SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE – 8 DICEMBRE
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SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE – 8 DICEMBRE
Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38:
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce
Immacolata concezione. A volte la si chiama, festa dell’Immacolata, con la scomparsa del sostantivo “concezione”. Con il conseguente diffuso fraintendimento di pensare che la festa abbia a che fare con la verginità di Maria. La festa ha a che fare con la concezione, con il giorno del concepimento, un giorno avvolto, non solo per Maria, ma anche per ciascuno di noi, da un mistero: parliamo di quando una creatura non è ancora nella consapevolezza di coloro che ancora ignari l’hanno concepita, e già vive nel grembo. Ancora sola nel pensiero di Dio.
Che ne sappiamo noi? Come poteremmo parlarne quasi non fosse un evento nascosto, non solo ai nostri occhi, ma alla nostra stessa comprensione? Penso alla madre e al padre di Maria – Anna e Gioachino secondo la tradizione – anche loro in quella notte ignari di un mistero che li avvolgeva nel loro concepire. Concepire quella figlia che avrebbero chiamato Miriam, Maria. Concepita, pensata Maria, come ognuno di noi, da Dio. E concepita, pensata, nella luce.
E come potrebbe Dio non pensarci nella luce? Dal primo istante nella luce. Penso che il problema diventi stare nella luce, stare nella luminosità di un disegno che è legato a filo stretto con ognuno di noi. Stare nella luminosità cui siamo destinati. Essere pensati è solo una grazia. Notizia buona è già che una creatura sia pensata, ma notizia buona, successiva, è che una creatura, Maria, per la fedeltà al disegno che la abita, diventi l’alba di un mondo nuovo.
Un grido aveva attraversato la storia. Per millenni e millenni l’aveva attraversata. Il grido appassionato di Dio dal giardino delle origini: “Adamo – o meglio – terrestre, dove sei?”. E ora una creatura, concepita come noi da uomo e da donna, al grido può rispondere: “Sono nella grazia, sono nel pensiero che tu, o Dio, hai avuto per me, sono nella tua terra di benedizione”.
Il grido, vi dicevo, ha attraversato e attraversa la terra: dove sei? Dove sei uomo, dove sei donna, dove sei umanità, dove sei terra? Dove sono io oggi? Sono io nel pensiero, nell’immagine che Dio ha avuto per me? O fuori? O lontano? È un grido che ci svela e ci rende coscienti del mistero di disarmonia che sfigura la nostra terra, storia della nostre dispersioni, dei nostri sconfinamenti, delle nostre fughe.
Dove sei? Un essere fuori luogo. Dove sei? Il nostro essere in fuga. E questa è la macchia – Maria è senza questa macchia – questo è il peccato, è essere in fuga o, se volete, essere nella diffidenza. Questo è il peccato originale, nel senso che è l’origine, cioè l’essenza vera di ogni peccato. Poi noi abbiamo dato importanza ad altre cose. Purtroppo. Ma l’origine, l’anima nera del peccato è la fuga, è la diffidenza. O, almeno, così è per la Bibbia.
Incominciando dalla fuga da Dio, dalla diffidenza su Dio. Quasi che Dio avesse un suo interesse, un suo interesse nascosto, nell’indicarci le sue vie e a spingerlo non fosse la passione per la nostra felicità. E il terrestre cede alla diffidenza. Quella suggerita dal “divisore”. “Dio non vi vuole come lui, per questo vi ha imposto di non mangiare dell’albero”. La diffidenza. E di conseguenza la fuga. E la distanza: “Terrestre dove sei?”.
E la diffidenza, il vero peccato, l’origine di ogni peccato, dilaga. E l’uomo diventa diffidente della donna e la donna dell’uomo. E l’uomo e la donna diffidenti della terra. E la terra diffidente di loro. E oggi siamo in grande peccato, siamo nell’indifferenza, ma, ancor più, nella diffidenza.
Siamo in crescita esponenziale della diffidenza. Siamo nella grande diffidenza. E la gente, noi tutti a dire: “Che brutto vivere! Dov’è la bellezza in un mondo dove siamo in fuga da Dio, dai vicini, dai lontani, dalla terra di tutti?”. E ciascuno a farsi isola, a farsi la sua terra, lontano.
Dove sei? Buona notizia un Dio che ci ha concepiti, pensati nella luce. E non desiste dal concepirci, dal pensarci così, nella luce. Dio, impenitente sognatore, riprende di nuovo il sogno. Nonostante la fuga, nonostante la diffidenza, nonostante gli sconfinamenti: l’angelo, il suo angelo, entra.
“Entrando da lei” è scritto nel racconto dell’annunciazione. Entra in una casa da niente. Entra da lei, entra nella storia di una giovane donna chiamata Miriam, una sconosciuta agli occhi dei grandi. È il miracolo di Dio, capite, un miracolo che precede ogni merito. Ti raggiunge che ancora stai per essere tessuta nel grembo. E, in un certo senso, è bello che il vangelo dell’Immacolata concezione si fermi qui, a dirci che Maria e ciascuno di noi, come ci ha ricordato Paolo nella lettera, è amato. Non per i suoi meriti. Pura grazia. Amato gratuitamente.
Ma il vangelo continua. Continua per dirci che cos’è la grazia – abbiamo ridotto a una cosa persino la grazia – per dirci che cos’è la grazia da parte di Dio e che cos’è la grazia da parte nostra. È il contrario della radice del peccato che è la diffidenza, il contrario della fuga, il rovescio della fuga. Dio non è in fuga – dice l’angelo – è con te: “Il Signore è con te”. Comunque. Per grazia. Non è un Dio diffidente. È un Dio che si consegna. E da parte degli umani? Che cosa è grazia, che cosa è vivere nella grazia? Al di là di tante elucubrazioni ed astruserie? È dire come Maria “eccomi”, il contrario della diffidenza, il contrario della fuga.
Questo ci rende senza macchia. Quella di Maria non è una immacolatezza avulsa dalla terra, distaccata, a mezz’aria. Questa è una brutta immagine della immacolatezza. Al contrario è dire “eccomi”, a Dio, a chi ci vive accanto, a chi è vicino e a chi è lontano. Alle case e alle città. Nei giorni buoni e in quelli difficili. Al mattino quando mi sveglio e nella notte quando vado a riposare: “Eccomi”. Come Maria.
Pensate alla bellezza di questa espressione, piccola, che è entrata anche nel gergo comune, quando diciamo: “eccoci, siamo qui”. E non è semplicemente dire eccomi “per le cose” che do, ma dire: ecco me. Ci sono per te, per voi, con quello che sono, con la mia anima e con il mio corpo, con i miei pensieri e con i miei sentimenti, con la mia passione, con quello che sono.
Che grazia trovare qualcuno che ti dice “eccomi”. È la grazia e la bellezza della terra, finalmente libera dalla diffidenza, dalla fuga, dalla paura.
E’ una benedizione: “Ci ha benedetti Dio”!
Don Angelo Casati
http://www.sullasoglia.it/
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