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Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19) : Sant’Agostino, sul Salmo 86

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Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa

Esposizioni sui salmi, Sal 86

Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19)

«Le sue fondamenta sono sui monti santi. Il Signore ama le porte di Sion» (Sal 86, 1-2)… «Voi siete concittadini dei santi, familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo» (Ef 2,19-20)… Ebbene, questa pietra angolare e i monti (che sono gli Apostoli e i grandi Profeti) reggono la costruzione di questa città e costituiscono un edificio vivente. Grida ora dai vostri cuori questo edificio? È la magistrale mano di Dio che compie tutto questo per mezzo della nostra lingua, affinché siate squadrati e immessi nella struttura di quell’edificio…
Guardate alla forma d’una pietra squadrata: il cristiano deve essere simile ad essa! Di fronte a qualsiasi tentazione il cristiano non cade. Anche se è spinto e, quasi, capovolto, egli non cade. Una pietra di forma quadrata, infatti, da qualunque parte tu la giri, sta dritta… Siate, dunque, squadrati in questo modo, cioè pronti a qualsiasi tentazione. Qualunque cosa vi colpisca, non abbia a rovesciarvi!…
Quanto, poi, al crescere in questo edificio, lo si fa con affetto devoto, con sincera religione, con la fede, la speranza e la carità. La città celeste viene edificata mediante i suoi stessi cittadini: i cittadini ne sono le pietre. Essi, infatti, sono pietre viventi. Dice l’apostolo Pietro: «Voi, come pietre viventi, siate edificati in una dimora spirituale» (1 Pt 2,5)… Ma, perché sono fondamenta gli Apostoli e i Profeti? Perché la loro autorità sorregge la nostra debolezza. Perché attraverso loro noi entriamo nel regno di Dio: sono essi che ce lo annunciano. E, quando noi entriamo attraverso loro, entriamo attraverso Cristo, dato che egli è la porta (Gv 10,9).

SALMO 23 – IL SIGNORE È IL MIO PASTORE

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SALMO 23 – IL SIGNORE È IL MIO PASTORE

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

Questo salmo è forse il più famoso e amato fra tutti, ed è stato composto da Davide, « il soave cantore di Israele ».
Il salmo lo abbiamo cantato tantissime volte nella liturgia delle Messe domenicali o feriali, ed esprime la gioia serena, fiduciosa di un’anima che ha trovato la pace della mente e del cuore nella sua unione contemplativa con Dio, eppure forse non lo conosciamo.
Nei molti anni in cui Davide si era preso cura delle pecore, aveva imparato che questi animali indifesi richiedevano un’attenzione particolare, continua, in una terra dove le belve selvatiche vagavano liberamente e pecore e agnelli erano facile preda anche di animali di modeste dimensioni (non scordiamo che stiamo parlando di un periodo di migliaia di anni fa): così egli ha applicato questa conoscenza al nostro rapporto con Dio.
Ecco perché il salmo 23 è chiamato il « salmo del pastore », perché parla di un pastore, anzi del Signore sorto a immagine del pastore, e ne sviluppa il simbolo.
Non solo, dal v.5 in avanti è delineata un’altra immagine, quella dell’ospite che invita a cena: « Davanti a me tu prepari una mensa… ».
Quindi due sono i simboli: il pastore e colui che ci invita a cena trattandoci regalmente e facendoci stare con sé.Tanto da esprimere ottimamente la tensione spirituale, psicologica, umana e teologica del testo, riassumendo tutto con un’espressione di grande fiducia: « Tu sei con me ».
Cerchiamo ora di capire che cosa in pratica significa.
Dopo il titolo, vediamo di sottolineare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo. Sono due: il Signore e l’individuo, cioè colui che parla.
* Le azioni attribuite al Signore sono nove: egli è il mio pastore; mi fa riposare; mi conduce; mi rinfranca; mi guida; è con me; mi dà sicurezza; prepara una mensa; cosparge di olio. Nove designazioni che indicano la cura, la premura, l’attenzione, espresse con metafore, con parabole, con simboli: esse definiscono il Signore come colui che si prende cura di ognuno.
* Di fronte a questo soggetto principale, c’é l’individuo che afferma di non mancare di nulla, di non temere alcun male, afferma che il calice trabocca; che sente la felicità e la grazia come compagne di vita, che vuole abitare nella casa del Signore. Come possiamo osservare si tratta di un dialogo affettuoso, fiducioso, familiare tra il Signore e l’individuo: che cosa è lui, che cosa fa per ognuno, che cosa gli diciamo. E’ una preghiera semplicissima, che non chiede, in pratica nulla, non ringrazia, non loda, ma proprio per questo è ricchissima.
Rileggiamo ora le strofe dal punto di vista delle immagini, come se l’individuo fossimo noi stessi. Abbiamo già parlato delle due fondamentali: il pastore e l’ospite, cioè l’immagine del pascolo e l’immagine della convivialità, dell’ospitalità a mensa.
* L’immagine del pastore, molto usata nella Bibbia fino al discorso di Gesù sul buon pastore, in Giovanni 10, viene specificata: « su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce ». E’ la sosta del gregge su pascoli verdi e presso acque tranquille. Chi è stato in pellegrinaggio in Palestina, sa come è difficile trovare un pascolo verde; quindi quando un pastore riesce a scoprirlo, egli è davvero la gioia del gregge; chi ha provato la sete del deserto (siete mai stati nel deserto del Negev?), può comprendere che cosa significa incontrare qualcuno capace di indicare dove c’é una sorgente d’acqua (oggi noi cercheremmo un bar), magari nascosta sotto le pietre.
Quindi il pastore del salmo sa fare sostare il gregge nei luoghi giusti. Inoltre sa far viaggiare: c’é infatti l’immagine del gregge in sosta su pascoli erbosi e c’é quella del gregge in movimento, guidato per sentieri giusti, per piste che portano a buon fine (similmente come le guide turistiche che portano a visitare il deserto). In questo viaggio si può anche « camminare in una valle oscura » (pensiamo per un istante al deserto di Giuda e alle sue valli pietrose, incassate, dirupate, molto pericolose se di notte ci si perde e se inciampando, si cade in qualche baratro!), il pastore del salmo sa guidare pure in una valle oscura, di notte.
Le immagini si moltiplicano: quella del bastone e del vincastro. Probabilmente per bastone si intende una mazza corta e adatta a difendere il gregge; il vincastro invece, è quello che oggi è il pastorale del Vescovo, un bastone lungo e ricurvo, su cui il pastore si appoggia, che serve per appendervi il sacco o per tastare il terreno, per tenere lontani i cani randagi. Una metafora molto pittoresca, che evoca tutto quanto il pastore fa per amore del suo gregge, per condurlo; ed è ciò che il Signore fa per ognuno.
*Seguono le immagini conviviali: « davanti a me tu prepari una mensa ». Figuriamoci di trovarci sotto una tenda (chi ha fatto campeggio se ne può rendere conto), su una stuoia stesa per terra, e su un tavolo basso vassoi con cibi succulenti, che si prendono con le mani, si mette un poco di focaccia in una salsa e vi si intingono bocconcini di carne; figuriamoci di godere ore e ore in questa cena in comune, fraterna e allegra. Non solo, prima che la cena abbia inizio, l’ospite che ha invitato cosparge di profumo, « cosparge di olio il capo », proprio come ha fatto Maria di Betania quando Gesù entra nella sua casa. Sulla mensa c’é anche una coppa, un calice traboccante di vino spumeggiante, che dà brio e vivacità.
Le immagini conviviali sfociano nell’immagine della casa del Signore: « abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni »; la tenda ospitale diventa, a un certo punto, il tempio, la casa di Dio (dove c’é accoglienza e amicizia, c’ é Dio), dove si è veramente a casa.
Ma potremmo soffermarci anche su altre metafore.
Per esempio, che cosa significa « acque tranquille »? Evidentemente non soltanto pozze di acqua da cui si beve in pace e senza pericoli; in realtà, è evocato un cammino di pace, un cammino spirituale verso la pace interiore, dove ci si ristora alla fine di un viaggio pericoloso, irto di difficoltà (il mondo e l’efficienza materialistica).
E ancora, cosa significa « valle oscura, tenebrosa »? Non si tratta soltanto di un abisso dove non giunge la luce, dove la notte è fonda; nella psicologia della persona umana, è piuttosto la paura del buio,della morte, quella paura che affiora nella coscienza e che non si placa, a meno che non venga una voce dall’alto a portare parole di conforto.
Passando alla meditazione, riformuliamo la domanda iniziale pensando a noi: qual è il messaggio del salmista per me, per te, per noi tutti? Che cosa dice questa poesia religiosa oggi?
Cerchiamo ancora una volta le parole chiave del messaggio, che a mio avviso sono quattro:

- non manco di nulla;
- tu sei con me;
- mi dai sicurezza col tuo bastone e il tuo vincastro;
- abiterò nella casa del Signore.

Ecco il messaggio di fiducia: Signore, io non manco di nulla perché tu sei con me, mi dai sicurezza e abito nella tua casa. Cari fratelli e sorelle, per potere dire sul serio queste parole, è necessario chiederci su chi cadono, e la risposta al quesito per me è ovvia: cadono oggi su cuori sofferenti, sulle nostre ansietà, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze, sulle nostre miserie e debolezze umane che ci rendono schiavi di noi stessi.

Amen, alleluia,amen.

Sette salmi penitenziali

http://www.vicariatusurbis.org/SantiProtomartiriRomani/sette_salmi_penitenziali.html

Sette salmi penitenziali

Questi sette salmi (Sal 6; cfr. Sal 32; cfr. Sal 38; cfr. Sal 51; cfr. Sal 102; cfr. Sal 130; cfr. Sal 143) furono raccolti da sant’Agostino sotto il nome di « Sette salmi penitenziali », che vengono recitati la sera, prima di confessarsi e dopo essersi pentiti di un peccato.
Questa raccolta era una delle preghiere preferite di san Luigi Gonzaga e altri santi.

SALMO 6
Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore.
Pietà di me, Signore, vengo meno; guariscimi, Signore: tremano le mie ossa.
L’anima mia è tutta sconvolta. Ma tu, Signore, fino a quando…?
Volgiti Signore, a liberarmi, salvami per la tua misericordia.
Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?
Sono stremato dai lunghi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio,
irroro di lacrime il mio letto.
I miei occhi si consumano nel dolore, invecchio fra tanti miei oppressori.
Via da me, voi tutti che fate il male: il Signore ascolta la voce del mio pianto.
Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera.
arrosiscano e tremino, i miei nemici, indietreggino all’istante.

SALMO 32 (31)
Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno.
Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno.
Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come per arsura d’estate inaridiva il mio vigore.
Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore.
Ho detto: <<Confesserò al Signore le mie colpe>> e tu hai rimesso la malizia del mio peccato.
Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell’angoscia.
Quando irromperanno grandi acque non lo potranno raggiungere.
Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo, mi circondi di esultanza per la salvezza.
Ti farò saggio, t’indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio.
Non siate come il cavallo e come il mulo privi d’intelligenza;
si piega la loro fierezza con morso e briglie, se no, a te non si avvicinano.
Molti saranno i dolori dell’empio, ma la grazia circonda chi confida nel Signore.
Gioite nel Signore ed esultate, giusti, giubilate, voi tutti, retti di cuore.

SALMO 38 (37)
Signore, non castigarmi nel tuo sdegno, non punirmi nella tua ira.
Le tue frecce mi hanno trafitto, su di me è scesa la tua mano.
Per il tuo sdegno non c’è in me nulla di sano, nulla è intatto nelle mie ossa per i miei peccati.
Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso.
Putride e fetide sono le mie piaghe a causa della mia stoltezza.
Sono curvo e accasciato, triste mi aggiro tutto il giorno.
Sono torturati i miei fianchi, in me non c’è nulla di sano.
Afflitto e sfinito all’estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore.
Signore, davanti a te ogni mio desiderio e il mio gemito a te non è nascosto.
Palpita il mio cuore, la forza mi abbandona, si spegne la luce dei miei occhi.
Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe, i miei vicini stanno a distanza.
Tende lacci chi attenta alla mia vita,
trama insidie chi cerca la mia rovina e tutto il giorno medita inganni.
Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca;
sono come un uomo che non sente e non risponde.
In te spero, Signore; tu mi risponderai, Signore Dio mio.
Ho detto: <<Di me non godano, contro di me non si vantino quando il mio piede vacilla>>.
Poiché io sto per cadere e ho sempre dinanzi la mia pena.
Ecco, confesso la mia colpa, sono in ansia per il mio peccato.
I miei nemici sono vivi e forti, troppi mi odiano senza motivo,
mi pagano il bene col male, mi accusano perché cerco il bene.
Non abbandonarmi, Signore, Dio mio, da me non stare lontano;
accorri in mio aiuto, Signore, mia salvezza.

SALMO 51 (50)
. Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.
Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;
perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.
Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo m’insegni la sapienza.
Purificami con issopo e sarò mondo; lavami e sarò più bianco della neve.
Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato.
Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.
Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso.
Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia.
Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.
Nel tuo amore fa grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

SALMO 103 (102)
Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia;
egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli oppressi.
Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli d’Israele le sue opere.
Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.
Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe.
Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere.
Come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce.
Lo investe il vento e più non esiste e il suo posto non lo riconosce.
Ma la grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli, per quanti custodiscono la sua alleanza
e ricordano di osservare i suoi precetti.
Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono e il suo regno abbraccia l’universo.
Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere, suoi ministri, che fate il suo volere.
Benedite il Signore, voi tutte opere sue,in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia.

SALMO 130 (129)
Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera.
Se consideri le colpe, Signore,Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono, perciò avremo il tuo timore.
Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella tua parola.
L’anima mia attende il Signore, più che le sentinelle l’aurora.
Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la Misericordia,
grande è presso di lui la redenzione; egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

SALMO 143 (142)
Signore, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica,
tu che sei fedele, e per la tua giustizia rispondimi.
Non chiamare in giudizio il tuo servo, nessun vivente davanti a te è giusto.
il nemico mi perseguita, capesta a terra la mia vita,
mi ha relegato nelle tenebre, come i morti da gran tempo.
In me languisce il mio spirito, si agghiaccia il mio cuore.
Ricordo i giorni antichi, ripenso a tutte le tue opere,
medito i tuoi prodigi. A te protendo la mie mani.
Rispodimi presto, Signore, viene meno il mio spirito.
Non nascondermi il tuo volto, perchè non sia come chi scende nella fossa.
Al mattino fammi sentire la tua grazia, poichè in te confido.
Fammi conoscere la strada da percorrere, poichè a te si innalza l’anima mia.
Salvami dai miei nemici, Signore, a te mi affido.
Per il tuo nome, Signore, fammi vivere, liberami dall’angoscia, per la tua giustizia.
Per la tua fedeltà disperdi i miei nemici,
fa’ perire chi mi opprime, poichè io sono tuo servo.

A GERUSALEMME SALGONO LE MOLTITUDINI DEL SIGNORE – SALMO 122 (Carlo Maria Martini)

http://www.nostreradici.it/a_jerusalem.htm

A GERUSALEMME SALGONO LE MOLTITUDINI DEL SIGNORE

[Tratto da: Carlo Maria Martini, Lettura ecumenica della Parola, 9-10 settembre 1994, in AA.VV. Gerusalemme patria di tutti, EDB, Bologna 1995]

« Lectio » del Salmo 122

[Testo del Salmo]

http://www.nostreradici.it/salmo-ascensioni.htm

Nel testo ebraico questo salmo è intitolato Cantico delle ascensioni o delle ascesi, dei gradini, delle salite, un titolo che caratterizza ben quindici salmi (dal 120 al 134), detti pure I canti del pellegrinaggio, raccolti insieme per servire da cantici del pellegrinaggio a Gerusalemme.
Nella versione originale, il 122 è anche il primo dei quindici che viene attribuito a Davide, insieme ai due successivi (dei rimanenti uno è ascritto a Salomone mentre per gli altri non ci sono ipotesi). Certamente c’è un motivo per tale attribuzione, pur se non si ritiene che essa sia autentica e storica perché il salmo sarebbe stato composto più tardi, quando il pellegrinaggio a Gerusalemme era diventato un’abitudine.
In ogni caso, Davide è il fondatore della città e il Salmo 122 presuppone Davide come un personaggio: « Là ha sede il trono di giustizia, il trono di Davide » (v. 5). Probabilmente, parlando di Gerusalemme come città « costruita, salda e compatta », il salmista intende riferirsi alla città ricostruita dopo l’esilio, che diventa quindi il vanto e la gioia di Israele.
L’attribuzione del salmo a Davide è comunque fondata, perché esso testimonia un grande amore alla città costruita da Davide quale capitale del suo popolo.
Quali sono gli elementi costitutivi del salmo?
Anzitutto notiamo una inclusione, cioè una parola che ricorre all’inizio e alla fine: casa del Signore, dimora del Signore. « Andiamo alla dimora del Signore » (v. 1); « Per la casa del Signore » (v. 9).
È interessante osservare come poi non si parli più di questa casa, ma piuttosto della città: ciò significa che dapprima Gerusalemme è vista in particolare come luogo del tempio e poi anche come città nel suo insieme.
Un altro elemento fondante è la triplice menzione di Gerusalemme (vv. 2. 3. 6), descritta nelle sue porte, nelle sue mura, nei suoi baluardi. Appellata tre volte, delineata con tre caratteristiche e indicata con il pronome « tu »: « alle tue porte », « sia pace a chi ti ama ».
Altro elemento strutturale del salmo è che Gerusalemme è vista quale luogo di pace. Ben quattro le occorrenze di questo termine: « domandate pace per Gerusalemme », « sia pace a coloro che ti amano », « sia pace sulle tue mura », « su di te sia pace ». Il gioco di parole è evidente: « Gerusalemme » veniva interpretata quale « città dello shalom », della pace: sia pace alla città della pace, domandate pace per la città della pace.
Infine il salmo è caratterizzato anche da altre ripetizioni che gli imprimono un ritmo poetico, molto bello: le tribù, le tribù del Signore, i seggi di giustizia, i seggi della casa di Davide.
Vi cogliamo, pur se non possiamo penetrare a fondo il ritmo dell’originale, quell’affiato che ne fa un poema, un cantico, qualcosa che nasce dal cuore e, attraverso ritmi, ripetizioni, assonanze (sono tante nel testo ebraico) mette in luce un’anima innamorata di Gerusalemme.
Tenendo conto di questi elementi formali, cerchiamo di capire la struttura logica del salmo, facilmente suddivisibile secondo le tappe di un pellegrinaggio.
Un pellegrinaggio viene anzitutto deciso; immaginiamo che il salmo venga cantato da un gruppo di pellegrini che giungono alle porte della città. Essi devono fermarsi per sbrigare alcune pratiche burocratiche previste prima dell’ingresso; si riposano e contemplano la città. Contemplandola ripensano all’inizio del cammino, al momento in cui hanno deciso di partire; è il v. 1, « Quale gioia quando mi dissero: ‘Andremo alla casa del Signore »‘.
Dopo l’inizio, è immediatamente sottolineato l’arrivo: ora ci siamo, « i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! » (v. 2).
Al v. 3 Gerusalemme viene contemplata dall’esterno, ammirata quale costruzione salda e compatta, in cui tutto è unità. È un riferimento alla città sul monte, che dà l’impressione di compattezza (sulla roccia), e insieme alla situazione spirituale della città, salda perché fondata sul Signore, unificata dallo Spirito di Dio.
Quindi, Gerusalemme è contemplata nelle sue caratteristiche e nel suo ruolo (w. 4-5). Si tratta di una riflessione a livello morale: meta di pellegrinaggio, luogo di culto, di lode, di testimonianza della gloria di Dio, centro amministrativo e politico: « I seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide », casa a cui fu promessa la perpetuità. Dunque un centro religioso e un centro politico-amministrativo a cui si guarda con fiducia per i beni che ci attendono dalla responsabilità politica che ricade su Gerusalemme.
A questo punto segue la preghiera che può essere pensata a due cori, partendo dal v. 6: « Domandate pace per Gerusalemme ». Anzi, colui che ha espresso la sua gioia, magari il capo- pellegrinaggio, rivolge un invito ai compagni pellegrini: « Do- mandate… ». E all’invito risponde il coro: « sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi » (v. 7). Il capo, allora, riprende da solo: « Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: ‘Su di te sia pace!’. Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene » (w. 8-9). Qui ritorna l’appellazione a Gerusalemme con il « tu », come a una persona amica che si incontra e cui si augura il bene, la pace.
Dunque, due cori, nel senso di un solista e di un gruppo.
Sul tempo in cui il salmo è stato scritto ho già accennato un’ipotesi: il tempo dopo l’esilio, quando il tempio è ricostruito e il popolo va in pellegrinaggio alla città santa, l’unico simbolo rimasto dell’unità di Israele.

« Meditatio »del Salmo 122
Per rileggere il messaggio, sono possibili diverse piste, diverse linee. Ne ho scelte tre: una lettura storico-esistenziale (messianica); una lettura più specificamente cristiana; e una terza personale, che riguarda ciascuno di noi.
Gli elementi di una lettura storico-esistenziale sono i grandi simboli del cammino umano contenuti nel salmo, che ne fanno una realtà di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le culture.
Due sono i principali. n primo è il pellegrinaggio, menzionato non quale tema specifico, bensì nel suo decidersi, nel suo compiersi. È un grande simbolo del cammino umano, della vita dell’uomo e dell’umanità, della vita di tutti gli uomini e di tutte le donne considerati come collettività. n simbolo avverte: se la vita umana è colta come pellegrinaggio, allora essa non è un vagare senza scopo e neppure una fuga dal paradiso, priva di speranza; al contrario, è un camminare verso un termine. Questa è già un’apertura straordinaria per accogliere l’esistenza umana come una realtà che ha un senso preciso. E quando abbiamo riconosciuto che tale cammino ha un senso e una meta, scoppia la gioia: « Quale gioia… ».
Gerusalemme è l’altro simbolo, la meta stessa del cammino. Un simbolo universale perché si tratta di una città, di un luogo di incontro, un luogo di relazioni molteplici, dove i diversi si ritrovano. Quindi l’umanità non va verso una dispersione, una Babele confusa, ma verso un luogo nel quale tutti si incontreranno, si capiranno, intesseranno rapporti reciproci.
Questa città è salda, non delude. n tema della saldezza è il più ripreso dal Nuovo Testamento, che non cita esplicitamente il Salmo 122 però ne riprende il contenuto: andiamo verso una città salda, solida, ben costruita, compatta, dove tutto è unità. Questo è il termine del cammino umano. Ed è anche il luogo d’incontro armonioso e aperto con Dio, dove Dio è lodato e dove c’è ordine perché la legge è fatta osservare, dove c’è il trono di giustizia e ci sono i seggi del giudizio. L’umanità va verso un luogo dove la giustizia, quella di Dio, non la nostra, trionfa. Dove, soprattutto, l’umanità spera di vivere l’ideale della pace e della sicurezza: « Domandate pace per Gerusalemme, su di te sia pace e tranquillità nelle tue mura, sicurezza nelle tue case ».
L’umanità è così definita come colei che anela a una tale città, che va verso di essa e trova speranza nella fiducia di camminare e di essere condotta alla meta. Una visione quindi molto positiva, anzi propositiva perché ne derivano molte conseguenze per il modo di camminare dei popoli.
Da questa visione nasce pure una certa pazienza storica: a noi spetta di porre le premesse affinché si vada sempre meglio verso la città armoniosa, unita, capace di lodare l’Eterno, di vivere l’ordine della giustizia.
Una lettura cristiana ci fa subito pensare a Gesù che ha vissuto profondamente la gioia del Salmo 122. Già a dodici anni aveva esclamato: quale gioia ho provato ascoltando i miei genitori che mi dicevano: andiamo alla dimora del Signore! E probabilmente l’ha cantato alle porte di Gerusalemme quella prima volta e poi ogni volta, fino all’ultimo pellegrinaggio nel quale si avviava piangendo verso la città santa: « Oh, se tu riconoscessi ciò che giova alla tua pace! ». Anzi, nel testo greco il salmo usa l’espressione erofesafe de fa eis eirenen (v. 6) ripresa dal Nuovo Testamento: se tu riconoscessi le cose che riguardano la pace di Gerusalemme.
Dunque Gesù ha cantato questo salmo nella gioia e nella sofferenza sapendo che la sua sofferenza era parte del cammino di Gerusalemme e dell’umanità verso la pace.
Partendo dalla lettura che ne ha fatto Gesù, ci domandiamo se il Salmo 122 risuona anche negli scritti apostolici neotestamentari. Non mi sono venute alla mente citazioni specifiche, tuttavia il tema della città salda è molto presente.
Ef 2, 19-20, 22: « Voi non siete più stranieri ne ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti [...] In Gesù ogni costruzione cresce bene ordinata per essere tempio santo del signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio ».
Questo tema è penetrato fortemente nello spirito di Paolo, che ne fa un simbolo interpretativo della crescita della comunità cristiana, che è la realtà che viene edificata come la città del salmo.
L’aspetto di pellegrinaggio verso tale città è però presente in particolare in Eb 11 e in Eb 12: Abramo ha potuto partire e lasciare tutto in quanto « aspettava la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso » (11, 10); « Chi dice così, dimostra di essere alla ricerca di una patria » (11, 14), pellegrino sulla terra; « Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città » (11, 15-16).
E ancora: « Vi siete accostati alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste » (12, 22), ecco la menzione diretta. Alla città che fa parte delle cose incrollabili: « Rimangono le cose che sono incrollabili. Perciò riceviamo in eredità un regno incrollabile » (12, 27-28).
Riassumendo il messaggio del salmo: l’uomo è in cammino, pellegrino verso una città salda, compatta, nella quale Dio è lodato, nella quale è la pienezza della pace, una città che non delude e per cui vale la pena abbandonare le altre città.
Nella spiritualità del Nuovo Testamento è penetrato inoltre il pensiero delle moltitudini, di tutte le tribù della terra. Le moltitudini salgono ora verso tale città, e tutte sono chiamate « moltitudini del Signore ».
Così, la lettura cristiana diventa lettura ecclesiale; la chiesa non è la meta, la grande città, ma è un popolo in marcia verso quella città.
Se Israele testimonia « là » la tua gloria, Signore, se « là » ha sede il trono di giustizia, i nostri interessi sono veramente là? È il « là » di questa città verso cui camminiamo il nostro criterio di giudizio storico? Perché, se è così, allora tutte le altre realtà sono relative, tutti gli eventi (storici, sociali, politici, culturali, ecclesiali) vanno valutati tanto quanto rispondono a un cammino verso la città compatta, pacifica, giusta, oppure rallentano o fanno deviare il cammino.
Quindi il cristiano, interrogato sulle sue speranze, dovrebbe rispondere spontaneamente: le mie speranze sono la Gerusalemme celeste, sono là le mie speranze. È il « là » della pienezza dell’azione di Dio nel suo popolo, nell’umanità.
La lettura più personale del salmo dà spazio a tante riflessioni.
Pensiamo ai pellegrinaggi che ciascuno di noi ha fatto a Gerusalemme e nei quali probabilmente ha cantato, evocato, recitato il Salmo 122 allorché ha visto le mura della città. Nella preghiera potremmo ringraziare il Signore per le esperienze che ci ha donato nei nostri pellegrinaggi, per quanto ci ha fatto capire su Gerusalemme. Ogni volta che ne rivediamo le mura, proviamo una fortissima emozione. E se non siamo mai stati a Gerusalemme, come immaginiamo il pellegrinaggio verso la città santa, come lo viviamo nella preghiera?
« Andiamo con gioia! » è parola che esprime la tensione verso il pellegrinaggio, equivale a dire: sapevo che sarebbe venuto questo momento e penso a ciò che da sempre ho desiderato.

Conclusione
In quale modo la Gerusalemme di oggi partecipa, nel suo destino doloroso e tragico, alle benedizioni di Dio, alla promessa di pace?
Partecipa anzitutto attraverso la nostra instancabile preghiera per la sua pace, le nostre preghiere per la città reale e simbolica che conosciamo, di cui tocchiamo le mura: Sia pace sulle tue mura!

Ci domandiamo se e come operiamo per la pace di Gerusalemme, la cui pace è simbolo, segno, radice e causa della pace di tante altre città.
Il Salmo 122 ci impegna dunque a pregare e a operare per la pace nella giustizia.

SALMO 30 e commento (oggi)

http://proposta.dehoniani.it/txt/salmi26_50.html

SALMO 30

30 (29) Ringraziamento
dopo un pericolo mortale
1 Salmo. Canto per la festa della dedicazione del tempio. Di Davide.
2 Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato
e su di me non hai lasciato esultare i nemici.
3 Signore Dio mio,
a te ho gridato e mi hai guarito.
4 Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
5 Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
rendete grazie al suo santo nome,
6 perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera sopraggiunge il pianto
e al mattino, ecco la gioia.
7 Nella mia prosperità ho detto:
«Nulla mi farà vacillare!».
8 Nella tua bontà, o Signore,
mi hai posto su un monte sicuro;
ma quando hai nascosto il tuo volto,
io sono stato turbato.
9 A te grido, Signore,
chiedo aiuto al mio Dio.
10 Quale vantaggio dalla mia morte,
dalla mia discesa nella tomba?
Ti potrà forse lodare la polvere
e proclamare la tua fedeltà?
11 Ascolta, Signore, abbi misericordia,
Signore, vieni in mio aiuto.
12 Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
13 perché io possa cantare senza posa.
Signore, mio Dio, ti loderò per sempre.

« Il movimento del salmo è questo: la vita umana conosce alternanze estreme di sofferenza e di gioia. Esse, lungi dall’essere segno di un destino capriccioso e incontrollato, si inseriscono nel quadro di un disegno concertato, coerente e positivo. Tuttavia quel che la vita comporta di negativo rivela il proprio valore e il proprio senso soltanto dopo che la crisi è stata superata » (R. Lack).
Il salmo 30 è un canto di ringraziamento personale che si leva a Dio, dopo che all’orizzonte dell’orante è sparito l’incubo drammatico della morte. Rivivere dopo essere giunti alla frontiera dello Sheol è un miracolo non confrontabile con le altre grazie: è un evento formidabile, creativo, che può essere assunto a motivo universale di lode. L’essere profondo dell’uomo si apre totalmente a Dio in una lode che non può più essere trattenuta e che non si spegnerà mai.
Lo spirito, il cuore, l’essere intero dell’uomo si associa al canto perenne che si leva nel tempio, unendosi all’antifona finale che spesso punteggia la liturgia. « Jahweh, mio Dio, ti loderò per sempre ». Scrive Alonso Schökel: « Le parole finali del salmo significano realmente ciò che dicono: « per sempre ». Il salmo è ora totalmente aperto. Non chiudiamolo di nuovo entro limiti angusti.

Commento dei padri della chiesa

v. 2 « È il Cristo che canta » (Origene).

« Questo salmo è la storia della caduta e della redenzione » (Girolamo).

vv. 4-5. « Dio non vuole la morte degli uomini, ma la vita: « Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez 33,11) » (Eusebio).

v. 6 « La sera è simbolo della caduta e della cacciata di Adamo. Povera stirpe umana, resterai a lungo nel pianto!… Il Signore, sepolto la sera, esce dal sepolcro al mattino: allora si alza per i fedeli la luce, che si era nascosta per i peccatori » (Agostino).

« Adamo si nascose nel paradiso di sera. La sera è figura di questa vita di lacrime nella quale gemiamo tutti, da Adamo in poi, ed anche figura della morte del Cristo. Il mattino è la risurrezione del Cristo, la risurrezione delle anime e il mattino eterno della consumazione dei secoli » (Girolamo).

« I discepoli tristi per la morte del Cristo, sono stati riempiti di gioia quando hanno visto il Signore risorto, così come è scritto: « Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia » (Baldovino di Ford).

v. 7 « Nella mia prosperità ho detto: « Nulla mi farà vacillare! ». Non hai fatto nient’altro, non mi hai assalito, travolto, mi hai soltanto lasciato, a causa della mia superbia. Mi hai lasciato vuoto, io opera delle tue mani: sono caduto nel peccato e nelle mani del nemico » (Eusebio).

« È sufficiente che tu distolga il tuo volto, perché io cada. Poiché non posso stare in piedi senza il tuo aiuto, fa’ che compiendo la tua volontà la mia anima sia ornata da te di bellezza ». È quanto sperava Adamo prima della sua caduta » (Atanasio).

v. 10 « Quale vantaggio nel mio sangue? » Può forse procurare qualcosa di buono agli uomini? Ma ci sarà un altro sangue che porterà agli uomini un immenso beneficio, quando il tuo Agnello verrà per espiare il peccato del mondo: il suo sangue riscatterà dal male quanti otterranno la salvezza per mezzo di lui; scenderà anche tra coloro che sono nel soggiorno dei morti: allora la polvere degli uomini ti confesserà e annuncerà la tua verità » (Eusebio).

v. 12 « Mi hai tolto l’abito di lutto e mi hai dato la veste nuziale, mi hai ammesso al banchetto delle nozze, mi hai trasformato di gloria in gloria » (Basilio).

« Quando il Cristo dice: Ormai non berrò più del frutto della vite… (Mt 26,29) è come se dicesse: Fino ad ora ho bevuto le tristezze della condizione umana; ma ora è giunta la fine della tristezza, ormai non berrò più questa coppa amara, ma il vino della gioia nel regno del Padre mio, allorché cambierà il mio lutto in gioia. E voi che berrete il mio calice, sarete tristi con me, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia » (Baldovino di Ford).

v. 13 « La mia condizione umiliata geme davanti a te; la mia gloria ti canterà » (Agostino).

Dal « Commento sui salmi » di Sant’Ambrogio, vescovo : Canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.htm

Dal « Commento sui salmi » di Sant’Ambrogio, vescovo

(Sal 1,9-12; CSEL 64,7.9-10)

Canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza

Che cosa di più dolce di un salmo? Per questo lo stesso Davide dice splendidamente: « Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene » (Sal 146,1). Davvero! Il salmo infatti è benedizione per i fedeli, lode a Dio, inno del popolo, plauso di tutti, parola universale, voce della Chiesa, professione e canto di fede, espressione di autentica devozione, gioia di libertà, grido di giubilo, suono di letizia. Mitiga l’ira, libera dalle sollecitudini, solleva dalla mestizia. È protezione nella notte, istruzione nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità, immagine di tranquillità, pegno di pace e di concordia che, a modo di cetra, da voci molteplici e differenti ricava un’unica melodia. Il salmo canta il sorgere del giorno, il salmo ne fa risonare il tramonto.
Nel salmo il gusto gareggia con l’istruzione. Nello stesso tempo si canta per diletto e si apprende per ammaestramento. Che cos’è che non trovi quando tu leggi i salmi? In essi leggo: « Cantod’amore » (Sal 44,1) e mi sento infiammare dal desiderio di un santo amore. In essi passo in rassegna le grazie della rivelazione, le testimonianze della risurrezione, i doni della promessa. In essi imparo ad evitare il peccato, e a non vergognarmi della penitenza per i peccati.
Che cos’è dunque il salmo se non lo strumento musicale delle virtù, suonando il quale con il plettro dello Spirito Santo, il venerando profeta fa echeggiare in terra la dolcezza del suono celeste? Modulava gli accordi di voci diverse sulle corde della lira e dell’arpa, che sono resti di animali morti, e così innalzava verso il cielo il canto della divina lode. In tal modo ci insegnava che prima si deve morire al peccato e solamente dopo si può stabilire in questo corpo la varietà delle diverse opere di virtù con le quali rendere al Signore l’omaggio della nostra devozione.
Davide ci ha dunque insegnato che bisogna cantare, che bisogna salmeggiare nell’intimo del cuore come cantava anche Paolo dicendo: « Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza » (1Cor 14,15). Davide ci ha detto che bisogna formare la nostra vita e i nostri atti alla contemplazione delle cose superne, perché il piacere della dolcezza non ecciti le passioni del corpo, dalle quali la nostra anima è oppressa e non liberata.
Il santo profeta ci ha ricordato che egli salmeggiava per liberare la sua anima e per questo disse: « Ti canterò sulla cetra, o santo d’Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia vita, che tu hai riscattato

UNA RIFLESSIONE SUL SALMO 119 E L’APPELLO PER LE VITTIME DEI DISASTRI NATURALI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-28607?l=italian

UNA RIFLESSIONE SUL SALMO 119 E L’APPELLO PER LE VITTIME DEI DISASTRI NATURALI

Catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 novembre 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole di Papa Benedetto XVI pronunciate durante l’Udienza Generale che si è svolta, questa mattina, alle 10.30, in piazza San Pietro. Il Santo Padre ha incontrato pellegrini provenienti da ogni parte del mondo e gruppi di fedeli, tra cui la redazione di Zenit.?
***
Cari fratelli e sorelle,
nelle passate catechesi abbiamo meditato su alcuni Salmi che sono esempi dei generi tipici della preghiera: lamento, fiducia, lode. Nella catechesi di oggi vorrei soffermarmi sul Salmo 119 secondo la tradizione ebraica, 118 secondo quella greco-latina: un Salmo molto particolare, unico nel suo genere. Anzitutto lo è per la sua lunghezza: è composto infatti da 176 versetti divisi in 22 strofe di otto versetti ciascuna. Poi ha la peculiarità di essere un « acrostico alfabetico »: è costruito, cioè, secondo l’alfabeto ebraico, che è composto di 22 lettere. Ogni strofa corrisponde ad una lettera di quell’alfabeto, e con tale lettera inizia la prima parola degli otto versetti della strofa. Si tratta di una costruzione letteraria originale e molto impegnativa, in cui l’autore del Salmo ha dovuto dispiegare tutta la sua bravura.
Ma ciò che per noi è più importante è la tematica centrale di questo Salmo: si tratta infatti di un imponente e solenne canto sulla Torah del Signore, cioè sulla sua Legge, termine che, nella sua accezione più ampia e completa, va compreso come insegnamento, istruzione, direttiva di vita; la Torah è rivelazione, è Parola di Dio che interpella l’uomo e ne provoca la risposta di obbedienza fiduciosa e di amore generoso. E di amore per la Parola di Dio è tutto pervaso questo Salmo, che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita. Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa liberi e porta alla felicità. «Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola», afferma il Salmista (v. 16); e poi: «Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, perché in essi è la mia felicità» (v. 35); e ancora: «Quanto amo la tua legge! La medito tutto il giorno» (v. 97). La Legge del Signore, la sua Parola, è il centro della vita dell’orante; in essa egli trova consolazione, ne fa oggetto di meditazione, la conserva nel suo cuore: «Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te» (v. 11), è questo il segreto della felicità del Salmista; e poi ancora: «Gli orgogliosi mi hanno coperto di menzogne, ma io con tutto il cuore custodisco i tuoi precetti» (v. 69).
La fedeltà del Salmista nasce dall’ascolto della Parola, da custodire nell’intimo, meditandola e amandola, proprio come Maria, che «custodiva, meditandole nel suo cuore» le parole che le erano state rivolte e gli eventi meravigliosi in cui Dio si rivelava, chiedendo il suo assenso di fede (cfr Lc 2,19.51). E se il nostro Salmo inizia nei primi versetti proclamando « beato » «chi cammina nella Legge del Signore» (v. 1b) e «chi custodisce i suoi insegnamenti» (v. 2a), è ancora la Vergine Maria che porta a compimento la perfetta figura del credente descritto dal Salmista. E’ Lei, infatti, la vera « beata », proclamata tale da Elisabetta perché «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45), ed è a Lei e alla sua fede che Gesù stesso dà testimonianza quando, alla donna che aveva gridato «Beato il grembo che ti ha portato», risponde: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Certo, Maria è beata perché il suo grembo ha portato il Salvatore, ma soprattutto perché ha accolto l’annuncio di Dio, perché è stata attenta e amorosa custode della sua Parola.
Il Salmo 119 è dunque tutto intessuto intorno a questa Parola di vita e di beatitudine. Se il suo tema centrale è la « Parola » e la « Legge » del Signore, accanto a questi termini ricorrono in quasi tutti i versetti dei sinonimi come « precetti », « decreti », « comandi », « insegnamenti », « promessa », « giudizi »; e poi tanti verbi ad essi correlati come osservare, custodire, comprendere, conoscere, amare, meditare, vivere. Tutto l’alfabeto si snoda attraverso le 22 strofe di questo Salmo, e anche tutto il vocabolario del rapporto fiducioso del credente con Dio; vi troviamo la lode, il ringraziamento, la fiducia, ma anche la supplica e il lamento, sempre però pervasi dalla certezza della grazia divina e della potenza della Parola di Dio. Anche i versetti maggiormente segnati dal dolore e dal senso di buio rimangono aperti alla speranza e sono permeati di fede. «La mia vita è incollata alla polvere: fammi vivere secondo la tua parola» (v. 25), prega fiducioso il Salmista; «Io sono come un otre esposto al fumo, non dimentico i tuoi decreti» (v. 83), è il grido di credente. La sua fedeltà, anche se messa alla prova, trova forza nella Parola del Signore: «A chi mi insulta darò una risposta, perché ho fiducia nella tua parola» (v. 42), egli afferma con fermezza; e anche davanti alla prospettiva angosciante della morte, i comandi del Signore sono il suo punto di riferimento e la sua speranza di vittoria: «Per poco non mi hanno fatto sparire dalla terra, ma io non ho abbandonato i tuoi precetti» (v. 87).
La legge divina, oggetto dell’amore appassionato del Salmista e di ogni credente, è fonte di vita. Il desiderio di comprenderla, di osservarla, di orientare ad essa tutto il proprio essere è la caratteristica dell’uomo giusto e fedele al Signore, che la «medita giorno e notte», come recita il Salmo 1 (v. 2); è una legge, quella di Dio, da tenere «sul cuore», come dice il ben noto testo dello Shema nel Deuteronomio:
Ascolta, Israele … Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai (6,4.6-7).
Centro dell’esistenza, la Legge di Dio chiede l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di obbedienza non servile, ma filiale, fiduciosa, consapevole. L’ascolto della Parola è incontro personale con il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte concrete e diventare cammino e sequela. Quando gli viene chiesto cosa fare per avere la vita eterna, Gesù addita la strada dell’osservanza della Legge, ma indicando come fare per portarla a completezza: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21 e par.). Il compimento della Legge è seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù, in compagnia di Gesù.
Il Salmo 119 ci porta dunque all’incontro con il Signore e ci orienta verso il Vangelo. C’è in esso un versetto su cui vorrei ora soffermarmi: è il v. 57: «La mia parte è il Signore; ho deciso di osservare le tue parole». Anche in altri Salmi l’orante afferma che il Signore è la sua « parte », la sua eredità: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice», recita il Salmo 16 (v. 5a), «Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre» è la proclamazione del fedele nel Salmo 73 (v. 23 b), e ancora, nel Salmo 142, il Salmista grida al Signore: «Sei tu il mio rifugio, sei tu la mia eredità nella terra dei viventi» (v. 6b).
Questo termine « parte » evoca l’evento della ripartizione della terra promessa tra le tribù d’Israele, quando ai Leviti non venne assegnata alcuna porzione del territorio, perché la loro « parte » era il Signore stesso. Due testi del Pentateuco sono espliciti a tale riguardo, utilizzando il termine in questione: «Il Signore disse ad Aronne: « Tu non avrai alcuna eredità nella loro terra e non ci sarà parte per te in mezzo a loro. Io sono la tua parte e la tua eredità in mezzo agli Israeliti »», così dichiara il Libro dei Numeri (18,20), e il Deuteronomio ribadisce: «Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli: il Signore è la sua eredità, come gli aveva detto il Signore, tuo Dio» (Dt 10,9; cfr. Dt 18,2; Gs 13,33; Ez 44,28).
I sacerdoti, appartenenti alla tribù di Levi, non possono essere proprietari di terre nel Paese che Dio donava in eredità al suo popolo portando a compimento la promessa fatta ad Abramo (cfr. Gen 12,1-7). Il possesso della terra, elemento fondamentale di stabilità e di possibilità di sopravvivenza, era segno di benedizione, perché implicava la possibilità di costruire una casa, di crescervi dei figli, di coltivare i campi e di vivere dei frutti del suolo. Ebbene i Leviti, mediatori del sacro e della benedizione divina, non possono possedere, come gli altri israeliti, questo segno esteriore della benedizione e questa fonte di sussistenza. Interamente donati al Signore, devono vivere di Lui solo, abbandonati al suo amore provvidente e alla generosità dei fratelli, senza avere eredità perché Dio è la loro parte di eredità, Dio è la loro terra, che li fa vivere in pienezza.
E ora, l’orante del Salmo 119 applica a sé questa realtà: «La mia parte è il Signore». Il suo amore per Dio e per la sua Parola lo porta alla scelta radicale di avere il Signore come unico bene e anche di custodire le sue parole come dono prezioso, più pregiato di ogni eredità, e di ogni possesso terreno. Il nostro versetto infatti ha la possibilità di una doppia traduzione e potrebbe essere reso pure nel modo seguente: «La mia parte, Signore, io ho detto, è di custodire le tue parole». Le due traduzioni non si contraddicono, ma anzi si completano a vicenda: il Salmista sta affermando che la sua parte è il Signore ma che anche custodire le parole divine è la sua eredità, come dirà poi nel v. 111: «Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, perché sono essi la gioia del mio cuore». È questa la felicità del Salmista: a lui, come ai Leviti, è stata data come porzione di eredità la Parola di Dio.
Carissimi fratelli e sorelle, questi versetti sono di grande importanza anche oggi per tutti noi. Innanzitutto per i sacerdoti, chiamati a vivere solo del Signore e della sua Parola, senza altre sicurezze, avendo Lui come unico bene e unica fonte di vera vita. In questa luce si comprende la libera scelta del celibato per il Regno dei cieli da riscoprire nella sua bellezza e forza. Ma questi versetti sono importanti anche per tutti i fedeli, popolo di Dio appartenente a Lui solo, « regno di sacerdoti » per il Signore (cfr. 1Pt 2,9; Ap 1,6; 5,10), chiamati alla radicalità del Vangelo, testimoni della vita portata dal Cristo, nuovo e definitivo « Sommo Sacerdote » che si è offerto in sacrificio per la salvezza del mondo (cfr. Ebr 2,17; 4,14-16; 5,5-10; 9,11ss). Il Signore e la sua Parola: questi sono la nostra « terra », in cui vivere nella comunione e nella gioia.
Lasciamo dunque che il Signore ci metta nel cuore questo amore per la sua Parola, e ci doni di avere sempre al centro della nostra esistenza Lui e la sua santa volontà. Chiediamo che la nostra preghiera e tutta la nostra vita siano illuminate dalla Parola di Dio, lampada per i nostri passi e luce per il nostro cammino, come dice il Salmo 119 (cfr v. 105), così che il nostro andare sia sicuro, nella terra degli uomini. E Maria, che ha accolto e generato la Parola, ci sia di guida e di conforto, stella polare che indica la via della felicità.
Allora anche noi potremo gioire nella nostra preghiera, come l’orante del Salmo 16, dei doni inaspettati del Signore e dell’immeritata eredità che ci è toccata in sorte:
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice.
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi:
la mia eredità è stupenda (Sal 16,5.6).

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