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SENZA ANIMALI NON C’È PARADISO – DI PAOLO DE BENEDETTI

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201203/120307debenedetti.pdf

SENZA ANIMALI NON C’È PARADISO

DI PAOLO DE BENEDETTI

in “Qol” n. 150 dell’ottobre, novembre, dicembre 2011

Una delle immagini dell’attesa messianica che più mi turbano è — non ci si scandalizzi — quella di una mosca che si agita contro un vetro. È veramente il simbolo di una salvezza che non arriva. E vorrei dire, proprio partendo da questa minuscola e frequente esperienza, che l’attesa è forse lo stato d’animo che unisce tutti gli esseri viventi: non solo l’uomo, non solo gli animali, ma anche le piante, con i loro germogli protesi verso la luce. È un’attesa, diciamo pure una speranza, che trova la sua realizzazione talvolta nella vita, talvolta nella morte, che fa dell’uomo il messia impotente a cui guardano gli animali, quel messia che, nell’Odissea, appare negli occhi del cane di Ulisse, Argo: « [...] Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno lo nutrì di sua mano (ma non doveva goderne) [...]ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,/ sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte ammucchiavano, perché poi lo portassero / i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo; là giaceva il cane Argo, pieno di zecche. E allora, come sentì vicino Odisseo, / mosse la coda, abbassò le due orecchie, ma non poté correre incontro al padrone. E il padrone, voltandosi, si terse una lagrima [...] E Argo la moira di nera morte afferrò / appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni » (Canto XVII, versione di Rosa Calzecchi Onesti).

Forse, il rapporto uomo-animale raggiunge la sua forma più sublime proprio nella morte: « Agnello di Dio » è l’immagine che meglio rappresenta l’unione tra il divino e l’animale attraverso la morte. Ma sono innumerevoli, nella Bibbia, i riferimenti, i precetti, i simboli legati al mondo animale, a partire dal racconto della creazione, in cui Dio, dopo aver creato « tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie, [...] vide che era cosa buona. Dio li benedisse: `Siate fecondi e moltiplicatevi [...] » (Gen 1,21- 22). Si potrebbe dire che la benedizione divina degli animali perdurerà dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando ritroveremo gli animali nella vita eterna. Perché – anche se la teologia ha gravemente trascurato questo aspetto – occorre riconoscere « con fede piena » la resurrezione di tutto ciò che ha avuto la vita, animali e piante. Se ciò non avvenisse, bisognerebbe riconoscere che la morte è più potente di Dio, che la morte vince in eterno la vita. Come scrisse Giovanni Calvino, « non vi è alcun elemento né alcuna particella del mondo che, quasi consapevole della sua presente miseria, non speri nella resurrezione ». Anche sotto questo aspetto, c’è una comunione di origine e destino tra l’uomo e gli animali, che deve essere vissuta nell’esistenza quotidiana. Ecco perché sono fondamentali tutti i precetti che nella Bibbia riguardano il nostro rapporto con gli animali, e che non sono soltanto affermazioni teologiche, ma regole per la vita di ogni giorno. Alcuni esempi: « Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo » (Es 23,45; cf. Dt 22,13). »Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte… » (Dt 5,1314; Cf. Es 20,10). »Quando nascerà un vitello o un agnello o un capretto, starà sette giorni sotto la madre; dall’ottavo giorno in poi, sarà gradito come vittima da consumare con il fuoco per il Signore » (Lv 22,26-27; Cf. Es 22,28-29). « Non scannerete vacca o pecora lo stesso giorno con il suo piccolo » (Lv 22, 28). »Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre » (Es 23,19; cf. Es 34, 26; Dt 14,21). « Non devi arare con un bue e con un asino aggiogati insieme » (Dt 22,10). »Non metterai la museruola al bue, mentre sta trebbiando » (Dt 25,4). Queste e molte altre norme contenute nella Torà mostrano un rispetto per gli animali che tuttavia non ne esclude l’uso alimentare. Però la Torà e tutta la tradizione ebraica successiva vietano nel modo più assoluto l’uso del sangue degli animali: « Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue » (Gen 9,3-4). Poiché il sangue, come qui è detto, contiene la vita, cioè l’anima, è riservato a Dio: ciò significa che, pur consentendo dopo il diluvio di cibarsi di carne (e questo è un segno del pessimismo divino verso l’uomo), Dio si riprende l’anima degli animali macellati. Anche per essi c’è dunque un’altra vita. Ma occorre anche aggiungere che la macellazione deve compiersi senza la sofferenza dell’animale: in caso contrario è vietato nutrirsene. E l’uomo non deve comunque consumare il proprio pasto senza prima aver dato da mangiare all’animale (Berakhot 40a). E proprio il nutrire gli animali, secondo un midrash (al salmo 37), è stato, per Noè e la sua famiglia nell’arca, il merito che ne ha determinato la salvezza. Secondo una leggenda, Noè è uscito salvo dall’arca per la carità praticata verso gli animali da lui ospitati: « Non dormivamo, ma davamo a ciascuno il suo cibo durante tutta la notte ». Ma che tutta la Torà ci spinga a considerare gli animali (e le piante, aggiungo io) come nostro prossimo, emerge anche da un passo talmudico, in cui gli animali sono non solo nostro prossimo, ma nostri maestri: « Se non ci fosse stata data come guida la Torà, avremmo potuto imparare la modestia dal gatto, l’onestà dalla formica, la castità dalla colomba, le buone maniere dal gallo » (Eruvin 100b). Del resto, in Romani 8,19 ss., San Paolo afferma cne tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto »: e proprio per questo il Paradiso è una meta per tutto ciò che respira, per la mosca contro il vetro come per il mistico, per il fiore come per la colomba (a sua volta immagine divina). Mi sia consentito concludere citando una breve poesia che ho scritto per la morte di un cane malato:

« Bobi, che su nel cielo / muovi la coda a Dio, / essere amato e amare / è stata la tua sorte / in vita come in morte / Ora, ti prego, insegnaci / a varcar quella porta / mentre si fa più corta / la nostra attesa; e un filo / di luce dal tuo pelo / ci guidi a ritrovarti / nel prato di asfodelo« .

Publié dans:ANIMALI, DOCENTI - |on 13 janvier, 2014 |Pas de commentaires »

TUTTE LE CREATURE VIVENTI. – LA RIFLESSIONE TEOLOGICA ED ETICA.

http://www.lacoscienzadeglianimali.it/index.php/gli-interventi/3d-giornata-nazionale-2-luglio-2011/316-la-coscienza-degli-animali-milano-13-maggio-2010-intervento-di-luigi-lorenzetti

MILANO, 2 LUGLIO 2011 – INTERVENTO DI DON LUIGI LORENZETTI

TUTTE LE CREATURE VIVENTI. – LA RIFLESSIONE TEOLOGICA ED ETICA.


Il terzo appuntamento di La coscienza degli animali si propone, _ come annuncia il Ministro del turismo, on. Michela Vittoria Brambilla, nel programma _ «la necessità di interpretare compiutamente il sentimento di amore verso tutte le creature viventi». L’attenzione va su quel «tutte»: ci sono forse creature viventi che sono escluse dall’amore e dal rispetto? Al riguardo, cosa insegna la teologia? Quale morale ne deriva? Sono domande alle quali si vuole rispondere, sia pure per linee essenziali. L’intento è duplice: delineare una teologia (comprensione cristiana) delle creature viventi; e mostrare l’etica che ne deriva.

I.  Le creature viventi: quali sono?
Creature viventi sono gli umani, gli animali, i vegetali: sono forme di vita distinte ma correlate: non si può parlare compiutamente dell’una senza includere anche l’altra. Tuttavia, nel corso della storia, non solo cristiana, il discorso sulle creature viventi è stato riduttivo: tra le creature viventi, si considerava quasi esclusivamente il vivente umano: il vivente animale e, ancora più, il vivente vegetale passavano in secondo piano. Ma anche quando si parlava delle diverse forme di vita,  si evidenziava subito il rapporto gerarchico tra il vivente umano e il vivente animale: superiore l’uno, inferiore l’altro. Come si sa per esperienza, quando s’introduce l’ordine gerarchico tra un primo e un secondo, il secondo ci perde sempre. L’ordine gerarchico (dominato-dominante, superiore-inferiore) falsa il rapporto tra i viventi umani, ma anche tra questi e gli animali.

1I. Una aggiornata teologia delle creature viventi
 Per evitare un discorso riduttivo e discriminatorio tra le creature viventi, è necessario ripensare le diverse fasi della storia della salvezza, dove appare evidente che la salvezza, annunciata e promessa, include tutte le creature viventi: i viventi umani, i viventi animali, vegetali e gli stessi elementi naturali.

1. La creazione
Il testo biblico riferisce che prima compaiono le piante, successivamente gli animali, infine l’essere umano, uomo e donna, che è posto al vertice e culmine dell’universo. Il quadro delle creature viventi è così completo: tutte le creature,  animate e inanimate, sono opera dell’azione creatrice di Dio. E questo è vero anche nella prospettiva dell’evoluzione che ha, come punto di partenza non il caso, ma un disegno Intelligente.
All’uomo e alla donna, il Creatore affida il dominio su l’universo: . dice (Genesi 1,28): «riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Genesi, 1,28). Al capitolo seguente  appare chiaro il tipo di dominio conferito all’essere umano dal, Creatore: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e la custodisse» (Genesi 2,15).
All’essere umano viene, quindi, affidato un compito che si traduce in servizio e responsabilità verso il creato e quanto contiene. Purtroppo, il pensiero tradizionale ha fatto riferimento quasi esclusivamente a Genesi 1, 28; e non a Genesi 2, 15, e così si è prestato a legittimare un dominio, inteso come «jus utendi et abutendi».
Nella storia del cristianesimo, in base al dato biblico diversamente interpretato, si sono formate due scuole di pensiero: quella che ha il suo massimo rappresentante in Francesco d’Assisi, per il quale gli animali sono fratelli e sorelle; e quella che ha legittimato, di fatto, una sorta di irrilevanza e anche di disprezzo nei confronti degli animali considerati più come cose, di cui disporre arbitrariamente piuttosto, che come creature viventi.

2.  Alleanza di Dio con ogni vivente
Dopo il diluvio universale, Dio stabilisce l’alleanza non solo con la famiglia di Noè e neppure solo con i viventi umani, ma anche con i viventi animali (Genesi 9, 9-11):
«Quanto a me, ecco stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra».

3. La redenzione
La redenzione, a opera di Gesù Cristo, morto e risorto, coinvolge tutte creature viventi e  lo stesso cosmo (universo). La salvezza è già accaduta, ma non ancora compiutamente. Questa troverà compimento alla fine della storia umana e cosmica. La redenzione è collegata all’escatologia (annuncio delle realtà future).

4. Escatologia (o futuro ultimo)
Il creato e quanto contiene ha un futuro ultimo. I profeti e, tra questi, Isaia (11,6-8), annunciano con linguaggio allegorico le realtà ultime che coincidono con la  pace e la riconciliazione con tutte le creature, umane e non umane.
«Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme i loro piccoli, il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi»
Sono figure allegoriche alle quali i profeti ricorrono di frequente per annunciare la fine dei tempi che ristabilisce l’armonia degli inizi, quell’armonia che il peccato (e i peccati), hanno interrotto (e interrompono) a ogni livello: con Dio, tra gli umani e con gli animali. Il cammino dell’umanità e dell’universo va verso la promessa dei «cieli nuovi e della terra nuova».
Sono certamente figure allegoriche ma anche reali che evidenziano un aspetto della Redenzione, sovente trascurato nella trasmissione del messaggio cristiano: la piena armonia futura, cioè, non riguarda soltanto il mondo umano, ma anche il mondo non umano che passa dalla violenza e sofferenza alla riconciliazione con tutte le creature. Un futuro, tuttavia, che non è solo da attendere. La speranza ultima non conduce all’evasione, è invece impegno a preparare, e in qualche modo anticipare, la realtà ultima, che passa attraverso il prendersi cura del creato secondo il mandato di custodia e di coltivazione che Dio ha affidato all’essere umano, uomo e donna.
L’idea della possibilità di un’altra vita per tutte le creature viventi e, dunque, anche degli animali, non costituisce una novità. In epoca recente è sostenuta da autorevoli uomini religiosi: Paolo VI, a un bimbo in lacrime per la morte del suo piccolo cane, gli dice: «Non piangere, perché nuovamente l’avrai».

III. L’etica che deriva dalla teologia delle creature viventi
 A questo punto, si tratta di passare dalla teologia delle creature viventi, all’etica, cioè all’atteggiamento e comportamento verso le creature viventi. Se l’atteggiamento e il comportamento fosse spontaneamente di empatia non ci sarebbe bisogno di etica, ma così non è. Ma quale etica?
L’etica che deriva dalla teologia delle creature viventi, si declina in un’etica di  rispetto,  di compassione, di autolimitazione.

1. Rispetto (rispettare)
Rispetto è una parola che ritorna attualmente anche nel linguaggio pubblico: «rispetto della vita», «rispetto dell’ambiente». È sicuramente un segno di un cambiamento culturale della nostre società, anche se la cosa è ancora tutta da verificare.
Il rispetto è un atteggiamento, una disposizione che non dà la soluzione concreta bell’e fatta ai problemi concreti, ma descrive il giusto orizzonte entro il quale si può e si deve trovare la soluzione concreta.
Che cosa esige il rispetto della vita degli animali per quanto riguarda i limiti degli esperimenti medici su di essi? Che cosa comporta il rispetto delle diverse forme di vita presenti nel nostro ambiente naturale, della molteplicità delle specie vegetali e animali? Sono interrogativi ai quali non è facile dare, in ogni caso, la giusta risposta, ma sicuramente non la si troverà se non si parte da un atteggiamento (disposizione, virtù) di rispetto.
Filosofi e teologi concordano nel sostenere che, alla base del rispetto (etimologicamente re-spectare, guardare di nuovo), c’è, tutto sommato, un modo specifico di accostarsi alla realtà che si esprime in termini di vicinanza e, insieme,  di distanza. Il rispetto conduce a mantenere una certa distanza nei confronti dell’altro, di ogni altro, degli altri, e permette loro di essere così come sono; scopre cioè che gli altri, che incontra: umani, animali, vegetali e le stesse cose naturali non hanno solo un valore utile; prima di tutto hanno un valore proprio.
La persona che rispetta, rinuncia a riferire a se stesso, quale unico centro, tutto quello che lo circonda e a volgerlo ai suoi interessi; non gli è difficile riconoscere i limiti morali nel disporre della vita, di ogni vita. Al contrario, una persona utilitarista e consumista tende a volgere a proprio vantaggio ogni realtà che incontra, a sfruttare l’altro a proprio vantaggio, a calpestare anche i diritti del prossimo, specie quando è più debole ed è possibile discriminarlo senza correre pericoli.
Per prossimo si deve intendere non solo l’umano, ma anche l’animale, la pianta, la realtà inanimata. «È necessario estendere _ avverte Paolo De Benedetti _ la concezione di prossimo; il mio prossimo è tutto il creato», nelle dovute distinzioni che, però, non possono trasformarsi in discriminazioni.
2. Compassione (o empatia)
La compassione (il concetto) dà luogo, negli odierni dibattiti bioetici, a interpretazioni controverse, nelle quali si riflettono le diverse visioni filosofiche sulla vita. F. Nietzsche vede nella compassione solo «un moltiplicatore della miseria» e una corrispondente «perdita di vita». Al contrario, M. Scheler e la fenomenologia del nostro secolo parlano nuovamente, in base a una lunga tradizione filosofico-morale, della compassione (simpatia) come di una reale immedesimazione, che dà luogo a un’identificazione con l’altro e a una genuina partecipazione alla sofferenza delle creature, umane e non umane.
Nella Lettera ai Romani (Rm 8, 22), l’apostolo Paolo parla del gemito della creazione: «Sappiamo infatti che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi».
Il tema della sofferenza dell’animale è un tema centrale nella Bibbia alla pari anzi di più di quanto non sia la sofferenza umana. «Credo _ osserva Paolo De Benedetti _ che il problema della sofferenza nell’animale dopo il paradiso terrestre, abbia questa grave inesplicabilità: le disgrazie, i mali e tutte le sventure, compresa la morte, che vengono all’uomo sono presentate come conseguenza di un peccato, mentre i mali che travolgono gli animali non sono riconducibili a un peccato da essi commesso. Gli animali non peccano: sono innocenti. Anche l’episodio del diluvio dimostra che il regno animale è in rapporto con l’uomo sia in quanto essere vivente sia perché è travolto, inconsapevolmente e senza colpa alcuna, dal peccato dell’uomo. Per questo, bisognerebbe dire: come l’essere umano travolge nella rovina gli animali e le piante, così l’uomo ha il dovere di riportare salvezza anche per gli animali e per le piante. Come dovere di riparazione.
Ma c’è di più, oltre la sofferenza degli animali che è conseguenza di un mondo ancora imperfetto, c’è la sofferenza che i viventi umani causano agli animali. «Nel corso dei due precedenti appuntamenti  _ ricorda il Ministro, on. Michela Vittoria Brambilla _ abbiamo introdotto tutti i temi relativi al maltrattamento degli animali, alla loro detenzione negli zoo, al loro sfruttamento nei circhi, alla terribile pratica della vivisezione e via dicendo. Inoltre, abbiamo dedicato un momento di approfondimento alla caccia».
Nella medesima assoluta mancanza di rispetto e causa di sofferenza gratuita e crudele, rientra «l’allevamento intensivo per l’industria della carne e per quella della pelliccia».
Sono fenomeni che rappresentano una massa di dolore e di deprivazione. Non possono lasciare indifferenti o neutrali, chiamano in causa la libertà-responsabilità dell’essere umano e la mancanza di una elementare formazione alla pietas verso gli animali.
3. Autolimitazione
L’auto-limitazione (o senso del limite e della giusta misura) modera la forza di espansione, con la quale il soggetto umano estende continuamente i confini del proprio dominio sulla natura interna ed esterna.
Si può riconoscere che l’auto-limitazione, nell’odierno risveglio della coscienza ecologica, ha acquisito una nuova forza di attrazione. Tuttavia, il largo consenso per la salvaguardia della creazione e per il rispetto della vita, di ogni vita, presuppone ed esige un cambiamento di mentalità (cultura) e di comportamento (etica). Si è oggi maggiormente consapevoli che il degrado ambientale (dell’ambiente e delle creature che ci vivono) è il risultato di una tendenza storica e culturale. La cultura, che si è affermata progressivamente e che ha guidato le società occidentali, è una cultura di tipo padronale che considera il creato, e quanto contiene, come un grande magazzino da saccheggiare e, in ogni caso, da disporre arbitrariamente; è una cultura individualista (di singolo o di gruppo umano) e utilitarista che tutto volge al proprio interesse e utilità.
Di conseguenza, per uscire dalla grave crisi ecologica è necessaria una conversione culturale di tipo etico: il passaggio dall’atteggiamento della sopraffazione e dello sfruttamento a quello della solidarietà che cerca il bene proprio nel bene dell’altro, di ogni altro, umano e non umano, e delle stesse cose o risorse naturali. E questo pone le società democratiche dell’occidente, guidate dal principio della massima libertà possibile, di fronte a sfide inusitate.
Per concludere, In base al messaggio biblico, è necessario ricuperare il  discorso sulle creature che include gli animali e i vegetali ai quali, nel corso della tradizione si è dato poca importanza. Di conseguenza si può vedere come gli atteggiamenti etici (rispetto, compassione, autolimitazione) sono pertinenti e esigenti per tutte le forme di vita, umane e non umane; e delineano l’orizzonte entro il quale è possibile trovare la giusta soluzione nei casi concreti e denunciare le soluzioni ingiuste e immorali.

Santi e animali tra fiaba e realtà

dal sito:

http://www.messaggerosantantonio.it/messaggero/pagina_articolo.asp?IDX=1510IDRX=146

Santi e animali tra fiaba e realtà

La relazione santo-animale è un’autentica categoria interpretativa, una chiave d’accesso per sondare il rapporto uomo-animale, quel forte legame affettivo e talvolta terapeutico che lega una bestia a un essere umano.

di Fabio Scarsato
San Francesco e il lupo. Una bella immagine tratta dal volume Frate Francesco e i suoi fioretti stampato per la prima volta per le Edizioni Messaggero nel 1974.A ogni santo il suo «animale». Se ci sono tanti animali nella vita degli uomini, ce ne sono altrettanti nella vita dei santi. Finzione o realtà, leggenda o fantasia, le pagine ingiallite che narrano delle imprese dei santi sono popolate da animali dalle più svariate connotazioni e peculiarità, che non mettono mai in ombra le doti di santità di colui che li incontra nel proprio cammino, ma semmai le esaltano. È stato sostando su queste idee e sulle diverse «ipotesi» di lettura, che la comunità francescana di Sanzeno, nella trentina Val di Non, ha deciso di organizzare un convegno che prende spunto proprio dalla raffigurazione più famosa di san Romedio, il santo eremita venerato in uno dei più suggestivi e incantati santuari delle Alpi trentine. Stando alla leggenda, san Romedio sarebbe riuscito ad ammansire un orso dopo che questi gli aveva divorato il cavallo. Immediato il paragone con un altro grande santo, Francesco d’Assisi, alle prese con una fiera che infestava in modo preoccupante i nostri boschi nel Medioevo: il feroce lupo di Gubbio. Tanti i riferimenti: sant’Antonio abate e il porcellino, san Rocco e il cane, sant’Antonio di Padova e i pesci (ma anche la mula), san Serafino di Sarov e un altro orso, san Girolamo e il leone, sant’Agnese e l’agnellino, sant’Eustazio e il cervo. Infine san Colmano, il quale viveva con un gallo che cantava quando era ora di svegliarsi, un topolino che gli mordicchiava l’orecchio fin quando non si alzava e una mosca che gli teneva il segno del libro che leggeva prima di addormentarsi… Ma anche Elia e il corvo, Giona e la balena, Baalam e l’asina. La relazione santo-animale» è un’autentica categoria interpretativa, una chiave d’accesso per sondare il rapporto «uomo-animale» colto nelle sue dimensioni talvolta anche problematiche.

«Da san Romedio a san Francesco»
Ecco dunque l’obiettivo che ci siamo proposti per questo convegno: approfondire da più punti di vista la relazione tra «santità» e «istintualità» per capire meglio il tempo che stiamo vivendo e il nostro rapportarci alle altre creature viventi che ci circondano. Lo slogan della due giorni potrebbe essere a ragion veduta la scritta che abitualmente accoglie i pellegrini al santuario di san Romedio: «Fatto stupendo o cosa strana! L’orso, la belva si fa umana. Stupor maggiore che l’uomo nato, in belva cerchi esser cangiato». Evidentemente nella sua ricchezza di temi e stimoli il rapporto santo-animale si presta a varie letture, sia di tipo etico-didascalico sia moraleggiante, un po’ come accade per le favole, altro «ambiente» pieno di animali. Di volta in volta l’animale diventerà il «pretesto» di qualche predica che vuol castigare i costumi, proiettando di fatto sulla bestiola in questione vizi o virtù tutte umane. Altre volte una peculiarità propria di un insetto – pensiamo alla proverbiale operosità attribuita alle api – lo può rendere esemplare alla stessa razza umana. In alcuni casi l’animale diventa, più o meno a ragione, immagine «prestata» al linguaggio umano in difficoltà di fronte a concetti troppo complessi o elevati, simbolo di qualcosa di diverso: del cammino di conversione piuttosto che di quello di perdizione, della fedeltà invece che del tradimento.

Strumento della provvidenza
L’animale diventa persino «strumento» del destino o della Provvidenza a seconda delle convinzioni del soggetto. In tutti questi casi è, suo malgrado, inevitabilmente legato a doppio filo alle vicende umane. Molte altre volte, per fortuna, gli animali presenti nella vita dei santi non saranno altro che quello che sono: in alcuni casi persino pericolosi per l’uomo tanto quanto per il sant’uomo. Quando uno dei contadini corre a dire a san Giovanni Gualberto che un orso sta facendo strage di mucche, il santo non interviene con un miracolo, ma risponde secco: «Va’ ad ammazzarlo!».
Dalle bestie feroci passiamo all’immagine più fiabesca degli «animali da compagnia»: san Colombano aveva uno scoiattolo che si divertiva a intrufolarsi per le ampie maniche e scorazzargli sotto la veste. Animali compagni nelle fatiche del lavoro o del viaggio.
A livello molto più profondo, quello che tratta della relazione santo e animale è certamente un «genere» letterario utile per parlare del monaco o del santo che vive in armonia con l’intera creazione, così come profetizzato da Isaia: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno assieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi». L’intensità di queste immagini ci ricorda che la comunione perfetta tra l’uomo e il creato, o almeno la nostalgia dei tempi paradisiaci, è un tratto essenziale della santità (san Ciarano aveva fondato un monastero con un cinghiale, un tasso, una volpe, un lupo e una cerva). Ecologisti o meno, sarà comunque bene pensarci. La santità è comunione: «Dio mio e mio tutto!», avrebbe esclamato Francesco d’Assisi.
L’approccio al convegno non può che essere «interdisciplinare» ed «ecumenico», in ossequio alla tradizione di questi due santuari trentini: la Basilica dei santi martiri Sisinio, Martirio e Alessandro (missionari provenienti dalla lontana Cappadocia e martirizzati a Sanzeno il 29 maggio del 397) e l’eremo di san Romedio (che arrivò in questo luogo dall’Austria attorno all’anno Mille attirato proprio dalla fama dei martiri cappadoci), entrambi serviti da una comunità di frati minori conventuali. Quella dell’incontro e dell’ascolto reciproco, della comune ricerca della verità e della conoscenza l’uno dell’altro, è ormai l’unica strada che ci è data da percorrere per continuare a essere autenticamente «animali umani».   

Appunti

San Romedio e l’orso
Leggenda vuole che un giorno san Romedio, mentre era in procinto di recarsi in quel di Trento, si imbatté in un grande orso inferocito, il quale sbranò il suo cavallo, unico mezzo di locomozione che possedeva per spostarsi da una valle all’altra a predicare il vangelo. Il santo, visto quel che era accaduto al suo cavallo, decise di ammansire l’orso e trasformarlo, più per necessità che per punizione, nel suo compagno di viaggio. Da quel momento in poi la bestia feroce tramutata da animale selvaggio in docile cavalcatura, sparì dai boschi trentini e fu vista solo e soltanto a fianco del santo. In che proporzione stiano leggenda e realtà non è dato sapere: gli scritti medievali non osservano la moderna distinzione tra verità e finzione, storia e narrazione edificante, ma mirano piuttosto a lanciare un messaggio alla persona di fede. Nel vocabolario medievale dunque, più feroce e selvaggia è la bestia, più colui che la doma è potente e pertanto vicino a Dio. Allo stesso modo quello del santo che vive in comunione con la natura è un tema ricorrente che rimanda al simbolismo biblico del paradiso terrestre. Ai frati che custodiscono il monastero di san Romedio e la basilica dei Santi Martiri, capita però di tanto in tanto, passeggiando per i boschi rigogliosi che ancora conservano il ricordo di san Romedio, di incrociare splendidi orsi bruni lungo il proprio cammino. Nel paesino di Sanzeno, borgata immersa in una cornice verde e ancora incontaminata dove la natura è padrona del tempo che scorre, vivono dal 2005 quattro francescani conventuali (padre Emilio Dall’Agnol, padre Franco Bonafè, padre Fabio Scarsato e padre Zeno Carcereri), impegnati a custodire e ad animare i due luoghi di culto situati a circa 700 metri di altezza e distanti un paio di chilometri l’uno dall’altro. La giornata a Sanzeno trascorre nell’accoglienza degli ospiti: dei pellegrini in gita così come dei singoli gruppi che si recano in Val di Non attratti dalla leggenda di san Romedio, dal fascino del santuario e di un cristianesimo che conserva intatte le fonti più antiche. Una vita di testimonianza scandita dalla catechesi sui martiri e dall’annuncio della Parola, senza tralasciare l’aspetto del silenzio e della contemplazione. I frati si dedicano alla pastorale giovanile di tutta la zona, organizzando campi scuola immersi nel verde per i ragazzi delle parrocchie della valle. Affacciata sul massiccio del Brenta, la basilica sorge sul luogo dove furono uccisi, un venerdì mattina dell’anno del Signore 397, Sisinio, Martirio e Alessandro, i tre evangelizzatori giunti dalla lontana Cappadocia (Turchia). In una lettera di sant’Agostino, allora vescovo di Ippona, scritta appena quindici anni dopo il martirio, il santo dimostra di essere a conoscenza dell’episodio, che cita a proposito del perdono. A Sanzeno convivono, e grazie ai frati si conservano, due volti speculari della cattolicità: la spiritualità più nordica di san Romedio, tirolese originario di Innsbruck, e il sapore orientale dei martiri cappadoci che per primi portarono, da stranieri, la fede nel Trentino. «Ecco perché – spiega fra Fabio Scarsato – in questo santuario si respira un’aria ecumenica».

(Marta Artico)

Publié dans:ANIMALI, SANTI |on 1 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

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