Archive pour la catégorie 'ANTICO TESTAMENTO – SALMI (I)'

I SALMI CON RAVASI E «GIACOMINO»

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I SALMI CON RAVASI E «GIACOMINO»

«La preghiera è pensare al senso della vita, e il pensare non è altro che ringraziare». È con queste parole che monsignor Gianfranco Ravasi ha dato inizio, lo scorso 10 aprile nella Basilica di San Miniato al Monte, alla sua lezione su «Una vita in compagnia dei salmi», inaugurando così il convegno organizzato dall’Associazione Biblia e dall’Ufficio Catechistico Diocesano «Salmi e cantici della Bibbia», davanti ad una folla di persone interessate e curiose di ascoltare dal vivo una delle voci più autorevoli nel campo dell’esegesi biblica.
DI JACOPO MASINI

Parole chiave: bibbia (114)
I salmi con Ravasi e «Giacomino»
16/04/2008 di Archivio Notizie

di Jacopo Masini

«La preghiera è pensare al senso della vita, e il pensare non è altro che ringraziare». È con queste parole che monsignor Gianfranco Ravasi ha dato inizio, lo scorso 10 aprile nella Basilica di San Miniato al Monte, alla sua lezione su «Una vita in compagnia dei salmi», inaugurando così il convegno organizzato dall’Associazione Biblia e dall’Ufficio Catechistico Diocesano «Salmi e cantici della Bibbia», davanti ad una folla di persone interessate e curiose di ascoltare dal vivo una delle voci più autorevoli nel campo dell’esegesi biblica.
«La mia vita, il mio percorso intellettuale e spirituale è stato dettato dal camminare assieme ai salmi, alla lode e all’invocazione che in un simile testo si alternano con un’armonia senza pari», ha raccontato Ravasi, facendo accenno proprio a quanto nei salmi si fondano e si compenetrino «poesia e pensiero, fede e ragione. La Bibbia non è soltanto un libro storico e dunque un documento insostituibile per la ricerca scientifica – ha proseguito il Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura – ma è anche un libro di preghiere che Dio ha ispirato nel cuore dell’uomo perché siano rivolte a Lui stesso. L’uomo interroga Dio e Dio risponde suscitando risposte e ulteriori domande in un continuo scambio di significati, di suggestioni profonde, di sguardi in cui è l’amore ad essere il grande protagonista».
Un canale di comunicazione, uno strumento fondamentale di relazione con il divino che cerca l’uomo, un mezzo privilegiato di introspezione e di dialogo con il Creatore. «Se lo schema e la struttura del salmo ne costituiscono lo scheletro, è l’analisi letteraria, con tutti i suoi infiniti e inesauribili simbolismi, ad essere la carne viva di un testo così denso di ispirazione e di teologia», ha spiegato Ravasi.
La fisicità della preghiera, la descrizione del gusto e della corporeità dell’orazione. Altri temi che il relatore ha voluto soltanto sfiorare con delicatezza, semplicità e accessibilità di linguaggio. «La fame e la sete sono riferimenti continui nei salmi, metafore di un desiderio insaziabile dell’uomo nei confronti di Dio, un Dio che penetra col suo sguardo il grembo della madre per conoscere tutto dell’uomo ancor prima che nasca».
Una lezione che si è tramutata in un momento stesso di preghiera per i molti che seguivano incantati le riflessioni e le immagini proposte dal Vescovo: «Custodiscimi come pupilla degli occhi canta il salmo 16, in cui l’uomo è innalzato alla dignità dello sguardo di Dio, eredità finale dell’uomo stesso, porto sicuro a cui la vita di ogni uomo approda alla fine del viaggio».
Alle parole di Mons. Ravasi ha fatto eco la testimonianza di Giacomo Poretti, il popolare attore del trio «Aldo Giovanni e Giacomo», che si è esibito nella lettura di alcuni salmi, non prima di aver ceduto il passo al racconto di che cosa sia stata e sia ancora la preghiera nella sua vita. «Quand’ero piccolo pregavo Dio per chiedergli tante cose, soprattutto di diventare alto», ha detto l’artista, ripercorrendo con semplicità ed ironica schiettezza le fasi del proprio percorso di credente, per poi concludere con un originale dialogo fra sé e Dio: «A proposito Giacomo – chiede Dio – volevi diventare alto oppure grande?». Racconti di episodi, il ricordo della famiglia credente che lo aveva educato alla preghiera, il rapporto difficile negli anni dell’adolescenza e la riscoperta durante l’età più adulta: «Quando si ammalò una cara amica di famiglia, e purtroppo senza possibilità di guarigione, mi resi conto che sarebbe stato più importante chiedere che la persona non avesse paura. Fu ciò che accadde e capii che Dio voleva realizzare grandi cose grazie all’aiuto e alla preghiera degli uomini».
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Due testimonianze diverse eppure così affini hanno portato tutte le persone, in gran parte laici, che si sono strette nella Basilica ad immergersi nella bellezza e nell’intensità di un messaggio di spiritualità non solo letterario ma anche concreto. «Un’occasione – ha detto lo stesso Ravasi – per sentirmi ancor più legato alla città di Firenze».

 

IL SABATO DEI SALMI – SALMO 22 – SOFFERENZE E SPERANZE DEL GIUSTO

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IL SABATO DEI SALMI – SALMO 22 – SOFFERENZE E SPERANZE DEL GIUSTO

Nella Bibbia, il sabato era considerato un giorno molto importante, il giorno del Signore. Proprio in questo giorno che precede la Domenica, ventidue settimane fa, la Vigna del Signore ha inaugurato un appuntamento settimanale, molto importante: i salmi. Ogni sabato, nel post del giorno, abbiamo pubblicato il salmo con relativo commento. A partire da oggi, questo bellissimo appuntamento, lo spostiamo nell’Angolo di Sapienza perchè questo è lo spazio dedicato alla Sapienza biblico-cristiana. Oggi meditiamo il salmo 22, con il commento di Mikhael:

Salmo 22
Sofferenze e speranze del giusto
[1]Al maestro del coro. Sull’aria: «Cerva dell’aurora».
Salmo. Di Davide.

[2]«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
[3]Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.

[4]Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
[5]In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
[6]a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.

[7]Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
[8]Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
[9]«Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».

[10]Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
[11]Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
[12]Da me non stare lontano,
poiché l’angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.

[13]Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
[14]Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
[15]Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
[16]E’ arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.

[17]Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
[18]posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
[19]si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.

[20]Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
[21]Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
[22]Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
[23]Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.

[24]Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
[25]perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l’afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito.

[26]Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
[27]I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
[28]Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
[29]Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
[30]A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui,
[31]lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
[32]annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».

COMMENTO
Il Salmo 22 è un salmo profetico e i riferimenti alla passione di Cristo sono tanti: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato »; « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27,46). « Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi se è suo amico »; « Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio! » (Mt 27,43). Inoltre le mani e i piedi forati, le vesti divise, il ritorno di tutti i popoli a Dio,sono una chiara profezia della passione di Cristo e della venuta del Regno. Questo salmo oltre che per la sua natura profetica possiamo meditarlo anche come grido rivolto a Dio di ciascun peccatore. Infatti quando noi siamo nella tenebra del peccato non vediamo Dio, lo cerchiamo, cerchiamo il Suo Volto ma Egli sembra non risponderci. In verità Egli come ci dice il salmo, non nasconde il Suo Volto al misero ed ascolta il suo grido. La sfiducia che ci assale dopo il peccato ci fa percepire l’indegnità di cui ci siamo rivestiti dopo la colpa commessa e l’offesa arrecata al Signore. Ma il Signore perdona il grido di pentimento dell’uomo perché la Sua Misericordia è più grande della Sua Giustizia. Solo se l’uomo è capace di umiliarsi e pentirsi sinceramente può ricevere il perdono dal Signore. Le parole scritte da Davide sono le nostre parole quando desideriamo riconciliarci con il Padre. E’ importante umiliarsi per essere accolti dal Padre. Santa Faustina nel suo diario scrive le parole di Gesù: « Non respingerò mai un cuore che si umilia ». Per un cristiano che vive il respingimento nella società questi salmi sono un grande conforto e gli fanno rendere conto quanto più un’anima è gradita a Dio quanto più dovrà soffrire. Questo però non deve rappresentare motivo di sconforto poiché se è vero che un’anima tanto più è gradita a Dio quanto più dovrà soffrire, è anche vero che la gioia a cui è destinata è eterna. L’esempio di Cristo ci basta per comprendere questa sublime verità: Egli ha patito le più atroci sofferenze ma dopo la croce è giunto il tempo della resurrezione alla vita eterna. Cristo ha fatto tutto quello che un cristiano deve fare per partecipare alla gloria della resurrezione. Non a caso Egli è il Maestro perché con la Sua vita e il Suo esempio ci ha insegnati la via per giungere alla vita eterna.
Chi di noi può dire di non aver mai detto in vita propria: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato »? Egli non ci abbandona affatto! Questo salmo ha per titolo « Sofferenze e speranze del giusto ». Nella sofferenza noi siamo capaci di sperare nel perdono del Signore. Se è vero che la fossa in cui siamo caduti ci fa soffrire e ci angustia è anche vero che abbiamo la speranza di uscirne. Ma per essere liberati dalla sofferenza occorre che questa stessa diventi strumento di espiazione. Infatti la sofferenza è lo strumento della liberazione. Io soffro per il mio peccato? Ecco, mi pento; Questo addolorarmi per la colpa commessa, questo soffrire per il mio peccato mi fa essere gradito a Dio. Per uscire dalla sofferenza dobbiamo soffrire. Può sembrare assurdo o folle agli occhi del mondo, ma è così. L’uomo nel peccato soffriva la tenebra ed è stato necessario che Cristo soffrisse per liberare gli uomini dalla sofferenza della morte. La sofferenza dunque è la nostra croce ma è anche vero che la croce redime, libera. Gesù ha sofferto con quella croce, ma con quella stessa croce è stato glorificato e ha liberato l’umanità dalla morte. I santi ci hanno permesso di comprendere il mistero della croce e di approfondire questa scienza della sofferenza. Infatti la sofferenza è il principio della vita. La donna geme per i dolori del parto ma quella sofferenza dona la vita. Il chicco di grano morto produce frutto. La nostra
sofferenza può essere strumento di espiazione per i peccati del mondo ed ottenere la conversione e quindi la salvezza per le anime. Il nostro dolore più grande è causato dalla nostra lontananza da Dio, ma per essere liberi da questo dolore dobbiamo soffrire perché solo così possiamo avvicinarci a Dio e poiché essere vicini al Creatore è motivo di grande gioia per l’anima, solo così saremo felici. La sofferenza così si cambia in speranza e la speranza si adempie quando avremo praticato santamente la sofferenza.

SALMO 67: SORGA DIO (PDF)

http://www.vincenzotopa.net/archivio/sal67.pdf

Un cantore medita i salmi. Ed. Vocazioniste, 2006

SALMO 67: SORGA DIO

Il lungo salmo 67 (68), attribuito a Davide, canta della gloriosa epopea di Israele. In esso vengono ripercorse tutte le tappe della storia di salvezza che Dio fa con il
suo popolo. D’altra parte ciò che avvenne nella storia di Israele si rinnova nella storia della Chiesa e si riproduce nella vita spirituale di ogni uomo. Nella prima parte del testo, che qui commentiamo, si fa riferimento ai fatti dell’Esodo. In particolare, il salmo inizia con l’acclamazione, il grido di guerra, che Mosè e il popolo ripetevano ogni volta che l’Arca veniva issata per guidare il cammino nel deserto (cfr. Num. 10, 35):
“Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano,
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.”
Questo è già avvenuto nell’Esodo come è avvenuto nel Cristo risorto, la cui croce innalzata è il simbolo della Nuova Alleanza. Davanti a Cristo, infatti, gli spiriti del
male si disperdono come fumo e, nel giorno del giudizio, gli empi fonderanno come cera:
“Come si disperse il fumo, tu li disperdi;
come fonde la cera di fronte al fuoco
periscano gli empi davanti a Dio.
I giusti invece si rallegrino,
esultino davanti a Dio
e cantino di gioia.”
I giusti, invece, nell’ultimo giorno udranno le parole: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”
(Mt. 25,34) e gioiranno davanti a Lui. Risuoni allora l’acclamazione della Chiesa e di ogni cristiano che si accinge ogni giorno al combattimento spirituale: Sorga
Dio! “Fate strada a Cristo, in modo che, attraverso l’opera di coloro che con piedi graziosi annunziano il Vangelo, i cuori dei credenti si aprano a lui. Egli è colui
che sale oltre il tramonto” (S. Agostino, En. in ps., 67), colui che, come dice il salmista, è Kyrios, Signore, e cavalca le nubi:
“Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
spianate la strada a chi cavalca le nubi:
«Signore» è il suo nome,
gioite davanti a lui.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
Ai derelitti fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri;
solo i ribelli abbandona in terra arida.”
Con questi orfani e con queste vedove, con coloro che sono privi di speranze terrene, con chi è prigioniero, con gli umili il Signore costruisce il suo tempio, facendoli abitare nella sua casa. Casa che è nel cuore di ogni uomo se solo apre la porta dell’anima per farsi accogliere nel cuore immacolato di Cristo. Ecco il Regno, la terra promessa, il riposo del cuore, la pace, pegno della vita eterna della quale parla il salmista: “e il tuo popolo abitò il paese che nel tuo amore, o Dio,
preparasti al misero”. Nella seconda parte di questo salmo “Il Signore annuncia
una notizia” tramite una miriade di messaggeri. Di chi si parla? O meglio, di chi si profetizza? Del cristianesimo! Degli evangelizzatori… dei cristiani che annunciano il
Kerygma… Cristo ha distrutto la morte! Questo è l’annuncio di vittoria, la notizia, la buona notizia di fronte alla quale tutti i re e gli eserciti che prima ci intimorivano (ognuno provi a elencare concretamente quelli che angosciano la sua vita) sono messi in fuga. Così come fuggirono Sìsara e i suoi di fronte a Israele, guidato da Debora e da Barak. Molto probabilmente il salmista fa infatti riferimento ai fatti narrati nel libro dei Giudici (cfr. Gdc. capitoli 4 e 5):
“Il Signore annuncia una notizia,
le messaggere di vittoria sono grande schiera:
«fuggono i re, fuggono gli eserciti;
la bella della casa1
spartisce il bottino».”
La “bella della casa”, allora, potrebbe essere Debora… o Giaele, che trafisse alla fine il potente Sìsara; ma anche qui è possibile vedere una profezia: si tratta di una figura di Maria, la tutta bella della casa, cioè della Chiesa. Così, mentre il gregge di Dio dorme al sicuro tra gli steccati dell’ovile (S. Agostino, nel suo commento ai
salmi, dice che questi steccati sono immagine dei due Testamenti o, meglio, delle due Alleanze), le ali della colomba, figura dello Spirito Santo, risplendono. La
Chiesa risplende nella carità! “Guardate come si amano!” dicevano ammirati tra loro i pagani nel vedere questo splendore delle prime comunità cristiane.
“«Mentre voi dormite tra gli ovili,
splendono d’argento le ali della colomba,
le sue piume di riflessi d’oro»;”
Il versetto seguente è oscuro. Una delle ipotesi proposte è che si faccia riferimento alla distruzione di Sichem voluta da Abimélech, il quale sparse sale sullo Zalmon, il
monte ombroso, perché non vi crescesse più niente (cfr. Gdc. 9, 45). La neve, d’altra parte, è bianca come il sale (Sir. 43, 18) e anche Abimélech, come Sìsara, fu poi ucciso da una donna (Gdc. 9, 53)… si rafforzerebbe così il concetto già espresso all’inizio:
“Quando disperdeva i re l’Onnipotente,
nevicava sullo Zalmon…”
Continua il lungo racconto del salmista, che profetizza la risurrezione di Cristo quando dice: “il Signore Dio libera dalla morte”, fino a vedere, nei versetti finali, la sua Ascensione al cielo:
“Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore;
egli nei cieli cavalca, nei cieli eterni,
ecco, tuona con voce potente.”
Quest’ultima esortazione annuncia la glorificazione del Cristo da parte di tutti i Regni della terra: “Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua
potenza sopra le nubi”. “Allora infatti si realizzerà completamente e veracemente quel nome di Israele che significa «colui che vede Dio»” (S. Agostino, En. in ps.,
67).

1
Viene riportata la traduzione letterale, che secondo la Bibbia di
Gerusalemme si riferisce a Giaele (Gdc. 5, 24). Altre traduzioni
riportano: “anche le donne si dividono il bottino”.
2
Si potrebbe proporre, a conferma del parallelo Giaele-Maria, il
confronto tra il libro dei Giudici: “Una mano essa stese al picchetto
e la destra a un martello da fabbri, e colpì Sisara, lo percosse alla
testa, ne fracassò, ne trapassò la tempia. Ai piedi di lei si contorse,
ricadde, giacque; dove si contorse là ricadde finito” (Gdc. 5, 26-27)
e quello della Genesi: “Allora il Signore Dio disse al serpente: Io
porrò inimicizia tra te e la donna… questa ti schiaccerà la testa e tu
le insidierai il calcagno.” (Gen. 3, 15)

Un cantore medita i salmi. Ed. Vocazioniste, 2006

IL SONNO PARTICOLARE DI COLORO CHE DIO AMA (1855)

http://camcris.altervista.org/spurgeonac1.html

IL SONNO PARTICOLARE DI COLORO CHE DIO AMA (1855)

di C. H. Spurgeon (Chiesa Battista, ho messo Evangelica, manon sono sicura)

(Si ringrazia Antonio Consorte per la traduzione)

Tenuto il 4 marzo 1855 a Exeter Hall, Strand.

« …Egli dà altrettanto a quelli che ama, mentre essi dormono » (Salmo 127:2).

Il sonno del corpo è un dono di Dio. Così disse Omero quando lo descrisse come qualcosa che scendeva dal cielo e si fermava sopra le tende dei guerrieri che circondavano l’antica Troia. E così pure cantò Virgilio, quando raccontava di Palinuro che si addormentò sulla prua della nave. Sì, il riposo è un dono di Dio.
Pensiamo che, appoggiando il capo sul cuscino e facendo assumere al nostro corpo una posizione rilassata inevitabilmente ci addormenteremo senza fare alcuno sforzo. Ma non è così. Il riposo è un dono di Dio, e nessun uomo chiuderebbe gli occhi se Dio non mettesse le Sue dita sulle palpebre, se l’Onnipotente non esercitasse un dolce influsso sul suo corpo, acquietando a poco a poco i suoi pensieri, facendolo così entrare in quel beato stato di riposo che noi chiamiamo sonno.
Veramente ci sono dei farmaci e dei narcotici con i quali la gente può avvelenarsi fin quasi a morire, e lo chiamano riposo; ma il riposo di un corpo sano è il dono di Dio. Egli lo concede; ogni notte lui stesso ci dondola la culla, tira la tenda del buio, comanda al sole di chiudere i suoi occhi ardenti, e poi viene e dice; « Dormi, dormi, figlio mio, Io ti dono il sonno ».
Ti è mai accaduto qualche volta di essere a letto e di lottare per addormentarti? Si potrebbe dire di te quello che fu detto di Dario: « Il re mandò a chiamare i suoi musicisti, ma il sonno fuggì da lui ». Hai cercato di dormire, ma non ci sei riuscito; procurarti un sano riposo va oltre le tue capacità. Immagini che fissando la mente su un certo soggetto finché esso assorba tutta la tua attenzione, tu possa poi dormire; ma poi scopri che non cela fai. Diecimila cose ti passano per la mente come se tutta la terra fosse scossa davanti a te. Vedi tutte le cose mai contemplate ballare in una fantasmagoria davanti ai tuoi occhi. Chiudi gli occhi, ma continui a vederle; e ci saranno cose nella testa e nelle orecchie e nel tuo cervello che non ti lasceranno dormire. E’ Dio solo che, allo stesso modo in cui sigilla gli occhi del marinaio sopra il vertiginoso pennone della nave, fa riposare anche il monarca; poiché con tutto il gran daffare che ha costui non potrebbe riposare senza l’aiuto di Dio.
E’ Dio che permea la mente di oblio e ci ordina di dormire, affinché i nostri corpi possano rinnovarsi, in modo che possiamo alzarci rinvigoriti e rafforzati per affrontare gli impegni del giorno seguente.
O amici miei, quanto dovremmo essere riconoscenti per il sonno! Il sonno è il migliore medico che conosco. Il sonno ha guarito tante ossa doloranti, più di tanti eminenti dottori. E’ la migliore medicina – la migliore in assoluto tra quelle che si trovano negli elenchi della farmacia! Non c’è nulla come il dormire!
Quale grazia è che esso appartenga ugualmente a tutti! Dio non fa del sonno un privilegio del ricco; non lo concede solamente al nobile o al ricco, cosicché essi possano tenerselo come un bene di lusso per loro stessi, ma lo concede a tutti. E se c’è una differenza, il sonno del lavoratore è dolce, sia che mangi poco o molto. Colui che lavora duramente dorme profondamente, stanco com’è. Mentre la effeminatezza lussuriosa non può riposare, girandosi da una parte all’altra di un letto di piume d’oca; colui che lavora sodo, dalle membra forti e possenti, stanco morto si getta sul duro giaciglio e dorme; risvegliandosi, ringrazia Dio perché ha ritemprato le sue energie.
Amici miei, non sapete quanto dovete a Dio per il riposo che vi dona di notte! Se aveste delle notti insonni, allora apprezzereste quella benedizione. Se per settimane voi giaceste girandovi nel vostro letto, allora ringrazieresti Dio per questo Suo favore. Ma poiché è il dono di Dio, è un dono preziosissimo, di cui non si può apprezzare il valore finché non ci viene portato via; eppure, anche allora, lo possiamo apprezzare come dovremmo.
Il Salmista afferma che ci sono alcuni uomini che si privano del sonno a scopo di guadagno o per ambizione; si alzano presto e vanno a dormire tardi. Alcuni di noi qui presenti, può darsi che siano colpevoli della stessa cosa. Ci siamo alzati la mattina presto per poterci buttare su volumi poderosi in modo da acquisire conoscenza; siamo rimasti seduti di notte fino a che la nostra lampada spenta ci ha rimproverato e ci ha detto che il sole stava per sorgere, mentre i nostri occhi dolevano, il cervello pulsava e il cuore palpitava. Ci siamo affaticati fin troppo; ci siamo alzati presto e siamo stati alzati fino a tardi, e in tal modo siamo arrivati a mangiare il pane tribolato. Molti di voi uomini d’affari state lavorando proprio così. Non vi condanniamo per questo, non vi proibiamo di alzarvi presto e stare alzati fino a tardi, ma vi ricordiamo questo testo: « Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare e mangiate pane tribolato; Egli dà altrettanto a quelli che ama, mentre essi dormono » (Salmo 127:2).
Ed è proprio di questo sonno che Dio concede ai Suoi diletti che vogliamo parlarvi questa mattina, con l’aiuto di Dio; un sonno particolare per i figli di Dio, un sonno che Egli concede « a quelli che ama ».
Talvolta il sonno viene usato in senso cattivo nella Parola di Dio per esprimere la condizione degli uomini carnali e del mondo. Alcuni uomini hanno un sonno dovuto alla pigrizia e all’amore sfrenato delle comodità. Salomone ci parla di costoro, i quali sono figli stolti, che sonnecchiano durante il raccolto, comportandosi vergognosamente, per cui quando il raccolto è terminato, a fine estate, essi se la passeranno poi molto male.
Il sonno spesso esprime uno stato d’indolenza, di torpore, di indifferenza, in cui tutti gli uomini senza Dio si trovano – « Non dormiamo come fanno gli altri, ma noi che siamo del giorno, facciamo sì che siamo sobri » (I Tessalonicesi 5:5-6).
Ci sono molti che dormono il sonno del fannullone, che riposano sul letto dell’indolenza; ma quale tremendo risveglio sarà il loro, quando scopriranno che hanno sprecato il loro tempo, che la sabbia dorata della loro vita è scesa inosservata dalla clessidra e che essi sono giunti ormai in quel mondo dove non c’è più perdono, dove non c’è più speranza, né rifugio, nessuna salvezza.
In altri luoghi troverete il sonno usato come figura della sicurezza carnale, uno stato in cui molti si trovano. Guardate Saulo mentre dormiva sentendosi umanamente al sicuro, non come Davide che disse: « Io mi giacerò e dormirò, perché Tu, o Signore, mi fai abitare in sicurezza ». Abner era là e tutte le truppe erano attorno a lui, ma Abner dormiva. Dormi, Saulo, dormi pure. Ma c’è un Abishai in piedi vicino al tuo cuscino con una lancia in mano che dice: « Fa che lo inchiodi a terra con un solo colpo » (I Samuele 26:9). Egli continua a dormire, ignaro di tutto. Così è di molti di voi: dormite di un sonno pericoloso per la vostra anima. Satana è in piedi vicino a voi; la Legge è pronta; la vendetta è impaziente, e tutti stanno dicendo: « Devo colpirlo? Lo colpirò improvvisamente e lui non si sveglierà più ». Ma Cristo dice: « Trattieniti, vendetta, trattieniti! ». Guarda la lancia che sta quasi oscillando – « Trattieniti, risparmialo ancora per un anno, nella speranza che possa svegliarsi dal lungo sonno del peccato ». Come Sisera, io ti dico, peccatore, che tu stai dormendo nella tenda del distruttore; può darsi che tu abbia mangiato burro e miele da un piatto signorile, ma tu stai dormendo sulla soglia dell’Inferno; anche adesso il nemico sta alzando il martello ed il chiodo per trapassarti le tempie, per inchiodarti a terra, cosicché tu possa giacere per sempre nella morte di un tormento eterno, se un tale stato possa chiamarsi morte.
Nella Scrittura viene anche menzionato il sonno della lussuria, come quello che colpì Sansone quando perse i suoi buccoli, ed è un tipo di sonno che hanno quei molti che indulgono nel peccato, e poi al risveglio si trovano spogliati, perduti e rovinati.
C’è anche il sonno della negligenza, come quello che ebbero le vergini stolte, delle quali fu detto : « Esse sonnecchiarono e poi si addormetarono ». E poi c’è il sonno del dolore che vinse Pietro, Giacomo e Giovanni.
Nessuno di questi tipi di sonno è un dono di Dio. Sono dovuti alla nostra fragilità naturale; ci vengono addosso perché siamo uomini moralmente decaduti; ci piovono addosso perché siamo figli di un genitore perduto e rovinato. Questi tipi di sonno non sono benedizioni di Dio, né Egli li concede ai Suoi diletti.
Adesso andiamo a dire quali tipi di riposo Egli concede.
I. Primo, c’è un sonno miracoloso che Dio ha qualche volta concesso ai Suoi diletti e che Egli adesso non accorda più. In quel genere di sonno miracoloso, o piuttosto trance, cadde Adamo, quando dormiva solo e addolorato. Ma quando si svegliò, non lo era più, poiché Iddio gli aveva dato il dono migliore che abbia mai concesso all’uomo. Abraamo ebbe lo stesso sonno quando si dice che un sonno profondo cadde su di lui, mentre era coricato e vide una fornace fumante e una lampada ardente, e udì una voce che gli diceva: « Non temere, Abraamo, Io sono il tuo scudo e la tua sovrabbondante ricompensa ». Un tale santo sonno fu anche di Giacobbe, quando dormiva coricato per terra con una pietra come guanciale, le siepi come tende, il cielo come tetto, i venti come musica e le bestie come suoi servitori. In sogno, egli vide una scala che si innalzava da terra verso il cielo, e gli angeli di Dio che salivano e scendevano per essa. Anche Giuseppe ebbe lo stesso sonno, quando sognò che gli altri covoni si inchinavano al suo covone e che il sole, la luna e le sette stelle gli erano sottoposti. In tal modo, Davide spesso riposava, quando il sonno gli era dolce. Un tale sonno gustò anche Daniele quando affermò:  » Ero profondamente assopito ed ecco il Signore mi disse: « Alzati e stai in piedi ». Ed inoltre tale fu anche il sonno del padre putativo del nostro Signore benedetto, quando in una visione notturna l’angelo gli disse: « Alzati, Giuseppe, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, poiché Erode cercherà il bambino per ucciderlo ».
Questi sono sonni miracolosi. L’angelo di Dio ha toccato i suoi servitori con la bacchetta magica del sonno ed essi hanno dormito, non semplicemente come noi, ma il loro è stato un sonno meraviglioso; si sono tuffati nelle profondità del sonno, si sono immersi nel mare del sonno, dove hanno visto l’Invisibile, hanno parlato con lo Sconosciuto ed udito suoni mistici e stupendi; e quando si sono svegliati, hanno detto: « Che dormita! Per certo il sonno è stato dolce per me ». Quindi davvero « Egli dona il sonno ai Suoi diletti ».
Ma oggigiorno non abbiamo più un sonno come questo. Molte persone sognano cose meravigliose, ma la maggior parte sogna sciocchezze. Alcuni fanno affidamento sui sogni e certamente Dio ci avvisa per mezzo di sogni e visioni anche oggi – son sicuro che lo fa. Non c’è un uomo che non possa menzionare uno o più esempi di qualche avvertimento o beneficio ricevuto per mezzo di un sogno. Noi però non abbiamo mai una fiducia assoluta nei sogni. Ricordiamo ciò che disse Rowland Hill ad una donna che diceva di sapere di essere una figlia di Dio poiché sognava ripetutamente una determinata cosa – « Non si preoccupi, signora, di ciò che faceva quando dormiva; vediamo piuttosto cosa farà quando sarà sveglia ». Questa è anche la mia opinione sui sogni. Non crederò mai che un uomo sia cristiano solamente perché ha sognato di esserlo; poiché una religione sognatrice renderà un uomo sognatore per tutta la vita, e tali sognatori avranno alla fine un brutto risveglio, se quello è tutto ciò in cui hanno fiducia.
II. In secondo luogo, Egli dà ai suoi diletti il sonno di una coscienza tranquilla.
Credo che molti di voi abbiano visto quello splendido quadro alla mostra della Royal Academy, il sonno di Argyle, in cui egli è sdraiato addormentato nelle prime ore del mattino prima della sua esecuzione. Si vedono alcuni nobiluomini lì in piedi che lo guardano, quasi con un senso di rimorso; il carceriere è lì con le sue chiavi tintinnanti; ma praticamente l’uomo dorme, sebbene l’indomani la sua testa sarà staccata dal corpo ed un uomo la terrà in mano dicendo: « Questa era la testa di un traditore ». Egli dormiva perché aveva la coscienza a posto in quanto non aveva fatto nulla di male.
Poi considerate Pietro. Avete mai notato quel passo importante degli Atti degli Apostoli in cui viene detto che Erode intendeva portare fuori Pietro al mattino; ma ecco, mentre Pietro stava dormendo fra due guardie, l’angelo lo scosse? Dormiva tra due guardie, quando al mattino doveva essere crocifisso o ucciso! Ma egli non se ne curava, poiché il suo cuore era pulito, non aveva commesso alcun male. Egli poté dire: « Giudicate voi se sia giusto servire Dio o gli uomini » e di conseguenza si coricò e dormì tranquillamente.
Signori, sapete qual è il sonno di una coscienza tranquilla? Siete mai stati il bersaglio delle calunnie da parte di tutti gli uomini, calpestati, oggetti dello scherno, delle risate e del canto di qualche ubriaco? Sapete cosa sia, dopo tutto, dormire, come se nulla vi preoccupasse, perché il vostro cuore era puro? Ahimé, voi che avete dei debiti, voi che siete disonesti, voi che non amate Dio né Cristo, mi chiedo come possiate dormire, poiché il peccato mette spine pungenti nel cuscino. Il peccato infila un pugnale nella testa di un uomo, in modo che ovunque si giri lo punga. Ma una coscienza tranquilla è la musica più dolce che possa far dormire tranquilli. Il demone dell’irrequietezza non si presenta al capezzale dell’uomo che ha la coscienza serena, una coscienza a posto con Dio e che può quindi cantare; « Con il mondo, con me e con te, io dormirò ed in pace sarò ». Così Egli dà il riposo a coloro che ama.
Ma lasciatemi dire a voi che non conoscete la vostra elezione in Cristo Gesù, che non avete fiducia nel lavacro del sangue del Salvatore, a voi che non siete stati mai chiamati dallo Spirito Santo, a voi che non siete stati rigenerati e non siete nati di nuovo – lasciatemi dire che voi non conoscete questo tipo di sonno. Potete dire magari che la vostra coscienza è tranquilla, potete dire di non fare del male a nessuno, e che credete che davanti al Tribunale di Dio avrete poco di cui rendere conto. Ma, signori, voi sapete bene di aver peccato e che le vostre virtù non possono mai espiare i vostri vizi. Voi sapete che l’anima che pecca, anche se pecca una sola volta, deve morire. Se il quadro ha un’unica pecca, non è perfetto. Se voi avete peccato anche solo una volta, voi sarete condannati per questo, a meno che abbiate qualcosa che tolga quell’unico peccato. No, voi non conoscete questo sonno, ma il Cristiano sì, poiché tutti i suoi peccati sono stati posti sul capo del capro espiatorio antico. Cristo è morto per tutti i suoi peccati, grandi o piccoli che fossero, e adesso non c’è alcun peccato segnato a suo carico nel Libro di Dio. « Io sono Colui (dice Dio), « che si carica delle tue trasgressioni per amore del mio nome e non ricorderò più i tuoi peccati ». Adesso tu puoi dormire, poiché « Egli dà il sonno ai suoi diletti ».
III. Ed ancora c’è il sonno della soddisfazione, di cui il Cristiano può godere.
Nessun uomo mai sente la necessità di offrire una ricompensa di un migliaio di sterline a chi è contento del suo stato, perché se qualcuno venisse a reclamare tale compenso, dimostrerebbe ovviamente di non essere soddisfatto, contento. Ho il sospetto che tutti, in una certa misura, siamo insoddisfatti della nostra sorte; la maggior parte degli esseri umani è sempre in movimento; non si fermano mai, non scendono mai su qualche albero per costruire il proprio nido, ma svolazzano sempre da un albero all’altro. Quest’albero non è abbastanza verde, quello non è abbastanza alto, questo non è abbastanza bello, quello non è pittoresco – e quindi sono sempre in volo e non costruiscono per niente un nido sicuro. Il Cristiano invece costruisce il suo nido e come affermò il nobile Lutero: « Come quel piccolo uccellino sull’albero, si è nutrito stanotte, ma non sa dove farà la colazione domani. Sta posato lì, mentre i venti scuotono l’albero; chiude gli occhi, mette la testa sotto l’ala e dorme; e quando si sveglia al mattino, canta ». I mortali smettono di faticare e soffrire; Dio provvederà per il domani.
Quante poche persone vi sono che possiedono questo benedetto stato di soddisfazione e che quindi possono dire: « Non voglio altro, non voglio che poche cose quaggiù, sì, non desidero niente altro, sono soddisfatto e contento ».
Avete cantato un bellissimo inno proprio adesso, ma ho il sospetto che molti di voi non abbiano il diritto di farlo perché non lo sentite veramente – « Con la tua volontà io abbandono il resto, ma concedimi solo questo: sia in vita che in morte, come ti pare, che io provi i segni del tuo amore particolare ». Potevate dire che non volevate altro che Gesù sulla terra? Intendevate dire che siete completamente soddisfatti e che dormite il sonno dell’appagamento? Ah, no! Voi che eravate apprendisti, state mirando a diventare operai qualificati; voi che siete operai qualificati brontolate, perché vorreste essere voi i padroni; i padroni non vedono l’ora di andare in pensione e lasciare gli affari, e quando sono in pensione, sono impazienti di vedere tutti i loro figli sistemati nella vita.
L’uomo guarda sempre un po’ più in là; è un marinaio che non arriva mai in porto, una freccia che non colpisce mai il bersaglio. Il credente invece dorme tranquillo.
Una notte non potevo riposare, e mentre i miei pensieri vagavano qua e là senza meta, incontrai questo testo e mi confrontai con esso – « Egli dà il sonno a coloro che ama ». Nel mio sogno ad occhi aperti, in quanto mi trovavo al confine della terra dei sogni, mi pareva di essere in un castello. Intorno alle sue mura possenti c’era un fossato profondo. Le guardie andavano su e giù per le mura giorno e notte. Era una bella fortezza antica, che sfidava il nemico. Ma non ero felice lì dentro. Pensavo di essere coricato su di un giaciglio; ma avevo chiuso a mala pena gli occhi che udii il suono di una tromba: « Allarmi! Allarmi! » Quando il pericolo fu superato, mi sdraiai di nuovo. « Allarme! Allarme! » risuonò di nuovo, e così mi alzai un’altra volta. Insomma non potevo mai riposare. Pensavo di avere addosso l’armatura; mi muovevo continuamente vestito di maglie di ferro, correndo ogni ora in cima al castello e sempre risvegliato da qualche nuovo allarme. Una volta il nemico proveniva da occidente, un’altra volta da oriente. Credevo di avere un tesoro nascosto giù in qualche parte profonda del castello, e la mia preoccupazione era di sorvegliarlo. Vivevo nel terrore che me lo portassero via. Mi svegliai completamente col pensiero che non avrei vissuto volentieri in una torre come quella, nonostante la sua grandiosità. Quello era il castello dell’insoddisfazione, il castello dell’ambizione nel quale l’uomo non riposa mai. Infatti si sente sempre il grido, « Allarme! Allarme! ». C’è un nemico qui ed un nemico là; il suo beneamato tesoro deve essere custodito. Il sonno non attraversa mai il ponte levatoio del castello dell’insoddisfazione.
Poi pensai di rimpiazzare questo sogno con un altro. Mi trovavo in una casa di campagna, situata in uno di quei luoghi che i poeti definiscono ameno e bellissimo, ma non me ne importava nulla. Non avevo alcun tesoro al mondo, tranne un gioiello scintillante sul petto, e pensavo di mettere la mano su questo gioiello e di andare a letto. Non mi svegliai fino
all’alba. Quel tesoro rappresentava la mia coscienza tranquilla e l’amore di Dio – rappresentava « la pace che sorpassa ogni conoscenza ». Dormii, perché dormivo nella casa della soddisfazione, soddisfatto, appunto, di ciò che avevo.
Via da me voi avari che fate il passo più lungo della gamba! Via da me uomini avidi e ambiziosi! Non invidio la vostra vita di inquietudine! Il sonno degli uomini di stato viene spesso interrotto; il sonno del meschino è sempre cattivo; il sonno dell’uomo che ama il guadagno non è mai tranquillo. Ma Dio « dà » mediante la soddisfazione o contentezza, « ai suoi diletti il sonno ».
IV. Ma c’è di più: Dio dà ai suoi diletti il sonno della serenità d’animo riguardo al futuro. Oh, quel futuro oscuro! Quel futuro! Quel futuro! Il presente può essere favorevole ma, ah il prossimo vento può far seccare tutti i fiori e dove sarò io? Afferra il tuo oro, o spilorcio, poiché « le ricchezze mettono le ali e volano via ». Stringiti al seno il tuo bambino, o madre, poiché la ruvida mano della morte può rubartelo. Considera la tua celebrità e rifletti, o tu uomo ambizioso! Ma una critica che sembra insignificante potrebbe colpirti al cuore e tu protesti spronfondare in basso tanto quanto sei stato innalzato in alto dalle voci della folla.
Il futuro! Tutti hanno motivo di temere il futuro, tranne il Cristiano. Dio dà a coloro che ama un sonno tranquillo anche per quanto riguarda gli eventi futuri.
« Qualunque sia il mio futuro, non me ne curo; ciò che Dio stabilisce è la cosa migliore, e questo certamente fa riposare il mio cuore ».
Sia che debba vivere o morire non mi importa; sia che debba essere « il rifiuto di tutti » o « l’uomo che il re si compiace di onorare » non mi interessa. Tutto è uguale per me, a condizione che sia mio Padre a darmelo – « Quindi Egli concede il sonno ai Suoi diletti ».
Quanti di voi avete raggiunto quello stato felice nel quale non sentite affatto il desiderio di possedere qualcosa? E’ una cosa buona avere un solo desiderio, ma è cosa migliore non avere alcun desiderio, godendo della presenza di Cristo nella nostra vita, in vista dell’incontro faccia a faccia con Lui.
Oh anima mia! Quale sarebbe il tuo futuro se tu non avessi Cristo? Se anche fosse, umanamente parlando, un futuro buio e triste, poco importerebbe, purché Cristo, il tuo Signore, lo santifichi, e lo Spirito Santo ti dia coraggio, energia e forza.
E’ una benedizione essere in grado di dire con Madame Guyon: « Per me è lo stesso, purché l’ordini l’amore, vita o morte, sofferenza o conforto. L’anima mia non soffre veramente nel dolore, né si delizia negli agi e nella buona salute: solo un bene desidera, e quello solo, cioè fare, o Dio, la Tua volontà, libero dall’egoismo, preferendo una casetta al trono, la sofferenza al conforto, se questo è quel che ti piace. Tu ci hai ordinato di portare la Tua croce, cioè di morire al mondo e di non vivere più nel peccato. Sono quindi pronto a soffrire impassibile sotto i colpi di una mano crudele, così come sono contento quando faccio naufragio o quando sono sicuro sulla spiaggia ».
Questo è davvero uno stato felice da raggiungere, poiché « Egli dà il sonno ai Suoi diletti ».
Ah, se voi avete caparbietà nei vostri cuori, chiedete a Dio di sradicarla! Avete egoismo? Supplicate lo Spirito Santo che lo scacci; poiché se desiderate fare sempre la volontà di Dio, voi dovete essere felici. Ho sentito di una vecchia signora che abitava in una casa di campagna e non aveva nient’altro che un pezzo di pane e un po’ d’acqua. Eppure alzando le braccia a mo’ di benedizione diceva; « Cosa! Tutto questo ed anche Cristo? » E’ il « tutto questo » confrontato con ciò che meritiamo.
Ho letto anche di una persona morente, alla quale fu chiesto se desiderava vivere o morire; egli rispose: « Non ho nessun desiderio in merito ». « Ma se tu potessi desiderare, cosa sceglieresti? » « Non sceglierei affatto ». « Ma se Dio ti imponesse di scegliere? » « Implorerei Dio di scegliere al posto mio, perché io non saprei cosa desiderare ». Che condizione felice! Essere perfettamente arrendevole, arrendersi nella Sua mano e non conoscere altra volontà che la Sua! Sì! « Egli dà il riposo ai Suoi diletti ».
V. In quinto luogo c’è il sonno della sicurezza. Salomone dormiva con uomini armati intorno al letto e così dormiva al sicuro. Ma il padre di Salomone una notte dormì sulla nuda terra, non in un palazzo, senza il fossato intorno alle mura del castello, ma egli dormiva sicuro come suo figlio, in quanto aveva dichiarato: « Mi sono coricato ed ho dormito, e mi sono risvegliato, poiché il Signore mi ha sostenuto ».
Ora, alcune persone non si sentono affatto al sicuro in questo mondo; mi chiedo se la metà dei miei ascoltatori si senta così. Supponete che fra un attimo mi mettessi a cantare così: « Resisterò fino alla fine, fidandomi del pegno datomi; più felici, ma non più sicuri sono gli spiriti glorificati nel cielo ». Voi direste che questa è una dottrina troppo profonda, ed io risponderei che probabilmente lo è per voi, ma è la verità di Dio ed è dolce dottrina per me sapere che se sono predestinato secondo la preconoscenza di Dio Padre, devo essere salvato; se sono stato acquistato con il sangue del Figlio non posso essere perduto, perché sarebbe impossibile per Gesù Cristo perdere uno che ha redento, altrimenti Egli sarebbe deluso della Sua opera. Io so che dove Egli ha iniziato una buona opera, la porterà avanti.
Non ho mai timore di deviare o di perdermi; il mio unico timore è che io non abbia avuto ragione prima; ma, ammesso che io abbia ragione, se io sono veramente un figlio di Dio, potrei credere che il sole potrebbe impazzire e rotolare per l’universo come un ubriaco; potrei credere che le stelle potrebbero abbandonare la loro rotta e invece di muoversi secondo un determinato ordine, come fanno adesso, volteggiare confusamente, come in una danza dei Baccanali; potrei perfino concepire che questo grande Universo possa tutto acquietarsi in Dio proprio come la schiuma si deposita di nuovo sull’onda che la porta. Ma né la ragione, né l’eresia, la logica, l’eloquenza, né un conclave ecclesiastico attirerebbero la mia attenzione per un solo momento sul vile suggerimento che un figlio di Dio possa perire. Perciò cammino su questa terra con fiducia.
Discutendo qualche tempo fa con un Arminiano mi disse: « Signore, voi dovreste essere un uomo felice, perché se ciò che dite è vero, allora voi siete sicuro di essere in Cielo come se foste già là ». Risposi: « Sì, lo so ». « Allora dovreste vivere affrontando tranquillamente preoccupazioni e tribolazioni e cantare felice dalla mattina alla sera ». Ed io replicai: « Dovrei farlo, e così farò con l’aiuto di Dio ». Questa è la sicurezza – « Egli dà il sonno ai suoi diletti ».
Sapere che se dovessi morire, entrerei nel Cielo – essere sicuro come lo sono della mia esistenza, che Dio, avendomi amato di un amore eterno, ed essendo immutabile, non mi odierà mai, se una volta mi ha amato; sapere che devo entrare nel Regno di Gloria, non è questo sufficiente a rendere tutti i pesi leggeri e darmi i piedi della cerva cosicché io possa ergermi sulle alture?
Oh felice stato della sicurezza! Perciò egli dà ai suoi diletti il sonno.
E c’è un riposo, miei cari amici, che viene dalla sicurezza, di cui si può godere sulla terra persino in mezzo ai problemi più grandi. Ricordate quel passo nel libro di Ezechiele dove viene detto: « Essi dimoreranno al sicuro nel deserto e dormiranno nei boschi »? (Ezechiele 34:25). Un posto strano in cui dormire! Nei boschi. C’è un lupo laggiù, una tigre nella giungla, un’aquila si alza nel cielo, un’orda di ladri dimora nella foresta oscura. « Non importa », dice il Figlio di Dio – « colui che ha fatto di Dio il suo rifugio, troverà una dimora più che sicura, camminerà tutto il giorno alla sua ombra e là, alla sera, poserà il suo capo ».
Ho ammirato spesso Martin Lutero e mi sono stupito della sua calma. Quando tutti parlavano male di lui cosa disse? Considerate quel Salmo: « Dio è il nostro rifugio e la nostra forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà; perciò noi non temeremo anche se la terra è sconvolta, se i monti si muovono in mezzo al mare » (Salmo 46:1-2).
In misura molto più piccola, mi sono trovato nella stessa situazione di Martin Lutero; sono stato fatto bersaglio di critiche, oggetto di riso e scherno, ma tutto questo non ha ancora spezzato il mio spirito, né lo farà, in quanto sono in grado di godere di quello stato di tranquillità – « quindi Egli dà il sonno ai suoi diletti ». Ma mi permetto di informare coloro che scelgono di calunniarmi o di parlare male di me, che sono i benvenuti nel farlo, finché non si stancheranno. Il mio motto è « Cedo nulli », cioè « Non mi arrendo a nessuno ».
Non sono mai andato in cerca dell’affetto di nessuno; non ho chiesto ad alcuno di prestare attenzione al mio ministero; predico ciò che mi piace, quando mi piace e come mi piace. Oh, felice condizione: essere coraggioso, sebbene abbattuto ed afflitto; andare a inginocchiarmi e dire a mio Padre tutto, e poi scendere dalla mia cameretta e dire: « Se a causa del tuo amato nome, la vergogna ed il biasimo mi colpiranno, darò il benvenuto al rimprovero e darò il benvenuto alla vergogna, poiché tu ti ricorderai di me ».
VI. L’ultimo sonno che Dio concede ai suoi diletti è il sonno di un felice congedo. Sono stato presso la tomba di molti servi del Signore. Ho sepolto alcuni degli uomini eccellenti della terra, e quando do l’addio ad un mio fratello che giace giù nella sua bara, di solito inizio il mio discorso con queste parole: « Egli dona il sonno a coloro che ama ». Cari servi del Signore! Vi vedo là! Cosa posso dire di loro se non « Egli dona il riposo a coloro che ama »? Oh, felice sonno! Questo mondo è in continuo movimento, ma in quella tomba essi riposano. Niente dolore là; niente sospiri, lamenti che si mescolino con i canti sgorganti da lingue immortali. Posso ben rivolgermi ai morti in questo modo: « Fratello mio, spesso tu hai combattuto le battaglie di questo mondo; hai affrontato i tuoi problemi, le tue prove ed i tuoi dolori, ma ora sei andato, non in un mondo sconosciuto, ma nella terra della luce e della gloria. Dormi pure fratello! La tua anima non dorme, poiché sei in cielo, ma il tuo corpo riposa. La morte ti ha posto sull’ultimo giaciglio; può darsi che esso sia freddo, ma è santificato; può darsi che sia umido, ma è sicuro; e nella mattina della resurrezione, quando l’Arcangelo porterà la sua tromba alla bocca, tu risorgerai – « Beati coloro che muoiono nel Signore; sì, dice lo Spirito, poiché essi si riposano dalle loro fatiche e le loro opere li seguiranno » (Apocalisse 14:13). Dormi nella tua tomba, fratello mio, poiché tu risorgerai in gloria. Quindi « Dio dà il riposo a coloro che Egli ama ».
Alcuni di voi hanno paura di morire, e a buona ragione, poiché la morte per voi sarebbe l’inizio dei dolori ed al suo avvicinarsi potreste udire la voce dell’Angelo dell’Apocalisse: « Una calamità è passata, ma ecco altri due guai stanno per arrivare ». Signori, se dovessimo morire impreparati, inconvertiti e quindi non salvati, non ci rimarrebbe niente altro che una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà i ribelli (Ebrei 10:27).
Non c’è bisogno di parlare come un « figlio del tuono » (Marco 3:17), poiché è una verità ben nota a voi che, senza Dio, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza dei santi, la vostra sorte sarà fra i dannati, i demoni, i torturati, le anime che non trovano riposo. « Gettàti sopra onde di ardente zolfo infernale, per sempre, per sempre perduti! »
« L’ira a venire! L’ira a venire! » Ma, amato fratello credente, perché hai paura di morire? Vieni, fatti prendere per mano. A te e a me per grazia è stato dato di conoscere il prezioso nome del Salvatore; e fra breve incontreremo in cielo il nostro scopo, la nostra speranza, la nostra via.
Sai che il Paradiso è proprio al di là di quel fiume stretto? Hai paura di tuffarti dentro e nuotarci? Temi di annegare? Io sento il fondo, è buono. Pensi che sprofonderai? Ascolta la voce dello Spirito: « Non temere, Io sono con te, non smarrirti, Io sono il tuo Dio, quando attraverserai il fiume, io sarò con te e le onde non ti sommergeranno ».
La morte è la porta della gioia infinita e tu temi di passarvici? Cosa? Hai paura di essere liberato dalla corruzione? Oh, non dire così, ma piuttosto coricati felicemente e riposati in Gesù e sii benedetto.
Ho terminato di trattare questo tema. C’è solo una domanda che voglio ancora farvi prima che oltrepassiate quella porta. Credete sul serio di appartenere ai « diletti » menzionati qui? Posso essere indiscreto nel farvi una tale domanda – sono stato accusato proprio di questo in precedenza, ma non l’ho mai negato, piuttosto me ne sono attribuito il merito. Ma ora ancora seriamente e solennemente vi chiedo: credete di essere fra i « diletti »? E se accade che vogliate una prova, permettetemi di darvene tre, molto brevemente, e poi ho finito.
E’ stato detto che ci sono tre generi di predicatori: i predicatori dottrinali, i predicatori sperimentali e i predicatori pratici. Ora, io credo che ci siano tre elementi che costituiscono un Cristiano: una sana dottrina, un’ esperienza reale ed una buona pratica.
Consideriamo ora la vostra dottrina. Potete dire se appartenete ai diletti del Signore in parte in base ad essa. Alcuni pensano che non sia importante ciò che un uomo crede. Scusatemi – la verità è sempre preziosa, e l’ultimo atomo di verità è degno di essere scoperto. Oggigiorno le sette non si scontrano così tanto quanto nel passato. Forse questo è un bene, ma c’è il rovescio della medaglia: la gente non legge più la Bibbia come una volta. Si pensa che in fondo tutti abbiano ragione. Ora, io credo che possiamo essere tutti nel giusto parlando così, in generale, ma non abbiamo tutti ragione quando ci contraddiciamo l’un l’altro, e quindi ognuno dovrebbe esaminare la Bibbia per vedere che cosa è giusto.
Non ho paura di sottomettere il mio Calvinismo o la dottrina del battesimo del credente al vaglio della Bibbia. Un nobile colto, ma miscredente, disse una volta a Whitffeld: « Signore, sono un miscredente, non credo nella Bibbia, ma se la Bibbia è vera, voi avete ragione ed i vostri avversari arminiani sbagliano. Se la Bibbia è la Parola di Dio, la dottrina della grazia è vera », e aggiunse che se chiunque gli avesse garantito che la Bibbia era la verità, egli lo avrebbe sfidato a confutare il Calvinismo.
Le dottrine del peccato originale, dell’elezione, della chiamata efficace, della perseveranza finale, e tutte quelle grandi verità che si chiamano Calvinismo – sebbene Calvino non ne fosse l’autore, ma semplicemente un abile scrittore e un predicatore di tale argomento, sono, secondo me, le dottrine fondamentali del Vangelo che è in Gesù Cristo. Ora, io non vi chiedo se voi credete tutto questo; è possibile di no, ma io credo che voi lo crederete prima di entrare in Cielo. Io sono persuaso che, come Dio ha lavato i vostri cuori, Egli laverà anche le vostre menti prima che entriate in Cielo. Egli farà in modo che accettiate le dottrine giuste.
Ma io devo chiedervi se leggete la Bibbia. Io non ho nulla da ridire sul vostro conto questa mattina per il fatto che siete diversi da me; può darsi che io mi sbagli. Ma io voglio sapere se voi investigate le Scritture per trovare ciò che è la verità. E se non siete lettori della Bibbia, se accettate dottrine di seconda mano, se andate nella sala di culto e dite « Questo non mi piace », cosa importa che non vi piaccia, purché sia nella Bibbia? E’ questa una verità biblica o non lo è? Se è la verità di Dio, esaltiamola! Può anche non piacervi, ma lasciatemi ricordarvi che la verità che è in Gesù non è stata mai gradita agli uomini carnali ed io credo che non lo sarà mai. Il motivo per cui non lo amate, è perché essa ferisce troppo il vostro orgoglio, vi umilia. Esaminatevi dunque quanto alle dottrine bibliche.
Poi non dimenticatevi dell’esperienza. Ho paura che ci sia scarsa pratica fra di noi; ma dove c’è la sana dottrina, ci dovrebbe essere sempre un’esperienza vitale. Signori, mettetevi alla prova mediante l’esperienza. Avete mai avuto un’esperienza della vostra miseria, del vostro stato di depravazione, della vostra incapacità, della vostra morte nel peccato? Avete mai gustato la vita in Cristo, l’esperienza della luce del volto di Dio, di lotte con la corruzione? Avete fatto l’esperienza di comunione con Cristo, indotta dallo Spirito Santo e concessa per grazia? Se così, avete superato la prova dell’esperienza personale.
E, per concludere, abbiate cura della prova pratica. « La fede senza le opere è morta ». Colui che cammina nel peccato, è figlio del Diavolo, e colui che cammina nella giustizia è figlio della Luce. Non pensate di essere giusti, perché credete nelle dottrine giuste. Ci sono molti che credono giusto, ma agiscono in modo sbagliato e di conseguenza periscono. « Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio, perché quello che l’uomo avrà seminato quello pure mieterà » (Galati 6:7).
Ho finito. Lasciate che vi supplichi per la fragilità della vostra vita per la brevità del tempo, per le terribili realtà dell’eternità, per i peccati da voi commessi, per il perdono di cui avete bisogno, per il sangue e le ferite di Gesù, per la Sua seconda venuta per giudicare il mondo con giustizia, per la gloria del Cielo, per gli orrori dell’Inferno, per il tempo, per l’eternità, per tutto ciò che è buono, per tutto ciò che è sacro, lasciate che vi chieda, poiché voi amate le vostre anime, di investigare e vedere se siete fra i « diletti », coloro ai quali Dio dà il sonno. Dio vi benedica!

DIO È PER NOI UN RIFUGIO ED UNA FORZA

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DIO È PER NOI UN RIFUGIO ED UNA FORZA

“Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nella difficoltà. Perciò non temiamo se la terra è sconvolta, se i monti si smuovono in mezzo al mare, se le sue acque rumoreggiano, schiumano e si gonfiano, facendo tremare i monti.
C’è un fiume, i cui ruscelli rallegrano la città di Dio, il luogo santo della dimora dell’Altissimo. Dio si trova in essa: non potrà vacillare; Egli fa udire la sua voce, la terra si scioglie. Il Signore degli eserciti è con noi, il Dio di Giacobbe è il nostro rifugio.
Venite, guardate le opere del Signore, Egli fa sulla terra cose stupende. Fa cessare le guerre fino all’estremità della terra. “fermatevi”, dice “e riconoscete che io sono Dio. Io sarò glorificato fra le nazioni, sarò glorificato sulla terra”. Il Signore degli eserciti è con noi; il Dio di Giacobbe è il nostro.
(Salmo 46)

Il Salmo inizia con una certezza di fede: “Dio è per noi un rifugio ed una forza”. Questa è una constatazione che si basa sulle esperienze vissute. Perciò, visto quello che è successo, visto il manifestarsi della potenza di Dio, è scritto “noi non temiamo”, parola che esprime la certezza della fede, dell’essere sicuri perché fondati su quanto è avvenuto nel passato. Così cantava l’antico Israele. Anche oggi la fede nell’azione di Dio nel passato fonda la certezza per l’azione di Dio nel futuro. La fede cristiana infatti è ancorata alla fedeltà di Dio, all’azione divina della storia. Il nostro domani è nelle mani di Dio fedele alle promesse di salvezza e di amore per il suo popolo e per tutti gli uomini.
Ma il Salmo continua: “perciò non temiamo se la terra è sconvolta”. Facciamoci una domanda: oggi possiamo anche noi dire come il salmista: “perciò non temiamo?”.
Consideriamo la nostra situazione oggi. Il testo infatti accenna a possibili situazioni negative. Parla di “terra sconvolta” e “montagne scosse”, questo fa pensare ai terremoti. Il testo parla di “acque che rumoreggiano, schiumano e si gonfiano facendo tremare i monti”, questo fa pensare a nubifragi, frane e maremoti. Siamo così lontani da questa realtà?
Abbiamo ancora eventi naturali che scuotono e che ci danno un forte senso di impotenza. Ma ciò che spesso ci sconvolge è che questi eventi non sono casuali, ma sono la risposta naturale alle manomissioni dell’uomo sulla natura trattata nono come dono di Dio, ma come preda da spartire e violentare per l’arricchimento di pochi. Accanto a questi sconvolgimenti poi esistono i grandi smottamenti dovuti al normale assesto idrogeologico; sconvolgimenti che avvengono solitamente a distanza di secoli, ma che abbiamo vissuto ultimamente. Quanto scritto nel Salmo è storia di oggi.
Ma questo non basta. Il Salmo parla anche di nazioni che rumoreggiano, regni che vacillano. Impossibile elencare la grande quantità di guerre e conflitti etnici esistenti nel mondo. Ci Sono continuamente conferenze e riunioni internazionali nel tentativo di risolvere queste crisi che sorgono all’improvviso o che durano da secoli. Anche in questo Salmo si racconta la storia dei nostri giorni: una situazione negativa che investe il mondo.
Ma qual è la nostra reazione a questa situazione generale?
Come credenti partecipiamo alla vita degli uomini e non possiamo estraniarci dalle responsabilità e dall’impegno umano per arginare le crisi. Ogni tentativo, ogni azione, ogni aiuto umanitario, ogni lotta che la società intraprende per tentare una via di soluzione deve vedere i credenti in prima linea solidali con chi sacrifica se stesso ed i propri interessi per creare a tutti uno spazio vitale, una società aperta e nuova. In questo senso come singoli e come comunità partecipiamo con le nostre voci, con la nostra presenza ed il nostro aiuto a tutte quelle iniziative che rivendicano la pace e la necessità di tutti gli esseri umani senza distinzione, di avere le stesse opportunità e lo stesso diritto alla vita che ha bisogno anche di cibo, vestiti, medicine e tutto il necessario. La tecnica del riccio che quando avverte il pericolo si appallottola su se stessi e tira fuori le spine è irresponsabile sintomo di rinuncia e di viltà. I credenti che si chiudono sono i primi ad essere trascinati nella rovina delle strutture inique della società così come il riccio per quanto spinoso verrebbe travolto dalle “acque schiumeggianti” del nostro testo.
Partecipare alle lotte degli uomini come credenti però significa parteciparvi con metodi e contenuti diversi da quelli dettati dalle parti in causa. Il credente è portatore dei metodi e del messaggio di salvezza di Dio per la storia e per gli uomini e questa la vocazione specifica del popolo di Dio che vive della Sua presenza e su questa fonda la propria azione, la propria testimonianza quotidiana e la certezza della vittoria.
L’antico Israele vedeva la presenza di Dio in Gerusalemme, nel tempio con le sue mura e l’arca, nella città santa, sicuro rifugio. Per noi la presenza di Dio è legata non ad un luogo, ma ad una persona: Gesù Cristo, Dio per noi. E’ con Cristo che deve confrontarsi la storia degli uomini perché Cristo è il Signore degli uomini e della storia. Il credente sa che non saranno le soluzioni umane a salvare l’umanità, ma solo una conversione a Cristo, a Colui che rappresenta un rifugio ed una forza, la roccia su cui fondarci.
Ma per far questo, il Salmo ci grida un messaggio urgente, una visione profetica. E’ un messaggio di richiamo alla realtà: “fermatevi e riconoscete che io sono Dio” (verso 10).
“Fermatevi” significa dire all’uomo che la sua corsa al progresso senza limiti, alla supremazia dell’uomo sull’uomo e delle nazioni, la corsa al denaro, al benessere, è una corsa verso la rovina. La corsa verso soluzioni centrate sull’uomo è soltanto una fuga dalle responsabilità perché tutto ciò che è umano è provvisorio e noi viviamo in questa provvisorietà.
“Riconoscete che io sono Dio” vuol dire date a Dio il primo posto nella vita, vuol dire riscoprite la sovranità di Dio. Riconoscete Dio come Signore vuol dire ritrovare il senso dei propri limiti. Riscoprire l’uomo alla luce di Dio vuol dire avere una nuova etica sociale del lavoro, politica, personale, coniugale. E questo resta valido di fronte a qualsiasi terremoto, sia esso mondiale, sia esso personale quando situazioni avverse, egoismi, malvagità, incapacità nostre od altrui ci hanno portato ad una crisi profonda fino al punto da non farci più sentire la voce di Colui che ci ama.
Dove l’essere umano sa fermarsi per considerare la maestà di Dio lì nasce l’uomo nuovo che vince la crisi e vive la propria storia in modo responsabile per il bene di tutta l’umanità. Chi crede nell’Iddio vivente ed operante ha una visione profetica perché vede come già realizzato il futuro: “egli fa sulla terra cose stupende. Fa cessare le guerre fino all’estremità della terra”. Questo versetto è l’invito a vedere la vittoria di Dio allora sul campo assiro distrutto ed abbandonato, oggi sui disastri della terra e sulle sicurezze costruite dagli uomini. Questo versetto diviene profezia della vittoria del Regno di Dio come regno di pace in cui non ci sarà più alcuna guerra.
I credenti testimoniano perché questo Regno venga, pur sapendo che la venuta del Regno è nelle mani di Dio e la sua realizzazione non sarà frutto delle soluzioni umane. Il nostro compito è indicare agli uomini che solo in Cristo e nel riconoscimento della sua Signoria è l’unica soluzione ai problemi. Predicare questa vittoria sul male è credere che Dio agisce, è operare per manifestare che già in noi Egli è il Signore, è indicare le cose grandi e le soluzioni di Dio e
non noi stessi e la nostra provvisorietà. Allora una Chiesa operante e potente potrà portare frutti di pace e di salvezza e essere segno delle cose grandi di Dio.
Operiamo con fede, testimoniamo con fermezza perché “Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà” ed Egli “glorificato sulla terra”.

Di Marco Scuderi

IL PASSERO E LA RONDINE

http://www.cultura.va/content/cultura/it/organico/cardinale-presidente/recensioni/famiglia-cristiana-articoli0/il-passero-e-la-rondine.html

IL PASSERO E LA RONDINE

(Cardinale Ravasi)

Anche il passero trova una casa e la rondine il suo nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio! (Salmo 84,4)

Un po’ tutti qualche volta siamo stati catturati dagli arabeschi che i voli degli uccelli disegnano nel cielo, soprattutto quando si tratta di rondini e passeri che fanno parte del nostro paesaggio quotidiano. Secoli fa anche un poeta ebreo era là, col volto fisso in alto, nel cielo limpido di Gerusalemme, a contemplare lo svolazzare di questi uccelli che avevano ricavato spazi per i loro nidi nei cornicioni del tempio di Sion. La dolce e delicata immagine di questi uccelli si era, così, trasformata in poesia, anzi, in preghiera.
È appunto il frammento del Salmo 84 da noi proposto, un piccolo ritaglio contenente quella scena e appartenente a un inno in onore di Sion, il colle gerosolimitano che ospitava il tempio, la sede della presenza del Signore, cittadino tra i suoi concittadini umani. Non ci deve stupire che in un quadretto così intenso, amabile e spirituale entri un’invocazione apparentemente tanto forte e fin dura, «Signore degli eserciti», in ebraico Jhwh seba’ôt. Questo, infatti, era il titolo divino tipico del santuario di Gerusalemme e la prima idea sottesa non era tanto quella delle armate ebraiche guidate dal generale supremo, quanto piuttosto quella cosmica dell’“esercito” delle stelle e degli elementi naturali che obbediscono al loro Creatore. Nel libro del profeta Baruk si legge: «Le stelle brillano nelle loro postazioni di guardia e gioiscono. Il Signore le chiama ed esse rispondono: Eccoci!, sfavillanti di gioia in onore del loro Creatore» (3, 34-35).
Ma ritorniamo all’immagine del nostro versetto. Essa è preparata da un’appassionata invocazione-esclamazione: «Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e si strugge per gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente!» (84,2-3). Il Salmista, a questo punto, invidia passeri e rondini che non si staccano dal tempio, come deve fare lui, pellegrino che ormai sta per lasciare il tempio di Sion, probabilmente dopo una delle tre cosiddette “feste di pellegrinaggio” (in questo caso pare non siano né Pasqua, né Pentecoste, bensì la solennità delle Capanne, legata alla vendemmia: si parla, infatti, nel versetto 7 delle «prime piogge» che sono appunto quelle autunnali). Fortunati, dunque, questi uccelli che hanno qui la loro dimora e non si devono distaccare per ritornare a valle, nella quotidianità.
Dietro di essi l’orante intravede i ministri del tempio che hanno una residenza perpetua e non solo temporanea (come il pellegrino) a Sion, in una costante intimità con Dio. Tuttavia, egli non rimpiange questa manciata di ore che ha trascorso lassù e che adesso è finita, perché «anche un sol giorno nei tuoi atri vale più di mille» altrove. E continua: «Ho scelto di stare sulla soglia del mio Dio piuttosto che dimorare nelle tende degli empi» (84,11). È evidente il contrasto tra due «tende», quella dell’arca dell’alleanza del Signore in Gerusalemme, e i padiglioni dei templi idolatrici o dei palazzi dei potenti.
Solo nella casa del vero Dio c’è la vita, il sole, la protezione contro gli incubi del male: «Sole e scudo è il Signore Dio che concede grazia e gloria e non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine» (84,12). Il clima spirituale è quello che esprime anche un poeta mistico indiano, nella sincerità della sua fede. È Kabir, vissuto nel XV secolo, che cantava: «O cuore mio, non staccarti dal sorriso del tuo Dio, non errare lontano da lui. Colui che veglia sugli uccelli, sulle bestie e gli insetti, colui che ti cura da quand’eri ancora nel grembo di tua madre, non ti proteggerà ora che ne sei uscito?».

BENEDETTO XVI – IL « GRANDE HALLEL », SALMO 136 (135)

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20111019_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

PIAZZA SAN PIETRO

MERCOLEDÌ, 19 OTTOBRE 2011

IL « GRANDE HALLEL », SALMO 136 (135)

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei meditare con voi un Salmo che riassume tutta la storia della salvezza di cui l’Antico Testamento ci dà testimonianza. Si tratta di un grande inno di lode che celebra il Signore nelle molteplici, ripetute manifestazioni della sua bontà lungo la storia degli uomini; è il Salmo 136 – o 135 secondo la tradizione greco-latina.
Solenne preghiera di rendimento di grazie, conosciuto come il “Grande Hallel”, questo Salmo è tradizionalmente cantato alla fine della cena pasquale ebraica ed è stato probabilmente pregato anche da Gesù nell’ultima Pasqua celebrata con i discepoli; ad esso sembra infatti alludere l’annotazione degli Evangelisti: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (cfr Mt 26,30; Mc 14,26). L’orizzonte della lode illumina così la difficile strada del Golgota. Tutto il Salmo 136 si snoda in forma litanica, scandito dalla ripetizione antifonale «perché il suo amore è per sempre». Lungo il componimento, vengono enumerati i molti prodigi di Dio nella storia degli uomini e i suoi continui interventi in favore del suo popolo; e ad ogni proclamazione dell’azione salvifica del Signore risponde l’antifona con la motivazione fondamentale della lode: l’amore eterno di Dio, un amore che, secondo il termine ebraico utilizzato, implica fedeltà, misericordia, bontà, grazia, tenerezza. È questo il motivo unificante di tutto il Salmo, ripetuto in forma sempre uguale, mentre cambiano le sue manifestazioni puntuali e paradigmatiche: la creazione, la liberazione dell’esodo, il dono della terra, l’aiuto provvidente e costante del Signore nei confronti del suo popolo e di ogni creatura.
Dopo un triplice invito al rendimento di grazie al Dio sovrano (vv. 1-3), si celebra il Signore come Colui che compie «grandi meraviglie» (v. 4), la prima delle quali è la creazione: il cielo, la terra, gli astri (vv. 5-9). Il mondo creato non è un semplice scenario su cui si inserisce l’agire salvifico di Dio, ma è l’inizio stesso di quell’agire meraviglioso. Con la creazione, il Signore si manifesta in tutta la sua bontà e bellezza, si compromette con la vita, rivelando una volontà di bene da cui scaturisce ogni altro agire di salvezza. E nel nostro Salmo, riecheggiando il primo capitolo della Genesi, il mondo creato è sintetizzato nei suoi elementi principali, insistendo in particolare sugli astri, il sole, la luna, le stelle, creature magnifiche che governano il giorno e la notte. Non si parla qui della creazione dell’essere umano, ma egli è sempre presente; il sole e la luna sono per lui – per l’uomo – per scandire il tempo dell’uomo, mettendolo in relazione con il Creatore soprattutto attraverso l’indicazione dei tempi liturgici.
Ed è proprio la festa di Pasqua che viene evocata subito dopo, quando, passando al manifestarsi di Dio nella storia, si inizia con il grande evento della liberazione dalla schiavitù egiziana, dell’esodo, tracciato nei suoi elementi più significativi: la liberazione dall’Egitto con la piaga dei primogeniti egiziani, l’uscita dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso, il cammino nel deserto fino all’entrata nella terra promessa (vv. 10-20). Siamo nel momento originario della storia di Israele. Dio è intervenuto potentemente per portare il suo popolo alla libertà; attraverso Mosè, suo inviato, si è imposto al faraone rivelandosi in tutta la sua grandezza ed, infine, ha piegato la resistenza degli Egiziani con il terribile flagello della morte dei primogeniti. Così Israele può lasciare il Paese della schiavitù, con l’oro dei suoi oppressori (cfr Es 12,35-36), «a mano alzata» (Es 14,8), nel segno esultante della vittoria. Anche al Mar Rosso il Signore agisce con misericordiosa potenza. Davanti ad un Israele spaventato alla vista degli Egiziani che lo inseguono, tanto da rimpiangere di aver lasciato l’Egitto (cfr Es 14,10-12), Dio, come dice il nostro Salmo, «divise il Mar Rosso in due parti […] in mezzo fece passare Israele […] vi travolse il faraone e il suo esercito» (vv. 13-15). L’immagine del Mar Rosso “diviso” in due, sembra evocare l’idea del mare come un grande mostro che viene tagliato in due pezzi e così reso inoffensivo. La potenza del Signore vince la pericolosità delle forze della natura e di quelle militari messe in campo dagli uomini: il mare, che sembrava sbarrare la strada al popolo di Dio, lascia passare Israele all’asciutto e poi si richiude sugli Egiziani travolgendoli. «La mano potente e il braccio teso» del Signore (cfr Deut 5,15; 7,19; 26,8) si mostrano così in tutta la loro forza salvifica: l’ingiusto oppressore è stato vinto, inghiottito dalle acque, mentre il popolo di Dio “passa in mezzo” per continuare il suo cammino verso la libertà.

A questo cammino fa ora riferimento il nostro Salmo ricordando con una frase brevissima il lungo peregrinare di Israele verso la terra promessa: «Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre» (v. 16). Queste poche parole racchiudono un’esperienza di quarant’anni, un tempo decisivo per Israele che lasciandosi guidare dal Signore impara a vivere di fede, nell’obbedienza e nella docilità alla legge di Dio. Sono anni difficili, segnati dalla durezza della vita nel deserto, ma anche anni felici, di confidenza nel Signore, di fiducia filiale; è il tempo della “giovinezza”, come lo definisce il profeta Geremia parlando a Israele, a nome del Signore, con espressioni piene di tenerezza e di nostalgia: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata» (Ger 2,2). Il Signore, come il pastore del Salmo 23 che abbiamo contemplato in una catechesi, per quarant’anni ha guidato il suo popolo, lo ha educato e amato, conducendolo fino alla terra promessa, vincendo anche le resistenze e l’ostilità di popoli nemici che volevano ostacolarne il cammino di salvezza (cfr vv. 17-20).
Nello snodarsi delle «grandi meraviglie» che il nostro Salmo enumera, si giunge così al momento del dono conclusivo, nel compiersi della promessa divina fatta ai Padri: «Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre; in eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre» (vv. 21-22). Nella celebrazione dell’amore eterno del Signore, si fa ora memoria del dono della terra, un dono che il popolo deve ricevere senza mai impossessarsene, vivendo continuamente in un atteggiamento di accoglienza riconoscente e grata. Israele riceve il territorio in cui abitare come “eredità”, un termine che designa in modo generico il possesso di un bene ricevuto da un altro, un diritto di proprietà che, in modo specifico, fa riferimento al patrimonio paterno. Una delle prerogative di Dio è di “donare”; e ora, alla fine del cammino dell’esodo, Israele, destinatario del dono, come un figlio, entra nel Paese della promessa realizzata. È finito il tempo del vagabondaggio, sotto le tende, in una vita segnata dalla precarietà. Ora è iniziato il tempo felice della stabilità, della gioia di costruire le case, di piantare le vigne, di vivere nella sicurezza (cfr Dt 8,7-13). Ma è anche il tempo della tentazione idolatrica, della contaminazione con i pagani, dell’autosufficienza che fa dimenticare l’Origine del dono. Perciò il Salmista menziona l’umiliazione e i nemici, una realtà di morte in cui il Signore, ancora una volta, si rivela come Salvatore: «Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre; ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre» (vv. 23-24).
A questo punto nasce la domanda: come possiamo fare di questo Salmo una preghiera nostra, come possiamo appropriarci, per la nostra preghiera, di questo Salmo? Importante è la cornice del Salmo, all’inizio e alla fine: è la creazione. Ritorneremo su questo punto: la creazione come il grande dono di Dio del quale viviamo, nel quale Lui si rivela nella sua bontà e grandezza. Quindi, tener presente la creazione come dono di Dio è un punto comune per noi tutti. Poi segue la storia della salvezza. Naturalmente noi possiamo dire: questa liberazione dall’Egitto, il tempo del deserto, l’entrata nella Terra Santa e poi gli altri problemi, sono molto lontani da noi, non sono la nostra storia. Ma dobbiamo stare attenti alla struttura fondamentale di questa preghiera. La struttura fondamentale è che Israele si ricorda della bontà del Signore. In questa storia ci sono tante valli oscure, ci sono tanti passaggi di difficoltà e di morte, ma Israele si ricorda che Dio era buono e può sopravvivere in questa valle oscura, in questa valle della morte, perché si ricorda. Ha la memoria della bontà del Signore, della sua potenza; la sua misericordia vale in eterno. E questo è importante anche per noi: avere una memoria della bontà del Signore. La memoria diventa forza della speranza. La memoria ci dice: Dio c’è, Dio è buono, eterna è la sua misericordia. E così la memoria apre, anche nell’oscurità di un giorno, di un tempo, la strada verso il futuro: è luce e stella che ci guida. Anche noi abbiamo una memoria del bene, dell’amore misericordioso, eterno di Dio. La storia di Israele è già una memoria anche per noi, come Dio si è mostrato, si è creato un suo popolo. Poi Dio si è fatto uomo, uno di noi: è vissuto con noi, ha sofferto con noi, è morto per noi. Rimane con noi nel Sacramento e nella Parola. E’ una storia, una memoria della bontà di Dio che ci assicura la sua bontà: il suo amore è eterno. E poi anche in questi duemila anni della storia della Chiesa c’è sempre, di nuovo, la bontà del Signore. Dopo il periodo oscuro della persecuzione nazista e comunista, Dio ci ha liberati, ha mostrato che è buono, che ha forza, che la sua misericordia vale per sempre. E, come nella storia comune, collettiva, è presente questa memoria della bontà di Dio, ci aiuta, ci diventa stella della speranza, così anche ognuno ha la sua storia personale di salvezza, e dobbiamo realmente far tesoro di questa storia, avere sempre presente la memoria delle grandi cose che ha fatto anche nella mia vita, per avere fiducia: la sua misericordia è eterna. E se oggi sono nella notte oscura, domani Egli mi libera perché la sua misericordia è eterna.
Ritorniamo al Salmo, perché, alla fine, ritorna alla creazione. Il Signore – così dice – «dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre» (v. 25). La preghiera del Salmo si conclude con un invito alla lode: «Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre». Il Signore è Padre buono e provvidente, che dà l’eredità ai propri figli ed elargisce a tutti il cibo per vivere. Il Dio che ha creato i cieli e la terra e le grandi luci celesti, che entra nella storia degli uomini per portare alla salvezza tutti i suoi figli è il Dio che colma l’universo con la sua presenza di bene prendendosi cura della vita e donando pane. L’invisibile potenza del Creatore e Signore cantata nel Salmo si rivela nella piccola visibilità del pane che ci dà, con il quale ci fa vivere. E così questo pane quotidiano simboleggia e sintetizza l’amore di Dio come Padre, e ci apre al compimento neotestamentario, a quel “pane di vita”, l’Eucaristia, che ci accompagna nella nostra esistenza di credenti, anticipando la gioia definitiva del banchetto messianico nel Cielo.
Fratelli e sorelle, la lode benedicente del Salmo 136 ci ha fatto ripercorrere le tappe più importanti della storia della salvezza, fino a giungere al mistero pasquale, in cui l’azione salvifica di Dio arriva al suo culmine. Con gioia riconoscente celebriamo dunque il Creatore, Salvatore e Padre fedele, che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Nella pienezza dei tempi, il Figlio di Dio si fa uomo per dare la vita, per la salvezza di ciascuno di noi, e si dona come pane nel mistero eucaristico per farci entrare nella sua alleanza che ci rende figli. A tanto giunge la bontà misericordiosa di Dio e la sublimità del suo “amore per sempre”.
Voglio perciò concludere questa catechesi facendo mie le parole che San Giovanni scrive nella sua Prima Lettera e che dovremmo sempre tenere presenti nella nostra preghiera: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1). Grazie.

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