Archive pour mars, 2020

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO A) (22/03/2020)

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IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO A) (22/03/2020)

Un collirio per lunghi orizzonti
don Mario Simula

Il linguaggio dei segni è per Gesù il modo più immediato ed eloquente per comunicare. Ha davanti a sé un cieco dalla nascita. Lo vuole guarire. Fa del fango con la saliva e un po’ di terra, e lo spalma, toccandoli, sugli occhi del cieco. Poi lo invita a lavarsi nell’acqua della piscina di Siloe. E’ detto tutto in un attimo. Gesù è la Luce. E’ venuto per portare la Luce al mondo che spesso preferisce le tenebre. La Luce si rivela quando non c’è la nebbia, quando non c’è la torbidità del cuore. Prima che il cieco ritrovi la vista, deve lavarsi nell’acqua.
Vuoi vedere in faccia Gesù? Permettigli di purificare il tuo cuore. Se questo dono non entra nelle midolla della tua vita, resterai cieco.
La gente che circola per le strade di Gerusalemme, i frequentatori assidui della Sinagoga, non credono ai loro occhi. Sono occhi di persone cieche per le quali ogni visione della fede è preclusa. Sono persone ostinate che non cedono le armi nemmeno davanti all’evidenza.
Il giovane guarito diventa oggetto di attenzione collettiva. Tutti lo interrogano. Tutti vogliono sapere da lui come sono andate le cose. E lui a tutti ripete la narrazione degli avvenimenti. Una narrazione insistente. Una narrazione nella quale l’unico assente è proprio il protagonista Gesù: “Dov’è? Chi è colui che ti ha restituito la vista?”. “Non lo so, so’ soltanto che mi ha guarito”.
I farisei hanno un solo “falso” problema: che Gesù abbia compiuto il segno di sabato. Non può avvenire che chi opera di sabato, anche per il bene, possa venire da Dio. Il cieco non sa balbettare altro, anzi, non sa dire con certezza altro: “Io so soltanto che mi ha ridato la vista”. Gli domandano: “Tu che cosa dici di lui?”, egli risponde: “E’ un profeta!”. Insistono: “Non viene da Dio”. E il cieco: “Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Per i Giudei quel cieco guarito è solo un peccatore, non rimane altro che cacciarlo fuori dalla sinagoga.
Riappare il grande protagonista, riappare la Luce, come la cometa di Betlem.
Gesù riappare proprio perché viene a sapere che lo hanno cacciato fuori. Lo incontra e porta a compimento la grazia dell‘illuminazione.
Immagino i catecumeni della chiesa antica che lungo il loro cammino, gradualmente scoprono Gesù Luce del mondo. Li immagino all’ultimo percorso quaresimale prima della veglia pasquale. Devono dare segnali autentici della loro fede viva in Gesù. Questo percorso fa l’uomo nato cieco, guidato nel cammino della vita nuova dal Maestro: “Tu credi nel figlio dell’uomo?”. Egli risponde “E chi è, Signore perché io creda in lui?”. Gesù gli dice: “Lo hai visto. Per questo ti ho restituito la luce degli occhi. Perché potessi vedermi. Adesso mi vedi: il Cristo sono Io che parlo con te”.
Sarebbe una grande letizia, per le nostre comunità, sperimentare la Luce degli occhi perché hanno incontrato Gesù, e con quella luce continuano a riconoscerlo ogni giorno con gioia. Anche nei momenti della solitudine e della prova. Deve essere chiaro ai nostri cuori che Gesù si può manifestare nel suo splendore, ovunque, in qualsiasi momento della nostra vita. Ciò che conta è avere gli occhi guariti dal suo fango e dal tocco della sua mano.
Il giovane che non vedeva, professa, finalmente, la sua fede: “Credo, Signore!” e si prostra davanti a Gesù.
Ogni credente deve lasciarsi provocare dalle parole conclusive e severe del Signore: “Io sono venuto perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono, diventino ciechi”.
Guardo tante comunità: ascoltano la parola di Dio, vedono il Pane di Vita, vedono che Gesù è nei poveri, eppure rischiano di diventare cieche. Abbiamo veramente bisogno del collirio di Dio in modo che, Gesù, la Luce, sfolgori davanti ai nostri occhi e ci aiuti a cogliere in profondità chi siamo, come viviamo, verso quale orizzonte stiamo camminando.
Davanti agli occhi di Samuele passano, ad uno a uno, i figli di Iesse, ma in nessuno di questi figli Dio vede il prescelto finché non arriva il giovanissimo Davide, pastore di pecore. Dio che non guarda il volto ma il cuore dice: “Samuele alzati e ungilo”. Il miracolo della vista ritorna. “Dio dice: è lui!”.
Come si fa ad avere sempre gli occhi trasparenti di luce? Come possiamo guardare nelle profondità del cuore e non le apparenze? Come possiamo raggiungere la luce del Signore?
Paolo ce lo dice con l’affetto di un padre: “Eravate tenebra, prima di incontrare il Signore, ora siete Luce nel Signore, comportatevi perciò come figli della luce”.

La luce produce i suoi frutti: ogni bontà, ogni giustizia, ogni verità. Il frutto della Luce è l’uomo nuovo.
Noi stiamo andando verso quell’orizzonte luminoso che è la Pasqua, l’alba del terzo giorno. Vedremo la Luce. Forse non vedremo le assemblee radunate, vedremo ugualmente la Luce, perché il suo fulgore ha inondato il mondo, ha inondato il cuore di ciascuno di noi. Se nella fede sappiamo accorgerci di questo dono, anche stando lontani sperimenteremo quanto siamo vicini.
Il Signore Risorto ci attende tutti per abbracciarci con la tenerezza dell’amore.

Gesù, non voglio nemmeno pensarlo che, dopo aver conosciuto l’acqua della rigenerazione, la Luce del cero, il candore della veste bianca e dopo aver sentito il profumo del crisma, possa essere ancora nella cecità.
Eppure, Gesù, ci sono giorni, nella mia vita, nei quali tutto è buio, tutto è contrario, tutto mi smarrisce, tutto mi sgomenta.
Tu, ugualmente ci sei, Gesù.
Io sono come uno che non vuole prendere in mano il filo per entrare nel labirinto di se stesso senza smarrirsi. Giro, giro, giro, e non vengo a capo di nulla. Perché sto girando attorno a me stesso. Proprio come un cieco che non conosce l’oltre.
Gesù, ungimi gli occhi col collirio del tuo fango. Forse mi meraviglierò e dirò: “Cosa sta facendo? A che cosa serve tutto questo?”.
Tu, Gesù, non parli, resti lì, rimani finché i miei occhi, un po’ alla volta, si dischiudano e inizino a vedere la tua sagoma, poi i tuoi lineamenti, poi la chiarezza dei tuoi occhi, poi lo splendore del tuo corpo, poi sentano la fragranza del tuo cuore innamorato. Allora capisco che mi restituisci la Luce, Gesù, e tutto si illumina attorno a me e dentro di me.
Ti riconosco negli ultimi. Non mi fanno ribrezzo gli sporchi delle strade. Non temo i lebbrosi.
Soprattutto, Gesù, non temo di guardare me e, nonostante la mia bruttezza interiore, mi accorgo che tu mi sei vicino.
Ti riconosco in questo mondo dolente, disorientato, sgomento, stordito perché le sue certezze vacillano.
Gesù, ti riconosco nella morte che per te è sempre aurora di vita, è seme che muore, è seme che fiorisce, sconfiggendo la morte e facendo brillare la vita.
Gesù, non voglio fare più alcuna dichiarazione su me stesso, né per dire bene né per dire male. Mi è sufficiente, ed è tutto, sentirmi dire da te: “Tu mi vedi, sono proprio Gesù, il tuo Amore”. Mentre io, prostrato per terra oso dirti, dal profondo del cuore: “Credo, Signore!”.
La Luce finalmente dilaga e non mi umilia anche se mette a nudo la mia miseria.

Don Mario Simula

fiore di Aquinia

aquinia paolo

Publié dans:immagini |on 18 mars, 2020 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO CELEBRAZIONE A SANTA MARTA – PER GLI OPERATORI SANITARI CHE HANNO DATO LA VITA PER COMBATTERE IL VIRUS – 18 MARZO

http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200318_pergli-operatorisanitari.html

LA CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA
DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

PER GLI OPERATORI SANITARI CHE
HANNO DATO LA VITA PER COMBATTERE IL VIRUS

Mercoledì, 18 marzo 2020

È stata «per i defunti», per «coloro che a causa del virus hanno perso la vita» — e «in modo speciale, per gli operatori sanitari che sono morti in questi giorni» donando «la vita nel servizio agli ammalati» — la preghiera con cui Papa Francesco ha introdotto la messa mattutina nella cappella di Casa Santa Marta.
Proseguendo mercoledì 18 marzo la celebrazione quotidiana in diretta streaming, a causa della pandemia da covid-19, il Pontefice ha dapprima letto l’antifona d’ingresso tratta dal verso 133 del salmo 119 — «Guida i miei passi secondo la tua parola, nessuna malizia prevalga su di me» — quindi, dopo aver ascoltato la proclamazione delle letture, ha pronunciato un’omelia tutta incentrata sul tema della “legge” di un Dio che ha voluto farsi vicino agli uomini, ma la cui prossimità viene da questi troppo spesso rifiutata con l’allontanamento, il nascondersi da Lui, il rifiuto, che può portare fino all’omicidio: come insegna la storia dell’umanità da Adamo ed Eva, e da Caino e Abele, fino al giorno d’oggi.
Ambedue i testi — ha esordito riferendosi ai passi del Deuteronomio 4, 1.5-9 e del Vangelo di Matteo 5, 17-19 — parlano infatti della «Legge che Dio dà al suo popolo». Si tratta, ha spiegato, della «Legge che il Signore ha voluto darci e che Gesù ha voluto» portare «fino alla massima perfezione». Ma ad attirare l’attenzione di Francesco è soprattutto «il modo in cui Dio dà la Legge». Basta ascoltare quello che «dice Mosè», ha chiarito il Papa, ripetendone le parole: «Infatti, quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che Lo invochiamo?». Il messaggio è chiaro: «Il Signore dà la Legge al suo popolo con un atteggiamento di vicinanza. Non sono prescrizioni di un governante, che può essere lontano, o di un dittatore». Al contrario, ha fatto notare il Pontefice, «è la vicinanza; e noi sappiamo per la rivelazione che è una vicinanza paterna, di padre, che accompagna il suo popolo dandogli il dono della Legge».
Insomma la liturgia del giorno è un vero e proprio inno al «Dio vicino», come testimonia Mosè, con i versi che sono stati rilanciati dal Pontefice: «Infatti, quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi, ogni volta che Lo invochiamo?». La risposta è più che evidente per Francesco: «Il nostro Dio — ha ribadito — è il Dio della vicinanza, è un Dio vicino, che cammina con il suo popolo. Quell’immagine nel deserto, nell’Esodo, la nube, la colonna di fuoco per proteggere il popolo: cammina con il suo popolo».
Ma c’è un ulteriore elemento ravvisato da Francesco: «Non è un Dio che lascia le prescrizioni scritte, “e vai avanti”». Tutt’altro: il Signore «fa le prescrizioni — le scrisse con le proprie mani sulla pietra —, le dà a Mosè»; gliele consegna, ma non è che le lascia «e se ne va: cammina, è vicino. “Quale nazione ha un Dio così vicino?”. È la vicinanza. Il nostro è un Dio della vicinanza», ha rimarcato il Papa.
Purtroppo però, è stata la successiva considerazione, «la prima risposta dell’uomo», quella che si ritrova «nelle prime pagine della Bibbia», si materializza in «due atteggiamenti di non vicinanza. La risposta nostra sempre è di allontanarsi; ci allontaniamo da Dio. Lui si fa vicino e noi ci allontaniamo». Basta sfogliare, ha osservato Francesco, «quelle due prime pagine» del libro della Genesi, per constatare che «il primo atteggiamento di Adamo con la moglie, è nascondersi: si nascondono dalla vicinanza di Dio, hanno vergogna, perché hanno peccato, e il peccato ci porta a nasconderci, a non volere la vicinanza». Di più, questi comportamenti conducono «tante volte, a fare una teologia soltanto pensata “nel giudice”, e per questo mi nascondo: ho paura».
Ma c’è anche di peggio: infatti «il secondo atteggiamento, umano, alla proposta di questa vicinanza di Dio» — secondo il Pontefice — «è uccidere. Uccidere il fratello. “Io non sono il custode di mio fratello”», è la celebre frase pronunciata da Caino dopo l’omicidio di Abele.
Insomma, è stata la conclusione del Papa, gli uomini di solito hanno questi «due atteggiamenti che cancellano ogni vicinanza»: in pratica rifiutano «la vicinanza di Dio». Ma — e questa è la buona notizia — siccome «Lui vuole essere padrone dei rapporti e la vicinanza sempre porta con sé qualche debolezza», ecco allora che «il “Dio vicino” si fa debole, e quanto più vicino si fa, più debole sembra. Quando viene da noi, ad abitare con noi, si fa uomo, uno di noi: si fa debole e porta la debolezza fino alla morte e la morte più crudele», la stessa «morte degli assassini… dei peccatori più grandi»: quella avvenuta sulla croce.
Inoltre, e questo è un secondo elemento consolatorio individuato da Francesco, «la vicinanza umilia Dio. Lui si umilia per essere con noi, per camminare con noi, per aiutare noi. Il “Dio vicino” ci parla di umiltà. Non è un “grande Dio”» che se ne sta lontano «lì; no. È vicino. È di casa. E questo lo vediamo in Gesù, Dio fatto uomo, vicino fino alla morte, con i suoi discepoli: li accompagna, insegna loro, li corregge con amore». E il pensiero del Papa è andato subito «alla vicinanza di Gesù ai discepoli angosciati di Emmaus» che «erano sconfitti»; ma «Lui si avvicina lentamente, per far loro capire il messaggio di vita, di risurrezione». Ecco dunque l’attualità della riflessione di Francesco: «Il nostro Dio — ha sottolineato — è vicino e chiede a noi di essere vicini, l’uno all’altro; di non allontanarci tra noi». Specie «in questo momento di crisi per la pandemia che stiamo vivendo», chiede di manifestare di più «questa vicinanza…, di farla vedere di più». Certo, il Papa si è detto consapevole che «non possiamo, forse, avvicinarci fisicamente per la paura del contagio»; ma «risvegliare in noi un atteggiamento di vicinanza tra noi», quello sì, è possibile. Come? Francesco lo ha chiarito con esempi concreti: «con la preghiera, con l’aiuto, tanti modi di vicinanza. E perché noi dobbiamo essere vicini l’uno all’altro? Perché il nostro Dio è vicino, ha voluto accompagnarci nella vita. È il Dio della prossimità. Per questo, noi non siamo persone isolate: siamo prossimi, perché l’eredità che abbiamo ricevuto dal Signore è la prossimità, cioè il gesto della vicinanza». Da qui l’esortazione finale del Pontefice a pregare il Signore per domandargli «la grazia di essere vicini, l’uno all’altro» e non, al contrario, di «nascondersi l’uno dall’altro», né di «lavarsene le mani, come ha fatto Caino, del problema altrui». Perché il momento attuale esige «prossimità. Vicinanza. “Infatti — ha concluso Francesco rinnovando la domanda di Mosè — quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi, ogni volta che Lo invochiamo?».
Prima della conclusione della messa, è stato collocato sull’altare l’ostensorio — col quale poi il Papa ha impartito la benedizione finale — per alcuni minuti di silenziosa preghiera di adorazione. Al termine del rito, Francesco ha sostato davanti all’immagine mariana posta accanto all’altare della cappella di Santa Marta. E a mezzogiorno, nella basilica di San Pietro, il cardinale arciprete Angelo Comastri ha guidato la recita dell’Angelus e del rosario.

Publié dans:PAPA FRANCESCO |on 18 mars, 2020 |Pas de commentaires »

La samaritana

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 14 mars, 2020 |Pas de commentaires »

OMELIA (15-03-2020)

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/48200.html

OMELIA (15-03-2020)

COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di padre Gianmarco Paris

Viviamo questa quaresima in un modo del tutto diverso da ogni altra, a motivo delle precauzioni da assumere per contenere l’espansione del virus covid-19. In alcune parti del Paese non è possibile celebrare l’Eucaristia comunitaria e ascoltare insieme la Parola di Dio. Ciò può diventare uno stimolo per prenderci del tempo personalmente per leggere e meditare il Vangelo di questa domenica. La scena sembra addirittura adatta a questo esercizio spirituale, perché ci racconta un dialogo personale tra Gesù e una donna di Samaria. I due sono soli e il dialogo si muove dall’esteriorità all’interiorità, dove la persona si incontra con se stessa: è lì che Dio si fa trovare, non come colui che giudica, ma come colui che rinnova il dono della vita.
Gesù sta attraversando con i discepoli la Samaria. Giunto a Sicar e si siede presso il pozzo, verso mezzogiorno, mentre i discepoli vanno in cerca di cibo. Ad un certo punto arriva una donna samaritana ad attingere acqua. Nella ferialità di quella occasione nasce un dialogo straordinario che trasforma la vita di quella donna: Gesù guida l’incontro con estrema calma e determinazione.
Inizia chiedendo dell’acqua alla donna (E Gesù le dice: dammi da bere). A noi sembra una cosa del tutto normale, ma non è così: per le circostanze culturali del tempo e per il significato profondo che Gesù dà alle parole (e che l’evangelista Giovanni ci aiuta a comprendere). Gesù avrebbe dovuto evitare di dialogare con lei: perché era una donna (che va ad attingere acqua da sola, in un orario insolito) davanti ad un ?maestro? e perché era di samaritana e Gesù giudeo (cioè appartengono a due gruppi separati dal modo di interpretare la religiose ebraica). Gesù chiedendo un piacere a quella donna le mostra apertura e accoglienza: da questo suo atteggiamento non politically correct (infatti i discepoli ritornando con la spesa si meravigliano di questo, v. 27) prende il via un dialogo con cui Gesù porta quella donna sulla soglia della fede.
La donna non capisce come è possibile che quell’uomo giudeo parli con lei e addirittura le chieda da bere (chiede: come è possibile?). Più profondamente si meraviglia di essere riconosciuta degna di parola, cioè di essere accolta, si meraviglia che quell’uomo le chieda aiuto. Dalla risposta di Gesù capiamo che egli desidera che questa donna si apra ad un’altra meraviglia più grande, quella per il dono di Dio, di un Dio che si fa piccolo e bisognoso solo perché vuole donare. Gesù offre alla donna (che rimane senza nome per tutto il racconto!) un’altra acqua, che soddisfa un altro tipo di sete.
« Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti parla… »: il dono e la sua persona sono in realtà la stessa cosa; è lui che può dare l’acqua viva che sazia la sete. La donna fa fatica a capire quello strano discorso, ma ha il desiderio di comprendere (da dove prendi questa acqua?). Finché arriva a chiedere a Gesù quell’acqua, forse in forma di sfida: ?vediamo se è vero! Mi risolverebbe un bel problema!? Le parti ora si sono invertite, come voleva Gesù, che comincia a chiedere per essere riconosciuto come colui che dona.
Ora Gesù, in modo del tutto inatteso e apparentemente illogico, cambia argomento: « Va a chiamare tuo marito ». La donna non rimane sorpresa da questo brusco cambiamento e risponde subito, come per chiudere il discorso: « Non ho marito ». Gesù invece apre, squaderna davanti alla donna una dimensione così profonda della sua vita che solo lei poteva sapere, lei e Dio. Deve essersi chiesta: ?come può questo sconosciuto giudeo fermo al pozzo conoscere la mia vita?? Allora intuisce che sta parlando con un uomo di Dio, un profeta, e tenta di cambiare argomento: « già che sei un profeta, spiegami chi ha ragione tra giudei, che dicono di adorare Dio in Gerusalemme, e samaritani che adorano Dio sul monte qui vicino?. Gesù la segue, accoglie la sua domanda circa il rapporto con Dio, e annuncia la novità del suo Vangelo, che oltrepassa la discussione tra giudei e samaritani. Occorre andare oltre, perché Dio chiede di essere adorato in modo diverso: « Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità. Sono questi gli adoratori che il Padre cerca ». Adorare indica complessivamente un modo di stare davanti a Dio e davanti alla vita, il modo che Gesù-Verità è venuto a rivelare e che lo Spirito permette ai credenti di assimilare. La donna non pare ancora aver capito granché, e accenna alla venuta del Messia, grazie al quale si potrà finalmente capire il rapporto con Dio. Quando Gesù capisce che il terreno è stato preparato, si manifesta pienamente alla donna: « Sono io, che ti parlo ».
Stranamente l’evangelista non presenta nessuna risposta della donna a questa rivelazione solenne di Gesù; la telecamera inquadra invece i discepoli, che ritornando con la spesa si meravigliano di vedere il maestro dialogare con una donna samaritana, anche se non si azzardano a chiedere spiegazioni. Ma ecco di nuovo la donna: « lasciò dunque la sua anfora la donna e corse in città… ». Il motivo per cui era andata al pozzo, la necessità di bere, ora ha perso la sua importanza. Quella donna ha incontrato qualcosa di più importante e vitale, che ridimensiona quello che prima la occupava. Così avviene l’incontro con Dio: permette di percepire che le altre cose vengono dopo; continui ad averne bisogno (come l’acqua), ma non sono più la ragione della tua vita. Forse questa donna non stava cercando qualcosa di più grande per la sua vita, benché la sua vita parli di insoddisfazioni. L’incontro con Gesù, che l’ha accolta senza giudizi e l’ha portata a guardarsi dentro, le ha aperto un cammino nuovo. A tal punto che corre in città e invita gli altri ad andare a vedere Gesù, descrivendolo con queste parole: « Un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto?. Il potere di quell’uomo di ?vedere dentro di lei? le fa sorgere la domanda: ?Che sia forse il Messia?? Non è certa che lo sia, ma sente con certezza che l’incontro con quell’uomo ha cambiato la sua vita. La strada per riconoscere la vicinanza di Dio non è diversa dalla strada che porta alla verità di se stessi, alla propria interiorità.
Mentre la donna svolge la sua missione in città, ritorniamo al pozzo. I discepoli invitano Gesù a mangiare ma lui sembra non averne voglia: sta pensando ancora all’incontro con la donna di Samaria, assapora la gioia che nasce in lui nel compiere la volontà del Padre, che desidera far sentire a tutti il suo amore, soprattutto a quelli che si sentono esclusi e discriminati. Quell’incontro permette a Gesù di alzare gli occhi e vedere il mondo come una messe pronta per la mietitura; vede l’umanità pronta ad accogliere l’annuncio del Regno. E forma lo sguardo dei discepoli, perché diventino capaci di vedere quello che lui vede.
Infine l’ultima scena. Ritorniamo in città, dove molti samaritani rispondono all’invito della donna (perché è motivato da una vera esperienza personale) e vanno ad incontrare Gesù. E lo invitano a fermarsi da loro un paio di giorni. Il tempo passato con Gesù permette loro di conoscerlo, di ascoltarlo e di credere in Lui per una esperienza personale che a loro volta fanno con Gesù.
Questo lungo e articolato racconto ci permette di comprendere la strada attraverso cui anche noi oggi possiamo rinnovare il nostro incontro con Gesù. Ciò che ci può mettere in cammino verso di lui è qualcuno che ci dice: vieni a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? Solo chi fa esperienza forte e personale di Gesù può attirare altri a lui; e solo questa attrazione può far nascere la fede. Chi lo ha incontrato porge a noi una domanda: che sia forse il Messia? La domanda rimane aperta, perché la risposta spetta a ciascuno di noi; non è una risposta teorica, da catechismo, ma una risposta data con la vita, con l’incontro, il dialogo, la scoperta di sentirsi conosciuti dentro e accolti, e amati. Ecco il cammino per noi cristiani, che a nostra volta diventiamo un invito e una domanda per gli altri.

Quaresima

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 11 mars, 2020 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 26 febbraio 2020 – Quaresima: entrare nel deserto

http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2020/documents/papa-francesco_20200226_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 26 febbraio 2020 – Quaresima: entrare nel deserto

Piazza San Pietro

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo il cammino quaresimale, cammino di quaranta giorni verso la Pasqua, verso il cuore dell’anno liturgico e della fede. È un cammino che segue quello di Gesù, che agli inizi del suo ministero si ritirò per quaranta giorni a pregare e digiunare, tentato dal diavolo, nel deserto. Proprio del significato spirituale del deserto vorrei parlarvi oggi. Cosa significa spiritualmente il deserto per tutti noi, anche noi che viviamo in città, cosa significa il deserto.
Immaginiamo di stare in un deserto. La prima sensazione sarebbe quella di trovarci avvolti da un grande silenzio: niente rumori, a parte il vento e il nostro respiro. Ecco, il deserto è il luogo del distacco dal frastuono che ci circonda. È assenza di parole per fare spazio a un’altra Parola, la Parola di Dio, che come brezza leggera ci accarezza il cuore (cfr 1 Re 19,12). Il deserto è il luogo della Parola, con la maiuscola. Nella Bibbia, infatti, il Signore ama parlarci nel deserto. Nel deserto consegna a Mosè le “dieci parole”, i dieci comandamenti. E quando il popolo si allontana da Lui, diventando come una sposa infedele, Dio dice: «Ecco, io la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là mi risponderà, come nei giorni della sua giovinezza» (Os 2,16-17). Nel deserto si ascolta la Parola di Dio, che è come un suono leggero. Il Libro dei Re dice che la Parola di Dio è come un filo di silenzio sonoro. Nel deserto si ritrova l’intimità con Dio, l’amore del Signore. Gesù amava ritirarsi ogni giorno in luoghi deserti a pregare (cfr Lc 5,16). Ci ha insegnato come cercare il Padre, che ci parla nel silenzio. E non è facile fare silenzio nel cuore, perché noi cerchiamo sempre di parlare un po’, di stare con gli altri.
La Quaresima è il tempo propizio per fare spazio alla Parola di Dio. È il tempo per spegnere la televisione e aprire la Bibbia. È il tempo per staccarci dal cellulare e connetterci al Vangelo. Quando ero bambino non c’era la televisione, ma c’era l’abitudine di non ascoltare la radio. La Quaresima è deserto, è il tempo per rinunciare, per staccarci dal cellulare e connetterci al Vangelo. È il tempo per rinunciare a parole inutili, chiacchiere, dicerie, pettegolezzi, e parlare e dare del “tu” al Signore. È il tempo per dedicarsi a una sana ecologia del cuore, fare pulizia lì. Viviamo in un ambiente inquinato da troppa violenza verbale, da tante parole offensive e nocive, che la rete amplifica. Oggi si insulta come se si dicesse “Buona Giornata”. Siamo sommersi di parole vuote, di pubblicità, di messaggi subdoli. Ci siamo abituati a sentire di tutto su tutti e rischiamo di scivolare in una mondanità che ci atrofizza il cuore e non c’è bypass per guarire questo, ma soltanto il silenzio. Fatichiamo a distinguere la voce del Signore che ci parla, la voce della coscienza, la voce del bene. Gesù, chiamandoci nel deserto, ci invita a prestare ascolto a quel che conta, all’importante, all’essenziale. Al diavolo che lo tentava rispose: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Come il pane, più del pane ci occorre la Parola di Dio, ci serve parlare con Dio: ci serve pregare. Perché solo davanti a Dio vengono alla luce le inclinazioni del cuore e cadono le doppiezze dell’anima. Ecco il deserto, luogo di vita, non di morte, perché dialogare nel silenzio col Signore ci ridona vita.
Proviamo di nuovo a pensare a un deserto. Il deserto è il luogo dell’essenziale. Guardiamo le nostre vite: quante cose inutili ci circondano! Inseguiamo mille cose che paiono necessarie e in realtà non lo sono. Quanto ci farebbe bene liberarci di tante realtà superflue, per riscoprire quel che conta, per ritrovare i volti di chi ci sta accanto! Anche su questo Gesù ci dà l’esempio, digiunando. Digiunare è saper rinunciare alle cose vane, al superfluo, per andare all’essenziale. Digiunare non è soltanto per dimagrire, digiunare è andare proprio all’essenziale, è cercare la bellezza di una vita più semplice.
Il deserto, infine, è il luogo della solitudine. Anche oggi, vicino a noi, ci sono tanti deserti. Sono le persone sole e abbandonate. Quanti poveri e anziani ci stanno accanto e vivono nel silenzio, senza far clamore, marginalizzati e scartati! Parlare di loro non fa audience. Ma il deserto ci conduce a loro, a quanti, messi a tacere, chiedono in silenzio il nostro aiuto. Tanti sguardi silenziosi che chiedono il nostro aiuto. Il cammino nel deserto quaresimale è un cammino di carità verso chi è più debole.
Preghiera, digiuno, opere di misericordia: ecco la strada nel deserto quaresimale.
Cari fratelli e sorelle, con la voce del profeta Isaia, Dio ha fatto questa promessa: «Ecco, io faccio una cosa nuova, aprirò nel deserto una strada» (Is 43,19). Nel deserto si apre la strada che ci porta dalla morte alla vita. Entriamo nel deserto con Gesù, ne usciremo assaporando la Pasqua, la potenza dell’amore di Dio che rinnova la vita. Accadrà a noi come a quei deserti che in primavera fioriscono, facendo germogliare d’improvviso, “dal nulla”, gemme e piante. Coraggio, entriamo in questo deserto della Quaresima, seguiamo Gesù nel deserto: con Lui i nostri deserti fioriranno.

 

Publié dans:PAPA FRANCESCO UDIENZE |on 11 mars, 2020 |Pas de commentaires »
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