Archive pour mai, 2019

lotta di Giacobbe con l’angelo

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 15 mai, 2019 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO Nel piccolo e nel grande – 10 maggio 2019 (anche Paolo)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190510_nel-piccolo-enel-grande.html

PAPA FRANCESCO Nel piccolo e nel grande – 10 maggio 2019 (anche Paolo)

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

Giovedì,

Il volto di una Chiesa dalle porte aperte, in ascolto di Dio e amorevolmente impegnata nel servizio per la dignità della persona, «perseverante» nel fare «cose grandi» anche attraverso l’impegno quotidiano nelle «cose piccole», ha caratterizzato la meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di venerdì 10 maggio. Il Pontefice, infatti, nell’omelia si è lasciato ispirare non solo dal racconto della vocazione di san Paolo — al centro della prima lettura del giorno (Atti degli apostoli, 9, 1-20) — ma anche dalla presenza, in cappella, di alcune suore della famiglia apostolica di San Giuseppe Cottolengo che festeggiano il loro cinquantesimo anniversario di vita religiosa.
Quello della conversione di Paolo, ha spiegato il Pontefice, è un racconto che segna una «svolta, un voltare una pagina nella storia della salvezza», tant’è che, ha sottolineato, ricorre più volte nel Nuovo Testamento. Di fatto, «è un aprire la porta ai pagani, ai gentili, a coloro che non erano israeliti». Una novità tanto grande, quella della «Chiesa dei pagani», che «sconvolse i discepoli», i quali «non sapevano cosa fare ed è dovuto intervenire lo Spirito Santo con segnali forti». A tale riguardo Francesco ha anche richiamato l’episodio della conversione del centurione Cornelio (capitolo 10 degli Atti degli apostoli). In definitiva, ha spiegato, «la conversione di Paolo è un po’ la porta aperta verso l’universalità della Chiesa».
Ma come devono incarnare i cristiani questa Chiesa dalle porte aperte? Il Papa ha fatto emergere due caratteristiche tratte proprio dal «modo di essere» di Paolo. «Noi sappiamo — ha detto — che Paolo era un uomo forte, un uomo innamorato della legge, di Dio, della purezza della legge, ma era onesto, era coerente». Anche il suo perseguitare i cristiani prima della conversione era frutto dello «zelo che aveva per la purezza della casa di Dio, per la gloria di Dio». Ma egli era «un uomo aperto a Dio», «aperto alla voce del Signore» e, per essa, capace di rischiare: «Rischiava, rischiava, andava avanti».
Una coerenza che, ha aggiunto il Pontefice, era arricchita da «un’altra traccia del suo comportamento»: Paolo «era un uomo docile», il suo «temperamento era da testardo», ma «la sua anima non era testarda, era aperto ai suggerimenti di Dio». E così, ha proseguito Francesco, quest’uomo che «con ardore» prima si impegnava «per uccidere i cristiani e portarli in carcere», dopo aver sentito la voce del Signore diviene «come un bambino» e «si lascia portare». Con brevi tratti il Papa ha quindi sintetizzato la trepidazione dei primi tempi dopo la conversione: Paolo «si lascia portare a Gerusalemme, digiuna tre giorni, aspetta che il Signore dica… Tutte quelle convinzioni che aveva rimangono zitte, aspettando la voce del Signore: “Cosa devo fare, Signore?”. E lui va e va all’incontro a Damasco, all’incontro di quell’altro uomo docile e si lascia catechizzare come un bambino, si lascia battezzare come un bambino». Docile, tanto che, una volta riprese le forze, Paolo continua a restare in silenzio: «Se ne va in Arabia a pregare, quanto tempo non sappiamo, forse anni, non sappiamo». Ecco le caratteristiche paoline proposte anche al cristiano di oggi: «Apertura alla voce di Dio e docilità».
Un passaggio alla contemporaneità che Papa Francesco ha illustrato proprio grazie alla presenza delle suore del Cottolengo, alle quali si è prima rivolto in maniera diretta — «Grazie per ascoltare la voce di Dio e grazie per la docilità. Forse non sempre siete state docili… Forse, avete sgridato la superiora o sparlato di un’altra… ma sono cose della vita…» — per poi sottolineare proprio la loro preziosa testimonianza di docilità al Signore: «Non è facile per noi capire cosa sia il Cottolengo… Io ricordo la prima volta che l’ho visitato nell’anno ’70, non dimentico, neppure la suorina che mi accompagnava, si chiamava Suor Felice, ancora ricordo il nome. E lei prima di aprire una porta mi diceva: “Se la sente di vedere cose brutte?”. E poi, prima di passare in un’altra stanza: “Se la sente di vedere cose più brutte ancora?”. Tutta la vita lì, fra gli scartati, disseminati proprio lì».
E di nuovo, rivolgendosi alle religiose, ha detto: «Perseveranza, cuore aperto per ascoltare la voce di Dio e docilità: senza questo, voi non avreste potuto fare quello che avete fatto». Un’attitudine che, ha sottolineato, «è un segnale della Chiesa». E ha aggiunto: «Io vorrei ringraziare oggi, in voi, tante uomini e donne, coraggiosi, che rischiano la vita, che vanno avanti, anche che cercano nuove strade nella vita della Chiesa. Cercano nuove strade! “Ma, padre, non è peccato?”. No, non è peccato! Cerchiamo nuove strade, questo ci farà bene a tutti! A patto che siano le strade del Signore. Ma andare avanti: avanti nella profondità della preghiera, nella profondità della docilità, del cuore aperto alla voce di Dio».
È questo, ha sottolineato Francesco, il modo in cui «si fanno i veri cambiamenti nella Chiesa, con persone che sanno lottare nel piccolo e nel grande». A tale riguardo, il Papa è entrato nel merito di quella «tensione» che a volte si avverte «tra il piccolo e il grande», per la quale c’è chi dice: «“No, queste cose piccole io non le faccio, io sono nato per cose grandi”. Sbagli», e, al contrario, chi afferma: «“Ah, io non riesco a fare cose grandi, faccio il piccolo”. Sei un pusillanime». Il piccolo e il grande, invece, «vanno insieme» e «un cristiano deve avere questo carisma, del piccolo e del grande». Come si legge, ha ricordato, «sulla tomba di un grande santo» dove si è scritto: «Non spaventarsi di fare cose grandi e allo stesso tempo tenere conto delle cose piccole». Quindi, rivolgendosi alle suore, ha detto: «Voi non avreste potuto mai fare quello che avete fatto nel Cottolengo, tutti i giorni, se non aveste avuto il coraggio di ascoltare il piccolo di ogni giorno, la docilità e il cuore aperto a Dio».
E ha concluso: «Io chiedo a Paolo oggi per tutti noi che stiamo qui, per i sacerdoti eritrei — e grazie per il vostro lavoro pastorale in Italia, grazie che fate un bel lavoro, sono tanti i vostri connazionali — per tutti che stiamo qui, la grazia della docilità alla voce del Signore e del cuore aperto al Signore; la grazia di non spaventarci di fare cose grandi, di andare avanti, a patto che abbiamo la delicatezza di curare le cose piccole».

La bellezza di Gesù

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 13 mai, 2019 |Pas de commentaires »

IL FASCINO DI GESÙ CRISTO (AUGUSTINUS)

https://www.augustinus.it/vita/uomo/vpsa_2_05_testo.htm

IL FASCINO DI GESÙ CRISTO (AUGUSTINUS)

CAPITOLO QUINTO

È stato detto quale posto occupasse il nome di Gesù nel cuore di Agostino anche quando non ne conosceva con precisione il mistero. Quando poi, alla vigilia della conversione, comprese ciò che Gesù è veramente, l’Uomo-Dio, si strinse a lui con la passione del naufrago che afferra la tavola di salvezza: raccolse in Gesù tutto l’amore che portava a Dio, come aveva raccolto in Dio tutto l’amore che portava alla sapienza.
È inutile discutere se la pietà agostiniana sia teocentrica o cristocentrica (per usare parole in voga) o sapienziale, perché è tutte queste cose insieme e qualche cosa di più: è una pietà, come si vedrà, ecclesiologica, perché nel suo amore Agostino non separa la Chiesa da Gesù, come non separa Gesù da Dio e Dio dalla sapienza.
L’amore di Agostino per Gesù Cristo è tutto pervaso di gratitudine, di umiltà, di tenerezza. Dal mistero dell’Incarnazione, che il vescovo d’Ippona esprime con formule precise, preannunciatrici di quelle che saranno usate ad Efeso ed a Calcedonia – del resto egli ebbe modo di conoscere e di confutare un caso di nestorianismo ante litteram 1 – nasce la conseguenza che Gesù è tutto per noi. Nell’unità della Persona divina egli è uomo e Dio insieme (« Colui che è uomo è ugualmente Dio e colui che è Dio è ugualmente uomo, non a motivo di una stessa natura ma per l’unità della persona  » 2), e perciò via e patria: via come uomo, patria come Dio.  » Cristo Dio è la patria a cui tendiamo, Cristo uomo è la via per cui camminiamo  » 3. Anzi, distinguendo più sottilmente, Agostino vede in Gesù l’uomo che ci solleva dalle nostre miserie, l’uomo-Dio che (come Mediatore) ci guida verso la perfezione, Dio che ci dona la perfezione, cioè l’immortalità e la beatitudine. Il Verbo, infatti, aveva due beni: l’immortalità e la giustizia; noi, al contrario, due mali: la mortalità e la colpa; incarnandosi, prese uno dei nostri mali (la mortalità) per liberarci da tutt’e due 4.
Perciò Agostino aderisce innanzi tutto all’umanità di Gesù, per giungere, attraverso l’umanità, alla divinità. Nell’umanità, infatti, vi è il titolo di tutte le grazie per la nostra salvezza e vi sono i profondi tesori della scienza e della sapienza, che irrorano l’anima con la fede e la conducono alla contemplazione eterna della verità immutabile 5. La controversia antipelagiana altro non fu che un’appassionata difesa di questa dottrina, che comprende la redenzione, la giustificazione, la predestinazione. In essa si sente vibrare tutta l’anima del vescovo d’Ippona, traboccante d’amore per Gesù medico delle anime. I pelagiani insistevano sugli esempi di Gesù Cristo; Agostino non nega quest’aspetto dell’opera di redenzione, anzi lo sottolinea, ma non lo separa dal primo. Non v’è dubbio che, oltre esser fonte di grazia, l’umanità di Gesù è modello di virtù, è l’unico esemplare cui dobbiamo somigliare 6.  » Con le parole, con i fatti, con la vita, con la morte, col discendere (in terra), con l’ascendere (in cielo), ci grida di ritornare a Dio  » 7 e ci insegna ciò che è degno di essere amato e ciò che deve essere fuggito. Quest’insegnamento del Figlio di Dio per via di esempi è la medicina più efficace che pensar si possa per i nostri vizi. Quale superbia, infatti, potrà guarire, se non guarisce con l’umiltà del Figlio di Dio? Quale avarizia, quale iracondia, quale empietà, quale timidezza potranno guarire, se non guariscono con la povertà, la pazienza, la carità, la resurrezione del Figlio di Dio 8?
Tra tutte le virtù Agostino considera con più ammirata commozione l’umiltà. Gesù è chiamato con enfasi il  » dottore dell’umiltà  » 9, perché, quando ha voluto proporre se stesso per esempio, quasi dimentico di tutto il resto, non ha ricordato che questa virtù: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 29). Queste parole di Gesù suggeriscono al santo dottore una stupenda preghiera, che nessuno, che lo possa, deve privarsi della gioia di leggere 10. Ma il vescovo d’Ippona parla anche con particolare predilezione dell’ » incredibile umiltà  » dell’Incarnazione 11, della  » umiltà di Dio  » 12 che in essa si manifesta. E insieme con l’umiltà l’amore, l’amore di Dio, che ci mostra nell’Incarnazione quanto ci ha amato e quali ci ha amato: quanto perché non disperassimo, quali perché non insuperbissimo 13.  » Come ci amasti, o Padre buono, – esclama Agostino – che non risparmiasti il Figliolo tuo, ma per noi lo consegnasti in mano agli empi! Come ci amasti!… per noi vincitore e vittima avanti a te, per questo vincitore, perché vittima: per noi sacerdote e sacrificio, e per questo sacerdote perché sacrificio; ci rese, da servi, figlioli tuoi, facendosi egli, Figliolo tuo, servo nostro. Ho ben ragione io di sperare fermamente in lui, perché per opera di lui tu guarirai tutte le mie infermità… se così non fosse, mi lascerei andare alla disperazione. Molte, infatti, e gravi sono le mie infermità, molte e gravi. Ma più potente è la tua medicina  » 14.
Confidenza, contemplazione, imitazione: ecco gli atteggiamenti abituali dell’amore di Agostino verso Gesù. Le sue opere sono ricche di preghiere, umili e fiduciose, rivolte a Dio  » per Gesù Cristo « , in cui ogni problema trova la soluzione, sia che il problema nasca dalla colpa, sia che nasca dalla debolezza nel fare il bene o dall’ignoranza. Evidente è pure, leggendo le sue opere, l’atteggiamento contemplativo di chi è invaghito della bellezza di Gesù e la vede espressa in ogni momento della vita di Lui, anche nel seno di Maria, anche sulla croce o nel sepolcro.  » Cristo ha trovato molte cose brutte in noi – dice Agostino ai fedeli di Cartagine -, eppure ci ha amati: se noi troveremo qualcosa di brutto in Lui, facciamo a meno di amarlo… Ma per chi capisce, anche il Verbo fatto carne è tutto bellezza… Bello come Dio… Bello nel seno della Vergine… Dunque, bello nel cielo, bello qui in terra, bello nel seno (di sua madre), bello nelle mani dei parenti, bello mentre fa miracoli, bello mentre subisce i flagelli, bello quando invita alla vita, bello quando disprezza la morte, bello quando depone l’anima, bello quando la riprende, bello nella croce, bello nel sepolcro, bello in cielo… L’infermità della sua carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza  » 15. Ed ecco un’ardente esortazione alle vergini consacrate a Dio, perché contemplino la bellezza del loro Sposo:  » Contemplate la bellezza del vostro amante: contemplatelo uguale al Padre e suddito della Madre, dominatore nei cieli e servo in terra, Creatore di tutte le cose e creato tra le cose. Considerate quanto sia bello in Lui ciò che i superbi deridono: con gli occhi dello spirito contemplate le ferite di chi pende dalla croce, le cicatrici di chi risorge, il sangue di chi muore, il prezzo di chi si dona, lo scambio di chi ci redime  » 16. L’insistenza del vescovo d’Ippona sulla bellezza del Verbo Incarnato e sulla contemplazione dei misteri della sua umanità ci rivela un aspetto fecondo della pietà cristiana, che si crederebbe di trovare solo nei grandi mistici del medioevo.
Sull’imitazione degli esempi di Gesù, di cui si dirà subito parlando della purificazione, qui basterà ricordare soltanto un passo:  » Vi trafigga totalmente il cuore colui che per voi fu confitto in croce  » 17. Queste parole suggeriscono un programma di vita per le vergini; ma rivelano anche, non v’è dubbio, il programma proprio d’Agostino.

Publié dans:SANT'AGOSTINO |on 13 mai, 2019 |Pas de commentaires »

il buon Pastore

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Publié dans:immagini sacre |on 10 mai, 2019 |Pas de commentaires »

OMELIA IV DOMENICA DI PASQUA – DEL BUON PASTORE

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/37057.html

OMELIA IV DOMENICA DI PASQUA – DEL BUON PASTORE

padre Antonio Rungi
Un pastore vigile e misericordioso

La quarta domenica di Pasqua è dedicata al Buon Pastore e, di conseguenza, al tema delle vocazioni.
Una domenica speciale per pregare per tutti coloro che sono impegnati nella pastorale, di qualsiasi genere, e nei vari uffici e ruoli sia a livello parrocchiale, che Diocesano e più in generale nella Chiesa universale.
Il primo pensiero, va al primo pastore della Chiesa cattolica di oggi, che è il Santo Padre, Papa Francesco, e poi a seguire a tutti i Vescovi del mondo, a tutti i sacerdoti impegnati nella cura delle anime e a tutti i diaconi.
Partendo da testo del Vangelo di questa domenica, in cui ci viene presentata la figura del Pastore che comunica con le sue pecorelle e interagisce con loro mediante la grazia, possiamo comprende l’importanza di tale figura biblica del pastore che viene offerta a noi come chiave di lettura della missione del vero ed unico pastore della Chiesa e dell’umanità che è Gesù Cristo.
Cosa fa questo pastore attento, premuroso, vigilante e misericordioso? L’evangelista Giovanni, nel suo vangelo, ne traccia un identikit preciso. Un pastore che parla alle sue pecore; un pastore che conosce le pecore, perché mediante il dialogo d’amore è facile capirsi tra pastore e pecore; un pastore che si fa guida, si pone a capo del gregge per pascolare, pascere e camminare. Egli è il primo a camminare verso la meta, che è il Calvario ed è la Gloria. E’ un pastore che dà la sua vita per ognuna delle sue pecore e nessuna del gregge va perduta o si disperde, perché questo pastore, vigile, attento, premuroso e misercordioso, non lascia allo sbando il gregge, ma si pone alla guida di esso con coraggio, passione e dedizione.
Ecco perché nessuna delle pecore, se segue il suo pastore, si perderà, in quanto chi segue Cristo, in modo pieno e totale, ha la certezza di approdare ad una meta di vera ed eterna felicità. Anche le forze del male, il diavolo, che tende di strapparle al possesso di Dio, con la possessione diabolica, potrà vincere nei confronti del Signore, se quell’anima, quella persona ascolta la voce del suo padrone e Signore. Infatti, l’attività della grazia che opera nella vita delle persone, ben disposte alla fede, produce i suoi frutti spirituali su questa terra e soprattutto per l’eternità.
Tali frutti di conversione e di vera spiritualità sono evidenziati nel brano della prima lettura di questa quarta domenica di Pasqua con la predicazione di Paolo e Barnaba, impegnati ad evangelizzare i popoli pagani. Infatti leggiamo negli Atti degli Apostoli gli straordinari segni compiti da quali apostoli nel nome del Signore.
Un’azione apostolica quella di Paolo e di Barnaba a largo raggio, senza aver paura di nessuno, anzi potenziando l’annuncio in alcune parti dove si recavano sistematicamente mediante la predicazione itinerante, modello di ogni predicazione cristiana, che dovrebbe essere a cuore di tutti i pastori, non sempre zelanti e non sempre aperti alle necessità spirituali e materiali di tanti uomini e donne in cerca di felicità.
La diffusione del vangelo, nei primi tempi del cristianesimo, fu merito del grande converito della storia cristiana, quel Paolo di Tarso che, da persecutore, divenne per grazia di Dio, il più grande apostolo di tutti i tempi, modello di predicatore per tanti apostoli e missionari di oggi e di sempre che con fervore e zelo trasmettono ai fedeli, la parola di Dio e la parola della salvezza in ogni angolo della terra, spesso perdendo la vita a causa del vangelo, come sono i tanti martiri dei nostri giorni.
Il salmo responsoriale, tratto dal salmo 99, ci aiuta a capire il senso di questa giornata della Pasqua settimanale, durante la quale siamo chiamati a rinnovare la nostra fede in Cristo, nostro pastore, dicendo con entusiasmo: Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. Perché buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione.
San Giovanni nel bellissimo ed intenso brano dell’Apocalisse, parla di questa sua visione del mondo dell’eternità con parole di conforto, speranza e gioia, la cui centro della sscna c’è Gesù, l’Agnello immolato sulla croce per la salvezza del mondo, lo esso Agnello che siede alla destra Dio e che giudicherà il mondo, con la sua sentenza inappellabile al termine dell’esistenza personale e della storia del mondo.

un cuore nuovo donaci Signore

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Publié dans:immagini |on 9 mai, 2019 |Pas de commentaires »
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