito Israele nel cammino dell’Esodo e non ha lasciato vacillare il suo piede, così, nello stesso modo, egli si comporta nella vita personale dei credenti. L’immagine del sonnecchiare di Dio al negativo – Dio “non dorme” – può ancora essere una immagine antiidolatrica. Elia sul Carmelo schernisce i profeti di Baal che non risponde alle loro preghiere insinuando che forse egli stava dormendo (1Re 18,27): «Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà». Il riferimento al sonno ci rimanda poi al tempo notturno, quando la sentinella veglia in difesa della città. Il Signore. Tuttavia questo può essere trasferito alla 4
dimensione personale del rapporto con Dio: nell’oscurità della notte e delle notti il fedele può “dormire” sicuro perché c’è qualcuno che sempre “veglia” per lui. Basta pensare la Salmo 4: «In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare» (Sal 4,9).

III strofa: Dio custode Nella terza strofa troviamo il centro del Salmo: il Signore è il tuo custode!
Abbiamo già visto che si passa della sfera collettiva della conclusione della strofa precedente (il custode di Israele) a quella personale che apre il v. 5: il Signore è il tuo custode! In tutto il Salmo compaiono con insistenza i suffissi pronominali di seconda persone, che danno appunto al testo una dimensione di relazione personale. Come abbiamo già detto la dimensione personale è affermata anche dall’immagine di “Dio tua ombra” che sta in parallelo all’espressione “tuo custode”, che sono quindi collocate in parallelismo sinonimico. La conseguenza del fatto che Adonai è ombra che sta alla destra del suo fedele è che né sole ne luna costituiranno per lui un pericolo. È un riferimento temporale oltre che un nuovo rimando all’Esodo. Sole e luna – che possono essere ancora letti in chiave anti-idolatrica rimandano al giorno e alla notte. Si afferma quindi che la protezione di Dio è costante: di giorno e di notte. Richiamando due estremi il salmista vuole dare – con un procedimento tipico della lingua ebraica – il senso della totalità: la protezione di Dio avvolge tutto. Questo è sottolineato anche dalla insistente ripetizione del Nome di Dio che nel Salmo compare per sei volte: una volta nella prima strofa e cinque volte nelle ultime due.
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IV strofa: Custode della vita Nell’ultima strofa il tema principale è il tema della custodia della vita.
Dio custodisce da ogni male (7a) e custodisce la nephesh, cioè la vita (v. 7b). C’è un parallelismo tra male e vita: custodire dal male, significa custodire la vita. Dio è colui che vuole il “bene” (tov) dell’uomo. Il termine “nephesh” indica nella Bibbia l’uomo nella sua realtà di essere che respira, ma anche di essere che desidera e aspira a qualcosa che va oltre sé stesso. Dio allora è colui che custodisce l’uomo e la donna anche in questo: è custode dei loro desideri più profondi ed autentici. In questo Dio si differenzia dagli idoli: essi soffocano il desiderio, Dio invece ne è il custode. L’espressione “da ora e per sempre”, che chiude il salmo, indica ancora una volta la totalità del tempo in riferimento al presente e al futuro. L’esperienza di essere “custoditi” da Dio va fatta nel presente, ora… ma riguarda anche il futuro. Così il Salmo si chiude “aprendosi” verso l’intera vita del credente che deve porre sempre la sua fiducia in Dio che è il suo custode: il custode della sua vita, del suo bene.

*Monaco del Monastero di Camaldoli

I Salmi: Gli Ebrei trovano nei salmi l’invocazione adatta alla circostanza

dal sito:

http://www.messaggerocappuccino.com/La_rivista_MC/_I_numeri_del_2009/MC_n_1__2009_/Caro_-_MC_1_2009.pdf

PAROLA E SANDALI PER STRADA

La consolazione di ogni giorno

Gli Ebrei trovano nei salmi l’invocazione adatta alla circostanza

di Luciano Caro
rabbino di Ferrara

Cantati da tutti
Il libro dei Salmi (in ebraico Tehillim) è una raccolta di 150 componimenti poetici, inserita al primo posto nella terza parte (Ketuvim o Agiografi) della Bibbia ebraica. In queste poesie, attribuite a Davide, l’autore esprime una varietà di sentimenti che vanno dalla riconoscenza al dolore, dalla speranza alla richiesta di aiuto. L’espressione di sentimenti nei confronti di Dio è designata spesso nel testo biblico con il termine tefillà, tradotto generalmente come preghiera. Nell’ambito del santuario di Gerusalemme, i salmi erano talvolta cantati in pubblico, in coro e accompagnati da strumenti musicali in occasione di festività o di eventi pubblici o privati. Intonati dai leviti, ma anche dai fedeli che si recavano in pellegrinaggio al santuario, finirono per diventare veri e propri canti popolari. Il termine « salmi » deriva dal titolo greco del libro, Psalmoi, che significa canti accompagnati da strumenti musicali a corde. Non c’è dubbio che alcuni salmi facevano parte del cerimoniale liturgico del santuario, ma erano anche cantati dai pellegrini e dai contadini avviati verso la città di Gerusalemme per recarvi in offerta le primizie. Le idee contenute in queste composizioni si rifanno a quelle espresse d a i profeti e ribadiscono pertanto il concetto dell’unicità di Dio, della sua bontà e della sua giustizia. Nonostante le varie ipotesi formulate in proposito, è molto difficile riconoscere in ogni salmo l’occasione per la quale è stato composto. Gli accenni del testo sono spesso tenui e incerti come accade nella poesia, e inoltre i sentimenti dell’animo umano che così gran parte hanno nel libro sono sostanzialmente sempre gli stessi, indipendentemente dalle circostanze o dal tempo in cui sono stati espressi. La tradizione sostiene che Davide compose i suoi salmi ispirato da Dio, quando, a mezzanotte, la sua arpa collocata sopra il giaciglio, suonava sollecitata dal vento del nord. Le corde dell’arpa provenivano dall’ariete immolato da Abramo al posto del figlio Isacco. Sognare i salmi è considerato segno di comunione con Dio e, nei testi classici, è frequente l’esortazione a leggerli allorché si debbono affrontare momenti particolari, soprattutto sofferenza, malattia o crisi spirituali. Il libro dei salmi è il più usato nella liturgia comunitaria e anche nella preghiera privata, ad esempio in occasione di un viaggio, di una malattia, di una morte.

Manuale di consultazione di Dio
I Maestri affermano che la recitazione dei salmi è una forma di preghiera e di studio della legge divina, la Torà. Ricordiamo anche che esistono confraternite che si riuniscono appositamente per recitare ogni giorno un certo numero di salmi. La tradizione ebraica ha identificato salmi da mettere in relazione con situazioni specifiche. Così, ad esempio, c’è un salmo in corrispondenza a ogni singolo brano della Torà. Di fatto, i salmi occupano un posto di rilievo nella liturgia quotidiana. Ne diamo una breve e incompleta panoramica. La preghiera del mattino è introdotta dai Pesukè Dezimrà (versetti di lode). Si tratta di un certo numero di salmi tra i quali gli ultimi sei capitoli del libro. Sono introdotti dal salmo 145: « Beati coloro che abitano nella Tua dimora ». Il Talmud invita a recitarlo 3 volte al giorno per assicurarsi la beatitudine eterna. Per questo motivo è stato inserito due volte nella preghiera del mattino e una in quella pomeridiana. Il salmo è acrostico alfabetico, ma manca il verso iniziante con la lettera Nun. Sempre nella preghiera del mattino, è inserito il salmo 67 sostituito di sabato col 19. Esistono salmi relativi a ogni giorno della settimana e a ogni ricorrenza. Così la domenica si legge il salmo 24 che inizia con l’espressione: All’Eterno appartiene la terra e quanto la riempie ». Si vuole sottolineare il fatto che con la creazione, iniziata il 1° giorno, viene proclamata la sovranità di Dio sull’universo. Il lunedì, quando Dio ha separato le varie parti del creato, leggiamo il salmo 48: « Grande è l’Eterno e degno di alta lode ». Al martedì, giorno in cui Dio ha preparato il mondo alla venuta dell’uomo, è collegato il salmo 82: « Dio presiede il raduno dei giusti ». Al mercoledì, in cui Dio ha creato il sole e la luna e chiederà conto a coloro che adorano questi astri, è assegnato i l salmo 94: « Dio delle rivendicazioni ». Al giovedì, in cui sono stati creati vari tipi di uccelli e di pesci, è stato riservato il salmo 81 : « Giubilate all’Eterno che è la nostra forza ». Il venerdì, in cui è stata completata l’opera della creazione, si legge il salmo 93: « L’Eterno regna ed è rivestito di maestà ». E finalmente il sabato preghiamo il salmo 92, che preconizza l’avvento del tempo in cui « cesseranno le guerre ». Al venerdì sera, poco prima del tramonto, come introduzione alla preghiera serale, si recita in sinagoga la Kabalath Shabbath (accoglienza del sabato). Consiste nella lettura di sei salmi uno per ogni giorno lavorativo: 95, 96, 97, 98, 99 e finalmente il 29, che fa parte delle composizioni inneggianti alla creazione, con invito alle forze della natura di lodare Dio. Queste forze non sono indipendenti, ma acquisiscono potenza dal Kol Hashem (voce dell’Eterno). La locuzione compare nel salmo sette volte, ulteriore elemento che rimanda alla creazione. Il salmo 29 è intonato anche allorché si riporta nell’Arca il rotolo della Torà dopo la lettura sabbatica poiché la Torà è espressione della potenza divina. Segue poi il canto Lechà Dodì (« Vieni, o sposo »), notissimo inno composto dal cabalista Alkabez (secolo XVI). Il sabato vi è descritto come una sposa accolta dallo sposo. Il cerimoniale risale all’ambiente dei mistici di Safed, che usavano al tramonto del venerdì recarsi nei campi, vestiti di bianco, per accogliere il sabato. Segue la lettura del salmo 92, intitolato, come si è visto, proprio al sabato.

Una lode misurata
Infine, un cenno all’Hallel (lode). Con questo termine si designa un gruppo di salmi (113-118) entrati a far parte della liturgia dei giorni festivi e del primo giorno del mese. Contengono lodi a Dio e il ricordo della liberazione dall’Egitto nonché la speranza e la fiducia nella salvezza concessa da Dio. Sono recitati in forma abbreviata negli ultimi sei giorni di Pesach (la Pasqua ebraica) in relazione al fatto che la nostra gioia non può essere completa poiché, in occasione della miracolosa traversata del Mar Rosso, l’esercito egiziano fu sommerso dalle acque. A proposito dei salmi, giustamente Siegfried Bernfeld ha scritto: « Tradotti in quasi tutte le lingue, questi canti da due millenni sono stati di conforto e sollievo a milioni e milioni di uomini, sono stati letti con fervore e con devozione da singoli e da gruppi di uomini. In tutte le circostanze, in ogni momento della vita spirituale, si trovò in questa raccolta la parola che sembrava scritta apposta per quella circostanza e per quel momento ».

SALMO 8 (traduzione CEI; testo del commento: originale spagnolo, traduzione Google)

testo originale spagnolo traduzione Google, il salmo versione italiana CEI, il sito spagnolo:

http://www.franciscanos.org/oracion/salmo008.htm

IL SALMO 8 

Potenza del nome divino
[1]Al maestro di coro. Sul canto: «I Torchi…».
Salmo. Di Davide.

[2]O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
[3]Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

[4]Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
[5]che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?

[6]Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
[7]gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
[8]tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
[9]Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.

[10]O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
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La Bibbia di Gerusalemme dà a questo salmo il titolo della potenza del nome divino .

Shell-Colunga Per il titolo di questo salmo è la bontà di Dio per portare tutti gli uomini la creazione.
Il salmista contempla le meraviglie del creato: il cielo stellato, il riflesso argenteo della luna, gli animali per servire l’uomo, e le bocche di gara dei bambini che, in attesa del seno delle loro madri, proclamano la grandezza e la provvidenza di Creatore. E ‘come un commento poetico sul lavoro di creazione narrato nel cap. 1 della Genesi. L’uomo è il rappresentante di Dio nell’opera della creazione. Tutto è stato creato per servire l’uomo, e questo al servizio di Dio, perché fatto a « immagine e somiglianza ». Il salmista, lungi dal riconoscere le stelle come divinità e la misteriosa trasmissione della vita, si presenta tutto come opera di un solo Dio dell’universo, il quale governa tutte le cose a « numero, peso e misura » (sab 11.21). Il poeta affascinato da tanta grandezza cosmica, ammirando del Creatore Onnipotente preoccupare qualcuno come insignificante come un uomo. Tuttavia, è il re della creazione reca il timbro del divino nella sua anima.
L’inno si apre con un inno (vv. 2-3), cantata da un coro di certo in generale liturgico: il cielo e la terra proclamano la grandezza del suo essere personale. La gloria e la maestà di Dio brillare nel cielo e la terra è così evidente che persino i bambini e anche quelli che succhiano ne rendono conto, dando così un argomento o la prova della loro esistenza alla oppositori e ribelli , che, confuso dal questo grido universale, sono ridotti al silenzio. L’espressione del Salmista è iperbolico, ma molto significativa per indicare la magnificenza splendida l’opera della creazione, che a sua volta è un riflesso del Creatore la grandezza: i bambini sono anche consapevoli. fine ironia contro i forti esprits del suo tempo e di auto, che ha chiuso gli occhi per tale grandezza. Gesù, l’entrata trionfale in Gerusalemme, ricordare questo testo per confondere gli scribi ei farisei, i quali, accecati dalla superbia e gli interessi personali, non poteva riconoscere il Messia, come egli ha sostenuto che i bambini di strada (Mt 21,15 -16).
In vv. 4 e 5 del poeta incantato dalla grandiosità del cielo in una notte stellata, che riflette la gloria e la grandezza di Dio, che siede sulle stelle nei cieli di cielo, dove egli guarda gli uomini, piccoli come « locuste ». Eppure, il Dio Onnipotente, che dirige il corso delle stelle come « Dio degli eserciti » siderale ricorda l’uomo, che è tutto debolezza e incoerenza.
Vv. 6 e 7 cantare la grandezza dell’uomo contro l’universo. Nonostante la sua piccolezza, Dio è stato associato con il dominio sulle creature, rendendo poco inferiore agli angeli . In Genesi 1,26, lo scrittore sacro mette in bocca di Dio, la seguente dichiarazione: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, per avere il dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, e su ogni essere vivente terra e come gli animali si muovono su di esso.  » Dio creò l’uomo come vicario e rappresentante al di sopra di tutti gli esseri creati. In questo caso l’ immagine e somiglianza del Creatore, come interpretato dai Padri greci, ma questa potenza e la somiglianza con il divino si trova nella sua natura razionale, dotato del massimo potere di dominio, l’intelligenza e la volontà . Questa è la corona di gloria e di dignità per avvicinarsi al divino. Come luogotenente dello stesso Dio nella creazione, ha il comando su tutto il creato, perché tutto è stato messo sotto i suoi piedi . Ciò indica la grandezza spirituale dell’uomo di fronte a tutti, nonostante la loro insignificanza fisica.
Vv. 8 e 9 sono un resoconto della dichiarazione di cui sopra, una reiterazione della proclamazione solenne del Gen. 1.28. Prima che il grande display di Provvidenza di Dio sull’uomo, re della creazione, il salmista nel v. 10, si ripete l’antifona o ritornello con cui iniziò la composizione .– Maximiliano García Cordero , nella Bibbia parlava del]
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CATECHISMO DI GIOVANNI PAOLO II

1. « (…) Egli si rivela come il centro di questa società. Rivela gigante rivela Dio, non se stesso, ma in linea di principio e nella sua destinazione. Onorare l’uomo, la sua dignità, il suo spirito, la sua vita « ( Angelus del 13 luglio 1969: L’Osservatore Romano , edizione in lingua spagnola, 29 luglio, 1969, p. 2).
Con queste parole, nel luglio 1969, Paolo VI ha dato agli astronauti americani in procinto di partire per la luna, il testo del Salmo 8, che appena sentito qui, per lasciare negli spazi cosmici.
In effetti, questo inno è una celebrazione dell’uomo, una creatura insignificante rispetto alla vastità dell’universo, una « canna » fragile, per usare una famosa immagine del grande filosofo Blaise Pascal ( Pensieri , n. 264). Eppure, è una « canna pensante » che può comprendere la creazione, come il signore di tutto il creato, « coronato » da Dio stesso (Sal 8,6). Come spesso negli inni che glorificano il Creatore, il Salmo 8 inizia e termina con una solenne antifona rivolta al Signore, la cui magnificenza si manifesta in tutto l’universo: « Signore, nostro Dio, che meraviglia il tuo nome su tutta la terra « (vv. 2, 10).
2. Il corpo della canzone sembra assumere una atmosfera notturna, con la luna e le stelle accese nel cielo. La prima strofa dell’inno (cfr vv. 2-5) è dominata da un confronto tra Dio, l’uomo e il cosmo. Nella scena è in primo luogo il Signore, la cui gloria del cielo cantano, ma le labbra del genere umano. La lode che sgorga spontanea dalle labbra dei bambini e confonde annulla discorsi presuntuoso di chi nega Dio (cfr v. 3). Questi sono indicati come « avversari », « nemici » e « ribelli », perché credono erroneamente che la ragione e l’azione può sfidare e affrontare il Creatore (cfr Sal 13,1).
Immediatamente dopo l’apertura della suggestiva cornice di una notte stellata. Dato l’orizzonte infinito, è l’eterna domanda: « Che cos’è l’uomo? » (Sal 8,5). La prima e immediata risposta parla di decadenza, in relazione alla vastità del cielo e, soprattutto, per quanto riguarda la maestà del Creatore. Infatti, il cielo, dice il Salmista, è « tuo », « ha creato » la luna e le stelle, che sono « l’opera delle tue dita » (cfr v. 4). E ‘bello questo termine, che viene utilizzato al posto del più comune: « l’opera delle tue mani » (cfr v. 7): Dio ha creato questa realtà colossale con facilità e la finezza di un ricamo o uno scalpello, con il tocco leggero di un arpista facendo scorrere le dita tra le corde.
3. Pertanto, la prima reazione è di stupore: come può Dio « ricordarsi » e « prendersi cura » (cfr v. 5) di questa creatura così fragile e piccolo? Ma ecco la sorpresa: l’uomo, creatura debole, Dio gli ha dato una grande dignità: ha fatto poco inferiore agli angeli, o, come può anche essere tradotto l’originale ebraico, di poco inferiore a Dio (cfr v. 6 .)
Siamo andati bene nella seconda strofa del Salmo (cfr vv. 6-10). L’uomo è considerato come il deputato regionale del Creatore. Dio, infatti, ha « incoronato » come un viceré, destinato ad un dominio universale, « Tutte le cose sotto i suoi piedi » e l’aggettivo « tutti » gli anelli in cui sfilano le varie creature (cfr vv. 7-9). Ma questo dominio non viene conquistata dalla realtà umana, fragile e limitata, o si ottiene con una vittoria su Dio, come sostiene il mito greco di Prometeo. È un dominio che Dio dona: un mani fragili e spesso di uomo egoista affida l’orizzonte delle creature, in modo che mantiene la sua armonia e bellezza, per l’uso e non abuso, di scoprire i suoi segreti e sviluppare il loro potenziale.
Come affermato nella Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, « l’uomo è stato creato a immagine di Dio, » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, ed è stata presentata dal signore di tutte le creature terrene per domarli e li usa per glorificare Dio « (n. 12).
4. Purtroppo, il dominio degli uomini, ha detto nel Salmo 8, può essere fraintesa e distorta da uomo egoista, che spesso ha agito più come un tiranno pazzo che un governatore saggio e intelligente. Il Libro della Sapienza mette in guardia contro tali deviazioni, quando afferma che Dio « plasmò l’uomo a dominare la (…) creature e governare il mondo con santità e giustizia » (Sap 9,2-3 .) Lavoro anche, sebbene in un contesto diverso, si applica questo Salmo per ricordare soprattutto la debolezza umana, che non meriterebbe molta attenzione da parte di Dio: « Che cosa è l’uomo che si prende molta cura di, per dirla il tuo cuore, che scruta ogni mattina? « (Gb 7,17-18). I documenti di storia del male che la libertà umana si diffonde nel mondo con la devastazione ambientale e l’ingiustizia sociale più evidente.
A differenza di esseri umani che umiliano gli altri esseri umani e la creazione, Cristo è presentato come l’uomo perfetto, « coronato di gloria e di onore per la morte aver sofferto, per la grazia della morte di Dio con esperienza per il bene di tutti » ( Hb 2.9). Regole di tutto l’universo con il dominio di pace e di amore che definisce il nuovo mondo, i cieli nuovi e terra nuova (cfr 2 Pt 3,13). Inoltre, la sua autorità regale, come suggerisce l’autore della Lettera agli Ebrei applicando il Salmo 8 – si esercita con il dono supremo di sé nella morte « per il bene di tutti ».
Cristo non è un sovrano che esige di essere servito ma per servire e di essere dedicata agli altri: « non il Figlio dell’uomo è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti » (Mc 10,45 .) In questo modo, ricapitola in sé « ciò che è in cielo e quelle della terra» (Ef 1,10). Da questa prospettiva cristologica, il Salmo 8 rivela la potenza del suo messaggio e la sua speranza, invitandoci a esercitare la nostra sovranità sulla creazione senza dominio, ma con amore.

[Udienza Generale del Mercoledì 26 Giugno, 2002]

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MAESTÀ DEL SIGNORE E DIGNITÀ DELL’UOMO

1. Con la meditazione del Salmo 8, un meraviglioso inno di lode, concludiamo il nostro lungo viaggio attraverso i salmi e cantici che compongono l’anima della preghiera nella Liturgia delle Lodi . Durante queste catechesi, la nostra discussione si è concentrata su 84 preghiere bibliche, di cui abbiamo cercato di evidenziare soprattutto la sua intensità spirituale, senza trascurare la loro bellezza poetica.
In effetti, la Bibbia ci invita a iniziare il cammino dei nostri giorni con una canzone che non solo proclama le meraviglie operate da Dio e la nostra risposta di fede, ma anche il luogo « con l’arte » (cfr Sal 46,8), che è così bella, luminosa, dolce e forte allo stesso tempo.
Splendid fra tutti il Salmo 8, l’uomo, immerso in uno sfondo notturno, quando la vastità del cielo brilla la luna e le stelle (cfr v. 4), ci si sente come un brufolo sul infinita e gli spazi sconfinati di là di esso.
2. Infatti, nel Salmo 8 riflette una duplice esperienza. Da un lato, la persona umana è stupito la grandezza della creazione, « il lavoro delle dita » divino. Questa espressione curiosa sostituito dal « opera » di Dio (cfr v. 7), per indicare che il Creatore ha tracciato un piano o ha prodotto un magnifico ricamato con stelle situato nella vastità del cosmo.
Tuttavia, d’altro canto, Dio si china verso l’uomo e la corona come suo viceré: « Ho coronato di gloria e di onore» (v. 6). Inoltre, questa creatura fragile affidato l’intero universo, di conoscerlo e trovare in esso il sostentamento della sua vita (cfr vv. 7-9).
L’orizzonte del dominio dell’uomo sulle altre creature è specificato quasi evocando la pagina di apertura della Genesi: greggi di pecore e di buoi, bestie della campagna, gli uccelli del cielo e pesci del mare sono affidato all’uomo, che, mettendo il nome (cf . Gn 2,19-20), scoprire la sua realtà profonda, il rispetto e trasformarla attraverso il lavoro, così è per lui fonte di bellezza e di vita. Il Salmo ci spinge a realizzare la nostra grandezza, ma anche la nostra responsabilità verso il creato (cfr Sap 9,3).
3. L’autore di Ebrei , rileggere il Salmo 8, che si trova in lui uno sguardo più profondo sul piano di Dio per l’uomo. La vocazione dell’uomo non può essere limitata al territorio mondiale. Quando il salmista dice che Dio ha sottomesso ogni cosa sotto i piedi dell’uomo, significa che anche voi volete portare « il mondo futuro » (Eb 2,5), « un regno incrollabile » (Eb 12:28). In breve, la vocazione dell’uomo è una « vocazione celeste » (Eb 3,1). Dio vuole « portare gloria » celeste « molti figli » (Eb 2,10). Per adempiere questo disegno divino, è stato necessario per la vita sono stati elaborati da un « pioniere » (Eb 2,10), in cui la vocazione dell’uomo trova la sua prima realizzazione completa. Questo pioniere è Cristo.
L’autore di Ebrei osservato in proposito che le espressioni del Salmo sono applicati a Cristo in modo privilegiato, cioè, più precisamente di altri uomini. Infatti, il Salmista usa la parola « giù », dicendo a Dio: « Abbasso l’uomo un certo rispetto agli angeli, e lo hai coronato di gloria e di onore » (Sal 8,6, Hb 2.7). Per gli uomini in generale, questo termine è inadeguato, in quanto ci sono stati « down » per quanto riguarda gli angeli, e non sono mai stati trovati sopra di loro. Ma per Cristo, la Parola è vera perché, come il Figlio di Dio, era al di sopra degli angeli e andò verso il basso quando si è fatto uomo, ma è stato coronato di gloria nella sua risurrezione. Così Cristo pienamente soddisfatto della vocazione dell’uomo e soddisfatti, dice l’autore, « per il bene di tutti » (Eb 2,9).
4. In questa luce, S. Ambrogio, dice il Salmo e la applica a noi. Si prende come punto di partenza la frase che descrive la « incoronazione » di uomo « , gli ho coronato di gloria e dignità » (v . 6). Tuttavia, la gloria è il premio che Dio ha in serbo per noi quando abbiamo superato la prova della tentazione.
Ecco le parole del grande Padre della Chiesa, nella sua Esposizione del Vangelo secondo Luca : « Il Signore ha incoronato il suo figlio prediletto anche di gloria e di dignità. Lo stesso Dio che vuole dare corone, prevede tentazioni: quindi, si dovrebbe sapere che quando si è tentato, si sta preparando una corona. Se si rimuove l’evidenza dei martiri, vengono rimossi anche le loro corone togliendo il loro tormento, si rimuove anche la beatitudine « (IV, 41: SAEM 12, pp 330-333).
Dio ha preparato la « corona di giustizia » (2 Tm 4,8), con il quale premierà la nostra fedeltà a lui, mantenuta anche nel momento della tempesta, che agita i nostri cuori e le nostre menti. Ma è allarme in ogni momento, la sua creatura preferita e lo voglio sempre brillare « immagine » di Dio (cfr Gn 1,26), in modo da sapere di essere nel mondo segno di armonia, pace e luce .

[Udienza Generale del Mercoledì Settembre 24, 2003]

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AMMONIZIOE SALMICA

Sabato è il giorno della creazione completata, e il Salmo 8 è un inno a Dio Creatore. Il cosmo intorno a noi cantare la grandezza di Dio. Sulla terra, gli uomini, anche il minore di loro, i bambini, se tra i grandi avrebbero ribelle e orgoglioso-maker di cantare questa canzone, nel cielo sono le stelle che ci costringono a espandere la nostra spirito in un orizzonte aperto e proclamare la grandezza di Dio.
Domani, il riposo e la pace del Signore, giorno in cui, cantano la nuova creazione, che si affina, con la risurrezione, il lavoro finito il Sabato. Possa questa celebrazione di Sabato mentre entriamo in contemplazione della Domenica, che culminerà, per certi versi inaspettato per il Salmista, che ha cantato e contemplando l’ambiente naturale molto: Che cosa è l’uomo, Signore, che tu ricordi di lui ? Tutto, anche la morte, le cose sotto i suoi piedi .
- Preghiera I: Signore, nostro Dio, voi che ha creato l’uomo e lo hai coronato di gloria e di onore di cantare il tuo nome ammirabile in tutto il paese, fanno a guardare il cielo e le stelle, riflettere sul proprio lavoro e il tuo sguardo eterno potenza e la tua divinità, che non siamo stupidi e tributarte invece di lode e di ringraziamento che vi meritate, cambia la gloria immortale attraverso le immagini minacciose, l’opera delle nostre mani. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.
- Preghiera II: Signore, nostro Dio, anche i bambini, guardando il cielo, cantiamo il tuo nome è ammirabile in tutto il paese, ricevono la nostra lode e la nostra salvezza, perché siamo opera delle tue dita. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

[ Farnes Pietro ]

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NOTE AI VERSI DEL SALMO

posto dell’uomo nel creato: la sua piccolezza rispetto alla grandezza di Dio, la sua grandezza per grazia di Dio. L’uomo si sente piccolo, come un bambino, e scoppia in un inno di riconoscimento.
V. 2: L’universo semplificato in due termini: cielo e terra.
V. 3: La lode gioiosa pronunciate dal piccolo e impotente è una forza per superare e sopprimere chi crede abbastanza grande ribellarsi contro Dio..
V. 4: L’uomo si sente piccolo al stellato « opera cielo di Dio, come rivelazione di Dio.
V. 5: Dio incontra personalmente l’uomo, e questa è la grandezza fondamentale dell’uomo: essere una persona capace di ricevere Dio attenzioni.
VV. 6-9: L’uomo, immagine di Dio, riceve il potere sulla creazione. Andare lentamente da questo dominio.
Per la riflessione della preghiera cristiana .- Salmo lascia aperta la domanda « che cos’è l’uomo? ». I cristiani, che ha ripetuto la sua lode, sotto forma di domande, può dare la risposta: l’uomo è immagine di Cristo, che è sottoposto tutto il creato, perché ha a sottoporre al Padre. Un tempo Cristo ha giustificato questo salmo di lode dei bambini e reprimere gli oppositori.

[ L. Alonso Schökel ]
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AMMONIZIONE PER LA PREGHIERA CRISTIANA DEL SALMO

Introduzione generale

La relazione tra questo salmo e il conto sacerdotale della creazione è vicino, senza sapere in anticipo e parlare per l’unità specifiche di ogni altro. L’uomo occupa un posto centrale in entrambi. Si riunisce il creato e il Creatore. L’uomo è la lettera del poema sinfonico della creazione. Una lettera maiuscola, grande. La grandezza deriva dall’azione di Dio, che ricorda l’uomo e la visita. Nella sua visita è un essere quasi divino, coronato di gloria e splendore dei suoi templi. Quindi, dominio di Dio sulla creazione resa, simboleggiato dagli animali piccoli e grandi. Il Salmo, tuttavia, è un inno per l’uomo, ma Dio, Creatore dell’uomo.
Comunità in preghiera, sarebbe bello se questo canto potrebbe essere cantato. Se si ignora la musica, può essere cantato all’unisono . Oppure, due cori cantati, con una partecipazione totale dell’Assemblea:
Chorus 1 °. , la gloria di Dio, signore dei cieli: « O Signore, nostro … il nemico e il vendicatore « (vv. 2-3).
Chorus 2 °. , L’uomo, incoronato re della creazione: « Quando guardo il cielo … che traccia sentieri che attraversano il mare « (vv. 4-9).
Assemblea , Conclusione: « O Signore, nostro … in tutta la terra »(v. 10).

Dio è meraviglioso

glorioso nella santità di Dio, timorosi nei miracoli, prodigi, visualizzata la forza della sua mano destra sia a livello cosmico e storico. La potenza di Dio è tale che l’uomo teme per la sua vita. I componenti del popolo di Dio, al contrario, ammiriamo la magnificenza di Dio, sempre benevolo. L’ammirazione del credente è esternalizzato al Signore Gesù, che obbediscono i venti e il mare (Mt 8,27), la cui regola è presentato il demone della malattia (Mt 9,33), la sua frase parola ha effetto immediato nel fico sterile. E ‘solo il preludio ad una maggiore ammirazione suscitata dalla morte e risurrezione, ha continuato nei primi tempi della Chiesa primitiva e si conclude con la fase finale, quando la moltitudine dei redenti potrebbe Ecco quanto è grande il Signore nella sua santa . Cantavamo la nostra ammirazione per il meraviglioso Dio. Come magnifico è il tuo nome su tutta la terra!

Che cosa è l’uomo?

Adamo, fragile per essere di creta, ha una scintilla divina, che lo rende poco meno di un dio. La corona di gloria e splendore, in effetti, un diadema regale. I confini dell’impero umano sono i limiti dell’universo che deve conquistare e sottomettere, che vale soprattutto per le bestie selvagge selvatici, simboli del male. Il male è una provincia ribelle dell’impero umano. Il Figlio dell’uomo ha imparato a presentare a Satana e tutto il suo impero del male. Pertanto, il Padre sarà sicuramente coronato di gloria e di onore. Se non si è presentato ad esso è tutto, perché continua la battaglia tra l’uomo e bestia. Quando l’ultimo nemico, e persistente è piegato, l’uomo diadema regale sarà concesso di proprietà. Per ora, essendo un uomo è una chiamata a combattere e vincere, con la canzone di speranza nella vittoria che ci dà questo salmo.

La memoria e la divina assistenza

Dio si rivela nelle azioni storica, non idee astratte. La predicazione del Deuteronomio, per esempio, essere un invito ad ascoltare, a ricordare, per credere. Dio, da parte sua, ricorda come la sua alleanza e attraverso di essa erano legati a lui la cura di ciascun partner, come un genitore del bambino. La vera grandezza dell’uomo è di essere un promemoria che Dio si prende cura. Negli ultimi tempi ha pensato Israele, suo servo, ha ricordato gli indifesi ragazza Maria, che visita, e soprattutto non dimenticare il suo servo Gesù, ha liberati dal potere di Hades. Chiedi a Gesù di ricordarsi di noi quando si raggiunge il vostro regno è accattonaggio noi di essere scritto in modo indelebile nella memoria di Dio, pur riconoscendo che Cristo è il perfetto e ultimo Adamo, l’uomo che ci vestono. Qualcosa di grande deve essere l’uomo di Dio per ricordare e prendersi cura di lui.

Risonanze nella vita religiosa

Piccoli prima grandezza impressionante di Dio: Quando hai una profonda esperienza di Dio è giusto chiedersi: « Che cosa è l’uomo che tu ricordi di lui? » Prima la grandezza, l’immensità e l’infinito di Dio, l’uomo si sente piccolo trascurabile. L’umiltà è quella di camminare nella verità, riconoscere la nostra piccolezza davanti al ridicolo e inimmaginabile grandezza imponente di Dio.
Tuttavia, Dio ci ha dato, ci ha creati a sua immagine per mezzo di Gesù Cristo ci ha detto ciò che a lui erano: non servi, ma amici e bambini. Che cosa è l’uomo? Un po ‘chiamato da Dio al dialogo e di alleanza, il rapporto d’amore.
Noi religiosi hanno lasciato tutto per vivere la nostra figliolanza divina e la fraternità tra noi essere figli e figlie di Dio. Quindi, dare a questo grande melodia di accompagnamento di tutta la creazione.

Preghiere salmiche

Preghiera I: Oh Dio, meraviglioso nei tuoi lavori, autore di meraviglie, hai diffuso su di noi il cielo, mirabile opera delle tue dita, e di aver distribuito la vostra azione sul nostro territorio in modo che la vostra maestà è elevato sopra i cieli, consideriamo la lavoro ammirevole fatto in Cristo in modo che possiamo omaggio la lode e la gloria che meritate per i secoli dei secoli. Amen.
Preghiera II: Signore, nostro Dio, che ha coronato un uomo di dignità e di gloria, di governare su tutte le creature, e si terrà tuo figlio, fece poco inferiore agli angeli, di essere il vincitore imbattuto del male presenti nella tua Chiesa lotta contro il male, in modo che quando sconfisse l’ultimo dei nemici, mettere le mani la corona incorruttibile del vincitore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Preghiera III: I tuoi ricordi, il nostro proprietario, è di età in età, di generazione in generazione. Vi ringraziamo per ricordare il giuramento fatto ai nostri padri, ha visitato Maria, tua schiava, e non lasciare che il figlio del suo grembo l’esperienza della corruzione che il tuo Figlio, Signore, ricordati di noi nel suo regno, dove abbiamo essere coronato di gloria e di onore e di lode il tuo nome meraviglioso per i secoli dei secoli. Amen.

[ Angel Aparicio e José Cristo Rey García ]

Salmo 48 (Divo Barsotti)

dal sito:

http://www.figlididio.it/salmi/48.html

Salmo 48

(Divo Barsotti)

Grande è il Signore e degno di ogni lode
nella città del nostro Dio.
Il suo monte santo, altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra.
Il monte Sion, dimora divina,
è la città del grande Sovrano.
Dio nei suoi baluardi
è apparso fortezza inespugnabile.
 
Ecco, i re si sono alleati,
sono avanzati insieme.
Essi hanno visto:
attoniti e presi dal panico,
sono fuggiti.
Là sgomento li ha colti,
doglie come di partoriente,
simile al vento orientale
che squarcia le navi di Tarsis.
 
Come avevamo udito, così abbiamo visto
nella città del Signore degli eserciti,
nella città del nostro Dio;
Dio l’ha fondata per sempre.
Ricordiamo, Dio, la tua misericordia
dentro il tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende
sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra.
Gioisca il monte di Sion,
esultino le città di Giuda
a motivo dei tuoi giudizi.
 
Circondate Sion, giratele intorno,
contate le sue torri.
Osservate i suoi baluardi,
passate in rassegna le sue fortezze,
per narrare alla generazione futura:
Questo è il Signore, nostro Dio
in eterno, sempre:
egli è colui che ci guida.  
Gerusalemme

L’occasione del salmo è difficile determinarla, o almeno non sono concordi i critici, tuttavia più probabile sembra che sia un canto di allegrezza e di ringraziamento a Dio per la disfatta di Sennacherib al tempo di Isaia. Tanti versi vi sono nella Sacra Scrittura che esaltano la vittoria di Dio su un esercito sterminato che aveva già assediato la città e dovette in una notte sgombrare l’accampamento per rifuggirsene lontano donde era venuto: era stata la peste, era stata una sommossa di palazzo, che aveva richiamato immediatamente il re nella sua sede. Israele comunque non vide in questa precipitosa fuga che la vittoria stessa del suo Dio. Dio si era dimostrano veramente il più grande degli dei, il più potente, Dio veramente si era dimostrato Colui solo che salva.
Nella liberazione del popolo di Israele dall’Egitto, Dio salva soltanto il suo popolo, un popolo che ancora cerca una sua terra, un popolo ancora nomade che deve attraversare il deserto e conquistarsi un suo regno. Ora la salvezza di Dio coincide con la salvezza di una città: Israele non è più saltano un popolo in marcia, è una nazione, è un popolo che si è radicato in una terra. Israele è un popolo che si è donato delle leggi, è un popolo che ha una sua città: la salvezza ora di Dio non riguarda più solo le singole persone, non riguarda soltanto un popolo, riguarda anche le istituzioni che esso si è dato, riguarda la gloria che egli si è conquistata, riguarda la civiltà che egli ha raggiunto. Dio salva la città! Nel Salterio quanti sono i salmi che cantano Gerusalemme! È uno dei temi fondamentali di tutta la Bibbia, il tema della città, ma certo questo tema non viene mai cantato con tanto lirismo come nei Salmi: nei Salmi è tutto quanto un popolo che si sente veramente popolo di Dio, in quanto tutto e raccolto, tutto è stato fatto uno, non soltanto attraverso una legge cui tutto lo governa, ma attraverso una città che tutto lo accoglie e lo unisce. La città di Dio è la Santa Montagna! Certo Gerusalemme è costruita su di una montagna, ma questa identificazione della città con la montagna sembra voler dire qualcosa di più. Non è soltanto un’espressione, un richiamo geografico, un richiamo piuttosto alla concezione della religione primitiva che Israele ha in qualche modo assunto, anche se la rivelazione che ha ricevuto importa per Israele un progresso dell’antica concezione religiosa degli uomini. La Montagna Sacra, il punto centrale del mondo: ecco che cos’è Gerusalemme. Il luogo più alto della terra, quel luogo, come diranno poi i rabbini, dove si fermò l’arca di Noè, il luogo che non fu mai sommerso dal diluvio; quel luogo su cui può discendere Iddio parche è il più vicino al cielo, quel luogo ove gli uomini possono parlare a Dio, luogo in cui la loro parola può giungere più facilmente su nelle altezze.
Gerusalemme, vertice del mondo, centro della vita universale! Così la contempla già il salmista. Gerusalemme, montagna sacra a cui convergeranno tutti i popoli, tutte le nazioni per ricever la legge! Come la canterà Isaia. Qua non è tanto considerato questo assoggettarsi di tutte le nazioni a Israele, alla Santa Città di Gerusalemme, quanto piuttosto è cantata l’invulnerabilità di lei: sull’alta montagna, come non è giunta l’acqua del diluvio a sommergerla, così non può giungere l’offesa dei nemici. Né la marea delle acque né la marea degli uomini possono distruggere la Santa Città, ella sovrasta a tutte le insidie nemiche: « Le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa », per usare l’espressione che poi sarà propria dei Vangeli sinottici a proposito della Chiesa che è la nuova Gerusalemme a proposito di quella Chiesa che subentra all’antica Gerusalemme disfatta, o prossima ad esser di nuovo distrutta dall’Impero Romano.
« Grande è il Signore »: si noti, il salmista celebra la città di Gerusalemme, ma questa celebrazione ridonda immediatamente in una lode di Dio, Perchè? Perché Dio stesso non si manifesta che in essa, essa è la manifestazione visibile, più alta, più piena della potenza e della forza di Dio, dalla bellezza e della grandezza del Suo Nome, Dio non si rivela direttamente agli uomini, Dio non si manifesta immediatamente agli uomini, ma come si è rivelato nella salvezza un giorno ad Israele così ora si rivela nella costruzione della Santa Città invulnerabile ai nemici e nella bellezza della santa Città. Si parla della bellezza di Gerusalemme perchè creata da Dio, o della unità che stringe tutto il popolo nella Santa Città, perchè anche questa unità è frutto di una divina presenza. Non si può dire certo come per la Chiesa cattolica, come per questa nuova città creata da Dio, che l’unità di Israele sia la presenza stessa di Dio, ma è la presenza di Dio che fa l’unità di Israele. L’unità della Chiesa è lo Spirito Divino, anima di tutta la Chiesa, Egli unisce tutte le membra in un solo Mistico Corpo, una_ sola mistica città, dona a questa umanità nuova una unità che supera tutte le unità; l’unità della Chiesa infatti è l’unità in qualche modo di Dio, che ne è l’anima, che ne è il principio di vita. Questo non si può dire per Israele perchè lo Spirito Santo, come dirà poi Gesù nel IV Vangelo, o piuttosto come dirà S. Giovanni, non è stato ancora dato e tuttavia Dio è presente in Gerusalemme. Ed è questa presenza che attira a Dio Israele, che lo plasma in una sola compagine, che lo unisce tutto in una sola nazione, in un solo popolo, che fa di questa città una città tutta compatta come dico il salmo 121. La grandezza della città dunque dice la grandezza di Dio, la sua bellezza rivela Dio, Dio si rivela attraverso l’opera che Egli ha compiuto, in quello che Egli compie, in quello che Egli fa.
Santità, bellezza, fortezza, ecco gli attributi di Gerusalemme: la santità perchè Dio vi è presente, vi è il suo tempio; bellezza questo ergersi del monte, solitario su tutto l’universo, questa bellezza nei suoi torrioni, nelle mura che circondano il monte, questa forza che la rende invulnerabile, che rende impossibile una sua disfatta. « Monte Sion, città del grande sovrano ». Il grande sovrano non è più Sennacherib come lo chiamano gli assiri, il Gran Sovrano è Dio stesso: Gerusalemme non conosce altri re, vi è soltanto un rappresentante del Grande Monarca. In Gerusalemme vive veramente il Signore.
Dopo una celebrazione così generale di Gerusalemme, il salmista dimostra come si. è manifestata la potenza di Dio. I nemici si erano tutti coalizzati contro di lei, contro Gerusalemme. Si erano mossi contro gli estremi confini della terra, tutti per assalirla, tutti per sommergerla: è bastato che l’abbiano vista per rimanerne colpiti, per essere come infranti, spezzati nella loro volontà, costernati; per essere presi come dalle doglie di una partoriente. Dio quale uragano, come l’uragano fa con le navi sul mare, così ha sfracellato questi popoli con un solo atto della sua volontà. La poesia qui raggiunge un lirismo di una grandezza anche classica che non ha confronti, direi, se non pochi, in tutta la letteratura ebraica e in tutta la letteratura universale. L’assalto dei re si spezza, si dissipa come una nube allo splendore di Sion. La rappresentazione drammatica di questa disfatta di eserciti innumerevoli, si chiude in una immagine possente: basta che Dio si mostri, per sconfiggere i suoi nemici. « Simile al vento orientale che squarcia le navi di Tarsis »: non è una battaglia navale, è un’immagine; un vento tempestoso nel mare, e le piccole barche di allora, ma anche le navi di Tarsis potevano essere solo delle piccole navi, sballottate dalle onde, sfracellate dall’uragano! Si ripete per Israele la salvezza di Dio: Dio è presente in Israele per operare, continua la salvezza che operò agli inizi.
Come l’esperienza del cristianesimo è la presenza del mistero di Cristo (nella Messa ogni giorno tu non vivi altro che questa presenza e l’atto della Redenzione) così per Israele, la sua storia non è che l’esperienza della vittoria, la salvezza sui nemici. Ecco perchè ora la disfatta di Sennacherib ripete la disfatta del Faraone; ecco perchè si parla di navi e di mare: il richiamo del mare unisce la disfatta presente alla disfatta antica dell’esercito del Faraone sommerso nel Mar Rosso.
« Come avevamo udito, così abbiamo visto »: non è più semplice fede in un fatto passato: è un’esperienza presente di una stessa salvezza. Dio è la difesa d’Israele, Dio è la salvezza del popolo suo, « nella città del nostro Dio ».
« Come avevamo udito, così abbiamo visto ». La salvezza di Dio le rende vanto in eterno. Dopo aver contemplato la disfatta di Sennacherib ecco ora tutto il popolo riunito nel Tempio canta la lode di Dio. Dio si è manifestato potente fino all’estremità della terra, perchè tutta quanta la terra è stata sottoposta al suo Impero; nella disfatta di Sennacherib tutte le nazioni sono state sconfitte, non rimane vincitrice che Gerusalemme, non rimane vittorioso che Dio che ne ha il suo regno. Voi capite come è facile la trasposizione da un’esegesi letterale a un’esegesi spirituale ed escatologica! Tutto il popolo canta dunque la lode di Dio, e la lode di Dio e grande come il suo nome; il suo nome si e sparso su tutta la terra, il terrore ha invaso tutti i popoli, e il terrore dei popoli di fronte a Gerusalemme s’innalza al cielo come lode alla divina potenza, come lode alla forza vincitrice di Dio.
Questa è la lode: non più una liturgia che sale soltanto nel Tempio, anche la guerra, la disfatta è una liturgia perchè manifesta la divina potenza. Dopo l’introduzione alla seconda parto dell’inno, allora il salmista chiama il popolo d’Israele a contemplare la bellezza di Gerusalemme, cioè, come dicevo prima, la sua invulnerabilità: Andate intorno, guardate! I nemici non l’hanno nemmeno toccata, non vi è breccia nelle sue mura. Quello che possono faro gli uomini contro la città di Dio si esprime nell’orgoglio d’Israele che contempla la sua città, bella come prima, non toccata dalla mano del nemico. « Circondate Sion, giratele intorno, contate le sue torri. Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezz… »: gli altri sono disfatti, gli altri sono tutti morti, ella ancora si eleva in alto, come prima. È la bellezza di questa Gerusalemme che rimane il canto e la lode di Dio.
Questo ci dice il salmo 48. È uno dei salmi che più facilmente possono avere una trasposizione in una esegesi spirituale. È chiaro qui, che la città non può rappresentare che la Chiesa per noi, ed è chiaro che come la Chiesa può esser sempre contemplata da noi come il miracolo della divina potenza, della bellezza divina. Dio ci manifesta nella vita della Chiesa la sua invulnerabilità. Ella si erge al di sopra delle nazioni, non combatte come Gerusalemme nelle parole di questo salmo, ma basta che gli altri la vedano per esserne disfatti; la sua stessa presenza sgomina ogni nemico. Intatta si eleva come miracolo permanente e segno di una divina presenza.
Una trasposizione, direi più fedele, si ha se noi leggiamo questo salmo in una prospettiva escatologica: la disfatta di Sennacherib è la disfatta di tutti i nemici di Dio al termine dei giorni. Il Paradiso rimane, e di fronte al paradiso la morte, la fine di ogni potenza che abbia voluto in qualche modo contrastare la vittoria del Regno! Gerusalemme sola s’innalza come monte, come vertice di tutte le montagne ed è salda e combatte non toccata da mano nemica. Piena di una divina presenza, salda perchè consacrata da questa stessa presenza, ella non è che l’amore eterno di Colui che l’ha creata, l’ha salvata ed ora la illumina tutta, ed ora la riempie della sua gloria. Come comprendiamo che la Chiesa voglia che noi preghiamo il Signore coi salmi! Come ci rendiamo conto che questi antichi inni possano avere un significato cristiano sulle nostre labbra! Dall’inizio alla fine Dio non compie che l’opera sua: l’accenna prima, la compie poi, la manifesta in ultimo, in tutta la sua grandezza a colui che ha creduto e gli è rimasto fedele.

COMMENTO AL SALMO 121 – (il salmo di domenica 28 novembre 2010 (PDF)

COMMENTO AL SALMO 121

(28 NOVEMBRE 2010 – 1 DOMENICA DI AVVENTO ANNO A)

http://dedalo.azionecattolica.it/documents/Ferrari.pdf

Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto. Sal 27,8

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/c_massa_iltuovolto_iocerco6.htm

CESARE MASSA

Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto. Sal 27,8

CERCARE ED ESSERE CERCATI

L’incipit di questa lectio divina è una preghiera. E con essa inizia una riflessione che ben si addice al tempo della storia, che è sempre tempo di avvento, tempo dell’attesa, dell’invocazione, del desiderio che Dio si manifesti, che « faccia su di noi brillare la luce del suo volto » (Nm 6,25) nella contemplazione del volto del Figlio, « irradiazione della sua gloria » (Eb 1,3).

Molti salmi riprendono questo tema del volto, un tema che Mosè ha inaugurato quando, « parlando con Dio faccia a faccia, come un uomo parla con un altro [uomo] » (Es 33,II), chiede, al di là di questo dialogo colmo dell’intimità con il suo Signore: « Mostrami la tua gloria! » (Es 33,18), e si sente rispondere: « Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te … Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo » (Es 33,19-20).

Tuttavia, in quella stessa pagina, dentro quella stessa rivelazione, Dio fa un posto per chi desidera vedere il suo volto: « Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere » (Es 33,21-23). Resta il desiderio di vedere il volto di Dio, ma come lui veramente è, non è stato ancora rivelato (cf. 1Gv 3,2) né per Mosè né per i suoi discepoli e nemmeno per i cristiani, i quali tuttavia sono figli di Dio e tali possono proclamarsi in tutta verità.

Desiderare il volto di Dio più semplicemente vuol dire desiderare Dio (un desiderio nobile che ha percorso la storia di tutte le religioni e la vita dei grandi e dei piccoli mistici, dove tuttavia si può riscontrare qualcosa di indebito oltre che di impossibile: una sorta di pretesa di appropriazione cui Dio per sua natura sfugge sempre). Anche Dio ha un mistero da proteggere: ciò che lui è in se stesso e il volto che esprime questa sua trascendente, imprendibile, ineffabile identità. A Mosè e all’uomo può bastare « tutto il suo splendore »: quella gloria visibile di cui « sono pieni i cieli e la terra ».

Nonostante il rifiuto di Dio a mostrare il suo volto, nonostante la mano con cui il Signore copre il proprio passaggio, obbedendo all’unica possibilità offerta di « vederlo di spalle » – che è la via del seguirlo – l’ orante di Israele ha continuato a pregarlo così: « Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto » (Sal 4,7), e così a invocarlo sulla stessa Gerusalemme: « Fa’ splendere il tuo volto sopra il tuo santuario » (Dn 9,17).

E il motivo di questa insistenza terminologica è chiaro: il volto è il fascino di una persona in tutta la gamma della bellezza possibile, anche in chi è senza bellezza. Il volto è la spia dell’anima, dunque, non solo un’ »anagrafe » personale con i tratti distintivi e riconoscibili, ma anche una « biografia » messa davanti agli occhi di tutti: una biografia esteriore, talvolta vera, talvolta falsata, in cui può trovarsi tutta la felicità o tutto il dolore di una vita. E dove può affiorare, consapevolmente o meno, anche qualche traccia della biografia interiore.

Non stupisce che l’orante di Israele si rivolga a Dio e, anzi, esorti i fedeli a « ricercare sempre il suo volto » (Sal 105.4) e con certezza indichi il destino ultimo di sé e di ogni uomo: « Contemplerò il volto di Dio » (Sal 17,15), soprattutto quale ricompensa di un agire retto: « Gli uomini retti vedranno il suo volto » (Sal 11, 7).

Tuttavia, si dà il caso che Dio nasconda il suo volto. Non solo a motivo della sua trascendenza, ma anche a motivo dell’infedeltà dell’uomo, quando l’uomo in qualche modo si sottrae alla presenza del Signore e si colloca lontano dal suo volto. Fin dalle prime pagine del libro della Genesi, tipico dei comportamenti umani, i progenitori si nascondono: « Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino » (Gen 3,8).

Al di là delle distrazioni parziali che ci possono affliggere nella quotidianità del nostro vivere, l’esperienza della sottrazione di sé allo sguardo di Dio all’ atto di un fatto deplorevole per la coscienza umana – fatto sempre possibile – può avvenire nella forma di una fuga pericolosa, quasi definitiva, se non soccorrono la grazia di Dio e la memoria dei suoi giorni in noi. Grazia e memoria che sono come l’incalzare di Dio: « [Adam], dove sei? » (Gen 3,9). Grazia e memoria che sono come un dolore, quello che fa esclamare il levita esiliato del salmo 42: « Quando verrò e vedrò il volto di Dio? » (v. 3). Per lui il volto di Dio è la gloria del culto che si celebra in Gerusalemme, negli splendidi cortei verso la casa di Dio, tra voci di gioia e di lode e clamore festoso (cf. Sal 42,5).

Poiché esiste anche questa realtà: quella dell’esilio storicamente esperimentato da Israele nella persecuzione egiziana e nella deportazione babilonese (e poi nella diaspora mediterranea, di cui si fa eco il salmo 44: « Ci hai dispersi in mezzo alle nazioni » [v. 12]). Ed esiste pure la realtà di un sentimento d’esilio quando sembra che Dio non parli più; quando sembra che Dio abbia voltato le spalle al suo popolo; quando sembra che Dio non esista… e il cuore sospira e, impaziente, osa porre domande a Dio: « Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? » (Sal 13,2). E anche, curioso, osa chiedere: « Perché, Signore, mi nascondi il tuo volto? » (Sal 88,15).

Sono domande sofferte – il salmo qui non è solo poesia ma grido di una vita esiliata – che vengono dal ricordo doloroso di un peccato e delle sue conseguenze: « In me l’anima mia si abbatte dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar. Vortice a vortice grida con la voce dei suoi gorghi: tutte le tue onde e i tuoi flutti sono passati sopra di me » (Sal 42,7-8), nonché dal ricordo di un pentimento esibito a gran voce: « Le lacrime sono il mio pane di giorno e di notte mentre dicono a me tutto il giorno: ‘Dov’è il tuo Dio?’ » (Sal 42,4).

L’esiliato sa bene il perché dell’esilio (il « quando finirà » non lo può sapere). Lo ha imparato dal profeta Isaia: « I vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto » (Is 59,2). E conosce anche che cosa significhi per la propria felicità di vita sapere che Dio gli ha nascosto il volto: « Quando hai nascosto il tuo volto, sono stato turbato » (Sal 30,8); e: « Se nascondi il tuo volto vengo meno » (Sal 104,29).

Tuttavia sa anche che, come Dio nel giardino di Eden non ha abbandonato i trasgressori ma ha dato loro un perizoma che coprisse la loro nudità corporea e spirituale (cf. Gen 3,21), così per i loro discendenti Dio preparerà una nuova patria per quanti « sono andati piangendo e ora ritornano con gioia », quasi increduli: « Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion ci sembrava di sognare » (Sal 126,r); e tornerà a mostrare il suo volto fedele e benigno.

C’è una domanda che fa male e ferisce l’ esiliato, forse più del dolore della sua lontananza: quella di chi si beffa di lui e, più ancora, sembra beffarsi di Dio; di fronte alla tribolazione evidente dell’uomo esiliato, gli oppressori ripetono la domanda che non è mai cessata nella storia della fedeltà israelitica e di quella cristiana: « Dov’è il tuo Dio? » (Sal 42,4.11). Domanda che può sembrare imbarazzante perché è priva di risposta e perché è vera. Dio lì non c’è. Dio lì non si vede. Dio lì non soccorre. Dov’è il tuo Dio? È una domanda che ha suoni cupi se formulata nelle anticamere delle camere a gas: « Dov’è il tuo Dio? ». E una domanda che ha echi severi se formulata a chi resta fedele nonostante la persecuzione, l’oppressione, la minaccia di morte: « Dov’è il tuo Dio? ». E anche quando trionfa l’insignificanza, la banalità, l’ostentazione della ricchezza e la mancanza di risorse spirituali, ci si può chiedere – se altri non lo chiedono -: « Dov’è il nostro Dio? ».

Non è cosi facile che avvenga, ma tale domanda può risvegliare alle radici una fede sopita e dimentica. « Dirò al Signore »: c’è già molta forza in questa risoluzione. Volgere il volto verso Dio nella preghiera è un passo di grande significato spirituale; Dio è già dentro il cuore e lo agita e lo volge e gli ispira i sentimenti e le parole: « Dirò al Signore: ‘Perché mi hai scordato? Perchè me ne andrò cosi triste schiacciato dal nemico?’. I miei oppressori mi insultano, mi spezzano le ossa, mentre dicono a me tutto il giorno: ‘Dov’è il tuo Dio?’ » (Sal 42,10-11). Ancora domande come una cascata dell’Ermon rivolte a Dio; ma ora anche a se stesso: « Perché ti abbatti, anima mia, perché ti agiti in me? ». E la risposta che viene dalle profondità della fede: « Spera in Dio: ancora lo esalterò, mia salvezza e mio Dio » (Sal 42,12).

Adesso rinasce la speranza e con la speranza un anelito più purificato: « Come una cerva anela ai corsi delle acque, cosi la mia anima anela a te, o Dio. La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? » (Sal 42,r-2). E anche la domanda luminosa come il giorno: « Di giorno il Signore conceda il suo amore » (Sal 42,9). E anche la lode che sia come un canto con lui: « Di notte il suo canto con me preghi il Dio della mia vita » (ibid.).

E questo, è « la lode nel paese del mio esilio » (Tb r 3,7). E la lode di tutti noi, che non abbiamo qui una città permanente e che cerchiamo la futura. E che, tuttavia, non trascuriamo i nostri doveri di uomini collocati tra molti fratelli bisognosi anche del nostro amore.
Nel « paese del mio esilio », tuttavia, risuona una promessa. Come fu all’inizio con i nostri pro genitori, cosi Dio ci cerca nei nostri interessati nascondigli; fra il fogliame di un giardino che rischia ogni giorno di diventare foresta, ci dà un anticipo di dignità con il dono di qualcosa che vesta le nostre nudità spirituali e l’accompagna con la promessa della donna vittoriosa sullo spirito del male: « Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno » (Gen 3,15).

Questa ricerca intelligente, amorosa e concreta di Dio dentro la nostra storia comune (e dentro la nostra personale, piccola storia) si chiama vocazione: è una ricerca non generica, non vaga, non episodica. Dio chiama per nome (e poi, magari, dà un nome nuovo). Dio chiama dentro un disegno che resta misterioso e, dentro questo disegno, Dio chiama per un compito: obbedendogli, la « linea di Dio » si renderà manifesta.

Dio cerca Abramo nella terra di Ur: ed è in lui che Dio cerca la nuova umanità secondo il suo cuore. E dopo di lui, e in grazia della fede abramitica, Dio continuerà il suo favore ai patriarchi. E quando, nella sua lunga storia, Israele si mostrerà infedele, Dio « resterà fedele, perché non può venir meno a se stesso » (2Tm 2,13). Allora cercherà i suoi con la voce dei profeti. Una voce talvolta severa, come quella di Isaia: « La testa è tutta malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate… È rimasta sola la figlia di Sion, come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata… » (Is 1,5-8). Ma Isaia è anche suggeritore di speranza: « Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; a esso affluiranno tutte le genti » (Is 2,2). Legge la storia della ricerca premurosa da parte di Dio e la canta come « un cantico d’amore per la sua vigna » (Is 5,1) e grida la consolazione di Dio con il vaticinio dell’ Emmanuele: « Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele » (Is 7,14); « Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore » (Is 11,1-2). Annuncia sventure e devastazioni, ma anche il banchetto divino; ripete i « guai! » del giudizio ultimo ma anche il perdono di Dio: « Eppure il Signore aspetta di farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui! » (Is 30,18).

E questa voce profetica durissima e tenerissima si leva con il profeta Osea, sfogo di una persona tradita: « Non siete mio popolo ». Chiamala Izreel, città dell’ assassinio e del sangue; chiamala « non-amata », città fatta di non-amore; chiamala « non-mio-popolo », città fatta di abbandono. E, tuttavia:

Ecco, l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese di Egitto… Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’ amore. Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore (Os 2,16-22).

Dio ci cerca: « Il mio diletto bussa: ‘Aprimi’ » (Ct 5,2). È detto all’umanità. È detto alla chiesa nei giorni delle sue afflizioni. Nelle stagioni del suo, esilio. Nei tempi scarsi della sua vera felicità. E detto a me: aprimi! Sembra quasi che il suo bisogno di amore sia superiore al mio. Dalla terra del mio esilio, dal nascondiglio in cui mi hanno come confinato le mie insufficienze, sembra quasi impossibile che Dio venga a cercarmi. E tuttavia questo è il compito di Dio, come mi viene incontro nel mistero della sua incarnazione – cioè del suo amore fatto carne d’uomo -: « Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto » (Lc 19,10). Non è questo il senso di ogni giorno natalizio in noi? E il suo battere alla porta per venire » a cenare lui con me e io con lui » (Ap 3,20), non è questo il clima dell’intimità festosa di ogni giorno natalizio in noi?

Salmi 41 e 42 : preghiera e disagio esistenziale

dal sito:

http://www.sanbiagio.org/lectio/11.pdf

PREGHIERA E DISAGIO ESISTENZIALE

Salmo 41(42)

Salmo 42(43)

TESTO SALMO 41 LINK:

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=42

TESTO SALMO 42 LINK:

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=43

E’ stato scritto di questo salmo: « Può essere letto come una metafora, rigorosa e penetrante, dell’intera vicenda umana e della speranza cristiana » (G. RAVASI, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, EDB

Vol.1 p. 774), « Ci parla del più profondo anelito dell’uomo: il desiderio di Dio » (C. MARIA MARTINI, I salmi, Piemme, p. 40).

L’attualità di questo salmo mi pare riguardi soprattutto un certo disagio esistenziale espresso nel salmo soprattutto là dov’è ripetuto: « Tutto il giorno mi dicono: Dov’è il tuo Dio? ». In effetti l’ateo teorico (e soprattutto pratico) di oggi, proprio questa domanda inquisitoria e spesso irridente butta in faccia a chi dice di aver fede. Penetrare dunque il salmo e assumerlo in preghiera significa acco-glierlo come una risposta a questo disagio attuale. Il carme è il saldarsi tra loro di due salmi: il 42 e il 43, e inizia il secondo libro dei salmi. Interessante: nell’organizzazione ebraica dei 5 libri della Torah (Parola di Dio all’uomo) corrispondono i 5 libri dei salmi, (parola dell’uomo a Dio). E’ così: Dio parla; l’uomo, con la preghiera, risponde! In un luogo deserto e montuoso domina un silenzio inquietato dal grido di una cerva assetata che lamenta non tanto e non solo la propria sete, quanto il dramma di aver molto corso e d’essere giunta al letto del torrente del tutto prosciugato. E’ un morir di sete, quello che canta il salmista esprimendo la sua tragedia di esule, isolato, scomunicato, da quella « fonte di acqua viva » che è il tempio di Gerusalemme. Bisogna tener conto che dal salmo 42 al 49 i salmi vennero a noi sotto il nome di « Salterio dei figli di Qorah ». Chi erano? « Attendevano al servizio liturgico, erano custodi della soglia della tenda » (Num 9,19) e con grande probabilità vissero nel periodo del post-esilio e del secondo tempio. Se, come tutto fa supporre, il protagonista autore del salmo è un sacerdote o un levita costretto a star lontano da quella soglia del tempio, varcata la quale un tempo aveva fatto l’esperienza della « shekinah » (la grande Presenza di Dio), si capisce meglio l’intensità drammatica del salmo stesso, l’intensità della « sete » esistenziale. Non è difficile cogliere l’armonica struttura di questo salmo scandita da un ritornello: « Perchè ti abbatti, anima mia, perchè su di me gemi? Spera in Dio, ancora potrò lodarlo, Lui, salvezza del mio volto e mio Dio ». L’incontriamo, infatti, in 42,6.12; 43,5. Penetrando il salmo con una lettura di consapevolezza esistenziale-spirituale, entriamo in un crescendo di umanissimo sentire che all’inizio è accoramento e tristezza, poi è quasi protesta intrisa di sdegno e di amarezza, da ultimo diventa un placarsi in speranza nel contattare nuovamente il Dio della vita. Sono dunque tre i nuclei (strofe) che vengono così scanditi: 1^ strofa 42,2-6; 2^ strofa 42,7-12; 3^ strofa tutto il salmo 43. Interessante notare che ben 22 volte torna nel salmo il nome di Dio invocato come « Dio vivente », « salvezza del volto », « Dio protettore e difesa », « Dio della gioia ». Significativo anche l’uso degli aggettivi e dei pronomi possessivi (mio Dio, Tuo Dio ecc.) che rendono più intimo il rapporto con Lui.

Prima strofa (42,1-6)

vv. 2-3: « Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente ».

Il lamento della cerva assetata è espressione intensa della sete del Dio vivente da parte del salmista lontano dal tempio santo di Dio. Bisogna dire subito che questo tema della sete è quanto di più profondamente sentito è nel cuore dell’uomo. A livello d’immagine della cerva lo troviamo nell’arte paleolitica delle pitture di Lascaux in Dordogna e in altre rappresentazioni d’arte antica. Nell’A.T. Geremia descrive la tragedia della siccità col terreno screpolato dove « la cerva partorisce e abbandona il figlio perché non c’è più erba » (Ger 14,5). Il senso tutto interiore e spirituale della sete è espresso in Amos 8,11.13: « Verranno giorni in cui…manderò non sete d’acqua ma d’ascoltare la parola di Dio (…). In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete ». Ricordiamo anche il bellissimo salmo 62: « Di te ha sete l’anima mia. Perfino la mia carne anela a te ». Il verbo ebraico « amag » esprime una tensione tragica che l’italiano « anela » (o « sospira ») ben poco rende. Si tratta di un grido, di un lamento lacerante. Se poi la « sorgente », l’ »acqua fresca e viva » è Dio, non è difficile capire quanto l’abbandonare Lui e lo scavarsi « cisterne screpolate » alla ricerca di altri beni sia delusione, sia un male. (Cf Ger. 2,13). Il ripetersi per quattro volte del nome di Dio, esplicitato come il « Dio vivente », scava ancora più in profondità nella tensione di un desiderio-grido che riempie questi versi: « Quando verrò e vedrò il volto di Dio? » (v. 3.6).

v. 4 « Le lacrime sono il mio pane giorno e notte mentre tutto il giorno dicono a me: ‘Dov’è il tuo Dio?’ ».

Il dolore è antico come il mondo. Già nelle lamentazioni babilonesi sentiamo: « Non ho cibo da mangiare: il dolore è il mio pane; non ho acqua da bere: le mie lacrime mi sono bevanda (citato da G. RAVASI, Il libro dei Salmi, EDB vol 1 p. 766). Nell’A.T. leggiamo: « Di cenere mi nutro come di pane; alla mia bevanda mescolo il pianto » (Sl 102,10). « Tu ci disseti con lacrime abbondanti » (Sl 80,6). « Come pane non ho che singhiozzi, come acqua sgorgano i miei gemiti (Gb 3,24); (Cf Ger 8,14; Lam 3,15). Dentro tanta sofferenza è chiaro che risulta ancora più dura l’irridente provocazione di chi non crede; « Dov’è il tuo Dio? ». E’ uno schernire insolente e continuo, « notte e giorno », che acutizza dolore e disagio. Ripetuto nel salmo (Cf v. 11) risuona in altri passi biblici (Cf Sl 79,10; 115,2; Gl2,17; Mi 7,10). v. 5 « Questo io ricordo (…) avanzavo tra la folla (…) in voci esultanti e inneggianti di una moltitudine. Nel buio di tanto silenzio di Dio e dell’umiliante « starsene a tiro » di chi irride, quasi a sottolineare l’indifferenza o addirittura la non esistenza di Lui, acquista un tono ancora più struggente l’evocazione del passato. Il tempo in cui il salmista aveva goduto del Dio benevolo insieme a coloro che, come lui erano guide al tempio di tanti fedeli inneggianti al suo amore salvifico, ormai è un sogno irraggiungibile, che impregna di desolazione il presente.

v. 6 (ritornello) « Perché ti abbatti anima mia? Perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo salvezza del mio volto e mio Dio »

Questo ritornello o antifona « è un raro esempio biblico di dialogo interiore e d’introspezione psicologica » (G. RAVASI. Op. cit. p 767). E’ importante cogliere la densità della parola « nefes » (Cf anche vv. 5 e 7). Ben più che il termine « anima, » esprime l’io profondo dov’è il « respiro » del proprio « esserci » come persona. E qui si acutizza la pena di questa « nefes » (« anima » in italiano) consapevole del proprio buio e vuoto interiore proprio perché, come dice il salmo 62,21 « Solo in Dio riposa l’anima (« nefes ») mia. Siamo al punto cruciale del salmo. Dopo questa piena presa di coscienza del buio del vuoto del turbamento, in cui il salmista è piombato lontano da Dio, dopo questo lamento gridato al proprio « nefes », sull’orlo della disperazione, ecco riaffiora improvvisa la SPERANZA, il coraggio di guardare a Dio, di credere in Lui, nonostante tutto. Questo è un tocco umano e spirituale bellissimo!

Seconda strofa (42,7-12) « Su di me si abbatte l’anima mia… ».

Non tutto si è già risolto in luce. L’anima (nefes) ancora si abbatte. L’orizzonte del fiume Giordano, del monte Hermon (identificato come la catena dell’Anti-Libano) e del monte Mizar (probabilmente un monticello di quella catena) è l’ambiente dove il salmista vive esule lontano dal tempio di Gerusalemme. Richiamando poi la faglia giordanica (400 m. sotto il livello del mare, il punto più basso insieme al Mar Morto, di tutta la superficie terrestre), l’autore evoca un paesaggio impressionante che rimanda a certi tragici quadri di Van Gogh. Abissi e gorghi caotici d’acque distruggitrici passano sulla sua anima, dice il salmista esprimendo a fortissimi tratti la sua debolezza interiore. v. 9 « Di giorno Jahweh mi manda la sua fedeltà, di notte il suo canto è con me… ». Di nuovo ecco la virata di bordo: non più guardare a sé ma aggrapparsi alla fedeltà di Dio e pregare Colui che il salmista arriva a chiamare: « il Dio della vita ». vv. 10-11 « Dirò a Dio, mia roccia: Perché mi hai dimenticato? (…) mi dicono tutto il giorno: « Dov’è il tuo Dio? ». Il salmista ha ben chiaro ora che, di fronte al fluttuare di tutto, Dio è roccia (« sela ») stabile, indefettibile. Però vive ancora il dramma del sentirsi come « dimenticato » da Lui. Se si pensa che nella Bibbia il dimenticato da Dio è il maledetto, il morto, lo sheol (Cf Sl 6,6; 88,6) si capisce come il cuore del salmista viva un dolore che è inguaribile, dato che, a intensificare il tutto, ritorna l’insolenza di avversari che irridono beffeggiando: « Dov’è il tuo Dio? ».

v. 12 « Perché ti abbatti anima mia?… »

Ritorna l’antifona. Ecco: proprio su questo presente tragico, apre nuovamente l’ala la speranza in Dio.

Terza strofa: (Sl 43)

v. 1 « Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa… « 

Qui il salmista è ancora proteso al Tempio di Gerusalemme, ma ormai con piena fiducia. Ora la preghiera del salmista diventa quel quieto rivolgersi a Colui che può prendere le difese del suo essere stato bandito da Lui e dal Tempio. Dio è qui invocato come giudice, come avvocato contro coloro che non solo irridono da atei, ma sono menzogneri e iniquamente hanno agito contro di lui.

v. 2 « Tu sei il Dio della mia fortezza. Perché mi respingi? Perché triste me ne devo andare oppresso dal nemico? »

Sembra di nuovo prevalere l’onda del più accorato lamento. Ed è forte quel « perché » che in tutto il carme (Sl 42 e 43) ritorna ben dieci volte a dimostrare che la fede biblica è dentro il vissuto anche più sofferto e la preghiera è anzitutto un grido esistenziale che non ha niente a che vedere con spiritualismi narcotizzanti. V. 3-4 « Manda la tua luce e la tua verità; siano esse guidarmi (…) . Verrò (…) al Dio della mia gioia e felicità, Ti loderò ».

La luce e la verità appaiono qui come due attributi divini personificati. Luce: espressione della benevolenza di Dio e sua risposta colma d’amore. Verità (emet): qui sinonimo di fedeltà (hesed) a esprimere la sentenza favorevole di Dio « testimone verace e fedele ». (Cf Ger 42,5) che ben conosce la coscienza del salmista. Il salmo ormai si trasfonde in gioia superlativa (Cf l’originale al v. 4= « gioia della mia felicità »). Espressivo anche il tradurre della TOB: « Il Dio che mi fa danzare di gioia ». E non è da dimenticare la Vulgata: « Ad Deum qui laetificat iuventutem meam » (al Dio che rallegra la mia giovinezza). Chiude in bellezza, il ritorno dell’antifona che, in questo crescendo di sofferenza e di speranza esalta con forza il Dio che risponde come salvezza all’uomo che, quasi disperato, lo cerca. Questa stupenda preghiera biblica è attualissima e può dunque oggi prestarsi a diventare la nostra preghiera esprimente il forte disagio che anche noi, a volte, soffriamo. In un mondo segnato dall’allontanamento da Dio, spesso aggravato dall’irrisione di molta gente atea, siamo messi a dura prova. Così quella che viene messa a cimento è soprattutto la speranza e la determinazione a pregare con perseveranza, ad ogni costo. E’ qui che il salmo, conducendoci a una presa di coscienza forte e viva della nostra sete che a dispetto di quel che ci fa credere il materialismo imperante è profonda sete di Dio, ci aiuta a « gridare » in preghiera questa stessa sete. In filigrana sentiamo allora emergere la divina risposta di Gesù alla Samaritana: « Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno » (Gv 4,14) e nel tempio quando proclama: « Chi ha sete venga a me e beva. Scaturiranno dal suo intimo sorgenti d’acqua viva ». Se, come dice Bonhoeffer, « Gesù ha portato dinanzi a Dio tutto il dolore, tutta la gioia, tutta la gratitudine e la speranza degli uomini » (Cf Pregare i salmi con Cristo, Brescia 1978 p. 37), pregare questo salmo in Gesù e con Gesù vuol dire lasciarsi raggiungere dalla sua « acqua viva » e diventare « acqua di vita nello stile delle Beatitudini » per gli altri. Ho preso coscienza che la mia inquietudine, la mia sete di fondo è sete di Dio? Oppure, da solo o in coppia, lasciandomi manovrare dalla realtà consumistico-massmediale, entro nel giro della « fabbrica dei bisogni » e disattendo il mio rapporto con Dio nella preghiera, senza neppure « leggere » il senso della mia in inquietudine? Il mio pregare è anzitutto un presentarmi a Dio così come sono, un « gridare » a Lui la mia gioia ma anche tutto il mio dolore, la mia fatica esistenziale? Ciò che mi umilia o abbatte io lo consegno a Lui con fiducia o mi lamento da solo e con gli altri? Là dove avverto (verbalizzata o no) l’irridente provocazione degli atei: « Dov’è il tuo Dio? » come reagisco? Dov’è la mia « speranza »? In quiete contemplativa, visualizzo Gesù seduto al pozzo in dialogo con la Samaritana che dice, oggi, a me: « Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna » (Gv 4,14). Ascolterò anche in prospettiva escatologica: « Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello (…) sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi » (Ap 7,16-17).

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