Archive pour juin, 2020

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) (21/06/2020)

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XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) (21/06/2020)

Due passeri…
don Luciano Cantini

Non abbiate paura

In tutta la scrittura, questo invito è ripetuto e ripetuto più volte, in mille occasioni, espresso in tutte le declinazioni per ben 365 volte; lo stesso invito lo ripete nei secoli la Chiesa… risuona ancora forte il grido, dal balcone di san Pietro, che Papa Giovanni Paolo II rivolse al mondo in occasione della sua elezione a Pontefice: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa « cosa è dentro l’uomo ». Solo lui lo sa!»
Nonostante questo, l’uomo continua ad avere paura, ancor di più in questo periodo in cui l’altro è visto come un potenziale portatore di contagio. La corsa alle mascherine, la difficoltà a trovare guanti e disinfettanti ha acuito ancor più il senso della paura ma anche l’approfitto; non si può negare che sia la paura a generare un certo business tra porte blindate e sistemi di allarme o strumenti di controllo. Periodicamente si individuano categorie di persone stimolano le nostre inquietudini e i nostri presentimenti e verso cui mostrare diffidenza e ostilità senza un reale fondamento. C’è da domandarsi come la prudenza sfoci nella paura e quanto questa sia fomentata da chi ha interessi. Tra le espressioni di Martin Luther King leggiamo: “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”.
Voi valete più di molti passeri!
È sempre più urgente in questi nostri giorni alimentare la fiducia, la nostra e quella degli altri. Abbiamo la consapevolezza che siamo pensati in continuazione, guardati con amore e vegliati con cura da Dio. L’immagine dei passerotti come quella dei capelli del nostro capo, proprio perché fissano l’attenzione su cose di poco conto, ci dicono quanto siamo considerati e amati dal Padre. L’impossibilità umana di tener conto dei capelli ci costringe a riconoscere la sovrabbondanza con cui Dio risponde al nostro bisogno e al nostro desiderio di lui. Abbiamo la certezza che il male per quanto sia appariscente e potente, è tanto inferiore al bene, perché Dio è Amore. È la stessa immagine di Abramo invitato a contare le stelle del cielo e i granelli di sabbia per immaginare la grandezza a cui Dio lo ha chiamato. Dall’inizio del suo pontificato che Papa Francesco ci ricorda che tutti siamo preziosi agli occhi di Dio e quanto abbia in odio lo scarto. Non è ingenuità ma la consapevolezza che sono proprio la fragilità e la debolezza a manifestare la nostra forza: è il mistero della Croce che siamo chiamati ad abbracciare. Dice san Paolo: “abbiamo questo tesoro in vasi di creta perché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7).
Non è nel volere di Dio la caduta di chicchessia (come la proverbiale foglia) ma è certo che nulla e nessuno è abbandonato da Dio, il suo è uno sguardo di Padre a meno che non siamo noi stessi a sottrarci al suo sguardo.
Chiunque mi riconoscerà
Troppo spesso diamo tutto per scontato, semplice, quasi automatico… di fronte alla vita che nasce, alla bellezza della natura è facile riconoscere la presenza e l’azione del creatore, è una realtà ovvia, assodata la fede sgorga insieme ai sentimenti ma davanti alla morte, alla forza dirompente della natura, alla perversione dell’uomo o, come in questi giorni, l’incombenza di una pandemia, quando il cuore si ribella e l’intelligenza è come frenata come possiamo coniugare la nostra Fede? Come riconoscere l’azione di Dio e la sua potenza?
Non a caso Gesù ha affermato: “nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto”. L’esperienza dei discepoli di Gesù è dominata dal mistero e dalla incomprensione finché la sua morte sulla croce non rivelerà la grandezza della paternità di Dio, finché la debolezza di Gesù non mostrerà l’onnipotenza del Padre. Riconoscere il Signore ha proprio questa esigenza di lasciarci coinvolgere dal mistero della croce. La contrapposizione tra vita e morte, fragilità e forza, perdita e vittoria spaventa quando ci sfiora da vicino; è così incredibile da diventare non annunciabile. Riconoscere non significa semplicemente “sapere che…” ma lasciarsi coinvolgere, avere lo stesso pensiero; il verbo greco indica soprattutto « comunione » di vita, di storia, di prospettiva.
Dobbiamo fare i conti con le nostre paure e le nostre reticenze, con le tenebre che avvolgono i nostri pensieri. La piccolezza ci scandalizza, l’insignificanza, la rovina suonano come disfatta, riconoscere il Signore significa invece entrare nella dinamica del suo progetto, entrare nella complessità storica del mondo, nella fatica e nella tribolazione quotidiana percependone la provvisorietà e la relatività per vivere nel presente la vittoria di Dio sul mondo.

 

pitture sul crocefisso

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 17 juin, 2020 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – 13 giugno 2014 – In una brezza leggera

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PAPA FRANCESCO – 13 giugno 2014 – In una brezza leggera

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.134, Sab. 14/06/2014)

Prima di affidarci una missione il Signore ci prepara, mettendoci alla prova con un processo di purificazione e di discernimento. È la storia del profeta Elia ad aver suggerito al Papa, durante la messa celebrata venerdì mattina 13 giugno nella cappella della Casa Santa Marta, la riflessione su questa regola fondamentale della vita cristiana.
«Nella prima lettura — ha detto il Pontefice riferendosi al passo tratto dal primo libro dei Re (19, 9.11-16) — abbiamo sentito la storia di Elia: come il Signore prepara un profeta, come lavora nel suo cuore perché quest’uomo sia fedele alla sua parola e faccia quello che lui vuole».
Il profeta Elia «era una persona forte, di grande fede. Aveva rimproverato al popolo di adorare Dio e adorare gli idoli: ma se adorava gli idoli, adorava male Dio! E se adorava Dio, adorava male agli idoli!». Per questo Elia diceva che il popolo zoppicava «con i due piedi», non aveva stabilità e non era saldo nella fede. Nella sua missione «è stato coraggioso» e, alla fine, ha lanciato una sfida ai sacerdoti di Baal, sul monte Carmelo, e li ha vinti. «E per finire la storia li ha uccisi tutti», mettendo così termine all’idolatria «in quella parte del popolo di Israele». Dunque Elia «era contento perché la forza del Signore era con lui».
Però, ha proseguito il Papa, «il giorno dopo, la regina Gezabele — era la moglie del re ma era lei che governava — lo ha minacciato e gli ha detto che lo avrebbe ucciso». Davanti a questa minaccia Elia «ha avuto tanta paura che si è depresso: se n’è andato e voleva morire». Proprio quel profeta che il giorno precedente «era stato tanto coraggioso e aveva vinto» contro i sacerdoti di Baal, «oggi è giù, non vuole mangiare e vuole morire, tanta era la depressione che aveva». E tutto questo, ha spiegato il Pontefice, «per la minaccia di una donna». Perciò «i quattrocento sacerdoti dell’idolo Baal non lo avevano spaventato, ma questa donna sì!».
È una storia che «ci fa vedere come il Signore prepara» alla missione. Infatti Elia «con quella depressione è andato nel deserto per morire e si è coricato aspettando la morte. Ma il Signore lo chiama» e lo invita a mangiare un po’ di pane e a bere perché, gli dice, «tu devi ancora camminare tanto». E così Elia «mangia, beve, ma poi si corica un’altra volta per morire. E il Signore un’altra volta lo chiama: vai avanti, vai avanti!».
La questione è che Elia «non sapeva cosa fare, ma ha sentito che doveva salire sul monte per trovare Dio. È stato coraggioso ed è andato lì, con l’umiltà dell’obbedienza. Perché era obbediente». Pur in uno stato di sconforto e «con tanta paura», Elia «è salito sul monte per aspettare il messaggio di Dio, la rivelazione di Dio: pregava, perché era bravo, ma non sapeva cosa sarebbe successo. Non lo sapeva, era lì e aspettava il Signore».
Si legge nell’Antico testamento: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento». Elia, ha commentato il Papa, si «accorse che il Signore non era lì». Prosegue la Scrittura: «Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto». Dunque, ha continuato il Pontefice, Elia «ha saputo discernere che il Signore non era nel terremoto e non era nel vento». E ancora, racconta il primo Libro dei Re: «Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera». Ed ecco che «come l’udì, Elia si è accorto» che «era il Signore che passava, si coprì il volto con il mantello e adorò il Signore».
Infatti, ha affermato il vescovo di Roma, «il Signore non era nel vento, nel terremoto o nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera: nella pace». O «come dice proprio l’originale, un’espressione bellissima: il Signore era in un filo di silenzio sonoro».
Elia, dunque, «sa discernere dov’è il Signore e il Signore lo prepara con il dono del discernimento». Poi gli affida la sua missione: «Hai fatto la prova, ti sei messo alla prova della depressione», dello stare giù, «della fame; sei stato messo alla prova del discernimento» ma adesso — si legge nella Scrittura — «ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco, finché giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, come re su Israele e ungerai Elisèo».
Proprio questa è la missione che attende Elia, ha spiegato il Papa. E il Signore gli ha fatto fare quel lungo percorso per prepararlo alla missione. Forse, si potrebbe obiettare, sarebbe stato «molto più facile dire: tu sei stato tanto coraggioso da uccidere quei quattrocento, adesso vai e ungi questo!». Invece «il Signore prepara l’anima, prepara il cuore e lo prepara nella prova, lo prepara nell’obbedienza, lo prepara nella perseveranza».
E «così è la vita cristiana», ha puntualizzato il Pontefice. Infatti «quando il Signore vuole darci una missione, vuole darci un lavoro, ci prepara per farlo bene», proprio «come ha preparato Elia». Ciò che è importante «non è che lui abbia incontrato il Signore» ma «tutto il percorso per arrivare alla missione che il Signore affida». E proprio «questa è la differenza fra la missione apostolica che il Signore ci dà e un compito umano, onesto, buono». Dunque «quando il Signore dà una missione, fa sempre entrare noi in un processo di purificazione, un processo di discernimento, un processo di obbedienza, un processo di preghiera». Così, ha ribadito, «è la vita cristiana», cioè «la fedeltà a questo processo, a lasciarci condurre dal Signore».
Dalla vicenda di Elia scaturisce un grande insegnamento. Il profeta «ha avuto paura, e questo è tanto umano», perché Gezabele «era una regina cattiva che ammazzava i suoi nemici». Elia «ha paura, ma il Signore è più potente» e gli fa comprendere di aver «bisogno dell’aiuto del Signore nella preparazione alla missione». Così Elia «cammina, obbedisce, soffre, discerne, prega e trova il Signore». Papa Francesco ha concluso con una preghiera: «Il Signore ci dia la grazia di lasciarci preparare tutti i giorni nel cammino della nostra vita, perché possiamo testimoniare la salvezza di Gesù».

 

Corpus Domini

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 12 juin, 2020 |Pas de commentaires »

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A) (14/06/2020)

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SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A) (14/06/2020)

Con il suo «pane vivo» il Signore vive in noi
padre Ermes Ronchi

Nella sinagoga di Cafarnao, il discorso più dirompente di Gesù: mangiate la mia carne e bevete il mio sangue. Un invito che sconcerta amici e avversari, che Gesù ostinatamente ribadisce per otto volte, incidendone la motivazione sempre più chiara: per vivere, semplicemente vivere, per vivere davvero. È l’incalzante convinzione di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione della vita.
Mentre la nostra esperienza attesta che la vita scivola inesorabile verso la morte, Gesù capovolge questo piano inclinato mostrando che la nostra vita scivola verso Dio. Anzi, che è la vita di Dio a scorrere, a entrare, a perdersi dentro la nostra. Qui è racchiusa la genialità del cristianesimo: Dio viene dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo, come corpo dentro l’abbraccio. Dentro l’amore. Il nostro pensiero corre all’Eucaristia. È lì la risposta? Ma a Cafarnao Gesù non sta indicando un rito liturgico; lui non è venuto nel mondo per inventare liturgie, ma fratelli liberi e amanti. Gesù sta parlando della grande liturgia dell’esistenza, di persona, realtà e storia.
Le parole «carne», «sangue», «pane di cielo» indicano l’intera sua esistenza, la sua vicenda umana e divina, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi intrisi di nardo, e la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E Dio in ogni fibra. E poi come accoglieva, come liberava, come piangeva, come abbracciava. Libero come nessuno mai, capace di amare come nessuno prima. Allora il suo invito incalzante significa: mangia e bevi ogni goccia e ogni fibra di me. Prendi la mia vita come misura alta del vivere, come lievito del tuo pane, seme della tua spiga, sangue delle tue vene, allora conoscerai cos’è vivere davvero.
Cristo vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l’esistenza come l’ha vissuta lui. Dio si è fatto uomo perché ogni uomo si faccia come Dio. E allora vivi due vite, la tua e quella di Cristo, è lui che ti fa capace di cose che non pensavi, cose che meritano di non morire, gesti capaci di attraversare il tempo, la morte e l’eternità: una vita che non va perduta mai e che non finisce mai.
Mangiate di me! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d’amore. «Voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue; farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita». Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola.

Publié dans:CORPUS DOMINI |on 12 juin, 2020 |Pas de commentaires »

Paolo verso il terzo cielo

PaoloTerzoCielo

Publié dans:immagini sacre |on 11 juin, 2020 |Pas de commentaires »

LA CORSA DI SAN PAOLO VERSO IL PARADISO

https://digilander.libero.it/credente2/PaoloCorridore.htm

LA CORSA DI SAN PAOLO VERSO IL PARADISO

San Paolo ha visto in anticipo il Paradiso: 2 Corinzi 12,1-10
2 Corinzi 12,[1]Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! Pur tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. [2]Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio fu rapito fino al terzo cielo. [3]E so che quest’uomo se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio [4]fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. [5]Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. [6]Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me. [7]Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. [8]A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. [9]Ed egli mi ha detto: <<Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza>>. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. [10]Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

La sublimità di Cristo Signore spinge San Paolo a seguirne l’esempio: Filippesi 3,8-21
Filippesi 3,[8]Anzi, tutto (i privilegi che lo legano al suo popolo ndr.) ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo [9]e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. [10]E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, [11]con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. [12]Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. [13]Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, [14]corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. [15]Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. [16]Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. [17]Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. [18]Perché molti, ve l’ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: [19]la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. [20]La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, [21]il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. (Vedi il contesto di Filippesi 3)

L’esempio degli atleti di Corinto spinge a gareggiare per il Paradiso, corona incorruttibile: 1 Corinzi 9,24-27
1Corinti 9,[24]Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! [25]Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. [26]Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, [27]anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato.

Le difficoltà di Paolo in 2 Corinzi 11,22-33
22Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! 23Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. 24Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; 25tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. 26Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 27disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. 28Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. 29Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
30Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. 31Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. 32A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, 33ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani.
Vedi Parrocchie di Roma: Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi e due lettere non pervenute compresa quella detta « delle lacrime » – Web

La lotta tra corpo e Spirito in Romani 8,6-9
6Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. 7Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. 8Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. 9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.

Publié dans:SAN PAOLO APOSTOLO |on 11 juin, 2020 |Pas de commentaires »
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