XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/07/2020)

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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/07/2020)

Il buon grano è minacciato
don Mario Simula

Dio ha un modo originale per rivelarsi all’uomo. Manifesta tutta la sua forza e la sua potenza, diventando indulgente con tutti. Non ha paura del male. Sa di poterlo sempre sconfiggere ed esercita su di noi un giudizio mite, ci guarda con uno sguardo misericordioso.
Se sbagliamo, Dio semina nel nostro cuore la grazia del pentimento e del dolore per i nostri sbagli, riconducendoci sempre al suo amore.
Dio è “la pazienza”. Questa la sua forza.
Noi siamo abituati a pensarlo vendicativo e intollerante. Forse perché gli attribuiamo il nostro modo di essere. Dio invece è paziente e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore. E’ il Signore delle nostre esistenze e ci dona beni squisiti, affidandoli alla nostra debolezza.
A Dio non fa paura la nostra debolezza. Quando la incontra si esalta tutta la sua potenza.
Ci fa comprendere che il limite non deve spaventarci.
Il nostro limite conduce Dio accanto a noi, ce lo rende vicino. Lui ci insegna ad accogliere il limite con umiltà. Mentre noi siamo deboli, Dio fa trionfare la sua potenza, fa scendere la Luce confortante del suo amore “senza limiti”.
Dobbiamo imparare a parlare con Dio della nostra vulnerabilità.
Spesso la nostra preghiera è impacciata, fragile, insicura, impura. Parla di tutto fuorché di quello che veramente siamo:
creature povere. Lo Spirito ci viene in aiuto e prega in noi con gemiti inesprimibili e ci aiuta a pregare secondo i suoi desideri.
Oggi gli domandiamo di aiutarci a comprendere chi siamo veramente, entrando dentro il linguaggio di Gesù in parabole.
Questo stile di comunicazione del Maestro è commovente, se pensiamo che la parabola confonde i dotti ed è parola chiara per gli umili e i poveri. Dovremmo desiderare fortemente di essere queste creature semplici che davanti alle narrazioni di Gesù, si incantano perché comprendono il suo insegnamento profondo.
Anche oggi Gesù ci parla in parabole. Sediamoci ai suoi piedi e ascoltiamo col cuore docile.
Cosa scopriremo oggi nel racconto del buon grano e della zizzania? Scopriremo proprio il Dio paziente. Dio che non reagisce d’impulso davanti al male.
Dio che sa attendere. Dio conosce i tempi per discernere il bene e il male.
Era bella la semente gettata a piene mani nel campo arato con cura. Avrebbe fruttato una quantità generosissima di grano.
Ma il nemico, credendosi intelligente e forte, cerca di inquinarlo con la zizzania.
Noi siamo come gli operai di quel padrone i quali, davanti a un disastro così grande, corrono da lui per manifestare il loro sdegno e il loro zelo: “Strappiamo la zizzania e così bonifichiamo il campo”. Non è difficile comprendere che queste parole manifestano la nostra fretta, l’impulsività delle nostre reazioni immediate, la nostra mentalità punitiva.
Il padrone del campo rimane sereno. Conosce la sua forza. Conosce la bontà della semente che ha seminato, non si turba, rimane signore degli avvenimenti anche quando sono negativi.
Dice alle nostre comunità: “Aspettate il tempo giusto. Non condannate con frettolosità. Non ricorrete a metodi violenti. Non fate prevalere il vostro istinto. Imparate ad attendere il tempo del raccolto. Allora sarà facile distinguere il buon grano dalla zizzania”.
Il Dio dall’amore incontenibile, ci dà una lezione di umiltà, ci insegna la preziosità dell’attesa, ci invita a non anticipare il tempo del raccolto.
Piuttosto ci raccomanda: “Quando andrete a cogliere il grano e a preparare i covoni, fate attenzione a distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo”.
Il nemico fa tante vittime nelle nostre grandi e piccole comunità. Mette in noi l’erbaccia dell’intervento immediato, dell’attivismo inconcludente. Caschiamo nella trappola della frenesia di “convertire o di punire”.
Abbiamo proprio bisogno di domandare con gemiti inesprimibili allo Spirito, il dono della pazienza per vivere il tempo come grazia, anche davanti al male che vediamo nei racconti di una persona che viene a parlare con noi. Non possiamo essere tassativi, giudici inflessibili. Dobbiamo attendere prima di sentenziare. In quel cuore, insieme agli sbagli, c’è anche tanto buon grano.
Non possiamo fare un unico raccolto condannando senza misericordia. Le comunità che appartengono a Cristo sono di frequente luoghi della condanna, del giudizio e del chiacchiericcio distruttivo. Non danno spazio alla pazienza e alla misericordia fondata sulla verità.
Soltanto un’autentica fiducia nella persona che entra in dialogo con noi può aiutarci a non essere farisei ipocriti, come direbbe Gesù.
Una comunità di credenti sa vigilare su se stessa. Non è sufficiente l’intraprendenza che mette in mostra, per dire che sia sveglia. Se la comunità non vigila sui gesti, sulle scelte e sulle parole è una comunità dormiente. Una comunità a rischio, una comunità che il maligno ha anestetizzato.
Gesù ci mette davanti al suo stile di vita e ci chiede di saper attendere l’ora della grazia che noi stessi abbiamo sperimentato tante volte.
Quest’ora si affaccia nel momento imprevisto. Anche per chiunque viene a trovare in noi luce e consolazione.
C’è da rimanere stupiti del nostro Dio. Della grandezza e della bellezza del suo cuore. Nemmeno il male lo turba. Anche per il male sa trovare la strada della guarigione.
La strada è Gesù donato a noi per il perdono dei peccati.
Non possiamo mai dimenticare che l’unico atteggiamento che sfugge al potere di Dio è l’atteggiamento di chi ha il cuore indurito. Ha le orecchie ma non sente. Ha gli occhi ma non vede. Presta attenzione alle parabole di Gesù, ma le usa contro di Lui e non per trovare i sentieri della conversione del cuore.
Ogni comunità è sotto lo sguardo di Dio che la rincuora con la sua inesauribile pazienza. Però deve lasciarsi riempire i pensieri e i sentimenti dalla Sua dolce accoglienza.
Dobbiamo attendere il tempo del raccolto. L’attesa e la grazia permettono alle nostre comunità di essere alberi di senape cresciuti lentamente fino a diventare alberi per l’accoglienza. L’attesa e la grazia ci permettono di essere buon lievito che fermenta nel segreto tutta la pasta. Chiediamoci se siamo col nostro meraviglioso Iddio, oppure con le nostre facili presunzioni che vedono il male sempre e solo negli altri e non in se stessi.
Mi piace una comunità che sa fermarsi a riflettere sulle parole di Gesù. Le comprende. Se non le comprende se le fa spiegare da Gesù per arrivare a viverle.
Gesù, noi sentiamo che il seme gettato da te dentro le nostre zolle è un seme pronto a morire per far spuntare lo stelo e la spiga matura. E’ come il grembo di una donna che mano mano sente il piccolo germoglio seminato in lei svilupparsi, prendere forma, fiorire, per poi contemplare il sole.
Gesù, capita che nelle nostre comunità si insinui un seme infetto capace di compromettere il raccolto. Tu ci inviti a vigilare.
Ci inviti anche a non avere paura.
Se fosse anche presente la nostra infedeltà, tu, Gesù, ci prometti che al momento del raccolto il tuo buon seme avrà prodotto la spiga matura e sarà salvato.
Il male improduttivo verrà distrutto.
Gesù, attenua le nostre impazienze.
Donaci un cuore mite e umile come il tuo.
Distruggi le intolleranze perché ogni nostra comunità sia casa accogliente, rifugio anche per chi sbaglia, ospedale da campo per chi rimane ferito.
Gesù, rendici protagonisti, assieme a te, dell’avventura del piccolo seme che si fa strada e diventa grande come l’albero di senape, efficace come il buon lievito.
Abbiamo bisogno di te, Gesù. Se tu dovessi restare ai margini delle nostre comunità, il freddo, l’infecondità ci inonderebbero. Ma tu sei con noi. Oggi come ieri. Oggi più di ieri.
Tu sai bene, Gesù, che le insidie che ci circondano sono subdole. Abbiamo bisogno di te. Tu ci sei. Non possiamo avere paura anche quando dobbiamo attendere con pazienza che il nostro cuore di pietra diventi un cuore di carne.

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 18 juillet, 2020 |Pas de Commentaires »

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