Archive pour janvier, 2020

IL Battesimo di Gesù

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 17 janvier, 2020 |Pas de commentaires »

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/01/2020)

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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/01/2020)

Ecco colui che toglie il peccato del mondo!
don Luciano Cantini

L’agnello di Dio
Ci è familiare l’espressione agnello di Dio – molto raffigurata in diverse forme – perché è entrata nella liturgia. C’è però da domandarsi cosa l’autore del vangelo intendesse, alcuni commentatori mettono in dubbio che il Battista l’abbia effettivamente usata ipotizzando l’espressione servo di Dio, più facilmente comprensibile a chi ha assistito alla scena; oltretutto la parola aramaica talià è ambigua e potrebbe indicare sia agnello che servo. Per gli israeliti l’immagine richiama l’agnello pasquale ucciso all’inizio dell’Esodo il cui sangue ha segnato le case degli ebrei (Es 12,1-14) salvandoli dallo sterminio; Isaia parla del Servo, mite come l’agnello mandato al macello (Is 53,7). Nel corso del quarto Vangelo l’immagine di Gesù come agnello pasquale è più volte richiamata, la morte è posta all’ora stessa in cui venivano sacrificati gli agnelli per la Pasqua (Gv 19,14), l’issopo e il sangue (Gv 19,29.34) fanno riferimento all’aspersione col sangue dell’agnello pasquale (Es 12,7.22ss), chiara è la citazione del libro dell’Esodo non gli sarà spezzato alcun osso (Es 12,46; Gv 19,36).
Il peccato del mondo
Nella espressione utilizzata nella liturgia però è usato il plurale (i peccati del mondo) mentre il testo evangelico è al singolare: il rischio è la frammentazione dell’idea stessa di peccato, sottolineando la molteplicità delle sue manifestazioni, le implicazioni morali, la multiformità dei casi. Giovanni Battista parla del peccato del mondo, il peccato che opprime l’umanità intera, che tiene l’umanità lontana da Dio.
Il termine greco hamartia, usato nel vangelo, ha il significato di errore fatale, fallimento, bersaglio mancato. In ebraico, che appartiene alla cultura dell’evangelista, è usato il termine khata che significa smarrirsi, perdere la strada che conduce a Dio. La parola italiana peccato deriva dal latino peccatum, significa violazione, trasgressione, infrazione di una norma stabilita; è facile immaginare come la lingua possa aver condizionato il pensiero. Nel linguaggio comune la parola peccato assume diversi significati come colpa, mancanza, errore, inconveniente, non sempre dipendenti dalla nostra volontà come un apparecchio che non funziona più o una giornata rovinata dalla pioggia; nella categoria del peccato è entrato di tutto: dimenticanze, distrazioni, debolezze, disattenzioni, superficialità, si perde così la forza della espressione di Giovanni che parla di Gesù come colui che toglie il peccato del mondo!
Il mondo, nel quarto vangelo, rappresenta una mentalità, un modo di vivere che rifiuta la vita e la luce di Dio (Gv1,4-5). È l’uomo che si chiude alla relazione con Dio e si oppone all’amore. Il mondo ama ciò che è suo (Gv 15,19) perché si è chiuso nella autoreferenzialità e nella autosufficienza. Il mondo si sostituisce a Dio, prende il posto del Padre, il peccato del mondo quindi è la vita che l’uomo si ritrova a vivere dopo la rottura del rapporto di amore con Dio. Il peccato aderisce a una ideologia di morte, quello che sopprime la libertà degli uomini, lo priva della dignità di figlio di Dio; ci siamo persi in mille rivoli in cui il peccato si manifesta, nel tentativo di arginarne alcuni, deviarne altri, senza preoccuparci di risalire alla fonte. Il Servo di Dio prefigurato da Isaia si fa carico (cfr. Is 53,4 egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori) subendone le conseguenze fino alla morte, rispondendo però con un amore talmente pieno da far fallire la morte nel suo intento.
Ho visto e ho testimoniato
Nel quarto vangelo Giovanni Battista non ha più il ruolo di profeta che richiama alla conversione, piuttosto quello di chi ha fatto un’esperienza nuova, imprevedibile per lui stesso: io non lo conoscevo. Per lui si spalanca un orizzonte nuovo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
Il mistero di Dio si manifesta a lui totalmente inatteso. Quello che credeva di sapere e di conoscere, tutta la sua vita dedicata all’attesa, si trova difronte a un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Finché era chiuso nella sua idea di Dio e di salvezza, non poteva “conoscere” Dio che in Gesù si fa ultimo, che sta con i peccatori; l’agnello che toglie, cancella, elimina il peccato del mondo. L’esperienza di fede si concretizza nella « non-conoscenza » che dà senso alla vita nella sua quotidianità, ma aperta all’inaspettata azione dello Spirito. Giovanni lascia alle spalle la sua non conoscenza, guarda lontano, contempla lo Spirito, diventa testimone oltre il suo limite umano; la sua testimonianza offre in chi la accoglie il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,18).

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San Paolo, naufragio a Malta

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Publié dans:immagini sacre |on 15 janvier, 2020 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – Nel piccolo e nel grande – 10 maggio 2019 (San Paolo Apostolo)

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PAPA FRANCESCO – Nel piccolo e nel grande (San Paolo Apostolo)

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHA

Giovedì, 10 maggio 2019

Il volto di una Chiesa dalle porte aperte, in ascolto di Dio e amorevolmente impegnata nel servizio per la dignità della persona, «perseverante» nel fare «cose grandi» anche attraverso l’impegno quotidiano nelle «cose piccole», ha caratterizzato la meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di venerdì 10 maggio. Il Pontefice, infatti, nell’omelia si è lasciato ispirare non solo dal racconto della vocazione di san Paolo — al centro della prima lettura del giorno (Atti degli apostoli, 9, 1-20) — ma anche dalla presenza, in cappella, di alcune suore della famiglia apostolica di San Giuseppe Cottolengo che festeggiano il loro cinquantesimo anniversario di vita religiosa.
Quello della conversione di Paolo, ha spiegato il Pontefice, è un racconto che segna una «svolta, un voltare una pagina nella storia della salvezza», tant’è che, ha sottolineato, ricorre più volte nel Nuovo Testamento. Di fatto, «è un aprire la porta ai pagani, ai gentili, a coloro che non erano israeliti». Una novità tanto grande, quella della «Chiesa dei pagani», che «sconvolse i discepoli», i quali «non sapevano cosa fare ed è dovuto intervenire lo Spirito Santo con segnali forti». A tale riguardo Francesco ha anche richiamato l’episodio della conversione del centurione Cornelio (capitolo 10 degli Atti degli apostoli). In definitiva, ha spiegato, «la conversione di Paolo è un po’ la porta aperta verso l’universalità della Chiesa».
Ma come devono incarnare i cristiani questa Chiesa dalle porte aperte? Il Papa ha fatto emergere due caratteristiche tratte proprio dal «modo di essere» di Paolo. «Noi sappiamo — ha detto — che Paolo era un uomo forte, un uomo innamorato della legge, di Dio, della purezza della legge, ma era onesto, era coerente». Anche il suo perseguitare i cristiani prima della conversione era frutto dello «zelo che aveva per la purezza della casa di Dio, per la gloria di Dio». Ma egli era «un uomo aperto a Dio», «aperto alla voce del Signore» e, per essa, capace di rischiare: «Rischiava, rischiava, andava avanti».
Una coerenza che, ha aggiunto il Pontefice, era arricchita da «un’altra traccia del suo comportamento»: Paolo «era un uomo docile», il suo «temperamento era da testardo», ma «la sua anima non era testarda, era aperto ai suggerimenti di Dio». E così, ha proseguito Francesco, quest’uomo che «con ardore» prima si impegnava «per uccidere i cristiani e portarli in carcere», dopo aver sentito la voce del Signore diviene «come un bambino» e «si lascia portare». Con brevi tratti il Papa ha quindi sintetizzato la trepidazione dei primi tempi dopo la conversione: Paolo «si lascia portare a Gerusalemme, digiuna tre giorni, aspetta che il Signore dica… Tutte quelle convinzioni che aveva rimangono zitte, aspettando la voce del Signore: “Cosa devo fare, Signore?”. E lui va e va all’incontro a Damasco, all’incontro di quell’altro uomo docile e si lascia catechizzare come un bambino, si lascia battezzare come un bambino». Docile, tanto che, una volta riprese le forze, Paolo continua a restare in silenzio: «Se ne va in Arabia a pregare, quanto tempo non sappiamo, forse anni, non sappiamo». Ecco le caratteristiche paoline proposte anche al cristiano di oggi: «Apertura alla voce di Dio e docilità».
Un passaggio alla contemporaneità che Papa Francesco ha illustrato proprio grazie alla presenza delle suore del Cottolengo, alle quali si è prima rivolto in maniera diretta — «Grazie per ascoltare la voce di Dio e grazie per la docilità. Forse non sempre siete state docili… Forse, avete sgridato la superiora o sparlato di un’altra… ma sono cose della vita…» — per poi sottolineare proprio la loro preziosa testimonianza di docilità al Signore: «Non è facile per noi capire cosa sia il Cottolengo… Io ricordo la prima volta che l’ho visitato nell’anno ’70, non dimentico, neppure la suorina che mi accompagnava, si chiamava Suor Felice, ancora ricordo il nome. E lei prima di aprire una porta mi diceva: “Se la sente di vedere cose brutte?”. E poi, prima di passare in un’altra stanza: “Se la sente di vedere cose più brutte ancora?”. Tutta la vita lì, fra gli scartati, disseminati proprio lì».
E di nuovo, rivolgendosi alle religiose, ha detto: «Perseveranza, cuore aperto per ascoltare la voce di Dio e docilità: senza questo, voi non avreste potuto fare quello che avete fatto». Un’attitudine che, ha sottolineato, «è un segnale della Chiesa». E ha aggiunto: «Io vorrei ringraziare oggi, in voi, tante uomini e donne, coraggiosi, che rischiano la vita, che vanno avanti, anche che cercano nuove strade nella vita della Chiesa. Cercano nuove strade! “Ma, padre, non è peccato?”. No, non è peccato! Cerchiamo nuove strade, questo ci farà bene a tutti! A patto che siano le strade del Signore. Ma andare avanti: avanti nella profondità della preghiera, nella profondità della docilità, del cuore aperto alla voce di Dio».
È questo, ha sottolineato Francesco, il modo in cui «si fanno i veri cambiamenti nella Chiesa, con persone che sanno lottare nel piccolo e nel grande». A tale riguardo, il Papa è entrato nel merito di quella «tensione» che a volte si avverte «tra il piccolo e il grande», per la quale c’è chi dice: «“No, queste cose piccole io non le faccio, io sono nato per cose grandi”. Sbagli», e, al contrario, chi afferma: «“Ah, io non riesco a fare cose grandi, faccio il piccolo”. Sei un pusillanime». Il piccolo e il grande, invece, «vanno insieme» e «un cristiano deve avere questo carisma, del piccolo e del grande». Come si legge, ha ricordato, «sulla tomba di un grande santo» dove si è scritto: «Non spaventarsi di fare cose grandi e allo stesso tempo tenere conto delle cose piccole». Quindi, rivolgendosi alle suore, ha detto: «Voi non avreste potuto mai fare quello che avete fatto nel Cottolengo, tutti i giorni, se non aveste avuto il coraggio di ascoltare il piccolo di ogni giorno, la docilità e il cuore aperto a Dio».
E ha concluso: «Io chiedo a Paolo oggi per tutti noi che stiamo qui, per i sacerdoti eritrei — e grazie per il vostro lavoro pastorale in Italia, grazie che fate un bel lavoro, sono tanti i vostri connazionali — per tutti che stiamo qui, la grazia della docilità alla voce del Signore e del cuore aperto al Signore; la grazia di non spaventarci di fare cose grandi, di andare avanti, a patto che abbiamo la delicatezza di curare le cose piccole».

 

Battesimo del Signore

ciottoli e paolo

Publié dans:immagini sacre |on 11 janvier, 2020 |Pas de commentaires »

BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO A) (12/01/2020)

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BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO A) (12/01/2020)

“Immersi” nella tenerezza di Dio
don Alberto Brignoli

A quanto pare, alle prime comunità cristiane il battesimo di Gesù poneva qualche difficoltà. Come testimonia il dialogo tra Gesù stesso e il Battista riportato dal Vangelo di Matteo, ci si interrogava sul senso di un battesimo come “perdono dei peccati” amministrato al Figlio di Dio, colui che la prossima domenica lo stesso Giovanni Battista ci presenterà come “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Ma ancor più, faceva specie la modalità con cui veniva amministrato il battesimo, dal valore fortemente simbolico. Per noi, oggi, il battesimo ha valenza in quanto sacramento iniziale della nostra fede, ma da un punto di vista puramente rituale si è ridotto a poco più che un’infusione di poca acqua benedetta sul capo del bambino, rigorosamente riscaldata nei mesi freddi dell’anno, per evitare – giustamente – che il bimbo si ammali. Ma all’inizio, le cose erano ben diverse, a partire proprio dall’etimologia della parola “battezzare”, che in greco significa “immergere”, quasi nel senso di affondare. E infatti, Giovanni amministrava il battesimo in un punto in cui l’acqua del fiume Giordano era abbastanza profonda da consentire che una persona adulta risultasse totalmente immersa; e nelle prime chiese cristiane, i battisteri altro non erano se non vasche a terra nelle quali il battezzando entrava in piedi fino appunto a immergersi totalmente nell’acqua, il più delle volte acqua corrente. Solo dal X secolo iniziano a farsi presenti nelle chiese i battisteri come arredo monumentale nella forma in cui li abbiamo ancora oggi, e questo a motivo del fatto che – raggiunto ormai il regime di cristianità con il Sacro Romano Impero – il battesimo divenne un fenomeno di massa identitario da amministrare ai bambini sin dai primi giorni di vita, mentre in precedenza veniva amministrato solo agli adulti.
C’erano ovviamente delle motivazioni teologiche, a sostegno del battesimo dei bambini, legate soprattutto alla cancellazione del peccato originale, mentre nei primi secoli, il battesimo amministrato solo agli adulti aveva la valenza anche di cancellazione dei peccati puntuali, quelli della vita di ogni giorno. E se teniamo conto che non esisteva ancora il sacramento della riconciliazione, è facile intuire come la maggior parte dei cristiani scegliesse di farsi battezzare in età molto adulta, se non quasi nella fase terminale della vita, proprio per dare al battesimo il significato di gesto purificatore, con il quale si voltava pagina e si metteva fine a una vita di peccato per abbracciare definitivamente la vita nuova in Cristo (simboleggiata dalla veste bianca con cui i neofiti rimanevano rivestiti dalla Veglia Pasquale – momento del Battesimo – sino alla domenica successiva, detta “in Albis” proprio perché si tornava in chiesa a deporre la “alba”, il camice bianco). In questo senso, si comprende come mai il battesimo per immersione avesse il significato di “morte” al peccato e alla vita passata, all’interno di un’acqua che più che rappresentare la vita nuova rappresentava la morte di quella vecchia (l’immagine più ricorrente a livello iconografico per spiegare il battesimo era, infatti, quella del Diluvio Universale): e allora, ancora di più, si comprende lo stupore della Chiesa primitiva di fronte a un battesimo che portava Gesù alla “morte” prima ancora che egli la soffrisse sul Calvario. Come può ricevere la cancellazione dei peccati colui che ha condiviso con gli uomini tutto, tranne propriamente il peccato? Come può morire colui che è il simbolo per eccellenza della vita, al punto che raffigurarlo in croce risultava addirittura scandaloso, nei primi secoli del cristianesimo? Sono cose per noi superate e assodate, dopo duemila anni di teologia del battesimo e dei sacramenti in generale, ma non lo erano per Matteo e la sua comunità. Come far capire, allora, ai primi seguaci di Cristo, il gesto compiuto da lui e dal Battista nel Giordano?
Riusciamo a capire qualcosa di più innanzitutto dalla costruzione del Vangelo stesso di Matteo (che tra l’altro ci accompagnerà lungo tutto quest’anno liturgico): l’entrata in scena di Gesù nella vita pubblica avviene proprio al momento del battesimo – il brano che stiamo leggendo -, mentre le sue ultime parole ai discepoli dopo la resurrezione contengono l’invito a battezzare tutte le genti “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Ciò vuol dire che la missione di Gesù può essere compresa appieno solo alla luce del battesimo, che diviene così un gesto fondamentale per la vita della comunità cristiana. In pratica, se vuoi dirti discepolo di Gesù, non puoi prescindere dal battesimo. Ma cosa significa per il cristiano il battesimo, se non può di certo avere lo stesso significato che aveva con il Battista, ovvero quello di morte a se stessi e alla propria vita di peccato? Ci aiutano i dialoghi che abbiamo ascoltato oggi.
Di fronte al rifiuto del Battista, Gesù gli chiede di agire perché “conviene che adempiamo ogni giustizia”. Nell’Antico Testamento (alla cui mentalità Giovanni Battista ancora appartiene), il concetto di “giustizia” stava a indicare la fedeltà all’Alleanza, ovvero alla volontà di Dio: Gesù pertanto invita il Battista a rimanere fedele a quel Dio che lo ha voluto ultimo dei profeti e primo dei testimoni della nuova Alleanza. Questo significa che si sta aprendo un percorso nuovo, una strada nuova: e allora, occorre anche una mentalità nuova, un nuovo modo di vedere Dio. Dio non è più il padrone e il giudice da venerare attraverso un’osservanza stretta e obbediente della Legge, ma un padre da amare che ci dà prova della sua paternità con quella voce che “apre i cieli”, rimette in contatto Dio con l’umanità, e proclama Gesù “il figlio amato”, nel quale tutti diveniamo figli di Dio attraverso il battesimo. In lui e in ognuno di noi, Dio è disposto a porre il suo “compiacimento”, ovvero a dimostrare la sua tenerezza di padre verso ogni creatura. Il gesto incomprensibile di Gesù che si immerge nelle acque del Giordano significa tutto questo.
E allora, ripensiamo anche al nostro modo di vivere e di intendere il battesimo: non un gesto tradizionale (“Battezziamo nostro figlio perché siamo tutti battezzati”), né una sorta di vitamina per l’anima (“Ma sì, dai, battezziamolo: male non gli fa”), né tantomeno un sigillo sulla nostra identità culturale cristiana (“Dobbiamo ribadire con forza le nostre radici cristiane”), ma l’impegno a vivere il nostro rapporto con Dio nel segno della figliolanza, dell’amore a lui e ai fratelli, di una tenerezza ricevuta e restituita.

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La casa di Gesù a Nazareth (forse)

paolo e la mia

Publié dans:immagini sacre |on 8 janvier, 2020 |Pas de commentaires »
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