Archive pour décembre, 2019

SANTA MESSA DELLA NOTTE – NATALE DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO -(2015)

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SANTA MESSA DELLA NOTTE – NATALE DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO -(2015)

Basilica Vaticana
Giovedì, 24 dicembre 2015

In questa notte risplende una «grande luce» (Is 9,1); su tutti noi rifulge la luce della nascita di Gesù. Quanto sono vere e attuali le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (9,2)! Il nostro cuore era già colmo di gioia per l’attesa di questo momento; ora, però, quel sentimento viene moltiplicato e sovrabbonda, perché la promessa si è compiuta, finalmente si è realizzata. Gioia e letizia ci assicurano che il messaggio contenuto nel mistero di questa notte viene veramente da Dio. Non c’è posto per il dubbio; lasciamolo agli scettici che per interrogare solo la ragione non trovano mai la verità. Non c’è spazio per l’indifferenza, che domina nel cuore di chi non riesce a voler bene, perché ha paura di perdere qualcosa. Viene scacciata ogni tristezza, perché il bambino Gesù è il vero consolatore del cuore.
Oggi il Figlio di Dio è nato: tutto cambia. Il Salvatore del mondo viene a farsi partecipe della nostra natura umana, non siamo più soli e abbandonati. La Vergine ci offre il suo Figlio come principio di vita nuova. La luce vera viene a rischiarare la nostra esistenza, spesso rinchiusa nell’ombra del peccato. Oggi scopriamo nuovamente chi siamo! In questa notte ci viene reso manifesto il cammino da percorrere per raggiungere la meta. Ora, deve cessare ogni paura e spavento, perché la luce ci indica la strada verso Betlemme. Non possiamo rimanere inerti. Non ci è lecito restare fermi. Dobbiamo andare a vedere il nostro Salvatore deposto in una mangiatoia. Ecco il motivo della gioia e della letizia: questo Bambino è «nato per noi», è «dato a noi», come annuncia Isaia (cfr 9,5). A un popolo che da duemila anni percorre tutte le strade del mondo per rendere partecipe ogni uomo di questa gioia, viene affidata la missione di far conoscere il “Principe della pace” e diventare suo efficace strumento in mezzo alle nazioni.
Quando, dunque, sentiamo parlare della nascita di Cristo, restiamo in silenzio e lasciamo che sia quel Bambino a parlare; imprimiamo nel nostro cuore le sue parole senza distogliere lo sguardo dal suo volto. Se lo prendiamo tra le nostre braccia e ci lasciamo abbracciare da Lui, ci porterà la pace del cuore che non avrà mai fine. Questo Bambino ci insegna che cosa è veramente essenziale nella nostra vita. Nasce nella povertà del mondo, perché per Lui e la sua famiglia non c’è posto in albergo. Trova riparo e sostegno in una stalla ed è deposto in una mangiatoia per animali. Eppure, da questo nulla, emerge la luce della gloria di Dio. A partire da qui, per gli uomini dal cuore semplice inizia la via della vera liberazione e del riscatto perenne. Da questo Bambino, che porta impressi nel suo volto i tratti della bontà, della misericordia e dell’amore di Dio Padre, scaturisce per tutti noi suoi discepoli, come insegna l’apostolo Paolo, l’impegno a «rinnegare l’empietà» e la ricchezza del mondo, per vivere «con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12).
In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale. In un mondo che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c’è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia, del ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio. Dentro una cultura dell’indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata, il nostro stile di vita sia invece colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera.
Come per i pastori di Betlemme, possano anche i nostri occhi riempirsi di stupore e meraviglia, contemplando nel Bambino Gesù il Figlio di Dio. E, davanti a Lui, sgorghi dai nostri cuori l’invocazione: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (Sal 85,8).

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Il sogno di Giuseppe

paolo la mia Philippe-de-Champaigne-Il-sogno-di-San-Giuseppe

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IV DOMENICA DI AVVENTO (A) – ENZO BIANCHI – BREVI NOTE SULLE ALTRE LETTURE BIBLICHE

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IV DOMENICA DI AVVENTO (A) – ENZO BIANCHI – BREVI NOTE SULLE ALTRE LETTURE BIBLICHE

Isaia 7,10-14
Il profeta Isaia inizia il suo ministero dopo la vocazione e la missione ricevute nel tempio nel 740 a.C. (cf. Is 6,1-13). Si reca dal re Acaz, in una situazione di crisi politica, e gli chiede di non temere e di confidare nel Dio di Israele, perché solo chi crede può restare saldo (cf. Is 7,4-9). Poi lo invita a chiedere un segno al Signore, per poter credere. Di fronte al rifiuto del re, è il profeta stesso a promettere un segno di salvezza da parte del Signore: “Una giovane donna concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Immanu-El”, Dio-con-noi. La nascita di un bambino sarà dunque segno e pegno che Dio è con noi, con il suo popolo santo. Il brano evangelico odierno cita questa profezia.
Lettera ai Romani 1,1-7
L’inizio della Lettera ai Romani è teologicamente densissimo: “Paolo” è “servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo”. Cosa contiene questa buona notizia? Ciò che era stato promesso dai profeti nelle sante Scritture si è compiuto con la venuta del Figlio di Dio nel mondo, “nato dalla discendenza di David”, dunque uomo fragile e mortale, ma “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti”. Ecco tutto il Vangelo: Gesù è nato come uomo, è vissuto come uomo fino alla morte, ed è stato risuscitato dai morti, divenendo il Vivente, il Signore per sempre. Il brano evangelico odierno illustra come Gesù è discendente di David, il Re Messia.
Matteo 1,18-24
L’Avvento sta per concludersi e dopo tre settimane nelle quali l’attesa era indirizzata alla parousía, alla manifestazione finale del Veniente, il Figlio dell’uomo nella sua gloria, ora inizia un tempo di memoria: ricordiamo eventi del passato, la preistoria del Messia, facciamo memoria di come il Figlio di Dio è venuto nel mondo, perché proprio questi eventi fondano la nostra attesa della venuta gloriosa di Cristo. Si faccia pertanto attenzione: non attendiamo il Natale, evento già avvenuto che possiamo solo ricordare, ma confessiamo la nostra fede nel Signore Gesù anche nel suo venire nel mondo, confessiamo il mistero centrale della nostra fede, l’incarnazione, nelle tappe e negli eventi che hanno manifestato il disegno di salvezza di Dio.
Qual è dunque la ghénesis (cf. anche Mt 1,1), l’origine di Gesù? Così la racconta Matteo: c’è una ragazza di Nazaret di Galilea, Maria, promessa sposa di Giuseppe. Questa era l’usanza nelle nozze ebraiche: venivano stipulate con il fidanzamento, ma a volte passava un certo tempo tra l’impegno matrimoniale e la convivenza dei due sposi, soprattutto se in età adolescenziale. In questo tempo in cui Maria e Giuseppe non convivono ancora insieme e quindi non consumano le loro nozze, accade ciò che è umanamente inaudito: Maria si trova incinta, il suo grembo è fecondato, vi è in lei un figlio che attende di venire alla luce. Cosa significa questo fatto? Diciamolo subito: quel Figlio solo Dio può darlo, e l’azione creatrice di Dio è all’opera in Maria. Non il caso né la necessità, il destino, presiedono a quella gravidanza, ma la volontà di Dio stesso, che vuole essere “veniente” tra gli umani. Ecco la genesi di Gesù di Nazaret:
una donna, Maria,
lo Spirito di Dio che agisce in lei come Spirito creatore che “cova sulle acque” (cf. Gen 1,2, versione siriaca)
e un uomo che appare come un testimone.
L’evangelista Matteo non si interessa né alla reazione psicologica di Maria né a quella di Giuseppe, ma vuole metterci di fronte a una situazione reale, pur nell’aporia: Maria è incinta senza aver conosciuto uomo e Giuseppe ignora cosa possa essere accaduto. Quest’ultimo è presentato come uno tzaddiq, ossia un giusto, un credente, e venuto a conoscenza della situazione di Maria pensa di sciogliere il vincolo nuziale, senza dire nulla pubblicamente, per non svergognarla. Difficile per noi decifrare cosa muoveva Giuseppe ad assumere tale decisione, e va detto che i commenti al riguardo, anche quelli dei padri della chiesa, sono incerti, a volte persino ridicoli. Secondo alcuni egli vorrebbe applicare la legge sull’adulterio, ma senza giungere alla violenza (cf. Dt 22,23-24); secondo altri è ferito e deluso… Più semplicemente, si può pensare che Giuseppe, accolta la spiegazione fornitagli da Maria, essendo pieno di timore di Dio, pensa di fare un passo indietro, per non vantare nessun diritto su quel bambino che Maria dice venire da Dio: di fronte alla paternità di Dio, Giuseppe rinuncia alla propria!
Quell’aporia può essere risolta solo da una rivelazione, dall’alzare il velo da parte di Dio con la sua parola. Ecco dunque l’angelo, il messaggero del Signore, che si fa presente a Giuseppe mentre egli dorme, in un sogno, mezzo attraverso il quale nell’Antico Testamento Dio ha più volte rivelato la sua volontà e la sua azione (come a uno dei figli di Giacobbe, Giuseppe, l’uomo dei sogni: cf. Gen 37,5-11). Il messaggero di Dio si rivolge a Giuseppe ricordandogli la sua identità, che contiene anche una missione: “Giuseppe, tu che sei figlio di David, che hai un posto nella discendenza messianica, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Questa parola del Signore chiede a Giuseppe obbedienza, gli chiede di essere sposo di una sposa che gli dà un figlio come Dio l’ha promesso nella discendenza di David a tutto il popolo santo. Giuseppe deve accettare questa spogliazione del suo essere sposo e saper vivere una paternità non sua: paternità che eserciterà dando al figlio il nome Jeshu‘a, Gesù, che indica la sua missione di salvezza, dunque di perdono dei peccati (cf. Lc 1,77). Giuseppe è invitato a diventare padre, a sentirsi padre di un figlio che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da Dio: sarà padre di Gesù secondo la Legge e tale sarà chiamato dai suoi conoscenti che non conoscono le profondità del mistero (cf. Lc 4,22). Giuseppe deve esercitare la sua qualità di figlio di David su colui che è il Figlio di David promesso e acclamato (cf. Mt 21,9).
Di fronte a questo racconto di miracolo, gli uomini e le donne di oggi sono tentati di restare esitanti, di leggerlo come un mito, ma con sguardo puro dovremmo giungere a capire ciò che in profondità vuole comunicare alla nostra fede. Più che la forma narrativa, dobbiamo cogliere l’intenzione dell’evangelista, che è questa: far comprendere al lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con l’umanizzazione (cf. Fili 2,6-7), allora è veramente il frutto della volontà di Dio e dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio” (antifona dei primi e secondi vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, 1° gennaio), a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato per fondare la fede.
A Giuseppe, dunque, non è data innanzitutto una “rivelazione” sul Figlio, ma una “vocazione”: come a Osea fu chiesto di sposare una prostituta, a Geremia di restare celibe, a Ezechiele di restare vedovo, a Giuseppe è chiesto di accogliere come figlio Gesù, un figlio che in verità non è suo figlio, ma Figlio di Dio. Così Giuseppe dà alla sua sposa Maria non solo una casa, ma anche un casato, quello di David, permettendole di entrare nella discendenza messianica, di compiere la promessa di Isaia e di imporre al figlio il Nome che contiene in sé anche una missione. Per questo Matteo annota: “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine – termine che viene dalla versione greca dei LXX, mentre l’ebraico dice, alla lettera, “una giovane donna, una ragazza” – concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi’ (Is 7,14)”. Quando Giuseppe si sveglia, senza fare alcuna obiezione, “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio che egli chiamò Gesù”. Giuseppe era stato definito “giusto”: ora lo conosciamo come credente e obbediente alla parola del Signore nel silenzio. Le vocazioni sono diverse: c’è chi è chiamato da Dio a fare la sua volontà proclamando, annunciando, addirittura gridando (come il Battista, cf. Mt 3,3 e Is 40,3); e c’è chi è chiamato a eseguire, a fare concretamente, in un abisso di silenzio. Nei vangeli non ci è testimoniata alcuna parola di Giuseppe, ma di lui sono attestati l’obbedienza e il silenzio: non mutismo, ma silenzio di adorazione, di custodia, di approfondimento del mistero.
Questa pagina può essere per noi un grande insegnamento: ci dice infatti che Dio può sorprenderci e che quando, secondo la nostra giustizia davanti a lui, abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino, verso un orizzonte che ci resta oscuro. È l’ora di obbedire mettendo un passo avanti all’altro, sicuri che “camminando si apre cammino” (Antonio Machado) e che il Signore solo ci precede. Questo deve bastarci.

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Il Bambino Gesù un antico dipinto

paolo e la mia antico dipinto - Copia

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BENEDETTO XVI – UDIENZA GENERALE 21.12.11 – Il Santo Natale

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BENEDETTO XVI – UDIENZA GENERALE 21.12.11 – Il Santo Natale

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 dicembre 2011

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di accogliervi in Udienza generale a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Il saluto che corre in questi giorni sulle labbra di tutti è “Buon Natale! Auguri di buone feste natalizie!”. Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda.
Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione. Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo – Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa. Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa? Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: «Oggi è nato per noi il Salvatore». Questo avverbio di tempo, «oggi», ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie ed è riferito all’evento della nascita di Gesù e alla salvezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio viene a portare. Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli. Indicando che Gesù nasce «oggi», la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia. A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora “carne” e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.
Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del “sensibile”, dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza.
Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria – e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22, In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL 54,213).
C’è un secondo aspetto al quale vorrei accennare brevemente: l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la Croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore.
I Padri della Chiesa leggevano sempre la nascita di Cristo alla luce dall’intera opera redentrice, che trova il suo vertice nel Mistero Pasquale. L’Incarnazione del Figlio di Dio appare non solo come l’inizio e la condizione della salvezza, ma come la presenza stessa del Mistero della nostra salvezza: Dio si fa uomo, nasce bambino come noi, prende la nostra carne per vincere la morte e il peccato. Due significativi testi di san Basilio lo illustrano bene. San Basilio diceva ai fedeli: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, “fu ingoiata dalla vittoria” (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita» (Omelia sulla nascita di Cristo, 2: PG 31,1461). E ancora san Basilio, in un altro testo, rivolgeva questo invito: «Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più dire: ”Sei in polvere e in polvere ritornerai” (Gn 3,19), ma: unito a colui che è venuto dal cielo, sarai ammesso in cielo” (Omelia sulla nascita di Cristo, 6: PG 31,1473).
Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio e l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme.
Cari fratelli e sorelle, viviamo con gioia il Natale che si avvicina. Viviamo questo evento meraviglioso: il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità. Viviamo il Natale del Signore contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a Sé attraverso il Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del suo Figlio, poiché – come afferma sant’Agostino – «in [Cristo] la divinità dell’Unigenito si è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità» (Epistola 187,6,20: PL 33,839-840). Soprattutto contempliamo e viviamo questo Mistero nella celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita. Grazie

 

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Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

paolo e la mia - Copia

Publié dans:immagini sacre |on 13 décembre, 2019 |Pas de commentaires »

III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE

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III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE

Il mondo ha bisogno di credenti credibili
padre Ermes Ronchi

Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce. Troppo diverso quel cugino di Nazaret da ciò che la gente, e lui per primo, si aspettano dal Messia. Dov’è la scure tagliente? E il fuoco per bruciare i corrotti?
Il dubbio però non toglie nulla alla grandezza di Giovanni e alla stima che Gesù ha per lui. Perché non esiste una fede che non allevi dei dubbi: io credo e dubito al tempo stesso, e Dio gode che io mi ponga e gli ponga domande. Io credo e non credo, e lui si fida. Sei tu? Ma se anche dovessi aspettare ancora, sappi che io non mi arrendo, continuerò ad attendere.
La risposta di Gesù non è una affermazione assertiva, non pronuncia un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Lui non ha mai indottrinato nessuno. La sua pedagogia consiste nel far nascere in ciascuno risposte libere e coinvolgenti. Infatti dice: guardate, osservate, aprite lo sguardo; ascoltate, fate attenzione, tendete l’orecchio. Rimane la vecchia realtà, eppure nasce qualcosa di nuovo; si fa strada, dentro i vecchi discorsi, una parola ancora inaudita. Dio crea storia partendo non da una legge, fosse pure la migliore, non da pratiche religiose, ma dall’ascolto del dolore della gente: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono, ritornano uomini pieni, totali.
Dio comincia dagli ultimi. È vero, è una questione di germogli. Per qualche cieco guarito, legioni d’altri sono rimasti nella notte. È una questione di lievito, un pizzico nella pasta; eppure quei piccoli segni possono bastare a farci credere che il mondo non è un malato inguaribile.
Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della terra con un pacchetto di miracoli. L’ha fatto con l’Incarnazione, perdendo se stesso in mezzo al dolore dell’uomo, intrecciando il suo respiro con il nostro. E poi ha detto: voi farete miracoli più grandi dei miei. Se vi impastate con i dolenti della terra. Io ho visto uomini e donne compiere miracoli. Molte volte e in molti modi. Li ho visti, e qualche volta ho anche pianto di gioia. La fede è fatta di due cose: di occhi che sanno vedere il sogno di Dio, e di mani operose come quelle del contadino che «aspetta il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). È fatta di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e poi di mani callose che si prendono cura di volti e nomi; lo fanno con fatica, ma «fino a che c’è fatica c’è speranza» (Lorenzo Milani).
Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? No, Giovanni è uno che dice ciò che è, ed è ciò che dice; in lui messaggio e messaggero coincidono. Questo è il solo miracolo di cui la terra ha bisogno, di credenti credibili.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 13 décembre, 2019 |Pas de commentaires »
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