Archive pour la catégorie 'ANGELI ED ARCANGELI'

SANTI ARCANGELI: MICHELE, GABRIELE, RAFFAELE – PAPA BENDETTO

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2007/documents/hf_ben-xvi_hom_20070929_episc-ordinations_it.html 

CAPPELLA PAPALE PER L’ORDINAZIONE EPISCOPALE DI SEI ECC.MI PRESULI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

SANTI ARCANGELI: MICHELE, GABRIELE, RAFFAELE

Basilica Vaticana

Sabato, 29 settembre 2007

Cari fratelli e sorelle,

siamo raccolti intorno all’altare del Signore per una circostanza solenne e lieta ad un tempo: l’Ordinazione episcopale di sei nuovi Vescovi, chiamati a svolgere mansioni diverse a servizio dell’unica Chiesa di Cristo. Essi sono Mons. Mieczyslaw Mokrzycki, Mons. Francesco Brugnaro, Mons. Gianfranco Ravasi, Mons. Tommaso Caputo, Mons. Sergio Pagano, Mons. Vincenzo Di Mauro. A tutti rivolgo il mio saluto cordiale con un fraterno abbraccio. Un saluto particolare va a Mons. Mokrzycki che, insieme a all’attuale Cardinale Stanislaw Dziwisz, per molti anni ha servito come segretario il Santo Padre Giovanni Paolo II e poi, dopo la mia elezione a Successore di Pietro, ha fatto anche a me da segretario con grande umiltà, competenza e dedizione. Con lui saluto l’amico di Papa Giovanni Paolo II, il Cardinale Marian Jaworski, a cui Mons. Mokrzycki recherà il proprio aiuto come Coadiutore. Saluto inoltre i Vescovi latini dell’Ucraina, che sono qui a Roma per la loro visita « ad limina Apostolorum ». Il mio pensiero va anche ai Vescovi greco-cattolici, alcuni dei quali ho incontrato lunedì scorso, e la Chiesa ortodossa dell’Ucraina. A tutti auguro le benedizioni del Cielo per le loro fatiche miranti a mantenere operante nella loro Terra e a trasmettere alle future generazioni la forza risanatrice e corroborante del Vangelo di Cristo.
Celebriamo questa Ordinazione episcopale nella festa dei tre Arcangeli che nella Scrittura sono menzionati per nome: Michele, Gabriele e Raffaele. Questo ci richiama alla mente che nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati « angeli » della loro Chiesa, esprimendo in questo modo un’intima corrispondenza tra il ministero del Vescovo e la missione dell’Angelo. A partire dal compito dell’Angelo si può comprendere il servizio del Vescovo. Ma che cosa è un Angelo? La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa ci lasciano scorgere due aspetti. Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola « El », che significa « Dio ». Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio. Se la Chiesa antica chiama i Vescovi « angeli » della loro Chiesa, intende dire proprio questo: i Vescovi stessi devono essere uomini di Dio, devono vivere orientati verso Dio. « Multum orat pro populo » – « Prega molto per il popolo », dice il Breviario della Chiesa a proposito dei santi Vescovi. Il Vescovo deve essere un orante, uno che intercede per gli uomini presso Dio. Più lo fa, più comprende anche le persone che gli sono affidate e può diventare per loro un angelo – un messaggero di Dio, che le aiuta a trovare la loro vera natura, se stesse, e a vivere l’idea che Dio ha di loro.
Tutto ciò diventa ancora più chiaro se ora guardiamo le figure dei tre Arcangeli la cui festa la Chiesa celebra oggi. C’è innanzitutto Michele. Lo incontriamo nella Sacra Scrittura soprattutto nel Libro di Daniele, nella Lettera dell’Apostolo san Giuda Taddeo e nell’Apocalisse. Di questo Arcangelo si rendono evidenti in questi testi due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del « serpente antico », come dice Giovanni. È il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. Ma il drago non accusa solo Dio. L’Apocalisse lo chiama anche « l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte » (12, 10). Chi accantona Dio, non rende grande l’uomo, ma gli toglie la sua dignità. Allora l’uomo diventa un prodotto mal riuscito dell’evoluzione. Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. È compito del Vescovo, in quanto uomo di Dio, di far spazio a Dio nel mondo contro le negazioni e di difendere così la grandezza dell’uomo. E che cosa si potrebbe dire e pensare di più grande sull’uomo del fatto che Dio stesso si è fatto uomo? L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del Popolo di Dio (cfr Dn 10, 21; 12, 1). Cari amici, siate veramente « angeli custodi » delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il Popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore.
Incontriamo l’Arcangelo Gabriele soprattutto nel prezioso racconto dell’annuncio a Maria dell’incarnazione di Dio, come ce lo riferisce san Luca (1, 26 – 38). Gabriele è il messaggero dell’incarnazione di Dio. Egli bussa alla porta di Maria e, per suo tramite, Dio stesso chiede a Maria il suo « sì » alla proposta di diventare la Madre del Redentore: di dare la sua carne umana al Verbo eterno di Dio, al Figlio di Dio. Ripetutamente il Signore bussa alle porte del cuore umano. Nell’Apocalisse dice all’ »angelo » della Chiesa di Laodicea e, attraverso di lui, agli uomini di tutti i tempi: « Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » (3, 20). Il Signore sta alla porta – alla porta del mondo e alla porta di ogni singolo cuore. Egli bussa per essere fatto entrare: l’incarnazione di Dio, il suo farsi carne deve continuare sino alla fine dei tempi. Tutti devono essere riuniti in Cristo in un solo corpo: questo ci dicono i grandi inni su Cristo nella Lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi. Cristo bussa. Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete anche assumere la funzione di Gabriele: portare la chiamata di Cristo agli uomini.
San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione. Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere « l’angelo » risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso. In secondo luogo, il Libro di Tobia parla della guarigione degli occhi ciechi. Sappiamo tutti quanto oggi siamo minacciati dalla cecità per Dio. Quanto grande è il pericolo che, di fronte a tutto ciò che sulle cose materiali sappiamo e con esse siamo in grado di fare, diventiamo ciechi per la luce di Dio. Guarire questa cecità mediante il messaggio della fede e la testimonianza dell’amore, è il servizio di Raffaele affidato giorno per giorno al sacerdote e in modo speciale al Vescovo. Così, spontaneamente siamo portati a pensare anche al sacramento della Riconciliazione, al sacramento della Penitenza che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di guarigione. La vera ferita dell’anima, infatti, il motivo di tutte le altre nostre ferite, è il peccato. E solo se esiste un perdono in virtù della potenza di Dio, in virtù della potenza dell’amore di Cristo, possiamo essere guariti, possiamo essere redenti.
« Rimanete nel mio amore », ci dice oggi il Signore nel Vangelo (Gv 15, 9). Nell’ora dell’Ordinazione episcopale lo dice in modo particolare a voi, cari amici. Rimanete nel suo amore! Rimanete in quell’amicizia con Lui piena di amore che Egli in quest’ora vi dona di nuovo! Allora la vostra vita porterà frutto – un frutto che rimane (Gv 15, 16). Affinché questo vi sia donato, preghiamo tutti in quest’ora per voi, cari fratelli. Amen.

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI |on 28 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

Esistono davvero gli angeli custodi?

dal sito:

http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_53.htm

Esistono davvero gli angeli custodi?

C’è stata da poco la festa dei Santi Angeli Custodi (2 ottobre) Ricordo che da bambino se ne parlava molto, sia a casa che in chiesa ci dicevano di pregare il nostro angelo custode, di affidarsi a lui. Forse era anche un errore, perché sembrava che fosse una cosa a cui dovevano credere i bambini, come la Befana, ma che da grandi non ci si credeva più. Adesso mi sembra che sia passato di moda, nessuno ne parla più. Perché? È cambiato qualcosa nella dottrina o semplicemente è un argomento troppo lontano dalla sensibilità del mondo di oggi?

Massimo Beccastrini

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria

L’esistenza degli angeli appartiene al deposito della fede. La Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa in modo unanime affermano l’esistenza di creature spirituali incorporee. Ogni domenica nella celebrazione eucaristica rinnoviamo la nostra professione di fede con queste parole: «Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose, visibili e invisibili».
Non vi è, dunque, nulla di mutato nel contenuto della dottrina della Chiesa. È vero, però, come allude il nostro lettore, che siamo davanti ad un aspetto della dottrina di fede che non si coniuga facilmente con la sensibilità dei nostri tempi, facendo oscillare il pensiero fra una valutazione esagerata del ruolo degli angeli e un loro oblio quasi del tutto assoluto. Possiamo provare a trovare una posizione corretta partendo da quanto la Rivelazione ci trasmette.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi ricaviamo un punto fondamentale: «Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose, nei cieli e sopra la terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui». (Col 1,15s). Alla luce del primato assoluto di Cristo l’esistenza degli angeli (i nomi riportati sono proprio quelli delle schiere angeliche come venivano chiamate all’epoca) non è un contenuto centrale della Parola di Dio. Nella realtà della Rivelazione gli angeli non sono una presenza di primo piano, nemmeno nei confronti dell’uomo, perché l’essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e posto come sacerdote del mondo (Genesi 1,26-28). La lettera agli Ebrei presenta il Figlio fatto uomo come «tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato» (Eb 1,4). Inoltre, nello stesso capitolo si afferma che gli angeli sono «tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza» (Eb 1,14). Dalla Parola di Dio gli angeli sono presentati come servitori del disegno di Dio in favore dell’umanità.
Lo stesso nome «angelo» significa messaggero o ambasciatore, indicando proprio il loro compito fra Dio e gli uomini. Questa relazione appare chiara in tanti altri passi della Scrittura ed è importante sottolinearlo. Notiamo anche come nello sviluppo della Rivelazione, attraverso la successione storica dei libri della Scrittura, la concezione degli angeli si affina, se ne precisano i diversi compiti e si concretizzano alcune loro figure. I nomi più importanti sono quelli di Raffaele, Michele e Gabriele. Questi due ultimi compaiono anche nei libri del Nuovo Testamento: Gabriele nel racconto dell’annuncio a Maria (Lc 1), Michele è protagonista della lotta escatologica contro il drago (Ap 12,7). Raffaele, invece, compare nel libro di Tobia, per guidare Tobi nel suo viaggio, proprio come un vero angelo custode. La figura e la missione di Raffaele sono simili alla concezione cristiana dell’angelo custode. Dopo aver protetto Tobi durante il viaggio, Raffaele dice di essere «uno dei sette angeli che sono al servizio di Dio ed hanno accesso alla maestà del Signore» (Tobia 12,15).
L’idea che un angelo protegga il cammino per incarico di Dio era comune nella fede di Israele. Nel cammino attraverso il deserto, verso la terra promessa, Dio dice a Mosè: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari» (Es 23,20-22). Anche in questo brano il significato principale è nel rapporto fra Dio e l’uomo, Mosè e il popolo. La benedizione di Dio è legata all’ascolto della sua voce da parte di Mosè. L’angelo è un messaggero del Signore (il mio nome è in lui) che accompagna nel cammino verso la terra promessa.
Nel brano evangelico di Mt 18,1-10 Gesù presenta i bambini come simbolo per entrare nel regno dei cieli, ammonendo a non scandalizzare nessuno dei piccoli che credono in lui. E chiude con delle parole che riprendono sostanzialmente la fede d’Israele negli angeli: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10). Da questa frase del Vangelo si è sviluppata la fede cristiana nell’angelo custode. Gli angeli sono segni reali della provvidenza di Dio verso l’umanità: «dall’infanzia fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 336). In modo particolare, «ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita», come scriveva san Basilio magno, le cui parole sono riportate nello stesso numero del Catechismo. Possiamo concludere la nostra piccola riflessione, ricordando che la fede della Chiesa si trasmette in modo privilegiato anche nella liturgia. In ogni preghiera eucaristica troviamo quell’inno cantato dagli angeli, al quale ci uniamo, lodando Colui che è tre volte Santo, il Signore Dio dell’universo: in attesa della beata speranza, «fin da quaggiù la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio» (Catechismo, 336).

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI |on 27 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

MARC CHAGALL E GLI ANGELI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-25656?l=italian

MARC CHAGALL E GLI ANGELI

di don Marcello Stanzione

ROMA, lunedì, 21 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Nel ventesimo secolo nessun artista ha dedicato tanta attenzione agli angeli quanto Marc Chagall. Moshe Zacharovix Sagal (questo il suo vero nome) nasce a Vitebsk (Bielorussia) nel 1887, da una modesta famiglia di cultura hassidico-ebraica, cioè appartenente al movimento mistico che privilegia il rapporto diretto con Dio e la meraviglia contemplativa per i benefici della vita terrena. Studiò a San Pietroburgo con Bakst che gli fece conoscere la pittura di Cèzanne, Gauguin e Van Gogh.
Nel 1910 recatosi a Parigi, si legò con gli intellettuali d’avanguardia ed incontrò Lenin e Lunacarskij che in seguito divenne ministro della cultura sovietica. Nel 1914 ritornò in Russia ed espose i suoi dipinti che riecheggiavano una mitica vita di villaggio e il rituale ebraico nelle mostre d’avanguardia. Nel 1917 aderì con entusiasmo alla rivoluzione e l’anno seguente fu nominato commissario di belle arti nella sua città natale dove fondò un’accademia invitandovi pittori costruttivisti e suprematisti che però finirono per prevaricarlo costringendolo a ritirarsi a Mosca dove fra il 1919 e il 1921 eseguì pitture murali e il sipario del Teatro d’Arte ebraico.
Tornato a Parigi nel 1922 dipinse nature morte con fiori e figure, eseguendo pure una serie di mirabili incisioni per la Bibbia. Nel 1933 alcune sue opere furono bruciate dai nazisti su ordine di Goebbels. In questo periodo prevale nella sua pittura il tema simbolico della crocifissione. Nel 1945 curò l’allestimento dell’uccello di fuoco di Stravinskij e due anni dopo terminò la caduta dell’Angelo che è un vero repertorio dei suoi temi pittorici prediletti. Rientrato dagli Stati Uniti si stabilì in Provenza dove si dedicò alla ceramica e alla scultura iniziando grandi opere monumentali integrate con lo spazio architettonico. Morì nel 1985 a Saint-Paul-de-Vence.
Pittore atipico, a suo modo slegato dalle impetuose correnti dell’epoca, Chagall è portavoce fino in fondo di una sua personale sensibilità interiore. In un momento storico in cui tutto doveva essere appartenenza, fortemente relazionata ad idee e movimenti (che fossero artistici, politici o culturali), egli riesce a rimanere ancorato alle realtà profonde dell’animo umano, legato fino alla fine al semplice mondo contadino dei villaggi ebrei dell’Europa dell’est, quel mondo che, ormai cancellato, annientato e spazzato via dalla criminale follia nazista, l’artista ci restituisce attraverso le sue tele.
Trasferitosi poco più che ventenne a Parigi, precedentemente allo scoppio del primo conflitto mondiale, conosce le nuove correnti pittoriche e di pensiero, interessandosi in particolare al Fauvismo, per i colori forti e complementari, ed al Cubismo, per lo stile compositivo. Nelle sue opere, pertanto, si accordano cultura ebraica e avanguardie internazionali. I temi del suo bagaglio simbolico, però, nascono dalla sua esperienza interiore, dal suo fantasticare che unisce pittura e poesia, mentre l’allungarsi delle figure, liberate dalla gravità newtoniana, e il rifiuto della prospettiva si ricollegano alla tradizione bizantina delle icone russe. Chagall, fin dalla sua prima giovinezza, ha avvertito una forte attrazione nei confronti delle Sacre Scritture: “Mi è sembrato e mi sembra tuttora – afferma, riferendosi alla Bibbia – che questa sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell’arte”.
Il discorso sull’opera religiosa di Chagall è alquanto complesso. Egli racconta che un angelo gli apparve, a Pietroburgo, e ne descrive l’esperienza nelle sue memorie. Questo episodio, fondamentale nella sua formazione poetica, è riprodotto, sulla traccia iconografica dell’Annunciazione, nella grande tela dell’Apparizione, dove egli si raffigura seduto al lavoro, con la testa girata per guardare ispirato verso un angelo, maestoso e quasi invisibile, che riempie la parte destra della composizione. L’angelo si fonde, in una raffigurazione quasi cubista, con il mondo fenomenale del pittore; il contorno del corpo è assorbito dalla grande nuvola, di cui la creatura e la stanza sembrano una parte. L’angelo appare al pittore mentre è al cavalletto e la tela che sta dipingendo rimanda a quella, compiuta, che stiamo vedendo. Quindi il sogno dell’opera è l’opera stessa, cioè l’ispirazione del poeta.
Chagall doveva avere quest’immagine ben ancorata in testa, dipingendola come l’ha presente nella memoria, perché il lavoro preparatorio dell’opera non comporta nessun abbozzo per la parte destra del quadro riguardante lo spirito celeste. In un altro grande quadro, “La caduta dell’angelo”, al quale l’artista lavora per più di un ventennio, dal 1923 al 1947, un angelo rosso sta cadendo sulla terra dove gli uomini continuano a commettere i loro orrori indisturbati. L’angelo può rappresentare infinite emozioni: la purezza, la bellezza, l’armonia, l’utopia, la sacralità e in alcuni casi (come in questo) la disperazione. A determinare il significato dell’immagine inserita sulla tela, è il contesto in cui la figura è collocata, insieme alla pioggia dei simbolismi adiacenti: in basso a destra, troviamo Cristo in croce, una Madonna con bambino, ed una candela. In alto a sinistra, Chagall stesso non ha più parole dinanzi all’indicibile e si rappresenta steso a terra con la tavolozza abbandonata.
“Il martirio di Gesù è il martirio del mio popolo in questi anni”, risponde a quanti accusarono di aver inserito simboli cristiani all’interno della sua opera. Sotto, un rabbino che protegge il rotolo della Torah, o forse Mosè con i 10 comandamenti; più al centro, il volto di un animale, un sole giallo sporco e pallido, un violino. Ma in alto c’è un orologio a pendolo, segno che tutto scorre comunque e inesorabilmente sotto il potere del tempo che controlla il trascorrere della vita dell’uomo, nella sua inutilità e nonostante le sue preghiere. I colori sono forti ed espressivi tanto quanto le linee, le figura e le simbologie. L’immagine dell’angelo cade incontrollata al centro del quadro. La visione apocalittica della figura rossa fiammeggiante che si abbatte sull’umanità indifesa, trafiggendo la notte, riassume tutti i temi di Chagall, acquisiti con l’esperienza degli orrori della guerra nel suo ultimo drammatico decennio.
Tra il 1935 e il 1956, Chagall realizza il ciclo del “Messaggio Biblico” raccolto nel moderno museo di Nizza: 17 grandi tele, 194 incisioni e guazzi che rappresentano scene della Genesi, l’Esodo e il Cantico dei Cantici, e poi sculture, mosaici, arazzi, una sala per concerti con grandi vetrate. L’artista avvicina la Bibbia con un atteggiamento molto poetico, vedendola come una grande storia, un racconto pieno di episodi stupefacenti, di figure mitiche e di eventi sovrannaturali. Più che illustrare, come ha fatto Doré, egli reinventa il testo con il criterio della sua fantasia e sceglie le figure e gli episodi sulla base delle emozioni che sono in grado di trasmettergli. Egli scriveva: “La Bibbia è come una risonanza della natura e io ho cercato di trasmettere questo segreto. Questi quadri, nel mio pensiero, non rappresentano il sogno di un solo popolo, ma quello dell’umanità”.
La creazione dell’uomo è la prima delle 17 grandi tele. Chagall mostra Adamo addormentato nelle braccia dell’angelo e inconsapevole di quanto sta accadendo. Più in alto sta la sfolgorante girandola della Creazione, che culmina nella crocifissione di Cristo, tema che compare sovente nelle opere di Chagall dopo il 1939, quale simbolo universale della sofferenza umana e, forse, della speranza di riscatto dell’umanità. Proprio nell’accostamento tra il sacrificio di uno e quello dei tanti si compie l’identificazione tra giudaismo e cristianesimo: il suo Cristo ha smesso il perizoma della tradizione pittorica occidentale per cingersi del tipico manto ebraico, il “Tallit” (come, del resto, si vede anche nel Crocifisso della Caduta). Fedele al divieto di rappresentazione, Chagall si limita a suggerire la presenza divina con la luminosità dei bianchi e dei gialli con le mani che sbucano da una nuvola, circondata da altre piccole figure angeliche. Scegliendo di costruire la sua opera a piccoli tocchi, a schegge iridate, l’artista accorda una materia luminosa e nebulosa a una spiritualità della Rivelazione: Dio si nasconde in questa nuvola e si mostra come Luce. A questa maniera effusiva il pittore dà una struttura rigorosa: linee diagonali portano l’uomo verso il cielo e sostengono il suo incontro con l’angelo. Alla diagonale, sono associati il cerchio e l’elisse, attivi portatori di un senso di armonia tra l’uomo e Dio. Ogni opera del ciclo è organizzata intorno all’incontro fra un uomo profeta, patriarca Dio e trasmette il messaggio che sta alla dell’opera di Chagall: “Ho voluto lasciare in questa casa i miei dipinti perché gli uomini vi possano cercare e trovare una certa pace, una certa spiritualità, un senso della vita…”.
L’incontro di Abramo con gli Angeli appare diverso dagli altri quadri del ciclo: è l’unico dipinto in una monocromia rossa, ed è anche l’unico in cui né il cerchio né la diagonale sostengono la composizione, ma dove, invece, una rete di verticali e di orizzontali severe determina l’organizzazione del quadro. Ciò rivela la preoccupazione diversa di dare alle ali dei tre angeli tutto lo splendore possibile. Il grandissimo effetto dello sfondo rosso è, infatti, di sporgere gli angeli verso lo spettatore; in questo modo gli angeli svolgono completamente la loro funzione di messaggeri, non solo tra Dio e l’uomo Abramo, ma anche tra quel mondo impalpabile di pittura e noi, che lo contempliamo. La lotta di Giacobbe con l’Angelo, è un episodio centrale della storia del Patriarca. Nel lungo combattimento mistico che l’uomo ha con l’angelo, Chagall sceglie il momento della riconciliazione. Le opere del “Messaggio Biblico” sono state donate dall’artista alla Francia con questa dedica: “Ho voluto dipingere il sogno di pace dell’umanità…Forse in questa casa verranno giovani e meno giovani a cercare un ideale di fraternità e d’amore come i miei colori l’hanno sognato. Forse non ci saranno più nemici… e tutti, qualunque sia la loro religione, potranno venire qui e parlare di questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile questo? Credo di si, tutto è possibile se si comincia dall’amore”. “Lavorare è pregare” affermava Chagall. E dalla preghiera emergevano meravigliose immagini di un sogno tutto spirituale.

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI, ARTE |on 21 février, 2011 |Pas de commentaires »

La vera funzione salvifica della legge (Gal 3,19-4,7) (la legge… fu promulgata per mezzo di angeli)

(stralcio) dal sito:

http://proposta.dehoniani.it/txt/galati.html

(la legge… fu promulgata per mezzo di angeli)

La vera funzione salvifica della legge (Gal 3,19-4,7)

19Perché allora la legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. 20Ora non si dà mediatore per una sola persona e Dio è uno solo. 21La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; 22la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. 23Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. 24Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. 25Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. 26Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, 27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo

1Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; 2ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. 3Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. 4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. 6E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

Da 3,17 sembrerebbe quasi che si possa dedurre che la legge sia una rivale della « promessa ». Ma Paolo dovrebbe rinnegare l’autorità divina della Scrittura se vedesse nella legge una potenza ostile a Dio. Per lui la legge non è né una potenza antidivina, né una concorrente della promessa. In 3,19 ss. Paolo espone dettagliatamente il suo punto di vista circa la legge e la sua vera funzione nella storia della salvezza. La promessa e la legge sono due opere dell’unico Dio.

v. 19. « Perché dunque fu aggiunta la legge? ». La legge fu aggiunta a motivo delle trasgressioni; essa ha una funzione rivelatrice: doveva manifestare il peccato come peccato e come trasgressione di un precetto. La legge rende il peccato una trasgressione consapevole (Rm 5,13). Inoltre questa funzione della legge era temporalmente limitata: « fino a che venisse il seme (Cristo) al quale fu fatta la promessa ». A questo proposito però il giudeo pensava diversamente: per lui la legge aveva una durata eterna.

« La legge fu promulgata per mezzo di angeli ».

(a questo commento aggiungo una nota tratta dalla BJ, sotto)

L’opinione di Paolo è che la legge non fu data a Mosè direttamente da Dio, ma per mezzo di angeli. Questa credenza ricorre anche in At 7,53 (discorso di Stefano): « Voi avete ricevuto la legge per disposizione di angeli, ma non l’avete osservata », e in At 7,38: « Mosè fu mediatore fra l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri ». La troviamo anche in Eb 2,2: « Se infatti la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda… ». Anche Flavio Giuseppe scrive in Ant. 15,5,3 par. 136: « Il meglio delle nostre dottrine e ciò che vi è di più santo nelle nostre leggi noi lo abbiamo appreso per mezzo degli angeli di Dio ». In Gal 3,19 Paolo si appropria di tali concezioni per affermare con sicurezza l’inferiorità della legge nei confronti della promessa. « Per mano di un mediatore ». In base al contesto (430 anni dopo; cfr. At 7,38), con « mediatore » si intende Mosè e non Cristo come hanno inteso per es. Crisostomo, Girolamo, Tommaso d’Aquino, Lutero, ecc. Perché nell’argomentazione Paolo si serva del concetto di « mediatore » è chiarito dal v. seguente.

v. 20. Questo versetto presenta particolari difficoltà all’esegesi; esso costituisce veramente una crux interpretum. Quando Dio fece la promessa ad Abramo non si servì di un mediatore, ma si mise in rapporto con Abramo direttamente, da persona a persona, come riferisce la Genesi. Gli angeli invece, poiché erano molti, nel trasmettere la legge, non poterono mettersi in rapporto diretto con il partner (il popolo di Israele), ma ebbero bisogno di un mediatore, cioè di Mosè. Quindi la legge, che di fatto fu disposta con l’aiuto di un mediatore, non è superiore alla promessa, ma inferiore ad essa. Nei vv. 19-20 Paolo risolve il problema dimostrando l’inferiorità della legge rispetto alla promessa. Con ciò tuttavia continua a non essere del tutto chiaro se la legge non sia una concorrente o addirittura una controistanza rispetto alla promessa. Paolo se ne avvede, come lascia intendere la domanda formulata con il v. seguente.

v. 21. « Dunque la legge è contro la promessa di Dio? ». Paolo risponde: « Assolutamente no! ». La legge non può essere una concorrente della promessa perché non è in grado di recare la salvezza. Dio ha dato una legge ed essa doveva veramente procurare la vita a coloro che l’avessero osservata (v.12). Ma in realtà non fu in grado di farlo, non fu capace di dare la vita. Se avesse potuto farlo, « la giustizia proverrebbe davvero dalla legge », e con la giustizia la salvezza escatologica. Tuttavia accadde il contrario, come assicura subito il v. successivo.

v. 22. La legge non poteva dare la vita. « La Scrittura racchiuse tutto sotto il peccato » esprime il giudizio emesso dalla Scrittura: tutti senza eccezione sono peccatori, sia giudei che pagani. In Rm 11,32 l’enunciato è ancora più preciso: ciò che qui è attestato dalla Scrittura, lì è detto di Dio: « Dio ha racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia! ». In questo versetto la Scrittura non si identifica con la legge. La Scrittura è il documento che accerta che le sacre esigenze di Dio, come sono codificate dalla legge, sono state trasgredite da tutti, e così essa constata che tutti sono caduti nel peccato. « Non c’è un giusto, neppure uno; non ce n’é uno che sia saggio, nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti assieme sono diventati inetti. Non ce n’é uno che faccia il bene, nemmeno uno solo » (Sal 14,1-3). Questa rovina generale, messa in luce dalla Scrittura, è per l’apostolo la prova che la legge effettivamente non era in grado di arrecare la vita (v.12). Tutto ciò vale anche per i Galati. Anche il loro dedicarsi alle opere della legge non procura ad essi la vita. Tuttavia questa constatazione negativa, costernante e totalmente disilludente della Scrittura sulla terribile situazione di rovina dell’umanità serve in definitiva a uno scopo di salvezza: « affinché ai credenti la promessa fosse data dalla fede in Gesù Cristo ». Con ciò il problema « promessa-legge » che già da 2,16 ha movimentato i ragionamenti dell’apostolo potrebbe dirsi chiuso. Ma Paolo non è ancora soddisfatto. Nel seguito vuole approfondire ancor più la relazione fra legge e adempimento della promessa in Cristo. In quale rapporto stanno reciprocamente la legge e il tempo della fede, già cominciato in Cristo, che comporta l’adempimento della promessa?

vv. 23-25. Paolo parla del « venire » della fede, come nel v. 19 ha parlato del « venire » del discendente di Abramo, Gesù Cristo. « Si tratta del medesimo evento » (Bonnard). Il tempo, apportatore di salvezza del Messia viene qualificato come tempo della fede, che segue il tempo della legge, anzi ne rappresenta l’antitesi. La fede di cui si parla qui è quella in Gesù Cristo, che porta con sé la salvezza e che trasmette ai credenti la benedizione della promessa. « La legge è stata il nostro pedagogo finché non venne Cristo ». Nel sistema educativo dell’antichità c’era il pedagogo, cioè uno schiavo che veniva assegnato al bambino, perché lo accompagnasse quando andava per la strada e a scuola, per proteggerlo dai pericoli, insegnargli come doveva comportarsi nelle varie circostanze ed essere di aiuto. Non era suo compito specifico quello di ammaestrare il bambino. Quando il ragazzo diventava maggiorenne, questa attività cessava. Dunque la funzione del pedagogo non consisteva in una vera e propria educazione del bimbo, ma nella sorveglianza e protezione. Per Paolo anche la legge è stata un pedagogo di questo tipo. La fede però non è frutto della legge, ma della rivelazione: essa è determinata dall’operato storico-salvifico di Dio in Cristo, mentre la legge è caratterizzata dalle opere, che non sono in grado di dare la vita. Possiamo parafrasare così il v. 24: « La legge è stata il nostro pedagogo fino alla venuta del Messia e nulla più, affinché noi ottenessimo la giustificazione non dalle opere della legge, ma dalla fede ». In Rm 3,31 Paolo scrive: « Ma allora con la fede noi annulliamo la legge? Anzi, confermiamo la legge », ossia le diamo la sua vera validità e importanza nell’ambito della storia della salvezza.

« Affinché fossimo giustificati dalla fede ». Il verbo significa essere dichiarato giusto, possedere la giustizia (3,6), la vita (3,21). Quindi la giustificazione non è puramente assoluzione dal peccato, ma nuova creazione dell’uomo, vita di Dio ricevuta per grazia. Il giusto è passato dallo stato di morte a quello di vita. Questa salvezza e trasformazione è già presente nell’uomo e consiste nell’adozione a figli di Dio (v.26). La funzione del pedagogo della legge cessò quando venne la fede in Cristo Gesù (v. 25). Dunque ora i credenti non sono più sotto la legge, ma sotto la grazia (Rm 6,14). Quali conseguenze etiche ne derivino, sarà dettagliatamente esposto da Paolo a partire da 5,13. È l’etica dell’amore e della libertà.

v. 26. Questo v. indica il motivo vero e proprio per cui nel tempo della fede: « non siamo più alle dipendenze di un pedagogo »: perché siamo diventati figli di Dio. Paolo lo dice direttamente ai Galati perché stanno per sottomettersi di nuovo alla potestà del « pedagogo ». Qui Paolo usa chiaramente il termine « figli » nel senso di figli adulti e liberi, non più sotto la tutela del pedagogo.

v. 27. La figliolanza divina dei credenti ha la base del suo essere « in Cristo Gesù » : perché tutti i battezzati in Cristo si sono rivestiti di Cristo. Con l’espressione « battezzare in Cristo » non si vuole indicare una formula battesimale, ma primariamente l’evento salvifico che si ha nel battesimo: entrare in Cristo salvatore significa essere salvati. In che cosa più esattamente consista questo avvenimento di salvezza collegato a Cristo, in occasione del battesimo, viene spiegato meglio in Rm 6,3 ss. In Gal 3,27 egli indica solo brevemente questo evento salvifico come un « indossare Cristo ». Il Cristo risorto è diventato spirito datore di vita nel quale il battezzato è immerso e vive, è per così dire il suo nuovo abito unico e come tale rende insussistenti i segni di differenza dell’esistenza precedente, come spiega il v. seguente. Cristo è il modello unico e definitivo dell’esistenza umana.

v. 28. Poiché Cristo per il battezzato è la realtà nuova che tutto determina, non ci sono più tra i battezzati le differenze e i contrasti di prima. L’esistenza dei credenti in Cristo, che tutti i battezzati hanno indossato, trascende completamente tutte le differenze e le opposizioni. Davanti a Dio le realtà diverse dell’essere giudeo o greco, schiavo o libero, maschio o femmina, hanno perso ogni importanza per la salvezza. Nel contesto della situazione della lettera ciò significa che per i Galati non ha più senso né scopo il rivolgersi al modo giudaico di vivere la religione. Essendo essi battezzati in Cristo, vivono una realtà del tutto nuova che è Cristo, mediante il quale la legge giudaica è decaduta. La loro dedizione al « giudaismo » sarebbe un ritorno a un passato totalmente superato da Cristo. La forza unificatrice del battesimo viene motivata così: « Perché voi tutti siete uno solo in Cristo Gesù ». Poiché tutti nel battesimo hanno « indossato » il medesimo Cristo, per mezzo del battesimo sono tutti diventati « uno solo ». Il termine eis (uno solo) è l’uomo unitario escatologico, il cristiano. In Ef 2,15 Paolo scrive: « Egli fece diventare i due (il giudeo e il greco) in se stesso un unico uomo nuovo ». I credenti sono compresi in una sfera di salvezza che è Cristo e così formano un’unità tra di loro. Gesù costituisce l’ambito in cui tutti i credenti sono « un unico »: cioè l’uomo unitario escatologico vivente in Cristo, che ha superato tutte le differenze menzionate in questo versetto. Eis (uno solo) è ciò che si oppone alla serie elencata (giudeo, greco, schiavo, libero, maschio, femmina). Dunque se l’espressione: « voi tutti siete uno solo in Gesù Cristo » non comporta un’identità di Cristo e dei credenti in lui, essa però fa chiaramente capire il carattere « ontico » dell’unione dei battezzati in Cristo.

v. 29. Il v. conclude il tema che già aveva avuto inizio con 3,7. Ivi gli uomini della fede erano stati dichiarati i veri figli di Abramo. Poi si era constatato che Cristo era quel « seme » escatologico di Abramo mediante il quale e nel quale la promessa di Dio ad Abramo divenne realtà per i popoli. Il tramite, mediante il quale i popoli giungono a un reale collegamento con lui, è la via della fede e del battesimo. Chi in tal modo appartiene a Cristo, è il vero seme di Abramo e perciò anche erede della promessa di benedizione. Con il battesimo i Galati sono diventati proprietà di Cristo, appartengono onticamente a Cristo e quindi sono, in Cristo, seme di Abramo al quale si riferisce la promessa. Ecco perché una conversione dei Galati al giudaismo è superflua, anzi del tutto contraria alla promessa fatta da Dio stesso, e manifesta una comprensione totalmente errata della legge. Infatti la legge non può portare la salvezza, che dipende invece dalla benedizione; è puro dono di grazia ed è apparsa in Cristo.

vv. 4, 1-2. Paolo approfondisce l’idea della maggiore età dei Galati e del loro diritto all’eredità della salvezza in qualità di figli liberi, servendosi di un nuovo paragone tratto dall’ambito giuridico. In questo caso il termine di confronto è dato da un minorenne destinato a diventare erede. Finché dura il tempo della minor età « egli non si distingue in nulla dallo schiavo, benché sia possessore (potenziale) di tutto ». Non gli spetta il diritto di disporre del suo patrimonio, ma è soggetto « a tutori e amministratori fino al termine stabilito dal padre ».

v. 3. L’esempio desunto dal campo giuridico viene applicato alla storia della salvezza, a noi. « Noi », cioè giudei e pagani, nel tempo della nostra minore età, eravamo ridotti in schiavitù sotto « gli elementi del cosmo ». Che cosa si vuol dire con ciò? Una risposta a questa difficile e dibattuta questione la troveremo nel commento a 4,8-11, perché là il contesto offre buoni spunti a questo scopo.

vv. 4-5. Ma la precedente condizione persistente del nostro asservimento appartiene ormai al passato. Infatti nel frattempo è accaduto qualcosa di decisivo che è detto « termine stabilito dal padre ». La scadenza che segnò la fine del nostro asservimento agli elementi del mondo fu la venuta « della pienezza del tempo », in cui Dio inviò suo Figlio. La « pienezza del tempo » di cui si parla qui è il compimento dell’epoca precedente, del tempo dell’attesa, cioè del tempo della promessa e della legge. Ma poiché l’invio del Figlio è anche il compimento del tempo della promessa, qui « pienezza del tempo » significa più che una semplice scadenza da calendario; il compimento è il colmo della misura: viene introdotta direttamente nella storia l’attività salvifica di Dio; nell’avvenimento storico del Gesù terrestre Dio compie la sua azione escatologica. L’invio del Figlio da parte del Padre è un’azione unica e storica: il Figlio fu generato da una donna e sottoposto alla legge. Così Paolo sottolinea la vera e autentica umanità del Figlio. Dicendo che Cristo fu « sottoposto alla legge » e che « nacque da una donna » si vuol mettere in risalto il fatto che egli divenne uomo tra gli uomini e giudeo e, come tale, sottoposto alla legge. La sorte del Figlio aveva un preciso scopo salvifico: « affinché riscattasse quelli che si trovavano sotto la legge ». Il nesso con il v.3 farebbe piuttosto attendere che si dicesse: « affinché riscattasse quelli che si trovavano sotto gli elementi del cosmo ». Ora l’apostolo invece scrive « sotto la legge » per farci capire che esiste un’intima connessione tra il dominio della legge e il potere degli elementi del cosmo (cfr. 4,8-10). Il vero fine salvifico di Dio è la concessione della figliolanza, qui espressa con uiothesìa, che è propriamente un termine tecnico giuridico (adozione), ma che nella letteratura cristiana dei primi tempi si usa solo per rapporti religiosi (Rm 8,15.23; 9,4; Ef 1,5). L’ »essere ammesso nella condizione di figlio » (uiothesìa, adozione) concede i pieni diritti di figlio, benché non vi sia alcuna figliolanza fisica. Soprattutto concede il diritto di accedere all’eredità del padre. La uiothesìa è un puro dono di grazia. Se nel paragone la realtà confrontata corrispondesse perfettamente al termine di confronto si dovrebbe leggere « affinché da minorenni diventassimo maggiorenni ». Ma la maggiore età consiste proprio, concretamente, nell’idoneità ad accedere all’eredità della promessa. A questo scopo occorre essere figli; non ha importanza l’età. L’ammissione, per grazia, dei battezzati alla condizione di figli produce in loro una relazione nuova, intima e del tutto personale con Dio, come spiegherà il v.6.

v. 6. La questione se la ricezione dello Spirito da parte dei credenti sia la conseguenza della loro figliolanza o se viceversa la figliolanza sia la conseguenza della ricezione dello Spirito, deve essere risolta nel primo senso; l’ammissione alla condizione di figli, avvenuta nel battesimo, comporta anche il dono dello Spirito fatto ai figli. La figliolanza è la base della ricezione dello Spirito. Ciò che preme a Paolo è questo: constatare una equiparazione dei figli con il Figlio nella loro relazione esistenziale con Dio, la quale viene comunicata in continuità dallo Spirito del Figlio. Essi stanno in rapporto del tutto intimo-personale con Dio perché lo Spirito concesso loro nel battesimo grida a Dio nei loro cuori: « Padre! », come può fare soltanto il Figlio. Così lo Spirito dischiude e rende possibile una nuova relazione con Dio che Paolo qualifica come rapporto tra padre e figli. A che cosa pensa l’apostolo parlando del « gridare » dello Spirito? Forse a certe esperienze della Chiesa primitiva, come la glossolalia con le sue prime esclamazioni spontanee e inarticolate (1Cor 14) e alla preghiera dei cristiani in genere in quanto è suggerita dallo Spirito. Lo Spirito grida nei credenti a Dio « abbà ». Questa invocazione è espressione del rapporto dell’uomo con Dio inteso in senso del tutto personale-intimo. In essa si manifesta la relazione filiale con Dio, che ai battezzati è resa accessibile dallo Spirito. In tal modo il cristiano per mezzo dello Spirito viene incluso nella famiglia di Dio (Rm 8,15-16; Ef 2,18). Con ciò è ora definitivamente chiarito dall’apostolo quale Spirito i Galati hanno ricevuto un tempo attraverso l’accoglienza della predicazione della fede, quand’essi diventarono cristiani.

v. 7. Ora da questa figliolanza dei credenti l’apostolo trae la conseguenza per il singolo cristiano: « Dunque tu non sei più schiavo, ma figlio ». L’apostolo non dice minorenne, ma schiavo, probabilmente dando uno sguardo retrospettivo al « quando eravamo schiavi degli elementi del cosmo » (v.3). Quello che era uno schiavo è diventato un figlio libero, che quindi può anche accedere alla piena eredità. Ciò oltrepassa di molto l’enunciato di 3,29. Ivi i credenti sono chiamati « seme di Abramo » ed « eredi in conformità della promessa » e vengono immessi nel contesto della promessa che risale fino ad Abramo; in 4,6-7 invece si rivela loro la figliolanza divina, e ciò che i figli di Dio ereditano è tutta la salvezza escatologica (Rm 8,17). Ciò che veramente importa a Paolo è di mostrare ai Galati che a loro, in quanto credenti battezzati, viene donata da Dio l’eredità della salvezza, e perciò un rivolgersi da parte loro al giudaismo è superfluo. Il nome di Dio si trova, accentuato, alla conclusione della pericope perché egli è l’autore di tutta l’opera della salvezza.

NOTA DELLA BJ SU GAL 3,19:

…angeli, le tradizioni giudaiche menzionano la presenza di angeli sul Sinai, quando fu data la legge.

da un sito ebraico:

http://www.morasha.it/ebraismoabc/ebraismo_abc12.html

« Secondo una leggenda talmudica, questa Legge era stata offerta a molti popoli, prima che ad Israele, ma nessuno l’aveva accettata, perché imponeva troppe restrizioni. All’offerta, Israele rispose, invece: « Faremo ed ascolteremo ». Da allora diciamo: « Beati noi, quanto è dolce la nostra eredità; beati noi che sera e mattina proclamiamo l’unità di Dio ».

« Èretz Israèl senza Torà è come un corpo senza anima ».

« Gli ebrei sapevano che avrebbero ricevuto la legge sul Monte Sinài, perché nell’episodio del « Roveto ardente » il Signore aveva detto a Mosè: « E servirete il Signore su questo monte. »

Narra il Midràsh che gli angeli si ribellarono, quando seppero che il Signore voleva dare la Torà al popolo di Israele. Essi infatti pensavano che questo splendido dono, rimasto nascosto per tanti anni prima che il mondo fosse creato, non dovesse essere consegnato all’uomo mortale. Il Signore allora mandò degli angeli da Mosè, perché li convincesse. E Mosè ragionò così con loro: « Voi angeli non avete bisogno della Torà, infatti non avete genitori da onorare, non avete possibilità di venir meno alla regole della kasherùth, non avete nessuna schiavitù in Egitto da ricordare, non avete il pericolo di adorare gli idoli ». Gli angeli ammisero che Mosé aveva ragione e che la Torà doveva essere data agli uomini, perché i suoi precetti erano proprio fatti per loro. Così Mosè portò ad Israele la Torà ».

Gli Angeli dei missionari e dei catechisti

dal sito:

http://www.gesuiti.it/moscati/Ital3/Angeli_MS2.html

Gli Angeli dei missionari e dei catechisti

Marcello Stanzione

Gli Angeli dei missionari

Francesco Saverio, uno dei primi compagni di S. Ignazio di Loyola, è nato il 7 aprile del 1506 in Spagna, nella Navarra, nel castello di famiglia di Xavier. Suo padre era un nobile molto colto, aveva studiato all’università di Bologna ed era il presidente del consiglio reale di Navarra. Anche sua madre, una donna molto ricca, apparteneva alla nobiltà.

I suoi genitori avevano su di lui grandi progetti, per cui lo inviarono a Parigi per studiare. Ma fu proprio qui che, nel collegio di Santa Barbara, conobbe Ignazio di Loyola del quale divenne compagno di stanza e amico personale. Francesco Saverio lo scelse come suo maestro spirituale e sotto la sua guida divenne araldo del Vangelo. Ignazio, quale profondo conoscitore dell’animo umano, gli fece comprendere il senso delle parole di Gesù: «Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde l’anima?» (Marco 8,36).

Il Saverio finì per prendere alla lettera le parole evangeliche e, nel 1534, seguì Ignazio divenendo uno dei primi membri della Compagnia di Gesù, l’ordine religioso fondato da Ignazio, iniziato in Francia nella chiesa di Montmartre e destinato ad incidere profondamente nella storia della Chiesa. Ordinato sacerdote a trentacinque anni, Francesco partì missionario per l’Estremo Oriente e, dopo un viaggio di circa tredici mesi, giunse a Goa, nelle Indie orientali, in qualità di legato pontificio.

In India scrisse un Catechismo elementare, predicò e si dedicò all’assistenza dei malati. Si diresse in seguitonell’India meridionale, ottenendo molte conversioni anche tra i bramini, solitamente ostili ai missionari cattolici. Ignazio aveva inspirato in Francesco una profonda devozione ai santi angeli. Infatti S. Ignazio di Loyola parla degli angeli negli Esercizi spirituali (EE.SS.) nelle regole del discernimento degli spiriti, in cui annota: «È proprio di Dio e dei suoi angeli, nelle loro mozioni, dare vera letizia e gioia spirituale, rimuovendo ogni tristezza e turbamento che il nemico induce; …»(EE.SS., 329).

L’angelo è, quindi, per S. Ignazio di Loyola il messaggero della vera armonia: quando entriamo in comunicazione con lui, corpo e anima esultano e abbandonano qualsiasi legame insito nella fragilità della nostra condizione. Per S. Ignazio, a seconda della nostra intima disposizione ad accogliere l’angelo, questi diventa consolatore o vendicatore, come scrive nella settima regola del discernimento degli spiriti: «In quelli che procedono di bene in meglio, l’angelo buono tocca l’anima dolcemente, delicatamente e soavemente, come goccia d’acqua che entra in una spugna; e il cattivo tocca in modo pungente e con strepito e inquietudine, come quando la goccia d’acqua cade sopra la pietra.

I sopraddetti spiriti toccano in modo contrario quelli che procedono di male in peggio; causa di questo è la disposizione dell’anima che è contraria o simile ai detti angeli; quando infatti è contraria, entrano con strepito e facendosi sentire in maniera percettibile, e quando è simile, entrano silenziosamente come in casa propria a porta aperta» (EE.SS., 335). Questo insegnamento di S. Ignazio sugli angeli fu accolto e vissuto da numerosi santi gesuiti che diffusero il culto agli angeli custodi lungo i secoli. Francesco Saverio, prossimo ad andare in Giappone, così scriveva ai suoi confratelli di Goa in India: «Vivo nella grande speranza che Dio mi stia per concedere la grazia della conversione di questi paesi poiché, non fidando in me stesso, ho posto ogni mia fiducia in Gesù Cristo, nella santissima Vergine Maria e in tutti i nove cori degli angeli, fra i quali ho eletto per protettore il principe e campione della Chiesa militante san Michele; e non poco spero in quell’arcangelo alla cui speciale cura è stato affidato questo gran regno del Giappone. Ogni giorno mi raccomando a questi in modo particolare e a tutti gli angeli custodi dei giapponesi».

Francesco Saverio divenne il primo missionario cattolico sbarcato nel 1549 in terra nipponica, a Kagoshima. Dopo tre anni di permanenza erano già sorte ben tre comunità cristiane con millecinquecento membri. Nominato provinciale di tutte le missioni dei gesuiti d’Oriente, Francesco Saverio scelse come nuova meta la Cina, ma, giunto all’isola di Sancian, venne colto dalla febbre e morì nel 1552 a soli quarantacinque anni. Nei dodici anni di permanenza in Oriente il santo percorse oltre centomila chilometri. Nella sua biografia si legge che Francesco resistette alla visita del diavolo prima di partire per le isole Molucche, dove pare vivessero cannibali.

Come si sia a lui manifestato satana non ci è dato sapere; si sa che per il santo era come entrare nella notte dell’azione, nella piena solitudine, proprio di fronte ad una decisione difficile da prendere come quella di partire da solo e per sempre verso un mondo totalmente sconosciuto. Francesco reagì alla forza di negazione che gli si opponeva; quella forza negativa per lui era il demonio, che forse egli vide fisicamente. Una cosa è certa, san Michele e i santi angeli, di cui egli era devotissimo, lo protessero sempre!

Gli Angeli dei catechisti

Nel Nuovo Testamento appare il verbo greco katechein (letteralmente risuonare, far risuonare), col significato religioso di istruire, insegnare oralmente, raccontare. In questo senso, la catechesi indica il ministero della parola nella sua molteplicità: evangelizzazione, istruzione, profezia, testimonianza, esortazione. In seguito, nell’epoca post-apostolica e patristica, la catechesi riceverà un significato più preciso di insegnamento approfondito e fondamentale della fede cristiana. Poiché la Chiesa si basa sui due pilastri della Parola e della Tradizione, tutta la Chiesa è catechista perché, attraverso l’annuncio della parola di Dio, l’amministrazione dei Sacramenti e l’esercizio della carità continua, nel corso della storia, la missione di Cristo.


Così scrisse S. Francesco Saverio, prossimo ad andare in Giappone: «Ogni giorno mi raccomando in modo particolare a tutti gli angeli custodi dei giapponesi».
Per i fedeli laici, che sono oltre il 99,9% dei membri del popolo di Dio, la vocazione cristiana è vivere nel mondo come santi e sante nella vita quotidiana: «Vivono nel mondo, implicati in tutti i singoli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della loro vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta» (Lumen Gentium, 31). Con il battesimo i fedeli laici sono addirittura consacrati per vivere come tempio santo di Dio, per offrire tutte le loro opere buone come sacrifici spirituali a Dio.

In questo senso, tutti (bambini, giovani, adulti, anziani, malati condividono la responsabilità della missione apostolica della Chiesa, in quanto) hanno «la vocazione e missione di essere annunciatori del Vangelo» (Christifideles laici, 33). Il campo dell’attività evangelizzatrice dei laici cristiani comincia dalla propria famiglia (come il primo spazio per l’impegno personale) e continua nella professione (come via alla propria santificazione e al miglioramento della società), nella parrocchia, nei gruppi ecclesiali cattolici, nelle diverse forme di volontariato, nel mondo della cultura e della politica.

La nostra particolare e personale via alla santità viene beneficiata quando risponde alle ispirazioni e aiuti che ci sono offerti dai santi angeli di Dio. Gli angeli ci aiutano potentemente ad allontanarci da tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio. Ma chi sono gli angeli per noi cattolici? Il Catechismo della Chiesa Cattolica (= CCC) ci insegna che i santi angeli sono esseri spirituali (n. 328), «servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che “vedono sempre la faccia del Padre… che è nei cieli” (Matteo 18, 10), essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (Sal 103, 20)» (n. 329). Nello svolgimento del loro servizio a Dio, i santi angeli si impegnano con tutto il loro essere, con tutta la loro intelligenza e volontà.

Riguardo a noi uomini, gli angeli ci accompagnano e ci aiutano nel nostro cammino spirituale dall’inizio della nostra vita «fino all’ora della morte» (CCC, 336), ci incoraggiano (cf. At 1, 10-11), ci sostengono, ci proteggono (cf. Sal 34, 8; 91,10-13); «tutta la vita della Chiesa beneficia dell’aiuto misterioso e potente degli angeli» (CCC, 334). I santi angeli ci aiutano a raggiungere la nostra salvezza (cf. Eb 1, 14). La nostra risposta a questo aiuto degli spiriti celesti si esprime logicamente in modo particolare nella devozione che la Chiesa, fin dalle origini, ha tributato ai santi angeli: «Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza nella Liturgia dei defunti e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi)» (CCC, 335).

Anche il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, riguardo agli angeli, afferma: «La Sacra Scrittura dice: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). La Chiesa, nella sua professione di fede, proclama che Dio è il Creatore di tutte le cose visibili e invisibili: di tutti gli esseri spirituali e materiali, cioè degli angeli e del mondo visibile, e in modo particolare dell’uomo» (n. 59). Riguardo poi all’identità di questi spiriti celesti il Compendio sottolinea che gli angeli sono creature puramente spirituali, incorporee, invisibili e immortali, esseri personali dotati di intelligenza e di volontà. Essi, contemplando incessantemente Dio a faccia a faccia, lo glorificano, lo servono, e sono i suoi messaggeri nel compimento della missione di salvezza per tutti gli uomini (n. 60).

Il Compendio sottolinea ancora che la Chiesa si unisce agli angeli per adorare Dio e cita una frase di S. Basilio Magno: «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita» (n. 61). Gli angeli ci aiutano pure nella nostra attività di evangelizzazione missionaria e di catechesi. Come gli angeli del Natale recano la prima buona notizia della nascita di Cristo ai pastori di Betlemme, così essi costituiscono i nostri modelli nella diffusione del Vangelo (cf. Luca 1,11.20; 2, 8-15). S. Tommaso d’Aquino afferma che la trasmissione delle verità di fede avviene soprattutto grazie agli angeli, tramite i quali i misteri divini vengono rivelati agli uomini. Per questo gli angeli conducono all’illuminazione della fede.

L’identità del catechista nella Chiesa cattolica è quindi molto simile alla figura dell’angelo custode, tanto da rendere possibile un accostamento tra queste due figure. S. Giovanni Battista de La Salle (1651-1719), il fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, laici consacrati con i voti all’insegnamento e alla catechesi dei giovani, nominato da Pio XII nel 1950 patrono universale degli educatori cristiani, nel 1700 scriveva che la missione degli educatori-catechisti è simile a quella degli angeli custodi.

Sul ministero del catechista come angelo custode del catechizzando, S. Giovanni Battista de La Salle scrive delle pagine magistrali nella storia della spiritualità degli educatori cristiani: «Gli angeli custodi godono di una speciale illuminazione e conoscono il bene nella sua essenza. Per loro mezzo Dio manifesta la sua volontà a noi che siamo predestinati ad essere suoi figli adottivi e “anche suoi eredi” (Romani 8, 17). Comunicandoci la luce divina di cui godono, ci indicano quel che dobbiamo fare per divenire “coeredi di Cristo” (Romani 8, 17). Ciò è raffigurato nella scala che Giacobbe vide in sogno, mentre si recava in Mesopotamia.

Sulla scala misteriosa “gli angeli di Dio salivano e scendevano” (Genesi 28, 12). Salivano a Dio per presentargli i bisogni dei loro protetti e per ricevere i suoi ordini; discendevano per far conoscere ai loro beneficati la volontà divina circa la loro salvezza. Dovete fare altrettanto coi giovani affidati alle vostre cure. Salire ogni giorno a Dio mediante l’orazione per apprendere quel che dovete insegnare; discendere ai giovani adeguandovi alla loro capacità, per comunicar loro quanto Dio gli avrà insegnato sia nella preghiera, sia mediante i Libri sacri pieni di celeste sapienza […].

Voi che partecipate al ministero degli angeli custodi, avete la missione di far conoscere ai giovani le verità del Vangelo, essendo stati scelti per annunziarle. Dovete insegnare ad essi anche i mezzi per praticarle e dimostrare inoltre grande zelo perché ne facciano uso. […] Vegliate molto su di loro perché pratichino il bene e abbiano orrore del peccato: due impegni essenziali per giungere alla salvezza. Se volete compiere la vostra missione di angeli custodi dei giovani al fine di renderli idonei ad edificare il corpo di Cristo, cercate di ispirare loro gli stessi sentimenti e le stesse disposizioni d’animo che S. Paolo si sforzava di suscitare negli Efesini nella lettera loro inviata: “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione” (Efesini 4, 30)».

Come appare dai racconti evangelici, gli angeli sono i primi testimoni e messaggeri della risurrezione (Luca 24,5.7). Per i primi cristiani, la devozione verso gli angeli non sminuisce il valore di Cristo e della rivelazione biblica. Il libro degli Atti ci attesta la sollecitudine degli angeli di Dio che liberano gli apostoli dalla prigione (Atti 5,18-20) e in particolare di Pietro, minacciato di morte. È sempre un angelo che guida l’attività catechistica di Filippo lungo la strada da Gerusalemme a Gaza (Atti 8, 26-29), come anche quella di Pietro nei confronti di Cornelio, il centurione pagano convertito (Atti 10,3 e ss.).

S. Michele Arcangelo è sempre stato invocato come difensore della Chiesa, di ogni cristiano, potente nella lotta contro le forze del male.
Gli angeli, nella visione cattolica del cristianesimo, non sono assolutamente concorrenti di Dio ma sono catechisti e missionari del Signore, a servizio degli uomini che devono entrare in possesso della salvezza. Prova ne è la presentazione biblica di tre figure angeliche: Raffaele, Michele e Gabriele. Raffaele (Tobia 12,15-20), “medicina di Dio”, ci orienta verso la cura degli uomini, che da Dio viene affidata agli angeli e agli esseri umani. Michele (Deuteronomio 10,13.20; Apocalisse 12,7) richiama già nella sua etimologia (chi è come Dio?) la scelta fondamentale di una esistenza cristiana credente volta al riconoscimento e al servizio divino. Gabriele, “potenza di Dio”, è posto al servizio dell’Incarnazione del Verbo (cf. Luca 1,19-26), cioè del più grande segno salvifico dell’onnipotenza divina.

Il ministero angelico si fa così modello di quello catechistico umano, chiamato a partecipare la vita divina nel dispiegamento della sua missione su questo pianeta. Il catechista potrebbe quindi ben recitare l’orazione dell’Ora Nona della IV settimana che dice: «O Dio, che mandasti il tuo angelo al centurione Cornelio per indicargli la via della salvezza, donaci di collaborare alla redenzione di tutti gli uomini perché riuniti nella tua Chiesa possiamo giungere fino a Te nella gloria».

In conclusione, la vita stessa dei catechisti, per essere efficace ed incisiva, deve essere conforme a quella degli angeli custodi, ovviamente senza scadere in un angelismo astratto, di matrice piuttosto new age e non cristiana. La comunione di vita interiore dei catechisti con gli angeli ce li fa guardare come compagni di servizio, cantori della gloria di Dio nella lode incessante dell’Agnello celeste a cui la Liturgia cristiana della terra è associata.

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI |on 1 octobre, 2010 |2 Commentaires »

Gli Angeli: chi sono e cosa fanno? (Mons. Raffaello Marinelli)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-17573?l=italian

Gli Angeli: chi sono e cosa fanno?

ROMA, martedì, 17 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda catechetica scritta da mons. Raffaello Martinelli, Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma.

Le schede catechetiche di mons. Martinelli si possono trovare in forma già stampata all’interno della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Via del Corso a Roma.

* * *

Chi sono gli angeli?

“Gli angeli sono creature puramente spirituali, incorporee, invisibili e immortali, esseri personali dotati di intelligenza e di volontà. Essi, contemplando incessantemente Dio a faccia a faccia, Lo glorificano, Lo servono e sono i suoi messaggeri nel compimento della missione di salvezza per tutti gli uomini” (Compendio del CCC, 60).
“In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che «vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18, 10), essi sono «potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103, 20).
In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria” (CCC, 329-330).
Sant’Agostino dice a loro riguardo: «“Angelus” officii nomen est, [...] non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus – La parola “angelo” designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo» (Sant’Agostino, Enarratio in Psalmum 103, 1, 15: CCL 40, 1488).

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L’esistenza degli angeli è una verità di Fede?

Certamente. “L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di Fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione” (CCC, 328).
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Che cosa fanno gli angeli nell’Antico Testamento?
? L’Antico testamento descrive vari interventi degli angeli nella vita del Popolo d’Israele:
? Ad esempio:
• la lotta con l’angelo di Giacobbe (Gn 32, 25-29);
• la scala percorsa dagli angeli, sognata da Giacobbe (Gn 28, 12);
• i tre angeli ospiti di Abramo (Gn 18);
• l’intervento dell’angelo che ferma la mano di Abramo che sta per sacrificare Isacco;
• l’angelo che porta il cibo al profeta Elia nel deserto;
? Pressante è poi l’invito che leggiamo nel Salmo 148 (Lode cosmica): “Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell’alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti suoi angeli, lodatelo, voi tutte sue schiere… Lodino tutti il nome del Signore, perché al suo comando ogni cosa è stata creata (Sal 148, 1-5).
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E il Nuovo Testamento come parla degli angeli?
? Anche il Nuovo Testamento parla frequentemente degli angeli. Si veda ad esempio:
• l’annuncio, da parte degli angeli, ai pastori della nascita di Cristo;
• l’angelo che compare in sogno a Giuseppe, suggerendogli di fuggire con Maria e il Bambino;
• gli angeli che adorano e servono Gesù dopo le tentazioni nel deserto;
• l’angelo che annunciò alla Maddalena e alle altre donne, la Risurrezione di Cristo;
• la liberazione di S. Pietro, dal carcere e dalle catene a Roma;
• l’Apocalisse.
? In particolare è toccante l’affermazione di Gesù circa gli angeli, a difesa dei piccoli: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18, 10).
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Qual è la relazione fra Gesù Cristo e gli angeli?
? “Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono i suoi angeli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli [...]» (Mt 25, 31).
• Sono suoi perché creati per mezzo di Lui e in vista di Lui: «Poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: troni, dominazioni, principati e potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui» (Col 1, 16).
• Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza: «Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?» (Eb 1, 14).
? Essi, fin dalla creazione e lungo tutta la storia della salvezza, annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del disegno salvifico di Dio (…).
? Dall’incarnazione all’ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli. Quando Dio «introduce il Primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio» (Eb 1, 6). Il loro canto di lode alla nascita di Cristo non ha cessato di risuonare nella lode della Chiesa: «Gloria a Dio…» (Lc 2, 14). Essi proteggono l’infanzia di Gesù, servono Gesù nel deserto, lo confortano durante l’agonia, quando Egli avrebbe potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici come un tempo Israele. Sono ancora gli angeli che evangelizzano la Buona Novella dell’incarnazione e della risurrezione di Cristo. Al ritorno di Cristo, che essi annunziano, saranno là, al servizio del suo giudizio” (CCC, 331-333).
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Che cosa significa la frase evangelica: “Vedrete gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Gv 1,51)?
Origene, antico sacerdote e teologo vissuto tra il 185 e il 253 d.C., così illustra tale frase:
“Gli angeli scendono perché Cristo era sceso per primo; essi temevano di scendere prima che l’avesse ordinato il Signore delle potenze celesti e di tutte le cose (Col 1, 16). Ma quando hanno visto il Principe delle schiere celesti dimorare sulla terra, allora, per questa via aperta, sono usciti dietro al loro Signore, obbedendo alla volontà di colui che li ha ripartiti come custodi di coloro che credono nel suo nome, (…).
Per questo, quando nacque Cristo, c’era «una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio» (Lc 2, 18)” (Origene, Omelie su Ezechiele I, 7; SC 352, 71-73).________________________________________

In che modo gli angeli sono presenti nella vita della Chiesa?
“Tutta la vita della Chiesa beneficia dell’aiuto misterioso e potente degli angeli. Nella liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza (così nell’In paradisum deducant te angeli… – In paradiso ti accompagnino gli angeli – nella liturgia dei defunti, o ancora nell’«Inno dei cherubini» della liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi). Dal suo inizio fino all’ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione” (CCC, 334-336).
“La Chiesa si unisce agli angeli per adorare Dio, invoca la loro assistenza e di alcuni celebra liturgicamente la memoria” (Compendio del CCC , 61).________________________________________

In che modo i fedeli, imitando gli angeli, possono adorare Dio?
? Adorare significa rendere culto a Cristo Signore realmente presente con il Suo Corpo nel Tabernacolo. Tale culto di adorazione (o di latria) è riservato esclusivamente a Dio solo, come termine di onore, di riconoscimento della sua superiorità e della nostra sottomissione.
? L’adorazione eucaristica scaturisce:
1. dalla celebrazione dell’Eucaristia: il sacrificio della S. Messa è veramente l’origine e il fine del culto che viene reso all’Eucaristia fuori della S. Messa, il quale è pertanto intimamente legato alla celebrazione eucaristica, è il suo naturale prolungamento ed è ad essa ordinato;
2. dalla fede nella presenza reale del Signore: essa porta naturalmente alla manifestazione esterna, pubblica e privata di questa stessa fede;
3. dalla certezza che il Signore è con noi sempre: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
? L’adorazione del Santissimo Sacramento può essere sia personale che comunitaria, nelle sue varie forme, compresa l’esposizione del Santissimo Sacramento, nell’ostensorio o nella pisside, in forma prolungata o breve. Essa, raccomandata dalla Chiesa a Pastori e fedeli, è altamente espressiva del legame esistente tra la celebrazione del Sacrificio del Signore (che in se stessa è il più grande atto d’adorazione della Chiesa) e la sua presenza permanente nell’Ostia consacrata.
? Adorare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia fuori della Messa, anche come riparazione, è una conseguenza della nostra fede nel mistero celebrato. L’adorazione pertanto va intesa come preparazione alla S. Messa, come l’attitudine celebrativa dei santi misteri e come ringraziamento per il dono dell’Eucaristia.
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Ci sono altri modi per adorare il Signore?
Oltre alle forme di adorazione, di cui si è già parlato, occorre ricordare che il nostro amore all’Eucaristia si può esprimere in altre forme, con le quali adoriamo il Signore, quali:
• l’adorazione perpetua, quella delle Quaranta Ore o in altre forme, che investono un’intera comunità parrocchiale o religiosa, o un’associazione eucaristica, e forniscono l’occasione per numerose espressioni di pietà eucaristica;
• la semplice visita al Santissimo Sacramento riposto nel tabernacolo: breve incontro con Cristo suggerito dalla fede nella sua presenza e caratterizzato dall’orazione silenziosa;
• la benedizione eucaristica, che ordinariamente conclude le processioni e adorazioni eucaristiche, quando c’è il sacerdote o il diacono. Poiché la benedizione con il Santissimo Sacramento non è una forma di pietà eucaristica a sé stante, deve essere preceduta da una breve esposizione, con un tempo conveniente di preghiera e silenzio. E’ pertanto vietata l’esposizione fatta unicamente per impartire la benedizione;
• le processioni eucaristiche per le vie della città terrena: esse aiutano i fedeli a sentirsi popolo di Dio che cammina con il suo Signore, proclamando la fede nel Dio con noi e per noi. Ciò vale soprattutto per la processione eucaristica per eccellenza, quella del Corpus Domini. Nelle processioni tutto deve concorrere a far risaltare la dignità e la riverenza verso il Santissimo: il comportamento, l’addobbo delle vie, l’omaggio dei fiori, i canti e le preghiere devono essere una manifestazione di fede nel Signore e di lode a Lui;
• i congressi eucaristici: essi, segno di fede e di carità, si possono considerare come una “statio” cioè una sosta d’impegno e di preghiera, a cui una comunità invita la Chiesa universale o una Chiesa locale invita le altre Chiese della medesima regione o della stessa nazione o del mondo intero, per approfondire insieme qualche aspetto del mistero eucaristico e prestare ad esso un omaggio di pubblica venerazione.
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Chi sono gli Arcangeli?
? Nella fede cristiana, fra gli angeli si identificano anche tre Arcangeli. Infatti nella Bibbia, e in particolare nel libro di Tobia, si legge che gli Arcangeli sono coloro che siedono alla presenza di Dio, ne contemplano la gloria e lo lodano incessantemente. La Chiesa cattolica riconosce tre arcangeli:
• Michele: etimologicamente significa «Chi è come Dio?», “Grandezza di Dio”, “Il Grande Dio” o “Simile a Dio”. È l’Arcangelo della luce e del fuoco; è a capo delle schiere celesti. È lui che scaraventò Lucifero lontano dal Paradiso. Per questo, nell’iconografia cristiana viene raffigurato come un giovane forte, giovane e bello, con indosso un’armatura. Viene identificato come il protettore della Chiesa Cattolica Romana, nonché santo patrono della nazione ebraica. La liturgia dei defunti lo vuole accompagnatore delle anime.
• Gabriele: il suo nome etimologicamente significa “Forza di Dio”, in quanto si suppone che abbia combattuto con Giacobbe rompendogli il femore (cfr. Gn cap. 32). Si presentò a Zaccaria come «colui che sta al cospetto di Dio» (Lc 1, 19). Apparve alla Vergine Maria, annunciandole la nascita di Gesù (Annunciazione). Per questo è considerato a capo degli ambasciatori, nonché l’Angelo della Rivelazione. Nell’iconografia cristiana viene raffigurato come un giovane elegante, maestoso, abbigliato di ricche vesti. Frequentemente viene anche ritratto in ginocchio di fronte alla Madonna con le braccia incrociate sul petto o con in mano una pergamena, uno scettro o un giglio.
• Raffaele: il suo nome significa “Divino Guaritore”, o “Dio Guarisce”, “Salvezza di Dio”, è citato nel libro di Tobia, ed accompagnò Tobiolo nel viaggio in Mesopotamia per recuperare il denaro del padre, liberò Sara da un demonio e favorì il matrimonio di questa con Tobiolo. È spesso considerato come l’angelo custode per eccellenza, il capo degli Angeli custodi, l’Angelo della Provvidenza che vigila su tutta l’umanità. Viene spesso raffigurato, nell’iconografia cristiana, insieme al giovane Tobia e al suo cane, che l’accompagna fedelmente e costantemente. E’ identificato come il protettore dei pellegrini, di coloro cioè che compiono un pellegrinaggio verso un luogo religioso o meglio ancora sono in cammino verso Dio. Viene raffigurato per questo come un viandante che viaggia col bastone ed i sandali, la borraccia dell’acqua e la bisaccia a tracolla.
? La Chiesa celebra la festa di questi tre Arcangeli il 29 settembre.
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Che cosa fanno gli angeli custodi?
? Nel libro dell’Esodo, così leggiamo: “Così dice il Signore: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato.
Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce e non ribellarti a lui » (Es 23, 20-21).
? «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita» (San Basilio Magno, Adversus Eunomium, 3, 1: SC 305, 148).
? “Dal suo inizio fino all’ora della morte, la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione” (CCC, 336).
? Leggiamo nel Libro dei Salmi: «Egli (Dio) darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11).
San Bernardo così commenta questa frase biblica: “Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. (…) Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. (…) Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo” (San Bernardo, abate, Discorso 12 sul Salmo 9, opera omnia, ed. cisterc. 4 [1966] 458-462).
? Il culto degli Angeli custodi compare dal sec. XVI come festa a sé presso molte Chiese. Nel calendario romano viene introdotto nel 1615.
________________________________________

Quali preghiere la Chiesa ci invita a rivolgere a Dio attraverso gli angeli custodi?
? Nel giorno liturgico degli angeli custodi (2 ottobre), la Chiesa così prega nella Celebrazione Eucaristica:
“O Dio, che nella tua misteriosa provvidenza mandi dal cielo i tuoi Angeli a nostra custodia e protezione, fa’ che nel cammino della vita siamo sempre sorretti dal loro aiuto per essere uniti con loro nella gioia eterna.
Accogli, Signore, i doni che ti offriamo in onore dei santi Angeli; la loro protezione ci salvi da ogni pericolo e ci guidi felicemente alla patria del cielo.
O Padre, che in questo sacramento ci doni il pane per la vita eterna, guidaci, con l’assistenza degli Angeli, nella via della salvezza e della pace. Per Cristo nostro Signore”.
? La tradizione popolare cristiana ci ha tramandato questa semplice, ma bella preghiera all’angelo custode:
“Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen”.

Il Primicerio della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma
Monsignor Raffaello Martinelli

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI, FESTE |on 28 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

ANCHE PAOLO, COME GESÙ CREDEVA NEGLI ANGELI, articolo, link

SUL SITO:  »PAULUSWEB »,  DI MARCELLO STANZIONE, QUATTRO PAGINE:

http://www.paulusweb.net/paulusweb/paulusweb_site/joomla/index.php?option=com_content&task=view&id=1609&Itemid=183&limit=1&limitstart=0

Publié dans:ANGELI ED ARCANGELI |on 1 octobre, 2009 |Pas de commentaires »
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