Archive pour mai, 2020

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – 16 maggio 2020 – « Cristo morto e risorto per noi: l’unica medicina contro lo spirito della mondanità »

http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200516_cristo-medicina-contro-mondanita.html

CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – 16 maggio 2020 – « Cristo morto e risorto per noi: l’unica medicina contro lo spirito della mondanità »

Introduzione

Preghiamo oggi per le persone che si occupano di seppellire i defunti in questa pandemia. È una delle opere di misericordia seppellire i defunti e non è una cosa gradevole, naturalmente. Preghiamo per loro, che rischiano la vita e di prendere il contagio.

Omelia

Gesù parecchie volte, e soprattutto nel suo congedo con gli apostoli, parla del mondo (cfr Gv 15, 18-21). E qui dice: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (v. 18). Chiaramente parla dell’odio che il mondo ha avuto verso Gesù e avrà verso di noi. E nella preghiera che fa a tavola con i discepoli nella Cena, chiede al Padre di non toglierli dal mondo, ma di difenderli dallo spirito del mondo (cfr Gv 17,15).
Credo che noi possiamo domandarci: qual è lo spirito del mondo? Cosa è questa mondanità, capace di odiare, di distruggere Gesù e i suoi discepoli, anzi di corromperli e di corrompere la Chiesa? Come è lo spirito del mondo, cosa sia questo, ci farà bene pensarlo. È una proposta di vita, la mondanità. Ma qualcuno pensa che mondanità è fare festa, vivere nelle feste… No, no. Mondanità può essere questo, ma non è questo fondamentalmente.
La mondanità è una cultura; è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura “dell’oggi sì domani no, domani sì e oggi no”. Ha dei valori superficiali. Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto. Questa è la cultura mondana, la cultura della mondanità. E Gesù insiste a difenderci da questo e prega perché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. È una cultura dell’usa e getta, secondo quello che convenga. È una cultura senza fedeltà, non ha delle radici. Ma è un modo di vivere, un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani.
Gesù, nella parabola del seme che cade in terra, dice che le preoccupazioni del mondo – cioè della mondanità – soffocano la Parola di Dio, non la lasciano crescere (cfr Lc 8,7). E Paolo ai Galati dice: “Voi eravate schiavi del mondo, della mondanità” (cfr Gal 4,3). A me sempre, sempre colpisce quando leggo le ultime pagine del libro del padre de Lubac: “Le meditazioni sulla Chiesa” (cfr Henri de Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 1955), le ultime tre pagine, dove parla proprio della mondanità spirituale. E dice che è il peggiore dei mali che può accadere alla Chiesa; e non esagera, perché poi dice alcuni mali che sono terribili, e questo è il peggiore: la mondanità spirituale, perché è un’ermeneutica di vita, è un modo di vivere; anche un modo di vivere il cristianesimo. E per sopravvivere davanti alla predicazione del Vangelo, odia, uccide.
Quando si dice dei martiri che sono uccisi in odio alla fede, sì, davvero per alcuni l’odio era per un problema teologico; ma non erano la maggioranza. Nella maggioranza [dei casi] è la mondanità che odia la fede e li uccide, come ha fatto con Gesù.
È curioso: la mondanità, qualcuno può dirmi: “Ma padre, questa è una superficialità di vita…”. Non inganniamoci! La mondanità non è per niente superficiale! Ha delle radici profonde, delle radici profonde. È camaleontica, cambia, va e viene a seconda delle circostanze, ma la sostanza è la stessa: una proposta di vita che entra dappertutto, anche nella Chiesa. La mondanità, l’ermeneutica mondana, il maquillage, tutto si trucca per essere così.
L’apostolo Paolo venne ad Atene, ed è rimasto colpito quando ha visto nell’areopago tanti monumenti agli dei. E lui ha pensato di parlare di questo: “Voi siete un popolo religioso, io vedo questo… Mi attira l’attenzione quell’altare al ‘dio ignoto’. Questo io lo conosco e vengo a dirvi chi è”. E incominciò a predicare il Vangelo. Ma quando arrivò alla croce e alla risurrezione si scandalizzarono e se ne andarono via (cfr At 17,22-33). C’è una cosa che la mondanità non tollera: lo scandalo della Croce. Non lo tollera. E l’unica medicina contro lo spirito della mondanità è Cristo morto e risorto per noi, scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,23).
È per questo che quando l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera tratta il tema del mondo dice: «È la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4). L’unica: la fede in Gesù Cristo, morto e risorto. E questo non significa essere fanatici. Questo non significa tralasciare di avere dialogo con tutte le persone, no, ma con la convinzione di fede, a partire dallo scandalo della Croce, dalla stoltezza di Cristo e anche dalla vittoria di Cristo. “Questa è la nostra vittoria”, dice Giovanni, “la nostra fede”.
Chiediamo allo Spirito Santo in questi ultimi giorni, anche nella novena dello Spirito Santo, negli ultimi giorni del tempo pasquale, la grazia di discernere cosa è mondanità e cosa è Vangelo, e non lasciarci ingannare, perché il mondo ci odia, il mondo ha odiato Gesù e Gesù ha pregato perché il Padre ci difendesse dallo spirito del mondo (cfr Gv 17,15).

Preghiera per la Comunione spirituale
Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te.

 

il Paraclito

paolo

OMELIA (17-05-2020) – CONOSCERE E AMARE GESÙ, FARLO CONOSCERE E FARLO AMARE, ABITATI DAL PARÀCLITO

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/48964.html

OMELIA (17-05-2020) – CONOSCERE E AMARE GESÙ, FARLO CONOSCERE E FARLO AMARE, ABITATI DAL PARÀCLITO

diac. Vito Calella

Il grande ideale di vivere con Cristo nel cuore, nella famiglia, nel lavoro, nella comnunità.
Il cristiano autentico dovrebbe domandarsi: «Invocando incessantemente ogni giorno lo Spirito Santo, qual’ è il mio grande ideale?» Si può rispondere con due frasi che riassumono la vita di santità di don Ottorino Zanon, fondatore della Pia società san Gaetano: «Con Cristo nel cuore, nella famiglia, nel lavoro, nella comunità», «Conoscere e amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare».
Fanno eco alla parola di Dio ascoltata oggi per mezzo della testimonianza dell’apostolo Pietro: «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Fanno eco anche alla richiesta esplicita di Gesù di ?essere amato?.
Raramente Gesù ha chiesto esplicitamente ai suoi discepoli di amarlo. Lo chiede solo quattro volte. Lo fa nel suo testamento proprio nel capitolo 14 del Vangelo di Giovanni. Due volte ce lo ripete con le parole rivolte a noi in questa domenica: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15a); «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14,21a). Più avanti dirà: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole» (Gv 14,23-24a).
Ascoltare le Parole del Signore e custodirle.
Per vivere «con Gesù nel cuore, nella famiglia, nel lavoro e nella comunità» la prima scelta da fare è invocare lo Spirito Santo e pregare ogni giorno con la bibbia aperta, lasciando penetrare in noi, nella mente e nel cuore, le parole di Gesù, diventandone custodi.
Amiamo la Parola di Dio e lasciamoci stupire dal suo potere di conversione, come abbiamo potuto contemplare grazie alla testimonianza del diacono Filippo, evangelizzatore di Samaria (At 8,5-8)! Le parole custodite nel cuore e nella mente ci accompagnano nel corso della giornata, tra una azione e l’altra della frenetica vita quotidiana.
Vivere in comunione.
Lo Spirito Santo in noi e la Parola di Dio custodita ci fanno avere uno sguardo diverso, più profondo, più contemplativo su tutte le relazioni che intessiamo con gli altri e con l’ambiente circostante. Familiarizzando soprattutto con l’inesauribile ricchezza dei quattro Vangeli, ci rendiamo conto che sono pochi i comandi che Gesù ci ha lasciato.
Il primo è quello della diaconia o del servizio: «Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti» (Mc 10,43-45) che corrisponde al comando lasciato dopo il gesto della lavanda dei piedi: «Se io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 14,23-24a).
Il secondo è il comandamento nuovo: «Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12b).
L’unica maniera di «amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare» è l’amore fraterno come lui ci ha amati, è l’unità nella carità tra di noi come lui è unito al Padre nell’opzione fondamentale dell’ obbedienza alla sua volontà, è quella comunione in cui circola il reciproco rispetto e la reciproca consegna della propria povertà e vulnerabilità: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 31). Lo Spirito Santo in noi, che unisce in unità il Figlio al Padre, ci unisce in unità con la stessa forza di gratuità rispettosa della dignità di ciascuno. L’essere uniti nella carità tra di noi rende autentico il nostro amore verso il Padre unito al Figlio. Così possiamo dire, con gioia, di amare Dio «con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente e con tutta la nostra forza» (Mc 12, 29).
Sentirsi in comunione con tutti.
Il mio ideale personale di «conoscere e amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare» non è mai vissuto individualmente, è piuttosto una gioia condivisa «nella comunità» con chi, come me, ha scelto di avere «Gesù nel cuore», per portarselo «nella famiglia, nel lavoro», rispondendo all’appello del Padre di santificare la vita quotidiana. Allora sprizziamo di gioia per sentirci uniti nella carità tra di noi esseri umani e sentirci in comunione con le cose, le piante, gli animali, cioè con l’esuberante bellezza della natura, perché tutto è dono e nulla ci appartiene.
È questo il senso delle parole di Gesù, quando ci comunica che «l’altro Paràclito, lo Spirito di verità, rimane presso di noi e abita in noi per sempre» (Gv 14, 17). Il rimanere «presso di noi», vicino, a lato, attorno a noi significa saper cogliere con il nostro sguardo di fede gli altri, fratelli e sorelle con la loro corporeità vivente, come altrettanti templi dello stesso Spirito Santo, abitante in ciascuno di noi. Significa anche saper cogliere con il nostro sguardo contemplativo ogni cosa ed ogni essere vivente della natura come espressione dell’eccedenza di dono dello stesso Spirito Santo, rivelando a noi la bellezza della provvidenza divina per la pienezza del nostro vivere. Lo Spirito Santo è in noi e ci circonda di gratuità.
Uniti in Cristo tra le avversità dell’egoismo umano.
Ma questa eccedenza di gratuità è soffocata dall’egoismo umano: «il mondo non può ricevere lo Spirito di verità perché non lo vede e non lo conosce» (Gv 14,17). Viviamo in mezzo a tanta gente col cuore di pietra, illusa di poter bastare a se stessa, pronta a deridere chi si dichiara gioiosamente per Cristo. Gesù parlò ai suoi discepoli prima di affrontare l’opposizione del mondo, cioè la potenza dell’egoismo umano che si sarebbe scagliata contro di lui, il giusto, e gli avrebbe fatto patire la morte di croce. Gesù, fino a quel momento era stato il primo Paràclito dei suoi discepoli: presenza sicura, come un avvocato a fianco di chi affronta un processo, sia perché è perseguitato per essere giusto, ma soprattutto perché riconosce di essere reo, imputato, peccatore. Dio ci parla per mezzo dell’apostolo Giovanni, che nella sua prima lettera scrive: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1).
Dio ci parla per mezzo dell’apostolo Pietro, il quale era presente quella notte in cui Gesù promise l’altro Paràclito. L’unità nella carità, che ci rende uno in Cristo, diventi anche testimonianza di rispetto e pazienza verso i nostri nemici, verso coloro che ci perseguitano, verso la gente ancora schiava del suo egoismo, incapace di scoprire nel profondo della sua anima il tesoro nascosto dello Spirito Santo. Diamo allora ragione della speranza che è in noi facendolo «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di noi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla nostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3, 16).
Abitati dal Paràclito avvocato, consolatore e consigliere.
Non siamo orfani di Cristo. Lo sentiamo nel nostro cuore, lo percepiamo vicino a noi in ogni nostra attività domestica, nel nostro impegno educativo di genitori o nella nostra fatica di rispondere, come figli, alla vocazione che il Padre ha riservato per noi, nella sfida di essere cristiani nel nostro ambiente di lavoro. Amiamo Gesù e vogliamo farlo conoscere e farlo amare. Lo ringraziamo continuamente perché lui «è morto una volta per sempre per i nostri peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio; è stato messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18). Siamo consapevoli, come ci insegna la parola di Dio, per mezzo dell’apostolo Paolo, che «nessuno può dire ?Gesù è Signore? se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3b). Prepariamoci allora alle prossime feste dell’Ascensione e della Pentecoste fortificandoci con l’invocazione dello Spirito di verità, chiedendo il Paràclito, già presente in noi, riconoscendolo con gratitudine come nostro avvocato e difensore, consolatore e amico sicuro, consigliere e suggeritore.

La preghiera di San Francesco

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 13 mai, 2020 |Pas de commentaires »

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – « Il rimanere reciproco tra la vite e i tralci » – 13 maggio 2020

http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200513_come-itralci-e-lavite.html

CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – « Il rimanere reciproco tra la vite e i tralci » – 13 maggio 2020

Introduzione

Preghiamo oggi per gli studenti, i ragazzi che studiano, e gli insegnanti che devono trovare nuove modalità per andare avanti nell’insegnamento: che il Signore li aiuti in questo cammino, dia loro coraggio e anche un bel successo.

Omelia

Il Signore torna sul “rimanere in Lui”, e ci dice: “La vita cristiana è rimanere in me”. Rimanere. E usa qui l’immagine della vite, come i tralci rimangono nella vite (cfr Gv 15,1-8). E questo rimanere non è un rimanere passivo, un addormentarsi nel Signore: questo sarebbe forse un “sonno beatifico”, ma non è questo. Questo rimanere è un rimanere attivo, e anche è un rimanere reciproco. Perché? Perché Lui dice: «Rimanete in me e io in voi» (v. 4). Anche Lui rimane in noi, non solo noi in Lui. È un rimanere reciproco. In un’altra parte dice: Io e il Padre «verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Questo è un mistero, ma un mistero di vita, un mistero bellissimo. Questo rimanere reciproco. Anche con l’esempio dei tralci: è vero, i tralci senza la vite non possono fare nulla perché non arriva la linfa, hanno bisogno della linfa per crescere e per dar frutto; ma anche l’albero, la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non vengono attaccati all’albero, alla vite. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dar frutto.
E questa è la vita cristiana. È vero, la vita cristiana è compiere i comandamenti (cfr Es 20,1-11), questo si deve fare. La vita cristiana è andare sulla strada delle beatitudini (cfr Mt 5,1-13), questo si deve fare. La vita cristiana è portare avanti le opere di misericordia, come il Signore ci insegna nel Vangelo (cfr Mt 25,35-36), e questo si deve fare. Ma anche di più: è questo rimanere reciproco. Noi senza Gesù non possiamo fare nulla, come i tralci senza la vite. E Lui – mi permetta il Signore di dirlo – senza di noi sembra che non possa fare nulla, perché il frutto lo dà il tralcio, non l’albero, la vite. In questa comunità, in questa intimità del “rimanere” che è feconda, il Padre e Gesù rimangono in me e io rimango in Loro.
Qual è – mi viene in mente di dire – il “bisogno” che l’albero della vite ha dei tralci? È avere dei frutti. Qual è il “bisogno” – diciamo così, un po’ con audacia – qual è il “bisogno” che ha Gesù di noi? La testimonianza. Quando nel Vangelo dice che noi siamo luce, dice: “Siate luce, perché gli uomini «vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro» (Mt 5,16)”. Cioè la testimonianza è la necessità che ha Gesù di noi. Dare testimonianza del suo nome, perché la fede, il Vangelo cresce per testimonianza. Questo è un modo misterioso: Gesù anche glorificato in cielo, dopo aver passato la Passione, ha bisogno della nostra testimonianza per far crescere, per annunciare, perché la Chiesa cresca. E questo è il mistero reciproco del “rimanere”. Lui, il Padre e lo Spirito rimangono in noi, e noi rimaniamo in Gesù.
Ci farà bene pensare, riflettere su questo: rimanere in Gesù, e Gesù rimane in noi. Rimanere in Gesù per avere la linfa, la forza, per avere la giustificazione, la gratuità, per avere la fecondità. E Lui rimane in noi per darci la forza del [portare] frutto (cfr Gv 5,15), per darci la forza della testimonianza con la quale cresce la Chiesa.
E una domanda, mi faccio: come è il rapporto tra Gesù che rimane in me e io che rimango in Lui? È un rapporto di intimità, un rapporto mistico, un rapporto senza parole. “Ah Padre, ma questo, che lo facciano i mistici!”. No, questo è per tutti noi! Con piccoli pensieri: “Signore, io so che Tu sei qui [in me]: dammi la forza e io farò quello che Tu mi dirai”. Quel dialogo di intimità con il Signore. Il Signore è presente, il Signore è presente in noi, il Padre è presente in noi, lo Spirito è presente in noi; rimangono in noi. Ma io devo rimanere in Loro…
Che il Signore ci aiuti a capire, a sentire questa mistica del rimanere su cui Gesù insiste tanto, tanto, tanto. Tante volte noi, quando parliamo della vite e dei tralci, ci fermiamo alla figura, al mestiere dell’agricoltore, del Padre: che quello [il tralcio] che porta frutto lo pota, e quello che non lo porta lo taglia e lo porta via (cfr Gv 15,1-2). È vero, fa questo, ma non è tutto, no. C’è dell’altro. Questo è l’aiuto: le prove, le difficoltà della vita, anche le correzioni che ci fa il Signore. Ma non fermiamoci qui. Tra la vite e i tralci c’è questo rimanere intimo. I tralci, noi, abbiamo bisogno della linfa, e la vite ha bisogno dei frutti, della testimonianza.

Preghiera per fare la comunione spirituale
Le persone che non possono comunicarsi, fanno adesso la comunione spirituale:
Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te. Non permettere che mi abbia mai a separare da te.

Gesù e i bambini

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 7 mai, 2020 |Pas de commentaires »

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – « Avere il coraggio di vedere le nostre tenebre, perché la luce del Signore entri e ci salvi » – Mercoledì, 6 maggio 2020

http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200506_dalletenebreinteriori-allalucedicristo.html

CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO – « Avere il coraggio di vedere le nostre tenebre,
perché la luce del Signore entri e ci salvi » – Mercoledì, 6 maggio 2020

Introduzione
Preghiamo oggi per gli uomini e le donne che lavorano nei mezzi di comunicazione. In questo tempo di pandemia rischiano tanto e il lavoro è tanto. Che il Signore li aiuti in questo lavoro di trasmissione, sempre, della verità.

Omelia
Questo passo del Vangelo di Giovanni (cfr 12,44-50) ci fa vedere l’intimità che c’era tra Gesù e il Padre. Gesù faceva quello che il Padre gli diceva di fare. E per questo dice: «Chi crede in me non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato» (v. 44). Poi precisa la sua missione: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (v. 46). Si presenta come luce. La missione di Gesù è illuminare: la luce. Lui stesso ha detto: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). Il profeta Isaia aveva profetizzato questa luce: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (9, 1). La promessa della luce che illuminerà il popolo. E anche la missione degli apostoli è portare la luce. Paolo lo disse al re Agrippa: “Sono stato eletto per illuminare, per portare questa luce – che non è mia, è di un altro – ma per portare la luce” (cfr At 26,18). È la missione di Gesù: portare la luce. E la missione degli apostoli è portare la luce di Gesù. Illuminare. Perché il mondo era nelle tenebre.
Ma il dramma della luce di Gesù è che è stata respinta. Già all’inizio del Vangelo, Giovanni lo dice chiaramente: “È venuto dai suoi e i suoi non lo accolsero. Amavano più le tenebre che la luce” (cfr Gv 1,9-11). Abituarsi alle tenebre, vivere nelle tenebre: non sanno accettare la luce, non possono; sono schiavi delle tenebre. E questa sarà la lotta di Gesù, continua: illuminare, portare la luce che fa vedere le cose come stanno, come sono; fa vedere la libertà, fa vedere la verità, fa vedere il cammino su cui andare, con la luce di Gesù.
Paolo ha avuto questa esperienza del passaggio dalle tenebre alla luce, quando il Signore lo incontrò sulla strada di Damasco. È rimasto accecato. Cieco. La luce del Signore lo accecò. E poi, passati alcuni giorni, con il battesimo, riebbe la luce (cfr At 9,1-19). Lui ha avuto questa esperienza del passaggio dalle tenebre, nelle quali era, alla luce. È anche il nostro passaggio, che sacramentalmente abbiamo ricevuto nel Battesimo: per questo il Battesimo si chiamava, nei primi secoli, la Illuminazione (cfr San Giustino, Apologia I, 61, 12), perché ti dava la luce, ti “faceva entrare”. Per questo nella cerimonia del Battesimo diamo un cero acceso, una candela accesa al papà e alla mamma, perché il bambino, la bambina è illuminato, è illuminata.
Gesù porta la luce. Ma il popolo, la gente, il suo popolo l’ha respinto. È tanto abituato alle tenebre che la luce lo abbaglia, non sa andare… (cfr Gv 1,10-11). E questo è il dramma del nostro peccato: il peccato ci acceca e non possiamo tollerare la luce. Abbiamo gli occhi ammalati. E Gesù lo dice chiaramente, nel Vangelo di Matteo: “Se il tuo occhio è ammalato, tutto il tuo corpo sarà ammalato. Se il tuo occhio vede soltanto le tenebre, quante tenebre ci saranno dentro di te?” (cfr Mt 6,22-23). Le tenebre… E la conversione è passare dalle tenebre alla luce.
Ma quali sono le cose che ammalano gli occhi, gli occhi della fede? I nostri occhi sono malati: quali sono le cose che “li tirano giù”, che li accecano? I vizi, lo spirito mondano, la superbia. I vizi che “ti tirano giù” e anche, queste tre cose – i vizi, la superbia, lo spirito mondano – ti portano a fare società con gli altri per rimanere sicuri nelle tenebre. Noi parliamo spesso delle mafie: è questo. Ma ci sono delle “mafie spirituali”, ci sono delle “mafie domestiche”, sempre, cercare qualcun altro per coprirsi e rimanere nelle tenebre. Non è facile vivere nella luce. La luce ci fa vedere tante cose brutte dentro di noi che noi non vogliamo vedere: i vizi, i peccati… Pensiamo ai nostri vizi, pensiamo alla nostra superbia, pensiamo al nostro spirito mondano: queste cose ci accecano, ci allontanano dalla luce di Gesù.
Ma se noi iniziamo a pensare queste cose, non troveremo un muro, no, troveremo un’uscita, perché Gesù stesso dice che Lui è la luce, e anche: “Sono venuto al mondo non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (cfr Gv 12,46-47). Gesù stesso, la luce, dice: “Abbi coraggio: lasciati illuminare, lasciati vedere per quello che hai dentro, perché sono io a portarti avanti, a salvarti. Io non ti condanno. Io ti salvo” (cfr v. 47). Il Signore ci salva dalle tenebre che noi abbiamo dentro, dalle tenebre della vita quotidiana, della vita sociale, della vita politica, della vita nazionale, internazionale… Tante tenebre ci sono, dentro. E il Signore ci salva. Ma ci chiede di vederle, prima; avere il coraggio di vedere le nostre tenebre perché la luce del Signore entri e ci salvi.
Non abbiamo paura del Signore: è molto buono, è mite, è vicino a noi. È venuto per salvarci. Non abbiamo paura della luce di Gesù.

La preghiera per fare la comunione spirituale
Le persone che non possono comunicarsi, fanno adesso la comunione spirituale:
Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te. Non permettere che mi abbia mai a separare da te.

123

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01