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Meditazione di Benedetto XVI sul Libro dei Salmi

dal sito:

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Meditazione di Benedetto XVI sul Libro dei Salmi

Nei Salmi “la Parola di Dio diventa parola di preghiera”

ROMA, mercoledì, 22 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì in occasione dell’Udienza generale in piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sul Libro dei Salmi.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

nelle precedenti catechesi, ci siamo soffermati su alcune figure dell’Antico Testamento particolarmente significative per la nostra riflessione sulla preghiera. Ho parlato su Abramo che intercede per le città straniere, su Giacobbe che nella lotta notturna riceve la benedizione, su Mosè che invoca il perdono per il suo popolo, e su Elia che prega per la conversione di Israele. Con la catechesi di oggi, vorrei iniziare un nuovo tratto del percorso: invece di commentare particolari episodi di personaggi in preghiera, entreremo nel « libro di preghiera » per eccellenza, il libro dei Salmi. Nelle prossime catechesi leggeremo e mediteremo alcuni tra i Salmi più belli e più cari alla tradizione orante della Chiesa. Oggi vorrei introdurli parlando del libro dei Salmi nel suo complesso.
Il Salterio si presenta come un « formulario » di preghiere, una raccolta di centocinquanta Salmi che la tradizione biblica dona al popolo dei credenti perché diventino la sua, la nostra preghiera, il nostro modo di rivolgersi a Dio e di relazionarsi con Lui. In questo libro, trova espressione tutta l’esperienza umana con le sue molteplici sfaccettature, e tutta la gamma dei sentimenti che accompagnano l’esistenza dell’uomo. Nei Salmi, si intrecciano e si esprimono gioia e sofferenza, desiderio di Dio e percezione della propria indegnità, felicità e senso di abbandono, fiducia in Dio e dolorosa solitudine, pienezza di vita e paura di morire. Tutta la realtà del credente confluisce in quelle preghiere, che il popolo di Israele prima e la Chiesa poi hanno assunto come mediazione privilegiata del rapporto con l’unico Dio e risposta adeguata al suo rivelarsi nella storia. In quanto preghiere, i Salmi sono manifestazioni dell’animo e della fede, in cui tutti si possono riconoscere e nei quali si comunica quell’esperienza di particolare vicinanza a Dio a cui ogni uomo è chiamato. Ed è tutta la complessità dell’esistere umano che si concentra nella complessità delle diverse forme letterarie dei vari Salmi: inni, lamentazioni, suppliche individuali e collettive, canti di ringraziamento, salmi penitenziali, salmi sapienziali, ed altri generi che si possono ritrovare in queste composizioni poetiche.
Nonostante questa molteplicità espressiva, possono essere identificati due grandi ambiti che sintetizzano la preghiera del Salterio: la supplica, connessa al lamento, e la lode, due dimensioni correlate e quasi inscindibili. Perché la supplica è animata dalla certezza che Dio risponderà, e questo apre alla lode e al rendimento di grazie; e la lode e il ringraziamento scaturiscono dall’esperienza di una salvezza ricevuta, che suppone un bisogno di aiuto che la supplica esprime.
Nella supplica, l’orante si lamenta e descrive la sua situazione di angoscia, di pericolo, di desolazione, oppure, come nei Salmi penitenziali, confessa la colpa, il peccato, chiedendo di essere perdonato. Egli espone al Signore il suo stato di bisogno nella fiducia di essere ascoltato, e questo implica un riconoscimento di Dio come buono, desideroso del bene e « amante della vita » (cfr Sap 11,26), pronto ad aiutare, salvare, perdonare. Così, ad esempio, prega il Salmista nel Salmo 31: «In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso […] Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa» (vv. 2.5). Già nel lamento, dunque, può emergere qualcosa della lode, che si preannuncia nella speranza dell’intervento divino e si fa poi esplicita quando la salvezza divina diventa realtà. In modo analogo, nei Salmi di ringraziamento e di lode, facendo memoria del dono ricevuto o contemplando la grandezza della misericordia di Dio, si riconosce anche la propria piccolezza e la necessità di essere salvati, che è alla base della supplica. Si confessa così a Dio la propria condizione creaturale inevitabilmente segnata dalla morte, eppure portatrice di un desiderio radicale di vita. Perciò il Salmista esclama, nel Salmo 86: «Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre, perché grande con me è la tua misericordia: hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi» (vv. 12-13). In tal modo, nella preghiera dei Salmi, supplica e lode si intrecciano e si fondono in un unico canto che celebra la grazia eterna del Signore che si china sulla nostra fragilità.
Proprio per permettere al popolo dei credenti di unirsi a questo canto, il libro del Salterio è stato donato a Israele e alla Chiesa. I Salmi, infatti, insegnano a pregare. In essi, la Parola di Dio diventa parola di preghiera – e sono le parole del Salmista ispirato – che diventa anche parola dell’orante che prega i Salmi. È questa la bellezza e la particolarità di questo libro biblico: le preghiere in esso contenute, a differenza di altre preghiere che troviamo nella Sacra Scrittura, non sono inserite in una trama narrativa che ne specifica il senso e la funzione. I Salmi sono dati al credente proprio come testo di preghiera, che ha come unico fine quello di diventare la preghiera di chi li assume e con essi si rivolge a Dio. Poiché sono Parola di Dio, chi prega i Salmi parla a Dio con le parole stesse che Dio ci ha donato, si rivolge a Lui con le parole che Egli stesso ci dona. Così, pregando i Salmi si impara a pregare. Sono una scuola della preghiera.
Qualcosa di analogo avviene quando il bambino inizia a parlare, impara cioè ad esprimere le proprie sensazioni, emozioni, necessità con parole che non gli appartengono in modo innato, ma che egli apprende dai suoi genitori e da coloro che vivono intorno a lui. Ciò che il bambino vuole esprimere è il suo proprio vissuto, ma il mezzo espressivo è di altri; ed egli piano piano se ne appropria, le parole ricevute dai genitori diventano le sue parole e attraverso quelle parole impara anche un modo di pensare e di sentire, accede ad un intero mondo di concetti, e in esso cresce, si relaziona con la realtà, con gli uomini e con Dio. La lingua dei suoi genitori è infine diventata la sua lingua, egli parla con parole ricevute da altri che sono ormai divenute le sue parole. Così avviene con la preghiera dei Salmi. Essi ci sono donati perché noi impariamo a rivolgerci a Dio, a comunicare con Lui, a parlarGli di noi con le sue parole, a trovare un linguaggio per l’incontro con Dio. E, attraverso quelle parole, sarà possibile anche conoscere ed accogliere i criteri del suo agire, avvicinarsi al mistero dei suoi pensieri e delle sue vie (cfr Is 55,8-9), così da crescere sempre più nella fede e nell’amore. Come le nostre parole non sono solo parole, ma ci insegnano un mondo reale e concettuale, così anche queste preghiere ci insegnano il cuore di Dio, per cui non solo possiamo parlare con Dio, ma possiamo imparare chi è Dio e, imparando come parlare con Lui, impariamo l’essere uomo, l’essere noi stessi.
A tale proposito, appare significativo il titolo che la tradizione ebraica ha dato al Salterio. Esso si chiama tehillîm, un termine ebraico che vuol dire « lodi », da quella radice verbale che ritroviamo nell’espressione « Halleluyah », cioè, letteralmente: « lodate il Signore ». Questo libro di preghiere, dunque, anche se così multiforme e complesso, con i suoi diversi generi letterari e con la sua articolazione tra lode e supplica, è ultimamente un libro di lodi, che insegna a rendere grazie, a celebrare la grandezza del dono di Dio, a riconoscere la bellezza delle sue opere e a glorificare il suo Nome santo. È questa la risposta più adeguata davanti al manifestarsi del Signore e all’esperienza della sua bontà. Insegnandoci a pregare, i Salmi ci insegnano che anche nella desolazione, anche nel dolore, la presenza di Dio rimane, è fonte di meraviglia e di consolazione; si può piangere, supplicare, intercedere, lamentarsi, ma nella consapevolezza che stiamo camminando verso la luce, dove la lode potrà essere definitiva. Come ci insegna il Salmo 36: «È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vedremo la luce» (Sal 36,10).
Ma oltre a questo titolo generale del libro, la tradizione ebraica ha posto su molti Salmi dei titoli specifici, attribuendoli, in grande maggioranza, al re Davide. Figura dal notevole spessore umano e teologico, Davide è personaggio complesso, che ha attraversato le più svariate esperienze fondamentali del vivere. Giovane pastore del gregge paterno, passando per alterne e a volte drammatiche vicende, diventa re di Israele, pastore del popolo di Dio. Uomo di pace, ha combattuto molte guerre; instancabile e tenace ricercatore di Dio, ne ha tradito l’amore, e questo è caratteristico: sempre è rimasto cercatore di Dio, anche se molte volte ha gravemente peccato; umile penitente, ha accolto il perdono divino, anche la pena divina, e ha accettato un destino segnato dal dolore. Davide così è stato un re, con tutte le sue debolezze, «secondo il cuore di Dio» (cfr 1Sam 13,14), cioè un orante appassionato, un uomo che sapeva cosa vuol dire supplicare e lodare. Il collegamento dei Salmi con questo insigne re di Israele è dunque importante, perché egli è figura messianica, Unto del Signore, in cui è in qualche modo adombrato il mistero di Cristo.
Altrettanto importanti e significativi sono il modo e la frequenza con cui le parole dei Salmi vengono riprese dal Nuovo Testamento, assumendo e sottolineando quel valore profetico suggerito dal collegamento del Salterio con la figura messianica di Davide. Nel Signore Gesù, che nella sua vita terrena ha pregato con i Salmi, essi trovano il loro definitivo compimento e svelano il loro senso più pieno e profondo. Le preghiere del Salterio, con cui si parla a Dio, ci parlano di Lui, ci parlano del Figlio, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), che ci rivela compiutamente il Volto del Padre. Il cristiano, dunque, pregando i Salmi, prega il Padre in Cristo e con Cristo, assumendo quei canti in una prospettiva nuova, che ha nel mistero pasquale la sua ultima chiave interpretativa. L’orizzonte dell’orante si apre così a realtà inaspettate, ogni Salmo acquista una luce nuova in Cristo e il Salterio può brillare in tutta la sua infinita ricchezza.
Fratelli e sorelle carissimi, prendiamo dunque in mano questo libro santo, lasciamoci insegnare da Dio a rivolgerci a Lui, facciamo del Salterio una guida che ci aiuti e ci accompagni quotidianamente nel cammino della preghiera. E chiediamo anche noi, come i discepoli di Gesù, «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1), aprendo il cuore ad accogliere la preghiera del Maestro, in cui tutte le preghiere giungono a compimento. Così, resi figli nel Figlio, potremo parlare a Dio chiamandoLo « Padre Nostro ». Grazie

Giovanni Paolo II – Commento al Salmo 147

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/2002-2003/SALMO_147.html

Giovanni Paolo II – Commento al Salmo 147

L’Osservatore Romano, 6 giugno 2002

Inno all’Onnipotente

1 Alleluia.
Lodate il Signore:
è bello cantare al nostro Dio,
dolce è lodarlo come a lui conviene. 
2 Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d’Israele.  
3 Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite; 
4 egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome. 
5 Grande è il Signore, onnipotente,
la sua sapienza non ha confini.  
6 Il Signore sostiene gli umili
ma abbassa fino a terra gli empi.  
7 Cantate al Signore un canto di grazie,
intonate sulla cetra inni al nostro Dio.  
8 Egli copre il cielo di nubi,
prepara la pioggia per la terra,
fa germogliare l’erba sui monti. 
9 Provvede il cibo al bestiame,
ai piccoli del corvo che gridano a lui. 
10 Non fa conto del vigore del cavallo,
non apprezza l’agile corsa dell’uomo.
11 Il Signore si compiace di chi lo teme,
di chi spera nella sua grazia.  
12 Alleluia.
Glorifica il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion.  
13 Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. 
14 Egli ha messo pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento.  
15 Manda sulla terra la sua parola,
il suo messaggio corre veloce. 
16 Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina.  
17 Getta come briciole la grandine,
di fronte al suo gelo chi resiste? 
18 Manda una sua parola ed ecco si scioglie,
fa soffiare il vento e scorrono le acque.  
19 Annunzia a Giacobbe la sua parola,
le sue leggi e i suoi decreti a Israele. 
20 Così non ha fatto con nessun altro popolo,
non ha manifestato ad altri i suoi precetti.
Alleluia.

Commento

GERUSALEMME RIEDIFICATA
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Il Lauda Jerusalem, proclamato alle Lodi del venerdì della seconda settimana, è caro alla liturgia cristiana. Questa ha sovente intonato il Salmo 147 riferendolo alla Parola di Dio, che “corre veloce” sulla faccia della terra, ma anche all’Eucaristia, vero “fior di frumento” elargito da Dio per «saziare» la fame dell’uomo (cfr vv. 14-15).
Origene, in una delle sue omelie, tradotte e diffuse in Occidente da San Girolamo, commentando il nostro Salmo, intrecciava appunto la Parola di Dio e l’Eucaristia: “Noi leggiamo le Sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo e che le Sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue… (Gv 6, 53), benché queste parole si possano intendere anche del Mistero eucaristico, tuttavia, la parola della Scrittura è veramente il corpo di Cristo e il suo sangue è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo all’Eucaristia, se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti. E quando stiamo ascoltando la Scrittura, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio, che è la carne di Cristo ed il suo sangue, se noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo non incappiamo?” (74 Omelie sul Libro dei Salmi, Milano 1993, pp. 543-544).
Gli studiosi fanno notare che questo Salmo è da collegare al precedente così da costituire un’unica composizione, come appunto accade nell’originale ebraico. Si ha, infatti, un solo e coerente cantico in onore della creazione e della redenzione operate dal Signore. Esso si apre con un gioioso appello alla lode: “Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene” (Sal 146,1).
Se fissiamo la nostra attenzione sul brano che ora abbiamo ascoltato, possiamo individuare tre momenti di lode, introdotti da un invito rivolto alla città santa, Gerusalemme, perché glorifichi e lodi il suo Signore (cfr Sal 147,12).

La pace fonte di sicurezza
Nel primo momento (cfr vv. 13-14) entra in scena l’azione storica di Dio. Essa è descritta attraverso una serie di simboli che rappresentano l’opera di protezione e di sostegno compiuta dal Signore nei confronti della città di Sion e dei suoi figli. Innanzitutto si fa riferimento alle «sbarre» che rinforzano e rendono inviolabili le porte di Gerusalemme. Forse il Salmista fa riferimento a Neemia che fortificò la città santa, ricostruita dopo l’esperienza amara dell’esilio babilonese (cfr Ne 3,3.6.13-15; 4,1-9; 6,15-16; 12,27-43). La porta, tra l’altro, è un segno per indicare l’intera città nella sua compattezza e tranquillità. Al suo interno, raffigurato come un grembo sicuro, i figli di Sion, cioè i cittadini, godono pace e serenità, avvolti nel manto protettivo della benedizione divina.
L’immagine della città gioiosa e tranquilla è esaltata dal dono altissimo e prezioso della pace che rende sicuri i confini. Ma proprio perché per la Bibbia la pace-shalôm non è un concetto negativo, evocatore dell’assenza di guerra, ma un dato positivo di benessere e prosperità, ecco che il Salmista introduce la sazietà col “fior di frumento”, cioè col grano eccellente, con le spighe colme di chicchi. Il Signore, dunque, ha rafforzato le difese di Gerusalemme (cfr Sal 87,2), vi ha fatto scendere la sua benedizione (cfr Sal 128,5; 134,3), ed estendendola a tutto il paese, ha donato la pace (cfr Sal 122,6-8) e ha saziato i suoi figli (cfr Sal 132,15).

La Parola di Dio: origine della vita
Nella seconda parte del Salmo (cfr Sal 147,15-18), Dio si presenta soprattutto come creatore. Per due volte, infatti, si collega l’opera creatrice alla parola che aveva schiuso l’apparire dell’essere: “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu… Manda sulla terra la sua parola… Manda una sua parola” (cfr Gn 1,3; Sal 147,15. 18).
All’insegna della Parola divina, ecco irrompere e stabilirsi le due stagioni fondamentali. Da un lato, l’ordine del Signore fa scendere sulla terra l’inverno, pittorescamente rappresentato dalla neve candida come la lana, dalla brina simile alla polvere, dalla grandine paragonata a briciole di pane e dal gelo che tutto blocca (cfr vv. 16-17). Dall’altro lato, è ancora un ordine divino che fa soffiare il vento caldo che porta l’estate e fa sciogliere il ghiaccio: le acque delle piogge e dei torrenti possono così scorrere libere a irrorare la terra e fecondarla.
La Parola di Dio è, quindi, alla radice del freddo e del caldo, del ciclo delle stagioni e del fluire della vita nella natura. L’umanità è invitata a riconoscere e a ringraziare il Creatore per il dono fondamentale dell’universo, che la circonda, la fa respirare, l’alimenta e sostiene.

La Parola di Dio si rivela all’uomo
Si passa, allora, al terzo e ultimo momento del nostro inno di lode (cfr vv. 19-20). Si ritorna al Signore della storia da cui si era partiti. La Parola divina porta a Israele un dono ancora più alto e prezioso, quello della Legge, della Rivelazione. Un dono specifico: “Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti” (v. 20).
La Bibbia è, dunque, il tesoro del popolo eletto a cui si deve attingere con amore e adesione fedele. È quanto, nel Deuteronomio, Mosè dice agli Ebrei: “E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?” (Dt 4,8).
Come si trovano due azioni gloriose di Dio nel creato e nella storia, così esistono due rivelazioni: l’una iscritta nella natura stessa e aperta a tutti, l’altra donata al popolo eletto, che la dovrà testimoniare e comunicare all’intera umanità e che è racchiusa nella Sacra Scrittura. Due rivelazioni distinte, ma unico è Dio e unica è la sua Parola. Tutto è stato fatto per mezzo della Parola – dirà il Prologo del Vangelo di Giovanni – e senza di essa niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. La Parola, però, si è fatta anche «carne», cioè è entrata nella storia, e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,3.14).

SANT’AGOSTINO, SUL SALMO 149: AL CRISTIANO SI ADDICE UN CANTO NUOVO

dal sito:

http://www.sant-agostino.it/italiano/esposizioni_salmi/index2.htm

SANT’AGOSTINO

SUL SALMO 149

AL CRISTIANO SI ADDICE UN CANTO NUOVO

1. Lodiamo il Signore con la voce, con la mente, con le opere buone; a lui cantiamo un cantico nuovo, come ci esorta il presente salmo che così comincia: Cantate al Signore un cantico nuovo. Uomo vecchio, cantico vecchio; uomo nuovo, cantico nuovo. Testamento vecchio, cantico vecchio; Testamento nuovo, cantico nuovo. Nel vecchio Testamento c’erano delle promesse temporali e terrene: e chiunque ama le cose terrene canta il cantico vecchio. Chi vuol cantare il cantico nuovo deve amare i beni eterni. E lo stesso amore è nuovo ed eterno, e in tanto è sempre nuovo in quanto non invecchia mai. In realtà, a considerar bene le cose, tutto questo è roba antica: come quindi può esser nuova? Miei fratelli, forse che la vita eterna è nata adesso? La vita eterna è Cristo: il quale, secondo la divinità, non è certo nato adesso. In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto 1. Se sono antiche le cose fatte per mezzo di lui, come sarà lui l’artefice di tutto? non sarà egli eterno, coeterno al Padre? Ben diversa è la nostra sorte. Caduti in peccato, approdammo nella regione del vecchiume. Nostra infatti è la voce che in quel salmo dice gemendo: Mi sono invecchiato in mezzo a tutti i miei nemici 2. Invecchiato per il peccato, l’uomo viene rinnovato dalla grazia. Pertanto tutti coloro che in Cristo vengono rinnovati e cominciano ad essere partecipi della vita eterna, cantano il cantico nuovo.

Chi è in discordia con la Chiesa canta il canto vecchio.
2. E questo è un cantico di pace, un cantico d’amore. Chiunque si separa dalla comunione dei santi non canta il cantico nuovo: segue infatti la via dell’animosità che è roba vecchia, non quella della carità, che è nuova. E cosa c’è nella carità, virtù nuova? La pace, il vincolo di una società santa, la compattezza spirituale, l’edificio fatto di pietre vive. E questo, dove? Non in un paese soltanto ma in tutto l’universo. Ascoltalo da un altro salmo. Dice: Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate al Signore da tutta la terra 3. Dal quale testo si ricava che chi non canta nell’unità con tutta la terra canta il cantico vecchio, qualunque siano le parole che pronunzi la sua bocca. Che senso ha infatti registrare quel che dice, quando vedo i suoi pensieri? Mi replicherai: Dunque tu vedi i suoi pensieri? Me li rivelano i fatti, poiché, naturalmente, il mio occhio non può penetrare nella coscienza. Osservando però le sue azioni, da ciò che fa scopro i suoi pensieri. Eccovi degli esempi. Quando uno sorprende un altro nel furto, nell’omicidio, nell’adulterio ne scopre certo i pensieri: non perché li veda nel cuore ma nelle opere. Ci sono, è vero, pensieri che restano chiusi nel nostro intimo, ma ce ne sono altri, e molti, che si concretizzano in azioni e quindi son palesi anche agli uomini. Questo vale anche per coloro che si son separati dall’unità, frutto della carità di Cristo, e dalla comunione con la santa Chiesa. Finché erano cattivi in se stessi, nel loro interno, non li conosceva se non Dio; ma venne la prova e si separarono, e ciò che era noto [solo] a Dio fu conosciuto anche dagli uomini. In effetti il frutto [di ognuno] non appare se non quando ci son di mezzo i fatti; e per questo fu detto: Dai loro frutti li riconoscerete 4. Il Signore diceva queste parole a proposito di certuni che si coprono con vesti di pecora mentre interiormente sono lupi rapaci 5. Per fornire alla fragilità umana un indizio da cui riconoscere il lupo, anche se coperto di pelle di pecora, disse: Dai loro frutti li riconoscerete. Cerchiamo in loro frutti di carità e vi troviamo spine di discordia. Dai loro frutti li riconoscerete. Il loro cantico è, dunque, un cantico vecchio. Vediamo noi di cantare il cantico nuovo. Ve l’abbiamo già detto, fratelli. Tutta la terra canta il cantico nuovo. Chi non canta questo cantico nuovo in unione con tutta la terra, dica pure quel che vuole, faccia risuonare con la lingua gli Alleluia e li ripeta di giorno e li ripeta di notte. I miei orecchi non sono attratti un gran ché dagli accenti di chi canta; vado piuttosto a indagare la sua condotta e le opere che compie. Lo interrogo e gli dico: Ma cos’è quel che canti? Mi risponde: L’Alleluia. E Alleluia che significa? Lodate il Signore. Vieni dunque, lodiamo insieme il Signore. Se tu lodi il Signore e io lodo il Signore, perché dovremmo essere in discordia? La carità loda il Signore, la discordia lo bestemmia.

La Chiesa figurata nel buon grano.
3. E volete ora sapere dove occorra cantare il cantico nuovo? Le cose che il salmo dice, vedete in che modo e dove si attuino: se cioè si attuano in tutte le nazioni del mondo ovvero soltanto in una qualche sua parte. Da ciò comprenderete più perfettamente a chi spetti cantare il cantico nuovo. È una cosa a voi nota, in quanto ve l’ho ricordato trattando quell’altro salmo: Cantate al Signore un cantico nuovo 6. Per mostrarvi che per  » cantico nuovo  » è da intendere il frutto della carità e dell’unità, aggiungeva: Cantate al Signore da tutta la terra 7. Nessuno si separi, nessuno isi stanchi. Se sei frumento, tollera la paglia finché non venga l’ora della vagliatura. Vuoi essere cacciato dall’aia? Fuori dell’aia anche se fossi frumento, ti troverebbero gli uccelli e ti beccherebbero 8. Ma in più c’è da notare che, per il fatto stesso che ti allontani dall’aia volando, ti qualifichi per paglia. Essendo infatti cosa leggera, si levò il vento e ti sottraesti ai piedi dei buoi. Viceversa coloro che son frumento soffrono la macerazione della trebbiatura: godono per essere buon grano e, finché gemono frammisti alla paglia, lo fanno aspettando colui che li vaglierà, colui che già sanno essere loro redentore. Cantate al Signore un cantico nuovo, la sua lode nella Chiesa dei santi. Questa è la Chiesa dei santi: la Chiesa del buon frumento sparso in tutto l’universo. È seminata nel campo del Signore, cioè nel mondo, come ebbe a spiegare lo stesso Signore allorché, parlando del seminatore, diceva: Un uomo seminò del buon seme nel suo campo, e venne il nemico e seminò sopra la zizzania. Allora i servi dissero al padrone: Non hai seminato del buon seme sul tuo campo? Perché vi è nata la zizzania? Quegli rispose: L’uomo nemico ha fatto questo 9. Volevano raccogliere la zizzania ma egli li trattenne dicendo: Lasciate che ambedue crescano fino alla mietitura. Al tempo della mietitura dirò ai mietitori: « Raccogliete per prima la zizzania, legatela in fascetti per bruciarla; ma il mio frumento riponetelo nel granaio » 10. In un secondo momento i discepoli lo interrogarono: Spiegaci la parabola della zizzania 11. Ed egli espose tutti i particolari, per cui il significato di questa parabola nessuno può attribuirlo alla propria volontà ma al Maestro celeste che l’ha esposto. Nessuno dica: Ma lui l’ha spiegata a suo talento! Se il Signore avesse spiegato la parabola di un profeta, essendo vero che qualunque cosa dicevano i profeti era lui a dirlo per loro mezzo, chi avrebbe osato obiettargli che non era quella la giusta interpretazione? A maggior ragione, quando espone un racconto composto da lui stesso. Chi oserebbe contraddire alla verità manifesta? Esponendo dunque la citata parabola, diceva il Signore: Chi semina il buon seme è il Figlio dell’uomo 12, indicando evidentemente se stesso. I figli del regno sono il buon seme 13, cioè la Chiesa dei santi. I figli del maligno sono la zizzania. Il campo è questo mondo 14. Notate pertanto, o fratelli, come il buon seme è seminato nel mondo e vi è seminata anche la zizzania. Forse che da una parte è seminato il buon grano e da un’altra parte la zizzania? No, dovunque il grano e dovunque la zizzania. Campo del Signore è il mondo, non l’Africa. Né le cose vanno come in queste nostre regioni: la Getulia produce il sessanta o il cento per uno, mentre la Numidia il dieci per uno. Non così vanno le cose nel campo di Dio. Ogni regione gli rende il frutto: ora del cento, ora del sessanta, ora del trenta per uno. Quanto a te, vedi cosa ti piaccia essere, se pensi di rientrare tra i proventi del Signore. Concludo dicendo che la Chiesa dei santi è la Chiesa cattolica; non è Chiesa dei santi la chiesa degli eretici. È Chiesa dei santi quella che Dio prefigurò con simboli prima che fosse visibile in se stessa, e poi mostrò a tutti perché tutti la vedessero. La Chiesa dei santi fu prima racchiusa in codici scritti, ora è diffusa fra le genti. La Chiesa dei santi fu un tempo solo oggetto di lettura; ora la si legge e la si vede. Quando era solo un oggetto di lettura, la si credeva; oggi la si vede e le si muovono contraddizioni! La sua lode nella Chiesa dei santi.

Chi merita di vedere Dio e come lo si vede.
4. [v 2.] Israele si allieti in colui che l’ha creato. Che significa Israele?  » Colui che vede Dio « . Tale il significato del nome Israele. Colui che vede Dio si allieti in colui dal quale è stato creato. Ma cosa diremo, fratelli? Per il fatto che apparteniamo alla Chiesa dei santi, forse che già vediamo Dio? E se non lo vediamo, in che senso siamo Israele? C’è una visione che si attua nel tempo presente, e ce n’è un’altra che si attuerà nel futuro. La visione del tempo presente si attua mediante la fede, la visione futura sarà visione faciale. Se crediamo vediamo, se amiamo vediamo. Cosa vediamo? Dio. Dove è Dio? Interroga Giovanni. Dio è carità 15. Benediciamo il suo santo nome, e godiamo in Dio, se godiamo nella carità. Quando uno ha la carità, perché inviarlo lontano per fargli vedere Dio? Penetri nella sua coscienza e lì vedrà Dio. Se lì non alberga la carità, non vi abita nemmeno Dio; se invece vi alberga la carità, Dio certamente vi abita. Ma l’uomo forse vorrebbe vederlo come quando siede nel cielo. Abbia la carità e abiterà in lui come nel cielo. Siamo dunque Israele e allietiamoci in colui che ci ha creati. Israele si allieti in colui che l’ha creato. Si rallegri in colui che l’ha creato, non in Ario, non in Donato, non in Ceciliano e nemmeno in Proculiano o in Agostino. Si allieti in colui che l’ha creato. A voi, fratelli, non raccomandiamo noi stessi, ma Dio, in quanto affidiamo voi a Dio. In che senso vi raccomandiamo Dio? Insegnandovi ad amarlo; e ciò nel vostro interesse, non perché a lui ne derivi qualche vantaggio. Se infatti non lo amerete, sarà a vostro danno, non suo. Non diminuirà infatti a Dio la divinità, se l’uomo non avrà carità per lui. Tu cresci possedendo Dio, non Dio cresce per un qualche tuo apporto. Eppure lui per primo, prima che noi lo amassimo, ci ha amati 16 a tal segno da mandare il suo unico Figlio e da farlo morire per noi 17. Colui che ci aveva creati è venuto in mezzo a noi. In che senso egli ci aveva creati? Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto 18. In che senso è venuto fra noi? E il Verbo si è fatto carne e ha dimorato in mezzo a noi 19. È dunque lui l’essere nel quale dobbiamo allietarci. Nessun uomo pretenda di attribuirsi le parti che spettano a Dio. Da lui ci viene la letizia che ci rende felici. Israele si allieti in colui che l’ha creato.

Le lettere divine pervenuteci dalla patria.
5. E i figli di Sion esultino nel loro re. Israele sono i figli della Chiesa. Quanto a Sion, fu una città [storica], ma questa fu abbattuta, anche se sopra le sue rovine seguitarono ad abitarci materialmente i santi. La Sion vera e la Gerusalemme vera (Sion infatti è lo stesso che Gerusalemme) è, al contrario, eterna e si trova nei cieli: è la nostra madre, in quanto ci ha generati 20; è la comunità dei santi, che ci ha allevati, e di lei una parte è pellegrina ma la parte maggiore ha già stanza nel cielo. Per quella porzione che risiede nel cielo è la beatitudine degli angeli; per quella porzione che peregrina in questo mondo è la speranza dei giusti. Della prima fu detto: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, dell’altra: E pace in terra agli uomini di buona volontà 21. Coloro pertanto che gemono in questa vita e desiderano quella patria corrano per forza di amore, non muovendo i piedi del corpo: non vadano in cerca di navi ma di penne, si muniscano cioè delle due ali della carità. Quali sono le due ali della carità? L’amore di Dio e l’amore del prossimo. Siamo infatti pellegrini, e sospiriamo e gemiamo. Dalla nostra patria ci sono pervenute delle lettere, e queste noi vi leggiamo.

Cristo re e sacerdote.
6. Israele si allieti in colui che l’ha fatto, e i figli di Sion esultino nel suo re. Ciò che aveva detto con Colui che lo ha fatto, questo ripete con Nel suo re. La parola Israele, che voi ascoltate, dice lo stesso che I figli di Sion; e le altre: In colui che lo ha fatto dicono lo stesso che Nel suo re. Il Figlio di Dio, che ci ha creati, è venuto in mezzo a noi, e in qualità di nostro re ci governa, dopo che, come creatore, ci aveva fatti esistere. Lo stesso nostro Creatore è, comunque, colui che ci governa; e noi in tanto siamo cristiani in quanto il nostro Creatore e Re è Cristo. Ora, il nome Cristo deriva da crisma, cioè unzione. E, se venivano unti i re e i sacerdoti 22, Cristo è stato unto proprio perché re e sacerdote 23. Come re, combatté per noi; come sacerdote offrì se stesso per noi. Quando combatté per noi sembrò quasi che fosse vinto, in realtà però fu vincitore. Fu sì crocifisso, però dalla croce in cui era confitto uccise il diavolo, e per questo è nostro re. Perché poi è sacerdote? Per aver offerto se stesso per noi. Date a lui sacerdote la vittima da offrire. Cosa troverà l’uomo da presentargli come vittima senza macchia? Quale vittima troverà? Che cosa di puro potrà elevare [a Dio] il peccatore? O iniquo, o empio! Qualunque cosa offrirai, sarà immonda, mentre per te dev’essere offerta una vittima monda. Cerca intorno a te qualcosa di puro, da offrire [a Dio]: non lo troverai. Cerca fra le cose tue qualche vittima da offrirgli, [ricordando però che] egli non sì compiace di arieti, né di capri, né di tori. Anche se non gliele offri son roba sua tutte le cose. Offrigli dunque un sacrificio mondo! Tu però sei un peccatore, un empio, hai la coscienza insozzata. Una volta purificato, forse potrai offrirgli un sacrificio puro; ma per diventare puro bisogna che qualcosa sia immolato per te. Ma cosa offrirai per te, per diventare puro? Se sarai stato purificato, potrai offrire ciò che ormai è mondo. Offra dunque se stesso quel sacerdote che è puro e purifichi [gli altri]. È ciò che fece Cristo. Negli uomini non trovò nulla di mondo da poter offrire in pro’ degli stessi uomini; allora offrì se stesso come vittima pura. Vittima felice, vittima vera, sacrificio immacolato! Non offrì cose che noi gli avevamo date; o meglio, offrì cose prese da noi ma che lui stesso aveva purificate [per l'offerta]. Offrì infatti la carne che aveva preso da noi. E da chi la prese? Dal seno della vergine Maria. Essendo pura, la offrì per chi era impuro. Egli dunque è re e sacerdote. Rallegriamoci in lui.

Il coro, il timpano e il salterio: applicazioni.
7. [v 3.] Lodino il suo nome in coro. Che cosa rappresenta il coro? Molti sanno cosa sia un coro, anzi, dal momento che parliamo in [questa] città, lo sanno quasi tutti. Il coro è un complesso di cantori che cantano insieme. Se cantiamo in coro dobbiamo cantare d’accordo. Quando si canta in coro, anche una sola voce stonata ferisce l’uditore e mette confusione nel coro stesso. Se la voce di uno che canta in maniera inopportuna disturba l’accordo dei cantanti, non disturberà l’eresia con le sue stonature l’accordo delle voci che lodano Dio? Ormai tutto il mondo è un coro di Cristo: e questo coro di Cristo canta in perfetta armonia dall’oriente all’occidente. Vediamo se tale sia l’estensione del coro di Cristo. Lo dice un altro salmo: Dal sorgere del sole fino al tramonto lodate il nome del Signore 24. Lodino il suo nome in coro.

8. Salmeggino a lui sul timpano e sul salterio. Perché prende in mano il timpano e il salterio? Affinché non soltanto la voce [lo] lodi, ma anche le opere. Quando si prendono il timpano e il salterio, le mani s’accordano alla voce. Così per te. Quando canti l’Alleluia, devi porgere il pane all’affamato, vestire il nudo, ospitare il pellegrino. Se fai questo, non è solo la voce che canta ma alla voce si armonizzano le mani, in quanto alle parole concordano le opere. Hai preso in mano lo strumento e le tue dita sono in armonia con la lingua. In effetti, non bisogna passar sotto silenzio il senso misterioso del timpano e del salterio. Nel timpano si stira il cuoio, nel salterio si stirano le corde: nell’uno e nell’altro strumento si crocifigge la carne. Quanto salmeggiava bene sul timpano e sul salterio colui che diceva: Il mondo per me fu crocifisso e io per il mondo! 25 Questo salterio, e analogamente il timpano, vuole che tu prenda colui che ama il cantico nuovo, colui che per ammaestrarti ti rivolge le parole: Chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua 26. Non abbandoni il suo salterio, non abbandoni il timpano! Si stenda sul legno e lasci seccare le concupiscenze della carne. Più i nervi sono tirati più acuti sono i suoni che emettono. Suonando dunque delle note assai acute il salterio dell’apostolo Paolo, cosa diceva? Dimentico delle cose passate, proteso verso quelle che [mi] sono davanti, corro verso la palma della superna vocazione 27. Egli stirava se stesso, Cristo lo toccò e la dolcezza della verità emise dei suoni. Salmeggino a lui sul timpano e sul salterio.

9. [v 4.] Poiché il Signore ha beneficato il suo popolo. Qual beneficio più grande che morire per gli empi? Qual beneficio più grande che distruggere col sangue giusto il rescritto [di condanna] del peccatore? Qual beneficio più grande che dire: Non m’interessa ciò che siete stati finora; siate ciò che finora non siete stati? Il Signore ha beneficato il suo popolo, rimettendo i peccati, promettendo la vita eterna. È benefico convertendo chi gli ha voltato le spalle, aiutando chi combatte, incoronando chi vince. Il Signore ha beneficato il suo popolo, ed ha elevato i mansueti a salvezza. Anche i superbi, in effetti, vengono elevati ma non a salvezza. I mansueti a loro salvezza, i superbi a loro perdizione. Cioè: i superbi si innalzano e il Signore li umilia, i mansueti si umiliano e Dio li esalta. Ed ha elevato i mansueti a salvezza.

Popolarità e vera gloria.
10. [v 5.] Esulteranno i santi nella gloria. Voglio dire qualcosa sulla gloria dei santi. Ascoltatemi con molta attenzione. Non c’è nessuno che non ami la gloria. Gli stolti però amano una gloria (la cosidetta gloria popolare), la quale contiene un’attrattiva ingannevole. L’uomo, invogliato delle lodi di uomini vuoti [di senno], vorrebbe vivere in modo da andare sulla bocca di tutti, non importa come. Per questo diventano anche dissennati, e, tronfi d’orgoglio, vacui dentro e gonfi fuori, concepiscono propositi come quello di disfarsi del proprio patrimonio, donandolo ai commedianti agli istrioni, ai gladiatori e agli aurighi. Che somme regalano! che somme spendono! Sperperano le risorse non solo del loro patrimonio ma anche del loro animo. Gente di tal fatta ha in uggia il povero, perché il popolo non acclama quando si dà qualcosa al povero, mentre grida quando lo si dà al gladiatore. Loro pertanto, se non li si applaude, non dànno; mentre, se li si applaude da gente dissennata, perdono la testa, di modo che diventano tutti una congrega di matti: e chi dà spettacolo e chi vi assiste e chi lo paga. Questa gloria insensata viene biasimata dal Signore, merita disapprovazione agli occhi dell’Onnipotente. Eppure, miei fratelli, Cristo rimprovera i suoi dicendo: Io da voi non ho ricevuto quanto ricevono i gladiatori. Per far loro dei donativi avete preso del mio; quanto a me, invece, ero nudo e non mi avete vestito. E quelli: Ma quando ti abbiamo visto nudo, e non ti abbiamo vestito? E lui: Quando non l’avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me 28. Ma tu vuoi vestire il tuo favorito. Se è così, Cristo per che cosa si è giocato il tuo favore? Vuoi vestire il gladiatore, del quale, nell’ipotesi che sia sconfitto, devi arrossire; Cristo invece non è mai sconfitto. Vinse anzi il diavolo, e lo vinse a posto tuo e a tuo favore e dentro di te. Ma tu non te la senti di vestire un tal vincitore. Perché? Perché attorno a lui si fa poco chiasso, c’è poco modo di perdere la testa. Non per nulla quanti si deliziano di una gloria di questo tipo hanno la coscienza vuota. Come svuotano le casseforti per acquistare vestiti, così svuotano la coscienza non lasciandovi dentro alcunché di prezioso.

La lode di Dio presuppone la buona coscienza.
11. [v 6.] Come viceversa esultino i santi (che esultano nella gloria), non c’è bisogno che lo descriviamo noi. Ascoltate il seguente verso del nostro salmo: Esulteranno i santi nella gloria, si rallegreranno nei propri letti. Non nei teatri, non negli anfiteatri, non nei circhi, non nelle bazzecole, non nelle piazze ma nei propri letti. Che significa: Nei propri letti? Nei loro cuori. Ascolta come esultasse nel suo letto l’apostolo Paolo. La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza 29. C’è però anche qui il pericolo che l’uomo ripieghi su se stesso in cerca di umana compiacenza e insuperbito si glori [delle testimonianze] della coscienza. Si deve infatti gioire nel tremore 30, perché il motivo della nostra gioia è dono di Dio, non merito nostro. Molta infatti è la gente che si compiace di se stessa, ritenendosi giusta; ma contro di loro interviene un’altra pagina [scritturale] ove è detto: Chi potrà gloriarsi d’avere il cuore casto, e chi potrà gloriarsi d’esser mondo da peccato? 31 C’è, è vero, un modo di gloriarsi in base alla coscienza: quando cioè tu sai che la tua fede è sincera, la tua speranza è incrollabile, la tua carità senza finzione. Ma siccome ci sono ancora molte altre cose che possono offendere lo sguardo di Dio, loda piuttosto Dio perché ti ha donato tutte queste cose. Se così farai egli perfezionerà quel che ti ha donato. In riferimento a ciò, dopo le parole: Si rallegreranno nei propri letti, subito aggiunge: Le glorificazioni di Dio sulla loro bocca. Questo per evitare ogni impressione di vana compiacenza. Se infatti si rallegrano nei loro letti, lo fanno non attribuendo a sé il merito di essere buoni, ma lodando colui dal quale han ricevuto ciò che sono. Dal medesimo, inoltre, essi son chiamati a giungere là dove ancora non son pervenuti, e da lui ancora si attendono la perfezione. In quanto lo ringraziano per aver iniziato [l'opera], le glorificazioni di Dio sulla loro bocca. Osservate i santi, osservate la loro gloria; volgete lo sguardo a tutto il mondo e vedete come le glorificazioni di Dio sono sulla loro bocca.

Spada a due tagli è la parola di Dio.
12. E brandi due volte affilati nelle loro mani. Viene chiamata brando quell’arma che comunemente si chiama sciabola. Ci sono infatti spade affilate solo da una parte, e queste sono gli stocchi. Ma i brandi li si chiama anche o daghe o sciabole. Grande mistero racchiude questo tipo di arma per essere affilato da tutt’e due le parti. Sono infatti due volte affilati i brandi che si trovano nelle loro mani. Per brando affilato dalle due parti intendiamo la parola di Dio: la quale è una e in tanto son molte in quanto molte sono le bocche e le lingue dei santi. Orbene, spada due volte affilata è la parola di Dio 32. In che senso due volte affilata? Perché si pronuncia sulle realtà temporali e su quelle eterne. Nell’uno e nell’altro caso dimostra quel che dice e, quando ferisce qualcuno, lo separa dal mondo. Non è forse così la spada di cui diceva il Signore: Non son venuto a portare la pace in terra ma la spada 33? Nota come sia venuto a dividere, a separare. Divide i santi, divide gli empi, allontana da te ciò che ti ostacola. Il figlio vuol servire Dio, il padre no. Viene la spada, viene la parola di Dio e divide il figlio dal padre. La figlia vuole, la madre no. È la spada che le separa. La nuora vuole, la suocera no. Venga la spada a due tagli, rechi la speranza della vita presente e di quella avvenire, rechi la consolazione delle cose temporali e il godimento dei beni eterni. Ecco la spada affilata dalle due parti: ha in sé la promessa dei beni temporali e di quelli eterni. C’è stato forse qualcosa in cui ci ha ingannati? Non è forse vero che tempo addietro la Chiesa non era in tutto il mondo? Oggi invece lo è. Prima lo si leggeva ma non lo si vedeva; oggi come si legge così si constata. Quanto di temporale è a noi stato promesso costituisce un filo della spada; l’altro filo è dato dalle promesse concernenti l’eternità. Hai la speranza dei beni futuri, intanto ti consolano i beni presenti. Non lasciarti distogliere da chiunque volesse distoglierti [dalla retta via]. Si tratti di tuo padre, di tua madre, di tua sorella, o di tua moglie, o del tuo amico. Non ti distolga, e ti sarà stata utile la spada due volte affilata. Questa ti separa a tutto tuo vantaggio, mentre tu vorresti immischiarti in dannosi miscugli. Venendo pertanto il nostro Signore ha portato la spada a due tagli: ha promesso i beni eterni, ha adempiuto le promesse temporali. Anzi, proprio per questo motivo si dice che due sono i Testamenti. Quali erano dunque i brandi due volte affilati nelle loro mani? Rientrano in questo contesto i due Testamenti: il Vecchio Testamento che prometteva beni terreni, e il Nuovo testamento con le sue promesse eterne. Nell’uno e nell’altro la parola di Dio è risultata verace, come spada a due tagli. Ma perché porla non sulle lingue ma nelle mani? Dice: E brandi due volte affilati nelle loro mani. Dicendo: Nelle mani, significa: In potere. Ricevettero, nei riguardi della parola di Dio, il potere di dirla dove volessero e a chi volessero. Non avrebbero dovuto temere le autorità né disprezzare [chi fosse stato] nella povertà. Avevano questa spada nelle mani e così la vibravano dove credevano, si volgevano dove credevano e colpivano chi credevano. Tutto questo era in potere dei predicatori. Né venga alcuno a dirmi: Ma come può essere, la parola [di Dio], una spada due volte affilata?, e ancora: Come può essere nelle mani? Se la parola non è nelle mani, come può dire la Scrittura: La parola del Signore fu fatta nelle mani del profeta Aggeo 34? Forse che, fratelli, Dio ha suscitato la sua parola nelle dita del profeta? Cosa vuol dire allora: Fu fatta nelle mani di lui? Gli fu conferito il potere di predicare il messaggio del Signore. In fine poi potremo intendere anche in un’altra maniera queste  » mani « . Cioè: come i profeti che parlarono ebbero la parola di Dio nella lingua, così quelli che scrissero la ebbero nelle mani. E brandi due volte affilati nelle loro mani.

Siamo coraggiosi nel polemizzare con gli idolatri.
13. [v 7] Ormai, fratelli, v’è dato vedere i santi nella loro armatura, Osservatene le stragi, osservate le gloriose battaglie. Dove infatti c’è il comando supremo [d'un esercito] là ci sono anche i soldati; dove sono i soldati, ci sono anche i nemici; e se c’è la guerra, c’è anche la vittoria. Cosa fecero questi tali che avevano in mano brandi affilati da tutt’e due le parti? A compiere la vendetta fra le genti. Osservate se fra le genti non sia stata compiuta effettivamente questa vendetta. La si compie ogni giorno: è quello che facciamo anche noi col nostro parlare. Osservate come siano state abbattute le popolazioni di Babilonia. La si ripaga con doppia misura. Così infatti era stato scritto nei suoi riguardi: Rendetele il doppio di quel che ha fatto 35. In che senso la si ripaga rendendole il doppio? I santi muovono guerra, sguainano le spade a due tagli, e avvengono stragi, uccisioni, separazioni. Ma come la si ripaga con doppia misura? Quando essa poteva perseguitare i cristiani, uccideva il corpo, non annientava Dio; adesso al contrario la si paga con duplice vendetta: vengono sterminati i pagani e infranti gli idoli. In che senso, chiederai, vengono uccisi i pagani? Nel senso che passano ad essere cristiani. Cerco un pagano e non lo trovo: è diventato cristiano. Quindi il pagano [come pagano] è morto. Se infatti non si trattasse di una certa quale uccisione, come si poté dire a Pietro: Uccidi e mangia 36. Lo stesso nel caso di Paolo: fu ucciso Saulo persecutore e balzò fuori Paolo annunziatore del Vangelo. Cerco il persecutore Saulo: non lo trovo, è stato ucciso. Con che cosa? Con la spada affilata d’ambo le parti. Ucciso però in se stesso e riacquistata in Cristo la vita, può dire con fiducia ardimentosa: Io vivo, ma non io, vive in me Cristo 37. Ciò che accadde in lui avviene anche ad opera di lui. Diventato predicatore, ricevette a sua volta in mano la spada a due tagli per compiere la vendetta fra le genti. Ma non devi credere trattarsi per davvero di uomini colpiti, di sangue versato, di ferite fatte nel corpo. Per impedirti una tale supposizione, continuando espone [le parole precedenti]: Le ripassate sui popoli. Cos’è una ripassata? Un rimprovero severo. Esca dalla vostra bocca la spada due volte affilata; non vi stancate d’usarla. Dio infatti ve l’ha data, a ciascuno in proporzione delle sue capacità. Che uomo sei tu che ancora veneri gli idoli? Di’ questo al tuo amico, se c’è rimasto qualcuno che meriti queste parole. Digli: Che razza d’uomo sei, se trascuri colui che ti ha fatto e adori l’idolo fatto da te? È meglio l’artigiano che non qualsiasi opera fatta dall’artigiano. Se ti vergogni di adorare l’artefice, come non vergognarti di adorare ciò che l’artefice ha fatto? Se comincerà a vergognarsi e a pentirsi, hai fatto una ferita con la tua spada. La lama è giunta al cuore: egli morrà per vivere veramente. E brandi due volte affilati nelle loro mani, a compiere la vendetta fra le genti, le ripassate sui popoli.

Spogliamoci dei beni terreni.
14. [v 8.] Per legare i loro re in ceppi e i loro nobili in vincoli di ferro. Per compiere su di essi il giudizio stabilito. Ci è stato facile esporre come, colpiti dalla spada, cadano per risorgere, vengano separati per essere risanati, uccisi per rivivere. Ma ora cosa faremo? come spiegheremo le parole: Per legare i loro re in ceppi? I re delle genti han d’essere legati e posti in ceppi, e – aggiunge – i loro nobili in vincoli di ferro. Siate vigili, in modo da riconoscere ciò che già conoscete. I versi che abbiamo cominciato ad esporre sono oscuri, ma ciò che io vi dirò ricavandolo da loro non è nuovo: è già noto a voi, sicché non avete bisogno d’imparare ma di richiamare alla mente. Dio ha voluto celare nell’oscurità certi suoi versi, non perché ne ricavassimo qualcosa di nuovo ma perché, attraverso l’esposizione di parole oscure, apparisse nuovo ciò che invece era familiare. Sappiamo di re divenuti cristiani e di nobili del paganesimo divenuti anch’essi cristiani. Ce ne sono oggi, ce ne sono stati in passato e ce ne saranno in avvenire: non hanno interrotto la loro opera le spade a due tagli maneggiate dai santi. Come intenderemo, in questo caso, il fatto che sono legati a ceppi e catene di ferro? La vostra Carità conosce, per esserne stata istruita, il passo seguente dell’Apostolo; voi siete infatti nutriti nella Chiesa e siete soliti ascoltare la sacra lettura. Egli dice: Dio ha scelto le cose deboli del mondo per confondere le cose forti; e le cose stolte del mondo Dio ha scelto per confondere i sapienti; e le cose che non sono, come se fossero, per ridurre al nulla quelle che sono. E così anche lo stesso Apostolo: Considerate, fratelli, la vostra vocazione: tra voi non ci sono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili, ma Dio ha scelto le cose stolte e deboli del mondo per confondere le cose forti; Dio ha scelto le cose umili e disprezzate, e le cose che non sono, come se fossero, per ridurre al nulla quelle che sono 38. Cristo Dio venne a salvezza di tutti, ma preferì che la salvezza derivasse all’imperatore dal pescatore e non al pescatore dall’imperatore. Per questo scelse cose che nel mondo non rappresentavano nulla. A questa gente, riempita di Spirito Santo, diede in mano la spada a doppio taglio; comandò loro di predicare il Vangelo percorrendo l’intero universo 39. Il mondo ne gemette e il leone si drizzò contro l’agnello; ne risultò che quest’agnello era più forte del leone. Il leone è vinto mentre infierisce e uccide, l’agnello riporta vittoria a forza di pazientare. I cuori degli uomini si convertirono al timore di Cristo; e tanto i re quanto i nobili cominciarono a impressionarsi di fronte ai miracoli [di Cristo], si sentirono scossi per l’avveramento delle profezie e vedendo l’umanità intera muoversi verso l’unico nome. E cosa avrebbero dovuto fare? Molti scelsero di spogliarsi della loro nobiltà: abbandonarono le loro case, distribuirono ai poveri le proprie sostanze e corsero verso la perfezione. Era infatti ancora imperfetto quel tale a cui Cristo disse: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, e vieni e seguimi, e avrai un tesoro nei cieli 40. Molti nobili fecero questo, ma, ciò facendo, essi cessarono di essere nobili nel paganesimo: scelsero la povertà del mondo, la nobiltà in Cristo. Ci son tuttavia degli altri che conservano la loro nobiltà, conservano il potere regale, pur essendo cristiani. Costoro si trovano come in ceppi, come legati con catene di ferro. Perché questo? Affinché non succeda loro di avanzare verso comportamenti illeciti, han ricevuto dei ceppi: i ceppi della sapienza, i ceppi della parola di Dio 41.

Vincoli di ferro sono i comandamenti di Dio.
15. Ma perché chiamarli catene di ferro e non catene d’oro? Finché temono, son catene di ferro; amino, e diventeranno d’oro. Presti attenzione la vostra Carità a quel che voglio dire. Avete ascoltato or ora l’apostolo Giovanni. Dice: Nell’amore non c’è il timore, anzi la carità perfetta scaccia via il timore, perché il timore suppone il castigo 42. Ecco la catena di ferro. Eppure, se l’uomo intenzionato di servire Dio non comincia col timore, non raggiungerà l’amore. Inizio della sapienza [è infatti] il timore del Signore 43. Si comincia quindi con le catene di ferro, si termina con la collana di oro. Della Sapienza infatti è stato detto: E una collana d’oro attorno al tuo collo 44. Non t’imporrebbe la collana d’oro se prima non ti avesse legato con catene di ferro. Cominci col timore, raggiungi la perfezione nella sapienza. Quanta gente c’è che, se non si comporta male, lo fa per timore della geenna, per timore delle pene! Non amano ancora la giustizia. Se si garantisse loro l’impunità, se qualcuno loro dicesse: Fate tranquillamente quel che vi pare tanto resterete impuniti, essi darebbero libero corso alle loro passioni e combinerebbero anche le cose più infami. Questo, miei fratelli, farebbero particolarmente i re e i nobili, ai quali non è facile dire: Ma cos’è quel che hai combinato? Il povero, al contrario, anche se non teme Dio, essendo privo di sostegni e di risorse, vuol evitare che venga portato in giudizio quando scivola in qualche errore; quindi se non si astiene [dal male] per timore di Dio, se ne astiene per timore dell’uomo. Diametralmente opposta è la situazione dei potenti del mondo, dei re, dei nobili: i quali, se non temono Dio, chi temeranno? Ma ecco giunge a loro la predicazione e vengono colpiti dalla spada a doppio taglio. Si annunzia loro che c’è un tale che porrà gli uni alla destra e gli altri alla sinistra e a quelli che sono alla sinistra dirà: Andate al fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli 45. Non amano ancora la giustizia ma temono la pena: temendo la pena, hanno ricevuto dei ceppi e vengono sottoposti a disciplina in catene di ferro. Viene da noi un potente del secolo: s’è urtato con sua moglie, o, mettiamo, s’è invaghito della moglie dell’altro perché più bella o più ricca. Vorrebbe divorziare dalla moglie legittima, ma s’astiene dal farlo; ascolta [la parola] da un servo di Dio, da un profeta, da un apostolo e non attua il suo proposito. Da colui nelle cui mani c’è la spada a due tagli si sente dire: Non devi farlo, non ti è lecito, Dio non ti permette di ripudiare la tua sposa eccetto il caso di fornicazione 46. Ascolta queste parole, ne concepisce timore e non fa [il male che voleva]. I piedi già avanzavano veloci verso la caduta, ma i ceppi li trattengono: egli è legato da catene di ferro in quanto teme Dio. Gli si dice: Dio ti condannerà se farai [il male]; egli è giudice supremo e ascolterà il gemito della tua sposa; e tu porterai il peso della tua colpevolezza dinanzi a lui. Da un lato la passione lo lusinga, dall’altro la pena lo trattiene. Avrebbe consentito alla passione disordinata se non ci fossero state quelle catene di ferro a trattenerlo. Ma c’è di più. Uno dice: D’ora innanzi voglio vivere in continenza, non voglio sapere nulla di mia moglie. Non puoi! Che dire infatti se tu lo volessi e lei si rifiutasse? O forse, che a causa della tua continenza, deve la donna darsi alla disonestà? Se infatti, mentre tu vivi, lei prendesse un altro uomo sarebbe adultera. Dio non vuole che un tal danno sia compensato da un guadagno come il tuo. Rendi il debito coniugale; se non lo esigi, almeno rendilo. Dio ti computerà per santità perfetta se non esigi quanto la tua sposa ti deve ma rendi a lei ciò che le è dovuto. Sei nel timore e non lo fai. Le tue catene si squassano. Ascolta come siano di ferro le catene da cui sei stretto: Sei tu legato ad una moglie? Non cercare di rompere questo legame 47. È duro, è ferreo. E anche il Signore, quando parlò di queste cose, mostrò che si trattava d’una catena di ferro. Disse: Ciò che Dio congiunse l’uomo non separi 48. Ascoltatemi, o giovani! Sono catene di ferro, non ci cacciate dentro il piede, poiché quando ve l’avrete cacciato sarete stretti in maniera assai rigida da queste catene. A rafforzare poi tali catene contribuiscono anche le mani del vescovo. Non c’è infatti della gente incatenata che corre alla Chiesa? e noi forse che la sciogliamo? Corrono da noi uomini intenzionati di divorziare dalle loro mogli, ma noi stringiamo ancor più i legami. Tali catene non le scioglie nessuno. Ma allora, son catene pesanti! Chi non lo sa? Di tale pesantezza si rammaricarono anche gli Apostoli quando dissero: Se questa è la condizione di chi si sposa, è meglio non sposarsi 49. Se sono catene di ferro, nessuno ti costringe a cacciarvi [dentro] i piedi. Così il Signore: Non tutti capiscono questo discorso, ma chi può capirlo capisca. Sei tu legato ad una moglie? Non cercare di rompere questo legame 50, perché sei legato con catene di ferro. Sei libero da donna? Non cercare moglie 51. Cioè: non legarti con catene di ferro.
16. [v 9.] Per eseguire su di essi il giudizio già scritto. Questo è il giudizio che i santi esercitano su tutte le genti. Perché: Già scritto? Perché tutte queste cose sono state descritte antecedentemente e ora si adempiono. Ecco avvengono adesso, mentre prima le si leggeva ma non erano fatti accaduti. E conclude: E questa è la gloria per tutti i suoi santi. Questo fanno i santi in tutto il mondo, fra tutte le genti, e così vengono glorificati. Così esaltano Dio con la loro voce, così godono nei loro giacigli, così esultano nella loro

Salmo 103 (104) Inno a Dio creatore

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/salmo103.htm
     
Salmo 103 (104) Inno a Dio creatore  
 
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,

avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda,

costruisci sulle acque le tue alte dimore,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,

fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri.

Egli fondò la terra sulle sue basi:
non potrà mai vacillare.

Tu l’hai coperta con l’oceano come una veste;
al di sopra dei monti stavano le acque.

Al tuo rimprovero esse fuggirono,
al fragore del tuo tuono si ritrassero atterrite.

Salirono sui monti, discesero nelle valli,
verso il luogo che avevi loro assegnato;

hai fissato loro un confine da non oltrepassare,
perché non tornino a coprire la terra.

Tu mandi nelle valli acque sorgive
perché scorrano tra i monti,

dissetino tutte le bestie dei campi
e gli asini selvatici estinguano la loro sete.

In alto abitano gli uccelli del cielo
e cantano tra le fronde.

Dalle tue dimore tu irrighi i monti,
e con il frutto delle tue opere si sazia la terra.

Tu fai crescere l’erba per il bestiame
e le piante che l’uomo coltiva
per trarre cibo dalla terra,

vino che allieta il cuore dell’uomo,
olio che fa brillare il suo volto
e pane che sostiene il suo cuore.

Sono sazi gli alberi del Signore,
i cedri del Libano da lui piantati.

Là gli uccelli fanno il loro nido
e sui cipressi la cicogna ha la sua casa;

le alte montagne per le capre selvatiche,
le rocce rifugio per gli iràci.
Hai fatto la luna per segnare i tempi
e il sole che sa l’ora del tramonto.

Stendi le tenebre e viene la notte:
in essa si aggirano tutte le bestie della foresta;

ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda
e chiedono a Dio il loro cibo.

Sorge il sole: si ritirano
e si accovacciano nelle loro tane.

Allora l’uomo esce per il suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera.

Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Ecco il mare spazioso e vasto:
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi;

lo solcano le navi
e il Leviatàn che tu hai plasmato
per giocare con lui.

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.

Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni.

Nascondi il tuo volto: li assale il terrore;
togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.

Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.

Egli guarda la terra ed essa trema,
tocca i monti ed essi fumano.

Voglio cantare al Signore finché ho vita,
cantare inni al mio Dio finché esisto.

A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Scompaiano i peccatori dalla terra
e i malvagi non esistano più.
Benedici il Signore, anima mia.
Alleluia.
 
Commento
 
Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.
Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo.
Egli ha separato la luce dalla notte e con l’albeggiare stende il cielo “come una tenda”; cioè stende la calotta azzurra del cielo. Così, pure, stende le tenebre della notte: “Stendi le tenebre e viene la notte”. Sovrano del cielo e della terra, pone la sua dimora di re sulle acque, cioè sulle nuvole alte e bianche, là dove nessuno può fare una dimora. Sovrano difende i suoi sudditi fedeli dai nemici, facendo delle nuvole basse e buie il suo carro da guerra trainato dal vento visto come un essere alato: “Costruisci sulle acque le tue alte dimore, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento”. I venti annunziano il suo arrivo nella tempesta, mentre le folgori presentano la sua potenza sulla terra: “Fai dei venti i tuoi messaggeri e dei fulmini i tuoi ministri”.
Il salmo, che segue l’ordine della prima narrazione della creazione (Gn 1,1s), continua presentando la primordiale situazione della terra, ora fermamente salda “sulle sue basi”, intendendo per basi niente di formalmente vincolante, ma solo un’immagine tratta dalle congetture dell’uomo.
L’onnipotenza divina viene presentata come dominatrice delle acque che coprivano la terra: “Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono rimasero atterrite”. Le acque si divisero in acque sotto il firmamento e in acque sopra il firmamento (le nubi, pensate ferme in alto per la presenza di una invisibile calotta detta firmamento), così cominciò il ciclo delle piogge e le acque “Salirono sui monti, discesero nelle valli, verso il luogo (mare) che avevi loro assegnato”. Dio provvede, nel tempo privo di piogge, al regime delle acque, e fa scaturire nelle alte valli montane acque sorgive che poi scendono lungo i canaloni tra i monti per dissetare gli animali. Gli uccelli trovano dimora nei luoghi alti e cantano tra le fronde degli alberi. Tutto è predisposto perché non manchi il cibo: “Con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva…”.
E anche gli alberi alti sono sazi per la pioggia “sono sazi gli alberi del Signore (cioè gli alberi altissimi: nell’ebraico il superlativo assoluto è reso con un riferimento a Dio), i cedri del Libano da lui piantati”. (I cedri del Libano raggiungono anche i 40 m. di altezza, con un diametro alla base di 2,5 m.)
Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un’immagine rivolta a presentare come all’inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.
L’uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l’uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”.
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l’autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell’assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l’alito delle narici “togli loro il respiro”. Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all’origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell’amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.

Chiamati a vivere (Salmo 139) (Gianfranco Ravasi)

dal sito:

http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo139.htm

I SALMI CANTI SUI SENTIERI DI DIO

GIANFRANCO RAVASI

Chiamati a vivere (Salmo 139)     

C’è una vocazione primordiale che sta alla radice del nostro stesso essere, è la chiamata alla vita. Dice il Signore a Geremia nel giorno della sua vocazione profetica: « Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu venissi alla luce, ti avevo consacrato » (1,5), e questa frase sarà ripresa anche da Paolo per descrivere la sua vocazione nella lettera ai Galati (« Dio mi scelse fin dal seno di mia madre » 1,15). È celebre il detto di Cartesio « Cogito, ergo sum », « penso, quindi esisto ».il teologo K. Barth ha introdotto in questa frase una piccola variante che però la rivoluziona: « Cogitor, ergo sum » « sono pensato (da Dio) e quindi esisto ». È questa la tipica visione della Bibbia che alla radice della nostra esistenza pone l’amore di Dio e la sua parola: « In principio Dio disse: Facciamo l’uomo…! ».
Ora, questa grande vocazione che si irradia su tutta la nostra esistenza, su tutto lo spazio che percorreremo, su tutti nostri anni, i mesi, i giorni, le ore della nostra vita  è stupendamente cantata in un salmo, il 139, un testo piuttosto lungo che non possiamo ora citare integralmente ma che invitiamo a riprendere e a leggere con attenzione sulla propria Bibbia. « Il Salmo 139 è una delle più penetranti riflessioni sul significato e sulla presenza di Dio in tutta la letteratura religiosa. Vi si avverte,  più che altrove, il senso miracoloso, avvincente e straordinario di Dio che si proietta in ogni direzione, al di sopra, al di sotto, innanzi e indietro ». Queste parole del teologo anglicano A. T. Robinson in un libro che a suo tempo fece scalpore, Dio non è così (Firenze 1965), colgono il cuore di questo splendido ma molto difficile cantico sapienziale.
La libertà delle immagini, il bagliore delle intuizioni, la forza dei sentimenti, la mutevolezza delle tonalità, il tormento del testo a noi giunto non impediscono al Salmo di avere una struttura nitida e un suo rigore ideologico. La sostanza del messaggio è subito percepibile. Dio tutto sa e tutto può e l’uomo non può sottrarsi a lui. Lo scopo ultimo del poema è quello di far convergere verso l’abbraccio salvifico di Dio tutte le dimensioni, tutta la realtà, tutta l’umanità. Citando due poeti greci, Arato e Cleante, Paolo ad Atene affermava: « In lui viviamo, in lui ci muoviamo ed esistiamo » (Atti 17,28). In un testo aramaico di El-Amarna  (Egitto) leggiamo questa frase: « Se noi saliamo in cielo, se noi scendiamo negli inferi, la nostra testa è nelle Tue mani ».
La prima strofa (vv.1-6) è la celebrazione dell’onniscienza divina, come è attestato dal riecheggiare del verbo « conoscere », che nel mondo semitico indica la penetrazione totale del conoscente nell’oggetto conosciuto. Dio mi conosce « quando seggo e quando mi alzo, quando cammino e quando sosto »: le azioni « polari » estreme della vita che riassumono tutte le altre non sfuggono allo sguardo di Dio, come gli sono familiari il nostro pensiero e la nostra parola prima ancora che essi sboccino.
All’onnipresenza divina è dedicata la seconda strofa (vv. 7-12) in cui si descrive il « folle volo » dell’uomo per sottrarsi a Dio. Tutto lo spazio è percorso, dalla verticale cielo-inferi all’orizzontale est-ovest (aurora- mare Mediterraneo). Tutto il tempo con la sua sequenza notte-giorno è perlustrato da Dio a cui non resiste né la morte né la tenebra.

Leggiamo ora la terza strofa (vv. 13-18) che si fissa sulla realtà più mirabile dell’essere, l’uomo, il « prodigio » di Dio.

Sei tu che hai creato i miei reni,
mi hai intessuto nel grembo di mia madre.
Ti ringrazio perché con atti prodigiosi mi hai fatto mirabile:
meravigliose sono le tue opere
e la mia anima le riconosce pienamente.
Il mio scheletro non ti era nascosto
quando fui confezionato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.
Anche l’embrione i tuoi occhi l’hanno visto
e nel tuo libro erano tutti scritti
i giorni che furono formati
quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto sono insondabili per me i tuoi pensieri, o Dio,
quanto è complessa la loro sostanza!
Se li conto sono più numerosi della sabbia.
Mi risveglio ed ecco sono ancora con te.

Attraverso il simbolismo « plastico » del vasaio e dello scultore e quello « tessile » del ricamo si dipinge l’azione di Dio all’intero del grembo della gestante. Quel grembo notturno e oscuro, che è paragonato a quello della madre Terra, è trapassato dallo sguardo creatore di Dio e diventa come un cantiere del nostro destino fisico e spirituale. La funzione della donna è vista dal poeta in parallelo a quella della terra: come il seme cade nel terreno e fa esplodere la sua energia nell’humus che espleta la funzione di matrice, così il seme maschile nel grembo della donna, alimentato dal sangue mestruo (secondo l’antica fisiologia orientale) si trasforma in creatura vivente. Il miracolo della creazione e dell’esistenza è contemplato dal nostro poeta con lo stupore della poesia e della fede.
L’ultima strofa (vv. 19-24) è piuttosto sorprendente perché con la sua veemenza sembra in opposizione alla pace della contemplazione precedente. Il tema è quello del giudizio divino sul male nei cui confronti l’orante si dichiara puro. Anzi, egli « odia con odio implacabile » i nemici di Dio. Si tratta di un’espressione molto forte, di sapore orientale, per indicare lo sdegno contro l’ingiustizia che dilaga nel mondo e per esprimere la propria amorosa adesione al bene. È quasi una scelta di campo  che l’orante fa, ben sapendo che a Dio egli deve tutto e che a lui vuole tutto consacrare.
Si chiude così questo canto di gloria al Dio creatore dell’uomo. « Numerose sono e meraviglie del mondo ma la più grande delle meraviglie resta l’uomo », scriveva il poeta greco Sofocle nell’Antigone. Il nostro salmo è un canto di adorazione al Creatore di un simile capolavoro. Lo scrittore ebreo tedesco Joseph Roth, l’autore della Leggenda del santo bevitore, in un’altra sua opera esprimeva suggestivamente questa sensazione: « Nell’istante in cui potei prendere tra le braccia mio figlio provai un lontano riflesso di quella ineffabile sublime beatitudine che dovette colmare il Creatore il sesto giorno quando egli vide la sua opera  imperfetta pur tuttavia compiuta. Mentre tenevo fra le mie braccia quella cosina minuscola, urlante, brutta, paonazza,sentivo chiaramente quale mutamento stava avvenendo in me. Per piccola, brutta e rossastra che fosse la cosa tra le mie braccia, da essa emanava una forza invincibile ».

 (da SE VUOI)

SALMO 116

dal sito:

http://www.padrelinopedron.it/data/edicola/Padre%20Lino%20Pedron%20-%20Salmi/SALMO%20116.doc

SALMO 116

116 (114-115) Ringraziamento

 1 Alleluia.

Amo il Signore perché ascolta
 il grido della mia preghiera.
 2 Verso di me ha teso l’orecchio
 nel giorno in cui lo invocavo.

 3 Mi stringevano funi di morte,
 ero preso nei lacci degli inferi.
 Mi opprimevano tristezza e angoscia
 4 e ho invocato il nome del Signore:
  »Ti prego, Signore, salvami ».
 5 Buono e giusto è il Signore,
 il nostro Dio è misericordioso.
 6 Il Signore protegge gli umili:
 ero misero ed egli mi ha salvato.

 7 Ritorna, anima mia, alla tua pace,
 poiché il Signore ti ha beneficato;
 8 egli mi ha sottratto dalla morte,
 ha liberato i miei occhi dalle lacrime,
 ha preservato i miei piedi dalla caduta.
 9 Camminerò alla presenza del Signore
 sulla terra dei viventi.

 10 Alleluia.

 Ho creduto anche quando dicevo:
  »Sono troppo infelice ».
 11 Ho detto con sgomento:
  »Ogni uomo è inganno ».

 12 Che cosa renderò al Signore
 per quanto mi ha dato?
 13 Alzerò il calice della salvezza
 e invocherò il nome del Signore.

 14 Adempirò i miei voti al Signore,
 davanti a tutto il suo popolo.
 15 Preziosa agli occhi del Signore
 è la morte dei suoi fedeli.

 16 Sì, io sono il tuo servo, Signore,
 io sono tuo servo, figlio della tua ancella;
 hai spezzato le mie catene.
 17 A te offrirò sacrifici di lode
 e invocherò il nome del Signore.

 18 Adempirò i miei voti al Signore
 e davanti a tutto il suo popolo,
 19 negli atri della casa del Signore,
 in mezzo a te, Gerusalemme.

Commento dei Padri della Chiesa

v. 1. Noi non sappiamo ascoltare Dio, ma egli ci ascolta (Origene).
Questo salmo narra le prove del popolo e l’aiuto di Dio (Teodoreto).
Canto dell’anima peregrinante lontano dal Signore, della pecora smarrita e ritrovata, del figlio prodigo che era morto ed è tornato in vita [cf Lc 15,33]. La speranza suscita l’amore (Agostino).
v. 2. Poiché l’ho invocato, ho superato tutto. Sapevo che il misericordioso mi avrebbe ascoltato (Atanasio).
v. 3. Il Cristo ha sopportato l’assalto dell’inferno, ma l’inferno non ha potuto nulla contro di lui (Origene).
v. 5. Il Misericordioso (Cristo) invoca il Misericordioso; il Giusto (Cristo) invoca il Giusto. E’ un’eco della santità primordiale che giunge a noi (Origene).
Il nostro Dio è misericordioso, sa che vorrei essere liberato dal male che è in me (Atanasio).
vv. 7-8. L’anima gemente piange nel vedere prolungarsi il suo pellegrinaggio. Nel corso di questo pellegrinaggio la sua intelligenza si affina; comprenderà meglio quando sarà ritornata nel suo riposo, cioè nella sua patria, il paradiso. Nel mistero il profeta contemplava questo ritorno e diceva: Ritorna, anima mia, al tuo riposo (Origene).
Avevamo dunque il riposo, poiché ci viene detto di ritornarvi. L’abbiamo perduto in Adamo. Dio ci ha creati buoni: con Adamo ci ha posti tutti, per così dire, in paradiso. Ma ne siamo decaduti, siamo venuti in questa valle di lacrime. Ritorna in paradiso! Non ne sei degno, ma la misericordia di Dio ti riconduce (Girolamo).
vv. 10-11. Io so che la nostra condizione umana non permette di raggiungere la verità. Tutto ciò che l’uomo può conoscere è nulla (Girolamo).
Che cosa possiede in proprio l’uomo? La menzogna. Ma non ha potuto scoprirla che con la contemplazione purificatrice, sollevato al di sopra di se stesso e vedendo la verità delle cose. L’uomo illuminato si vede mentitore (Cassiodoro).
vv. 12-13. Che renderò? Egli cerca. Né sacrificio, né olocausto, ma la sua vita intera: il calice, la fedeltà promessa. E ciò sarà un sacrificio di lode (Origene).
Io non ho nulla da offrirgli. Non posso altro che versare il mio sangue per lui. Liberati dal Salvatore, offriamo liberamente il nostro sangue per lui: Il mio calice lo berrete  [Mt 20,23] (Girolamo).
Il calice è la passione e il martirio. E’ vero che la passione del servo è ben al di sotto di quella del Maestro, ma è come un ricco che invita un povero: se gli avviene in seguito di passare davanti alla casa del povero e il povero non ha null’altro da offrirgli che la sua buona volontà, il ricco l’accetta come l’obolo della vedova (Girolamo).
v. 15. Preziosa, perché l’ha acquistata con il suo sangue affinché i suoi servi non esitino ad offrire il loro sangue (Agostino).
vv. 16-17. Confessa il suo stato di servo, riscattato a così grande prezzo: era figlio della creazione sottomesso al creatore; ma schiavo fuggito e riafferrato nella sua fuga e ora liberato dal peccato, è divenuto figlio della Gerusalemme celeste, la quale è libera dal peccato [cf. Gal 4,26] e ancella della giustizia (Agostino).
Essere servo del Signore è una grande dignità; la Scrittura la attribuisce ai più grandi:  Mosé, Abramo, Giacobbe, Paolo (Girolamo).
I martiri lodano il Signore nella terra dei viventi. Anche i monaci che lo cantano giorno e notte sono martiri (testimoni). Quello che gli angeli fanno in cielo, i monaci lo fanno sulla terra (Girolamo).
Il sacrificio della lode è raccomandato tanto nell’Antico Testamento che nel Nuovo. Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio, all’infuori di questi straniero? [Lc 17,18] (Cassiodoro).
vv. 18-19.  E’ l’uomo interiore che ha in sé qualcosa da offrire a Dio. C’è voto quando noi offriamo a Dio qualcosa di nostro. Cosa, dunque, Dio vuol ricevere da noi? Ascolta ciò che dice la Scrittura: Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima? [Dt 10,12]. Ecco ciò che Dio chiede da noi (Origene).
Che cosa gli deve? Faccia voto di sé, offra se stesso… renda a Dio la sua immagine (Agostino).
Gli offrirò la mia povertà, e anche il mio sangue. E se il persecutore manca, farò incessantemente all’altare memoria della passione di Cristo e sarò pronto a morire per lui (Ruperto).
Il sangue di Cristo esige da noi l’obbedienza fino alla morte, perché il Cristo ha sofferto per noi, dandoci l’esempio affinché noi seguiamo le sue tracce, cioè affinché noi moriamo e moriamo con lui… Nel calice del nuovo patto [Lc 22,20] si trovano la causa, il motivo e l’energia per compiere ciò che il Nuovo Testamento comanda e per ottenere ciò che esso promette… Con il sangue versato sulla croce Cristo ha versato il suo amore; con il sangue che ci fa bere, ci fa bere anche il suo amore, lavandoci dai nostri peccati nel suo sangue… L’obbedienza fino alla morte è la carità perfetta; essa era racchiusa nella legge, nel primo e più grande comandamento: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze [Dt 6,5]. Essa era inclusa anche nei sacrifici e implicitamente suggerita nella morte delle vittime. Ma ora l’esempio della morte di Cristo la proclama, l’impone a tutti quelli che vogliono amare e imitare Cristo. Questa obbedienza è il calice della salvezza, il calice della passione di Cristo… L’obbedienza fino alla morte deve intendersi ancora di ogni perfetta penitenza  del corpo e soprattutto di ogni perfetta rinuncia alla propria volontà. Colui che, per una scelta consapevole, preferisce alla propria volontà quella del fratello, pone la sua anima per il fratello. L’obbedienza fino alla morte si trova in ogni forma di martirio, sia che veniamo uccisi dalla spada del persecutore o dalla spada dello Spirito. Chiunque trova la sua gioia in questa obbedienza, beve con Gesù il vino aromatico del suo calice, il vino dolce delle sue melagrane [cf. Ct 8,2] (Baldovino di Ford). 

Tu visiti la terra (Salmo 65) (Gianfranco Ravasi)

da sito:

http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo65.htm

Tu visiti la terra (Salmo 65)

Sono questi i mesi in cui la natura raggiunge la sua bellezza più pura: la primavera esplode ormai nello splendore dell’estate. Il creato si apre davanti a noi coi suoi colori e la sua vitalità. Questi mesi hanno un loro cantore anche all’interno dei Salmi. È il poeta del Salmo 65 (64 nella numerazione usata nella liturgia: il testo ebraico, infatti, ha erroneamente spezzato in due un salmo, il 9, facendo sì che il computo del Salterio ebraico sia avanti di un’unità). Il carme è nettamente diviso in due quadri simili ad un dittico: il primo (vv. 2-9) è una celebrazione della primavera dello spirito, cioè il perdono dei peccati e la rinascita interiore; il secondo (vv. 10-14) è un canto colorato in onore del Creatore e delle meraviglie cosmiche. Noi ora ci fermeremo proprio davanti a questa seconda tavola tutta smaltata di colori.
Il paesaggio palestinese è solitamente arido, bruciato da un sole implacabile, quasi calcinato dalla luce. Eppure a maggio, dopo il gelo dell’inverno e le piogge della primavera, un velo di verde si stende anche sulla steppa. Il salmista ci offre, allora, un ritratto sorprendente di Dio: egli non è dipinto tanto come se fosse il supremo architetto dell’universo quanto piuttosto come se fosse un contadino o il padre di una famiglia contadina. Un commentatore dei Salmi, lo spagnolo L. Alonso Schokel, scrive: « Il Dio che reprime le forze degli oceani e gli imperi, si mette ora ad irrigare e ad ingrassare un campo. Il Dio supremo della natura e della storia si mette a raccogliere il grano per alimentare come un padre i suoi figli fino al prossimo raccolto. La tenerezza si concretizza nei dettagli, il poeta si lascia contagiare da questa tenerezza e dall’allegria ».

Ma ascoltiamo le parole del cantore:

Tu visiti la terra e la disseti:
 la ricolmi delle sue ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio d’acqua:
tu fai crescere il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge
e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno coi tuoi benefici,
al tuo passaggio stilla l’abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono d’esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di grano;
tutto canta e grida di gioia (vv. 10-14).

Il quadretto è costruito innanzitutto su dieci verbi che descrivono l’attività di Dio sul terreno del mondo: « visiti, disseti, ricolmi, fai crescere, prepari, irrighi, spiani, bagni, benedici, coroni ». Diedi è un numero che indica pienezza e felicità e la « visita » di Dio è sorgente di benessere e di gioia. Egli disseta la terra screpolata dal gelo invernale e dall’aridità abbeverandola con l’acqua che scende dai canali del cielo. Infatti, secondo l’antica concezione cosmica dell’Oriente, si immaginava che le acque fossero conservate in serbatoi posti sopra la calotta celeste e che, attraverso canali ed acquedotti, fossero indirizzate da Dio come pioggia sulla terra.
La campagna si « ricolma » così di fecondità e il Signore è l’agricoltore che « fa crescere » il grano nei campi, aprendo il nuovo ciclo stagionale. La pittura si fa persino minuziosa; l’attività del « divin contadino » è seguita con estrema passione. Egli prepara il terreno, irriga i solchi, rende compatte ed amalgamate le zolle, bagna ogni porzione della terra amata. Ed ecco ormai sbocciare i germogli, mentre Dio conclude la sua azione « coronando », cioè sigillando in pienezza e gloria la prima fase dell’annata agricola. La terra è così bella da essere salutata come una regina e il suo diadema è intessuto con le fronde, con le spighe, con le corolle dei fiori. A questo punto è la natura stessa che si anima ed idealmente si mette a intonare un corale di lode e di felicità.
Dio è passato sulla terra col suo cocchio irradiando fertilità. A questo passaggio steppe e colline si sono trasformate, il mondo è diventato quasi un paradiso. La trasformazione della natura è descritta con sette verbi, altro numero perfetto: « stillare, cingersi, coprirsi, ammantarsi, cantare, gridare » (il sette è raggiunto dalla ripetizione del verbo « stillare »). Sono suggestivi i verbi legati al simbolo della veste. Infatti la visione che il poeta ha davanti agli occhi è quella di una prateria punteggiata qua e là dal bianco delle pecore che, prima di rivestire con la loro lana gli uomini, ricoprono i prati creando un senso di pace e di prosperità.
Già si era parlato della corona di fiori; ora si descrive una cintura meravigliosa fatta di allegria e concretamente di vigne e di frutteti; i prati si vestono di un mantello verde macchiato dal bianco dei greggi; le valli indossano il mantello dorato delle messi. E poi, tutte insieme, le creature si mettono quasi in fila per una processione folcloristica coi loro abbigliamenti policromi e si indirizzano cantando verso il loro Creatore. La contemplazione riposata e serena della natura si trasforma, così, in lode e preghiera. C’è, quindi, la convinzione che la natura non sia una realtà neutra, ma come una pagina miniata sulla quale si può intravedere il volto amoroso ed allegro di Dio.
C’è un suggestivo racconto popolare arabo che potrebbe idealmente commentare questo salmo. All’inizio il mondo era tutto un giardino fiorito. Dio, creando l’uomo, gli disse: Ogni volta che compirai una cattiva azione, io farò cadere sulla terra un granellino di sabbia. Ma gli uomini, che son malvagi, non badarono a queste parole. Che cosa avrebbero significato uno, cento, mille granellini di sabbia in un immenso giardino fiorito? Passarono i secoli e i peccati degli uomini aumentarono: torrenti di sabbia inondarono il mondo. Nacquero così i deserti che di giorno in giorno crescono sempre di più. E Dio continua ad ammonire gli uomini: « Non riducete il mio mondo fiorito in un immenso deserto ».

 GIANFRANCO RAVASI
 
(da SE VUOI)

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