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Omelia di Benedetto XVI per la chiusura dell’Anno Paolino, 28 giugno 2009

dal sito:

http://www.zenit.org/article-18791?l=italian

Omelia di Benedetto XVI per la chiusura dell’Anno Paolino

ROMA, domenica, 28 giugno 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questa domenica sera, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro e Paolo per la chiusura dell’Anno Paolino.

* * *

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Illustri membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico,

Cari fratelli e sorelle,

rivolgo a ciascuno il mio saluto cordiale. In particolare, saluto il Cardinale Arciprete di questa Basilica e i suoi collaboratori, saluto l’Abate e la comunità monastica benedettina; saluto pure la Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. L’anno commemorativo della nascita di san Paolo si conclude stasera. Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione. Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora quelle interiori, che egli ha percorso durante la sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha attraversato con la fiaccola del Vangelo, incontrando contraddizione e adesione, fino al martirio, per il quale appartiene per sempre alla Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua Lettera più grande ed importante. L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana. E sempre, andando oltre l’ambiente dei credenti, egli rimane il “maestro delle genti”, che vuol portare il messaggio del Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo li ha conosciuti ed amati tutti; è morto e risorto per tutti loro. Vogliamo quindi ascoltarlo anche in questa ora in cui iniziamo solennemente la festa dei due Apostoli uniti fra loro da uno stretto legame.

Fa parte della struttura delle Lettere di Paolo che esse – sempre in riferimento al luogo ed alla situazione particolare – spieghino innanzitutto il mistero di Cristo, ci insegnino la fede. In una seconda parte, segue l’applicazione alla nostra vita: che cosa consegue a questa fede? Come essa plasma la nostra esistenza giorno per giorno? Nella Lettera ai Romani, questa seconda parte comincia con il dodicesimo capitolo, nei primi due versetti del quale l’Apostolo riassume subito il nucleo essenziale dell’esistenza cristiana. Che cosa dice a noi san Paolo in quel passaggio? Innanzitutto afferma, come cosa fondamentale, che con Cristo è iniziato un nuovo modo di venerare Dio – un nuovo culto. Esso consiste nel fatto che l’uomo vivente diventa egli stesso adorazione, “sacrificio” fin nel proprio corpo. Non sono più le cose ad essere offerte a Dio. È la nostra stessa esistenza che deve diventare lode di Dio. Ma come avviene questo? Nel secondo versetto ci vien data la risposta: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio…” (12, 2). Le due parole decisive di questo versetto sono: “trasformare” e “rinnovare”. Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza. Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con ragione è sempre scontento della realtà concreta. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e migliore. All’inizio sta il rinnovamento dell’uomo. Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo. Ciò significa anche che non basta adattarsi alla situazione attuale. L’Apostolo ci esorta ad un non-conformismo. Nella nostra Lettera si dice: non sottomettersi allo schema dell’epoca attuale. Dovremo tornare su questo punto riflettendo sul secondo testo che stasera voglio meditare con voi. Il “no” dell’Apostolo è chiaro ed anche convincente per chiunque osservi lo “schema” del nostro mondo. Ma diventare nuovi – come lo si può fare? Ne siamo davvero capaci? Con la parola circa il diventare nuovi, Paolo allude alla propria conversione: al suo incontro col Cristo risorto, incontro di cui nella Seconda Lettera ai Corinzi dice: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (5, 17). Era tanto sconvolgente per lui questo incontro con Cristo che dice al riguardo: “Sono morto” (Gal 2, 19; cfr Rm 6). Egli è diventato nuovo, un altro, perché non vive più per se stesso e in virtù di se stesso, ma per Cristo ed in Lui. Nel corso degli anni, però, ha anche visto che questo processo di rinnovamento e di trasformazione continua per tutta la vita. Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza. In Lui la nuova esistenza umana è diventata realtà, e noi possiamo veramente diventare nuovi se ci consegniamo alle sue mani e da Lui ci lasciamo plasmare.

Paolo rende ancora più chiaro questo processo di “rifusione” dicendo che diventiamo nuovi se trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui è stato tradotto con “modo di pensare”, è il termine greco “nous”. È una parola complessa. Può essere tradotta con “spirito”, “sentimenti”, “ragione” e, appunto, anche con “modo di pensare”. La nostra ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende. Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire dobbiamo cambiare, un precetto di alterazione. Ma no: il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento. Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare comune è rivolto in genere verso il possesso, il benessere, l’influenza, il successo, la fama e così via. Ma in questo modo ha una portata troppo limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio “io” il centro del mondo. Dobbiamo imparare a pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte della frase: bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra volontà. Affinché noi stessi vogliamo ciò che vuole Dio, perché riconosciamo che ciò che Dio vuole è il bello e il buono. Si tratta dunque di una svolta nel nostro spirituale orientamento di fondo. Dio deve entrare nell’orizzonte del nostro pensiero: ciò che Egli vuole e il modo secondo cui Egli ha ideato il mondo e me. Dobbiamo imparare a prendere parte al pensare e al volere di Gesù Cristo. È allora che saremo uomini nuovi nei quali emerge un mondo nuovo.

Lo stesso pensiero di un necessario rinnovamento del nostro essere persona umana, Paolo lo ha illustrato ulteriormente in due brani della Lettera agli Efesini, sui quali pertanto vogliamo ancora riflettere brevemente. Nel quarto capitolo della Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo raggiungere l’età adulta, un’umanità matura. Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (4, 14). Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo. Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”. Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr Ef 4, 15). Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità. Il potere del male è la menzogna. Il potere della fede, il potere di Dio è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile quando guardiamo a Dio. E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo. Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili. In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri.

Ancora un altro pensiero importante appare nel versetto di san Paolo. L’Apostolo ci dice che, agendo secondo verità nella carità, noi contribuiamo a far sì che il tutto – l’universo – cresca tendendo a Cristo. Paolo, in base alla sua fede, non s’interessa soltanto della nostra personale rettitudine e non soltanto della crescita della Chiesa. Egli s’interessa dell’universo: ta pánta. Lo scopo ultimo dell’opera di Cristo è l’universo – la trasformazione dell’universo, di tutto il mondo umano, dell’intera creazione. Chi insieme con Cristo serve la verità nella carità, contribuisce al vero progresso del mondo. Sì, è qui del tutto chiaro che Paolo conosce l’idea di progresso. Cristo, il suo vivere, soffrire e risorgere è stato il vero grande salto del progresso per l’umanità, per il mondo. Ora, però, l’universo deve crescere in vista di Lui. Dove aumenta la presenza di Cristo, là c’è il vero progresso del mondo. Là l’uomo diventa nuovo e così diventa nuovo il mondo.

La stessa cosa Paolo ci rende evidente ancora a partire da un’altra angolatura. Nel terzo capitolo della Lettera agli Efesini egli ci parla della necessità di essere “rafforzati nell’uomo interiore” (3, 16). Con ciò riprende un argomento che prima, in una situazione di tribolazione, aveva trattato nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (4, 16). L’uomo interiore deve rafforzarsi – è un imperativo molto appropriato per il nostro tempo in cui gli uomini così spesso restano interiormente vuoti e pertanto devono aggrapparsi a promesse e narcotici, che poi hanno come conseguenza un ulteriore crescita del senso di vuoto nel loro intimo. Il vuoto interiore – la debolezza dell’uomo interiore – è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Deve essere rafforzata l’interiorità – la percettività del cuore; la capacità di vedere e comprendere il mondo e l’uomo dal di dentro, con il cuore. Noi abbiamo bisogno di una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad agire secondo la verità nella carità. Questo, tuttavia, non si realizza senza un intimo rapporto con Dio, senza la vita di preghiera. Abbiamo bisogno dell’incontro con Dio, che ci vien dato nei Sacramenti. E non possiamo parlare a Dio nella preghiera, se non lasciamo che parli prima Egli stesso, se non lo ascoltiamo nella parola, che ci ha donato. Paolo, al riguardo, ci dice: “Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3, 17ss). L’amore vede più lontano della semplice ragione, è ciò che Paolo ci dice con queste parole. E ci dice ancora che solo nella comunione con tutti i santi, cioè nella grande comunità di tutti i credenti – e non contro o senza di essa – possiamo conoscere la vastità del mistero di Cristo. Questa vastità, egli la circoscrive con parole che vogliono esprimere le dimensioni del cosmo: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Il mistero di Cristo ha una vastità cosmica: Egli non appartiene soltanto ad un determinato gruppo. Il Cristo crocifisso abbraccia l’intero universo in tutte le sue dimensioni. Egli prende il mondo nelle sue mani e lo porta in alto verso Dio. A cominciare da sant’ Ireneo di Lione – dunque fin dal II secolo – i Padri hanno visto in questa parola dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo un’allusione alla Croce. L’amore di Cristo ha abbracciato nella Croce la profondità più bassa – la notte della morte, e l’altezza suprema – l’elevatezza di Dio stesso. E ha preso tra le sue braccia l’ampiezza e la vastità dell’umanità e del mondo in tutte le loro distanze. Sempre Egli abbraccia l’universo – tutti noi.

Preghiamo il Signore, affinché ci aiuti a riconoscere qualcosa della vastità del suo amore. PreghiamoLo, affinché il suo amore e la sua verità tocchino il nostro cuore. Chiediamo che Cristo abiti nei nostri cuori e ci renda uomini nuovi, che agiscono secondo verità nella carità. Amen !

di Luigi Padovese: Pasqua fra i musulmani, nella terra di san Paolo

dal sito:

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=14940&size=A

TURCHIA

Pasqua fra i musulmani, nella terra di san Paolo

di Luigi Padovese*

Il vicario apostolico dell’Anatolia racconta il significato della Pasqua nell’anno dedicato a san Paolo. La comunità cristiana in Turchia si trova come agli inizi della sua evangelizzazione. I pellegrini stranieri, la fraternità fra cattolici e ortodossi, lo stupore per il fascino di Gesù fra i musulmani. Una domanda al governo turco per una chiesa a Tarso.


Antakya (AsiaNews) – La Pasqua di quest’anno in Turchia è tutta speciale perché si celebra l’Anno Paolino e san Paolo è colui che ha portato l’annuncio di Gesù morto e risorto nella nostra terra.

In un ambiente saturo di religiosità, com’era il mondo antico, l’apostolo di Tarso ha concentrato l’annuncio nella fede in Dio, mediata dalla realtà concreta della morte e resurrezione di Gesù.

Nessuna religione ha tratti più coinvolgenti di questa fede che crede nella nascita di Dio come povero e morto da crocifisso. Questo annuncio che ci richiama alla concretezza della fede cristiana è un messaggio nei confronti dei poveri e dei sofferenti, come delle vittime dell’ingiustizia. Esso è divenuto il leit-motiv della catechesi verso i nostri cristiani, fin dalla mia prima lettera pastorale.

Come ai tempi dell’apostolo viviamo nella sua terra in una società non cristiana. Siamo un gruppo minoritario che corre il rischio di smarrire la propria identità attraverso un concetto generico di fede in Dio. Per questa ragione gli eventi della Pasqua che celebriamo sono importanti: ci rimandano a contemplare l’evento fondativo della nostra fede.

Una richiesta al governo per la chiesa di Tarso

Un fatto che ci conforta è vedere che proprio in questi giorni vi è un flusso continuo di pellegrini, anche stranieri, ad Antiochia e nei luoghi di san Paolo. Questa regione era al di fuori dei tour dei pellegrinaggi; invece quest’anno è stata battuta da migliaia di pellegrini. Non sono turisti, ma fedeli alla ricerca del contatto con i luoghi in cui l’apostolo ha vissuto. Paolo è nato a Tarso, ma ha fatto parte della comunità cristiana di Antiochia e ad Antiochia è sempre ritornato per il suo ministero. In Turchia egli ha percorso almeno16 mila km!

La Pasqua perciò qui da noi deve avere per forza una marcatura paolina. A questo proposito, noi speriamo in un grande dono pasquale: il ritorno della chiesa di Tarso ai cristiani. La conferenza episcopale turca e quella tedesca, le autorità del governo tedesco e la segreteria di stato vaticana hanno richiesto di avere a Tarso una chiesa dove i pellegrini di qualsiasi confessione cristiana possano radunarsi a pregare. A Tarso vi è una chiesa cristiana antica, che però è stata trasformata in museo. Per quest’anno le autorità turche ne hanno permesso l’uso, senza pagare il biglietto del museo. Ma si tratta di una misura che sta per scadere. Invece noi desideriamo che a Tarso vi sia un punto dove i cristiani possano sempre fare memoria dell’apostolo, non in un museo, ma in una chiesa. E aspettiamo una risposta da parte delle autorità. Mi auguro che questa risposta positiva ci venga data almeno entro la fine dell’Anno paolino (il 29 giugno 2009). Il dono della chiesa sarà anche una sorta di cartina di tornasole per misurare quanto le autorità turche vogliono fare per garantire la libertà religiosa. Abbiamo bisogno di fatti concreti per credere che qualcosa sta davvero cambiando in questo Paese.

Nessuna gelosia fra cattolici e ortodossi

Qui in Turchia le celebrazioni della Pasqua hanno anche un carattere ecumenico. Noi latini siamo una piccola comunità. Quest’anno la data della nostra Pasqua anticipa di una settimana quella ortodossa. È bello vedere come fra le diverse comunità cristiane non c’è opposizione, ma condivisione: ci sono ortodossi che vengono alle nostre funzioni e cattolici che vanno alle funzioni degli ortodossi. Da parte degli ortodossi, soprattutto i giovani, c’è desiderio di gustare la nostra liturgia, anche perché quella latina è in lingua turca, mentre quella ortodossa è in lingua araba e questo crea problemi di comprensione. Fra le due comunità non c’è assolutamente alcuna gelosia. C’è invece un sostenersi reciproco. Molti bambini ortodossi vanno nelle nostre parrocchie per la catechesi, tenuta anche da insegnanti ortodossi. Non c’è volontà di proselitismo, ma desiderio di aiutarci reciprocamente  a seconda dei messi e delle possibilità di cui ciascuno dispone. Tutto è legato alla situazione comune di essere una minoranza religiosa e questo ci permette di superare tante prevenzioni e chiusure.

Il nostro essere minoranza rende la nostra situazione molto simile a quella degli inizi del cristianesimo, quella in cui si è trovato  Paolo nel suo annuncio. L’apostolo, nato in un ambiente di pluralismo religioso, ci insegna ad avere un atteggiamento di rispetto nei confronti degli “altri” e questo comportamento positivo sentiamo di doverlo applicare al mondo islamico. Nonostante tutto, il nostro atteggiamento è molto positivo anche nei riguardi dell’islam. Qui io trovo tanta gente di buona volontà, coscienziosa. E san Paolo mi ha davvero insegnato questa novità della coscienza come il luogo della profondità della persona di fronte a Dio.

I martiri e le conversioni

Devo però aggiungere che per alcuni miei cristiani la Via Crucis è un fatto di oggi, non una cosa del passato. All’interno del vicariato di Anatolia ci sono davvero situazioni difficili. L’esperienza del martirio di don Andrea Santoro e altri fatti hanno lasciato il loro strascico. Ci sono ancora cristiani vicini alla sofferenza di Gesù.

Ma vi sono anche musulmani che si avvicinano al cristianesimo proprio attraverso le sofferenze di Gesù. Un piccolo numero sono divenuti cristiani. La loro è stata una scelta sofferta e meditata per le conseguenze, i rischi, le fatiche che porta nella loro vita. Eppure divengono cristiani proprio partendo dal fascino di Gesù che ha sofferto [nel Corano Gesù sfugge alla morte e fa morire un sostituto – ndr]. Del resto, anche in passato l’umanità di Gesù è stata esaltata da alcune personalità musulmane come il poeta Mevlana e altri mistici sufi.

*vicario apostolico dell’Anatolia

 

THE PAULINE YEAR – (IN INGLESE)

THE PAULINE YEAR - (IN INGLESE) dans anno paolino - notizie e novità  fullMap THE PAULINE YEAR

UN SITO DEDICATO ALL’ANNO PAOLINO, DIVERSI SCRITTI IN INGLESE, ANCORA QUESTA BELLA IMMAGINE SUI VIAGGI DI SAN PAOLO

http://www.faithfirst.com/html/paulineyear/timeline.html

I LUOGHI PAOLINI IN TURCHIA: DAL SITO WEB DELL’ANNO PAOLINO A TARSO, LINK AL SITO:

DAL SITO WEB DELL’ANNO PAOLINO A TARSO, LINK AL SITO:

http://www.anadolukatolikkilisesi.org/tarsus/it/luoghipaolini.asp#ANKARA

I LUOGHI PAOLINI IN TURCHIA

Ancira (oggi Ankara)

Antiochia sull’Oronte

Antiochia di Psidia

Attalia Colossi

Derbe Efeso

Iconio

Listra

Mileto Mira

Patara Perge

Seleucia di Pieria

Tarso

Troade

I restauri della Basilica di San Paolo fuori le Mura

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14964?l=italian

I restauri della Basilica di San Paolo fuori le Mura

Uno dei responsabili tecnici dei lavori spiega i dettagli

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 11 luglio 2008 (ZENIT.org).- La Basilica romana di San Paolo fuori le Mura è stata accuratamente restaurata prima della solenne apertura dell’Anno Paolino per accogliere i pellegrini che giungeranno da ogni parte del mondo fino al 29 giugno 2009. Secondo quanto ha spiegato a L’Osservatore Romano uno dei responsabili dei lavori, il direttore dei Servizi tecnici del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Pier Carlo Cuscianna, le opere di restauro si sono concentrate soprattutto sul portico, sul chiostro, sul tetto e sulla facciata dell’abbazia di Via Ostiense.

Per quanto riguarda il portico, sono stati restaurati la facciata e il nartece. Entrambi sono opera di Guglielmo Calderoni, Luigi Poletti e Virginio Vespignani e sono stati realizzati tra il 1890 e il 1928.

Fin dal 1999 si era cominciato il restauro del prospetto antistante il piazzale San Paolo e dei due bracci laterali del quadriportico, ma solamente nel 2006 si è dato corso in modo più deciso al restauro completo, con la determinazione di ultimare i lavori per l’inizio delle celebrazioni del bimillenario della nascita di San Paolo, ha spiegato Cuscianna.

Sono stati quindi restaurati i dipinti del nartece, che rappresentano figure di Vescovi, gli apostoli ai lati del Cristo benedicente nelle lunette della facciata ovest e i 28 medaglioni dipinti a tempera e falso mosaico con immagini simboliche di origine paleocristiana nei bracci nord e sud del portico.

Sono state oggetto di restauro anche le dieci colonne di granito rosa del nartece, i frontoni di marmo, le cornici e i capitelli corinzi, per un totale di circa 1.400 metri quadri di superficie marmorea. Allo stesso modo, sono state restaurate anche le due statue di San Pietro e San Paolo, così come quella di Paolo situata al centro del portico.

Sono stati altresì restaurati più di 400 metri quadrati di cassettonato in stucco, eliminando la pittura per mostrare la superficie originale, e sostituiti i perni ossidati con altri di acciaio, effettuando poi il restauro pittorico di tutte le superfici a tempera e di tutte le dorature dei motivi secondo le modalità tradizionali.

Recuperare l’antico splendore

La seconda grande opera di restauro ha visto protagonista il chiostro, una delle zone della Basilica che conserva più vestigia del passato, visto che la costruzione principale risale al XIII secolo. L’ultimo restauro importante era stato effettuato nel 1915, trasformando a tetto la copertura.

Per anni le infiltrazioni d’acqua della copertura a tetto del chiostro avevano danneggiato il cassettonato ligneo che si presentava con scolature e macchie di umidità che, pur asciugatesi, una volta rifatta l’impermeabilizzazione in occasione del Giubileo del 2000, avevano quasi completamente scolorito e cancellato i decori realizzati nei primi anni del secolo scorso, ha affermato Cuscianna.

Per questo, il tetto è stato sottoposto a restauro, disinfestazione dai tarli e microrganismi presenti, chiusura delle fessure del cassettonato e sostituzione delle tavole irrecuperabili. Sono stati poi ripuliti i frontespizi esterni in marmo policromo e le decorazioni del chiostro, così come si è provveduto a dipingere le pareti e a lucidare il pavimento, in pietra di Assisi.

Con questi lavori, sottolinea Cuscianna, il chiostro è stato riportato dopo anni all’originario splendore.

Più sicurezza

Dal 2006 erano poi iniziati i lavori di restauro delle coperture a tetto dell’abbazia, soprattutto nella parte che dà su via Ostiense, non finalizzati alle celebrazioni per il bimillenario della nascita di San Paolo ma per l’agibilità stessa del monastero. Una sezione sovrastante la Sala Eugenio IV stava infatti per cedere, motivo per cui è stato necessario puntellarla.

Si è approfittato dell’occasione anche per restaurare la facciata su via Ostiense, in evidente stato di degrado, mediante iniezioni di resina e l’impermeabilizzazione dei muri per evitare infiltrazioni d’acqua. Oltre a ciò, sono stati riaperti tutti i preesistenti vani finestra nel sottotetto.

E’ stata rinnovata anche l’illuminazione, sia della navata centrale che dell’abside e del transetto, e sono stati installati due maxischermi per la copertura degli atti dell’Anno Paolino, alle estremità delle navate laterali della Basilica. Il segnale video che si vedrà in entrambi proverrà dal Centro Televisivo Vaticano.

Angelus: Benedetto XVI: l’Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14854?l=italian

Benedetto XVI: l’Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione

Parole introduttive alla preghiera dell’Angelus

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 30 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell’Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

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Cari fratelli e sorelle,

questanno la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo ricorre di domenica, così che tutta la Chiesa, e non solo quella di Roma, la celebra in forma solenne. Tale coincidenza è propizia anche per dare maggiore risalto ad un evento straordinario: lAnno Paolino, che ho aperto ufficialmente ieri sera, presso la tomba dellApostolo delle genti, e che durerà fino al 29 giugno 2009. Gli storici collocano infatti la nascita di Saulo, diventato poi Paolo, tra il 7 e il 10 dopo Cristo. Perciò, al compiersi di circa duemila anni, ho voluto indire questo speciale giubileo, che naturalmente avrà come baricentro Roma, in particolare la Basilica di San Paolo fuori le Mura e il luogo del martirio, alle Tre Fontane. Ma esso coinvolgerà la Chiesa intera, a partire da Tarso, città natale di Paolo, e dagli altri luoghi paolini meta di pellegrinaggi nellattuale Turchia, come pure in Terra Santa, e nellIsola di Malta, dove lApostolo approdò dopo un naufragio e gettò il seme fecondo del Vangelo. In realtà, lorizzonte dellAnno Paolino non può che essere universale, perché san Paolo è stato per eccellenza lapostolo di quelli che rispetto agli Ebrei erano « i lontani » e che « grazie al sangue di Cristo » sono diventati « i vicini » (cfr Ef 2,13). Per questo anche oggi, in un mondo diventato più « piccolo », ma dove moltissimi ancora non hanno incontrato il Signore Gesù, il giubileo di san Paolo invita tutti i cristiani ad essere missionari del Vangelo.Questa dimensione missionaria ha bisogno di accompagnarsi sempre a quella dell

unità, rappresentata da san Pietro, la « roccia » su cui Gesù Cristo ha edificato la sua Chiesa. Come sottolinea la liturgia, i carismi dei due grandi Apostoli sono complementari per ledificazione dellunico Popolo di Dio ed i cristiani non possono dare valida testimonianza a Cristo se non sono uniti tra di loro. Il tema dellunità oggi è messo in risalto dal tradizionale rito del Pallio, che durante la santa Messa ho imposto agli Arcivescovi Metropoliti nominati durante lultimo anno. Sono 40, e altri due lo riceveranno nelle loro sedi. Anche ad essi va nuovamente il mio saluto cordiale. Inoltre, nellodierna solennità è motivo di speciale gioia per il Vescovo di Roma accogliere il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, nella cara persona di Sua Santità Bartolomeo I, al quale rinnovo il mio fraterno saluto estendendolo allintera Delegazione della Chiesa Ortodossa da lui guidata.

Anno Paolino, evangelizzazione, comunione nella Chiesa e piena unità di tutti i cristiani: preghiamo ora per queste grandi intenzioni affidandole alla celeste intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Poncarale, Torino, Ivrea, Empoli e Carmignano. Un saluto speciale rivolgo alla città di Roma e a quanti vi abitano: i santi Patroni Pietro e Paolo ottengano all’intera comunità cittadina e diocesana di custodire e valorizzare la ricchezza dei suoi tesori di fede, di storia e di arte. Buona festa a tutti!

Omelie del Papa e di Bartolomeo I per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14853?l=italian

Omelie del Papa e di Bartolomeo I per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 30 giugno 2008 (ZENIT.org).- Questa domenica, nella Basilica Vaticana, in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha celebrato lEucaristia con la partecipazione del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, durante la quale ha imposto il Pallio a 40 Arcivescovi metropoliti.

Pubblichiamo di seguito le parole di introduzione del Santo Padre allomelia del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, il testo dellomelia del Patriarca e quello dellomelia del Papa.

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INTRODUZIONE DEL SANTO PADRE ALL’OMELIA DEL PATRIARCA

Fratelli e Sorelle,

la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Chiesa di Roma e posti a fondamento, insieme agli altri Apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ci porta ogni anno la gradita presenza di una Delegazione fraterna della Chiesa di Costantinopoli, che questanno, per la coincidenza con lapertura dell« Anno Paolino », è guidata dallo stesso Patriarca, Sua Santità Bartolomeo I. A lui rivolgo il mio cordiale saluto, mentre esprimo la gioia di avere ancora una volta la felice opportunità di scambiare con lui il bacio della pace, nella comune speranza di vedere avvicinarsi il giorno dell« unitatis redintegratio« , il giorno della piena comunione tra noi.

Saluto pure i membri della Delegazione patriarcale, come anche i Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che ci onorano della loro presenza, offrendo con ciò un segno della volontà di intensificare il cammino verso la piena unità tra i discepoli di Cristo. Ci disponiamo ora ad ascoltare le riflessioni di Sua Santità il Patriarca Ecumenico, parole che vogliamo accogliere con il cuore aperto, perché ci vengono dal nostro Fratello amato nel Signore.

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OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Santità,

avendo ancora viva la gioia e lemozione della personale e benedetta partecipazione di Vostra Santità alla Festa Patronale di Costantinopoli, nella memoria di San Andrea Apostolo, il Primo Chiamato, nel novembre del 2006, ci siamo mossi « con passo esultante », dal Fanar della Nuova Roma, per venire presso di Voi, per partecipare alla Vostra gioia nella Festa Patronale della Antica Roma. E siamo giunti presso di Voi « con la pienezza della Benedizione del Vangelo di Cristo » (Rom. 15,29), restituendo lonore e lamore, festeggiando insieme col nostro prediletto Fratello nella terra dOccidente, « i sicuri e ispirati araldi, i Corifei dei Discepoli del Signore », i Santi Apostoli Pietro, fratello di Andrea, e Paolo – queste due immense, centrali colonne elevate verso il cielo, di tutta quanta la Chiesa, le quali in questa storica città, – hanno dato anche lultima lampante confessione di Cristo e qui hanno reso la loro anima al Signore con il martirio, uno attraverso la croce e laltro per mezzo della spada, santificandola.Salutiamo quindi, con profondissimo e devoto amore, da parte della Santissima Chiesa di Costantinopoli e dei suoi figli sparsi nel mondo, la Vostra Santit

à, desiderato Fratello, augurando dal cuore « a quanti sono in Roma amati da Dio » (Rom. 1,7), di godere buona salute, pace, prosperità, e di progredire giorno e notte verso la salvezza « ferventi nello spirito, servendo il Signore, lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera » (Rom. 12, 11-12).

In entrambe le Chiese, Santità, onoriamo debitamente e veneriamo tanto colui che ha dato una confessione salvifica della Divinità di Cristo, Pietro, quanto il vaso di elezione, Paolo, il quale ha proclamato questa confessione e fede fino ai confini delluniverso, in mezzo alle più inimmaginabili difficoltà e pericoli. Festeggiamo la loro memoria, dallanno di salvezza 258 in avanti, il 29 giugno, in Occidente e in Oriente, dove nei giorni che precedono, secondo la tradizione della Chiesa antica, in Oriente ci siamo preparati anche per mezzo del digiuno, osservato in loro onore. Per sottolineare maggiormente luguale loro valore, ma anche per il loro peso nella Chiesa e nella sua opera rigeneratrice e salvifica durante i secoli, lOriente li onora abitualmente anche attraverso unicona comune, nella quale o tengono nelle loro sante mani un piccolo veliero, che simboleggia la Chiesa, o si abbracciano lun laltro e si scambiano il bacio in Cristo.Proprio questo bacio siamo venuti a scambiare con Voi, Santit

à, sottolineando lardente desiderio in Cristo e lamore, cose queste che ci toccano da vicino gli uni gli altri.

Il Dialogo teologico tra le nostre Chiese « in fede, verità e amore », grazie allaiuto divino, va avanti, al di là delle notevoli difficoltà che sussistono ed alle note problematiche. Desideriamo veramente e preghiamo assai per questo; che queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere loggetto del desiderio finale, a gloria di Dio.Tale desiderio sappiamo bene essere anche il Vostro, come siamo anche certi che Vostra Santit

à non tralascerà nulla lavorando di persona, assieme ai suoi illustri collaboratori attraverso un perfetto appianamento della via, verso un positivo completamento a Dio piacente, dei lavori del Dialogo.

Santità, abbiamo proclamato lanno 2008, « Anno dell’Apostolo Paolo », così come anche Voi fate del giorno odierno fino allanno prossimo, nel compimento dei duemila anni dalla nascita del Grande Apostolo. Nellambito delle relative manifestazioni per lanniversario, in cui abbiamo pure venerato il preciso luogo del Suo Martirio, programmiamo tra le altre cose un sacro pellegrinaggio ad alcuni monumenti della attività evangelica dellApostolo in Oriente, come Efeso, Perge, ed altre città dellAsia Minore, ma anche Rodi e Creta, alla località chiamata « Buoni Porti ». Siate sicuro, Santità, che in questo sacro tragitto, sarete presente anche Voi, camminando con noi in spirito, e che ciascun luogo eleveremo unardente preghiera per Voi e per i nostri fratelli della venerabile Chiesa Romano-Cattolica, rivolgendo una forte supplica e intercessione del divino Paolo al Signore per Voi.E ora, venerando i patimenti e la croce di Pietro e abbracciando la catena e le stigmate di Paolo, onorando la confessione e il martirio e la venerata morte di entrambi per il Nome del Signore, che porta veramente alla Vita, glorifichiamo il Dio Tre volte Santo e lo supplichiamo, affinch

é per lintercessione dei suoi Protocorifei Apostoli, doni a noi e a tutti i figli ovunque nel mondo della Chiesa Ortodossa e Romano-Cattolica, quaggiù « l’unione della fede e la comunione dello Spirito Santo » nel « legame della pace » e lassù, invece, la vita eterna e la grande misericordia. Amen.

* * *

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell
Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Fin dai tempi più antichi la Chiesa di Roma celebra la solennità dei grandi Apostoli Pietro e Paolo come unica festa nello stesso giorno, il 29 giugno. Attraverso il loro martirio, essi sono diventati fratelli; insieme sono i fondatori della nuova Roma cristiana. Come tali li canta linno dei secondi Vespri che risale a Paolino di Aquileia (+ 806): «O Roma felix Roma felice, adornata di porpora dal sangue prezioso di Principi tanto grandi. Tu superi ogni bellezza del mondo, non per merito tuo, ma per il merito dei santi che hai ucciso con la spada sanguinante». Il sangue dei martiri non invoca vendetta, ma riconcilia. Non si presenta come accusa, ma come «luce aurea», secondo le parole dellinno dei primi Vespri: si presenta come forza dellamore che supera lodio e la violenza, fondando così una nuova città, una nuova comunità. Per il loro martirio, essi Pietro e Paolo fanno adesso parte di Roma: mediante il martirio anche Pietro è diventato cittadino romano per sempre. Mediante il martirio, mediante la loro fede e il loro amore, i due Apostoli indicano dove sta la vera speranza, e sono fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana, la quale resta minacciata dalle forze contrarie del peccato e dellegoismo degli uomini.In virt

ù del loro martirio, Pietro e Paolo sono in reciproco rapporto per sempre. Unimmagine preferita delliconografia cristiana è labbraccio dei due Apostoli in cammino verso il martirio. Possiamo dire: il loro stesso martirio, nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno. Essi muoiono per lunico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola. Negli scritti del Nuovo Testamento possiamo, per così dire, seguire lo sviluppo del loro abbraccio, questo fare unità nella testimonianza e nella missione. Tutto inizia quando Paolo, tre anni dopo la sua conversione, va a Gerusalemme, «per consultare Cefa» (Gal 1,18). Quattordici anni dopo, egli sale di nuovo a Gerusalemme, per esporre «alle persone più ragguardevoli» il Vangelo che egli predica, per non trovarsi nel rischio «di correre o di aver corso invano» (Gal 2,1s). Alla fine di questo incontro, Giacomo, Cefa e Giovanni gli danno la destra, confermando così la comunione che li congiunge nellunico Vangelo di Gesù Cristo (Gal 2,9). Un bel segno di questo interiore abbraccio in crescita, che si sviluppa nonostante la diversità dei temperamenti e dei compiti, lo trovo nel fatto che i collaboratori menzionati alla fine della Prima Lettera di san Pietro Silvano e Marco sono collaboratori altrettanto stretti di san Paolo. Nella comunanza dei collaboratori si rende visibile in modo molto concreto la comunione dellunica Chiesa, labbraccio dei grandi Apostoli.

Almeno due volte Pietro e Paolo si sono incontrati a Gerusalemme; alla fine il percorso di ambedue sbocca a Roma. Perché? È questo forse qualcosa di più di un puro caso? Vi è contenuto forse un messaggio duraturo? Paolo arrivò a Roma come prigioniero, ma allo stesso tempo come cittadino romano che, dopo larresto in Gerusalemme, proprio in quanto tale aveva fatto ricorso allimperatore, al cui tribunale fu portato. Ma in un senso ancora più profondo, Paolo è venuto volontariamente a Roma. Mediante la più importante delle sue Lettere si era già avvicinato interiormente a questa città: alla Chiesa in Roma aveva indirizzato lo scritto che più di ogni altro è la sintesi dellintero suo annuncio e della sua fede. Nel saluto iniziale della Lettera dice che della fede dei cristiani di Roma parla tutto il mondo e che questa fede, quindi, è nota ovunque come esemplare (Rm 1,8). E scrive poi: «Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi, ma finora ne sono stato impedito» (1,13). Alla fine della Lettera riprende questo tema parlando ora del suo progetto di andare fino in Spagna. «Quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza» (15,24). «E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo» (15,29). Sono due cose che qui si rendono evidenti: Roma è per Paolo una tappa sulla via verso la Spagna, cioè secondo il suo concetto del mondo verso il lembo estremo della terra. Considera sua missione la realizzazione del compito ricevuto da Cristo di portare il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. In questo percorso ci sta Roma. Mentre di solito Paolo va soltanto nei luoghi in cui il Vangelo non è ancora annunciato, Roma costituisce uneccezione. Lì egli trova una Chiesa della cui fede parla il mondo. Landare a Roma fa parte delluniversalità della sua missione come inviato a tutti i popoli. La via verso Roma, che già prima del suo viaggio esterno egli ha percorso interiormente con la sua Lettera, è parte integrante del suo compito di portare il Vangelo a tutte le genti di fondare la Chiesa cattolica, universale. Landare a Roma è per lui espressione della cattolicità della sua missione. Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo, deve essere il luogo dellincontro nellunica fede.Ma perch

é Pietro è andato a Roma? Su ciò il Nuovo Testamento non si pronuncia in modo diretto. Ci dà tuttavia qualche indicazione. Il Vangelo di san Marco, che possiamo considerare un riflesso della predicazione di san Pietro, è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente questuomo era Figlio di Dio!» (15,39). Presso la Croce si svela il mistero di Gesù Cristo. Sotto la Croce nasce la Chiesa delle genti: il centurione del plotone romano di esecuzione riconosce in Cristo il Figlio di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono come tappa decisiva per lingresso del Vangelo nel mondo dei pagani lepisodio di Cornelio, il centurione della coorte italica. Dietro un comando di Dio, egli manda qualcuno a prendere Pietro e questi, seguendo pure lui un ordine divino, va nella casa del centurione e predica. Mentre sta parlando, lo Spirito Santo scende sulla comunità domestica radunata e Pietro dice: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?» (At 10,47). Così, nel Concilio degli Apostoli, Pietro diventa lintercessore per la Chiesa dei pagani i quali non hanno bisogno della Legge, perché Dio ha «purificato i loro cuori con la fede» (At 15,9). Certo, nella Lettera ai Galati Paolo dice che Dio ha dato a Pietro la forza per il ministero apostolico tra i circoncisi, a lui, Paolo, invece per il ministero tra i pagani (2,8). Ma questa assegnazione poteva essere in vigore soltanto finché Pietro rimaneva con i Dodici a Gerusalemme nella speranza che tutto Israele aderisse a Cristo. Di fronte allulteriore sviluppo, i Dodici riconobbero lora in cui anchessi dovevano incamminarsi verso il mondo intero, per annunciargli il Vangelo. Pietro che, secondo lordine di Dio, per primo aveva aperto la porta ai pagani lascia ora la presidenza della Chiesa cristiano-giudaica a Giacomo il minore, per dedicarsi alla sua vera missione: al ministero per lunità dellunica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani. Il desiderio di san Paolo di andare a Roma sottolinea come abbiamo visto tra le caratteristiche della Chiesa soprattutto la parola «catholica». Il cammino di san Pietro verso Roma, come rappresentante dei popoli del mondo, sta soprattutto sotto la parola «una»: il suo compito è di creare l’unità della catholica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli. Ed è questa la missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca lumanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore. Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni, esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dellunità interiore, che proviene dalla pace di Dio unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. È questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma.

Cari Confratelli nellEpiscopato! Vorrei ora rivolgermi a voi che siete venuti a Roma per ricevere il pallio come simbolo della vostra dignità e della vostra responsabilità di Arcivescovi nella Chiesa di Gesù Cristo. Il pallio è stato tessuto con la lana di pecore, che il Vescovo di Roma benedice ogni anno nella festa della Cattedra di Pietro, mettendole con ciò, per così dire, da parte affinché diventino un simbolo per il gregge di Cristo, che voi presiedete. Quando prendiamo il pallio sulle spalle, quel gesto ci ricorda il Pastore che prende sulle spalle la pecorella smarrita, che da sola non trova più la via verso casa, e la riporta allovile. I Padri della Chiesa hanno visto in questa pecorella limmagine di tutta lumanità, dellintera natura umana, che si è persa e non trova più la via verso casa. Il Pastore che la riporta a casa può essere soltanto il Logos, la Parola eterna di Dio stesso. Nellincarnazione Egli ha preso tutti noi la pecorella «uomo» sulle sue spalle. Egli, la Parola eterna, il vero Pastore dellumanità, ci porta; nella sua umanità porta ciascuno di noi sulle sue spalle. Sulla via della Croce ci ha portato a casa, ci porta a casa. Ma Egli vuole avere anche degli uomini che «portino» insieme con Lui. Essere Pastore nella Chiesa di Cristo significa partecipare a questo compito, del quale il pallio fa memoria. Quando lo indossiamo, Egli ci chiede: «Porti, insieme con me, anche tu coloro che mi appartengono? Li porti verso di me, verso Gesù Cristo?» E allora ci viene in mente il racconto dellinvio di Pietro da parte del Risorto. Il Cristo risorto collega lordine: «Pasci le mie pecorelle» inscindibilmente con la domanda: «Mi ami, mi ami tu più di costoro?». Ogni volta che indossiamo il pallio del Pastore del gregge di Cristo dovremmo sentire questa domanda: «Mi ami tu?» e dovremmo lasciarci interrogare circa il di più damore che Egli si aspetta dal Pastore.Cos

ì il pallio diventa simbolo del nostro amore per il Pastore Cristo e del nostro amare insieme con Lui diventa simbolo della chiamata ad amare gli uomini come Lui, insieme con Lui: quelli che sono in ricerca, che hanno delle domande, quelli che sono sicuri di sé e gli umili, i semplici e i grandi; diventa simbolo della chiamata ad amare tutti loro con la forza di Cristo e in vista di Cristo, affinché possano trovare Lui e in Lui se stessi. Ma il pallio, che ricevete «dalla» tomba di san Pietro, ha ancora un secondo significato, inscindibilmente connesso col primo. Per comprenderlo può esserci di aiuto una parola della Prima Lettera di san Pietro. Nella sua esortazione ai presbiteri di pascere il gregge in modo giusto, egli san Pietro qualifica se stesso synpresbýteros con-presbitero (5,1). Questa formula contiene implicitamente unaffermazione del principio della successione apostolica: i Pastori che si succedono sono Pastori come lui, lo sono insieme con lui, appartengono al comune ministero dei Pastori della Chiesa di Gesù Cristo, un ministero che continua in loro. Ma questo « con » ha ancora due altri significati. Esprime anche la realtà che indichiamo oggi con la parola «collegialità» dei Vescovi. Tutti noi siamo con-presbiteri. Nessuno è Pastore da solo. Stiamo nella successione degli Apostoli solo grazie allessere nella comunione del collegio, nel quale trova la sua continuazione il collegio degli Apostoli. La comunione, il « noi » dei Pastori fa parte dellessere Pastori, perché il gregge è uno solo, lunica Chiesa di Gesù Cristo. E infine, questo « con » rimanda anche alla comunione con Pietro e col suo successore come garanzia dellunità. Così il pallio ci parla della cattolicità della Chiesa, della comunione universale di Pastore e gregge. E ci rimanda allapostolicità: alla comunione con la fede degli Apostoli, sulla quale è fondata la Chiesa. Ci parla della ecclesia una, catholica, apostolica e naturalmente, legandoci a Cristo, ci parla proprio anche del fatto che la Chiesa è sancta e che il nostro operare è un servizio alla sua santità.

Ciò mi fa ritornare, infine, ancora a san Paolo e alla sua missione. Egli ha espresso lessenziale della sua missione, come pure la ragione più profonda del suo desiderio di andare a Roma, nel capitolo 15 della Lettera ai Romani in una frase straordinariamente bella. Egli si sa chiamato «a servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti, amministrando da sacerdote il Vangelo di Dio, perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo» (15,6). Solo in questo versetto Paolo usa la parola «hierourgein» amministrare da sacerdote insieme con «leitourgós» liturgo: egli parla della liturgia cosmica, in cui il mondo stesso degli uomini deve diventare adorazione di Dio, oblazione nello Spirito Santo. Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo. È questo lobiettivo ultimo della missione apostolica di san Paolo e della nostra missione. A tale ministero il Signore ci chiama. Preghiamo in questa ora, affinché Egli ci aiuti a svolgerlo in modo giusto, a diventare veri liturghi di Gesù Cristo. Amen.

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