LA VITA È IL MANTELLO DI DIO (è un omelia non di questo tempo liturgico)
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LA VITA È IL MANTELLO DI DIO
XIII Domenica del Tempo Ordinario, 27 giugno 2010
di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 25 giugno 2010 (ZENIT.org).- “Partito di lì, Elia trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro ad Elia, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elia disse: “Va’ e torna, poiché sai che cosa ho fatto per te”. Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio” (1Re 19,16b.19-21).
“Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri.(…) Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne” (Gal 5,1.13-18).
“(…) Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore, prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,51-62).
La liturgia di questa XIII Domenica del T. O. ci fa subito incontrare una parola alquanto comune, una parola chiave, un filo conduttore con cui lo Spirito Santo ha ricamato il tessuto dei testi proposti: la parola “mantello” (1Re 19,19). Il suo significato biblico è illustrato dal racconto della vocazione di Eliseo, nella prima Lettura.
La storia di Eliseo, infatti, comincia con un mantello gettato a sorpresa su di lui da parte del profeta Elia, in cammino lungo la strada che costeggia il campo che egli sta arando con ben ventiquattro buoi (il numero esagerato indica che Eliseo è un contadino benestante).
Quello di Elia è un gesto simbolico che sta a significare l’irreversibile chiamata di Dio:“Il mantello è simbolo del carisma profetico; esso è gettato sulle spalle dell’eletto in una specie di investitura divina” (G. Ravasi).
Ha così inizio la nuova vita di Eliseo al servizio del Signore e del profeta Elia.
Salutati parenti ed amici con un banchetto d’addio, Eliseo segue fedelmente Elia fino al giorno della sua misteriosa dipartita da questa vita, quando sarà trasportato in alto da un carro di fuoco. A questo punto, caduto per terra dal carro, ricompare il mantello, che Eliseo raccoglie subito gridando “Padre mio, padre mio..” (2Re 2,11-13). Lo spirito del Maestro prende allora definitivo possesso del discepolo, come da padre a figlio primogenito.
La brusca investitura profetica di Eliseo è così commentata dal card. Martini: “nessuna parola, nessun tentativo di convinzione, ma solo un gesto violento dal significato chiarissimo. Il mantello è simbolo della persona e, in qualche modo, anche dei suoi diritti. Gettare il mantello su qualcuno costituisce un segno di acquisto, di desiderio di alleanza” (C.M.M., “Il Dio vivente, riflessioni sul profeta Elia”, p.118).
Simbolo della persona, il mantello fa pensare anche al dono-chiamata della vita, che ognuno riceve da Dio senza venire interpellato. Ciò non toglie che, come il mantello di Elia, anche la vita sia un dono fatto alla libertà dell’uomo, un dono “gettato” su di lui per essere accolto e custodito come il più prezioso di tutti i doni ed il più necessario ed impegnativo dei compiti, se davvero l’uomo vuole vivere felice e realizzare se stesso nell’amore. E’ quanto suggerisce oggi Paolo: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri.(…) Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5,13).
L’ironia fin troppo realistica di Paolo non suona esagerata, se pensiamo non solo alla nostra situazione sociale e politica, ma anche alle tristissime incomprensioni e divisioni tra coloro che un unico carisma o una comune vocazione (un solo mantello!) ha costituito fratelli ed operai del regno di Dio. Occorre precisare che nel vocabolario dell’Apostolo, “carne” significa genericamente ogni comportamento dettato da un sentire egocentrico e disordinato. Atteggiamento, questo, che non scaturisce da quella vera libertà che è la capacità di amare nella verità al modo di uno stile di accoglienza, di ascolto senza pregiudizi e nel dominio di sè.
Un esempio “carnale” di essere e di agire, lo da’ oggi la reazione istintiva di Giacomo e Giovanni, contrariati dal rifiuto opposto a Gesù dai Samaritani: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54). I due discepoli avevano oggettivamente ragione, ma Gesù “si voltò e li rimproverò” (Lc 9,55).
La ricetta di Paolo per discernere e dominare ogni genere di passione disordinata, è semplice ed efficace: “Vi dico, dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. (…) Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge” (Gal 5,16.18).
“La forza del peccato è la Legge”, scrive altrove Paolo (1Cor 15,56); ed egli per primo sperimenta quanto doloroso sia il peccato di divisione dai suoi fratelli ebrei, tanto zelanti per l’osservanza della Legge da voler uccidere lui che ne va proclamando il compimento in Gesù Cristo.
Ma che significa camminare “secondo lo Spirito”? Vuol dire “al passo” dello Spirito, seguendo umilmente il cammino e gli esempi del Signore per entrare nello spazio immenso della sua dolce e trasformante amicizia. Una chiamata assoluta, tanto affascinante quanto esigente, a giudicare dalle parole di Gesù a colui che chiedeva solo di congedarsi da quelli di casa propria: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio” (Lc 9,60).
Una simile radicalità non è disumana, ma intrinseca e necessaria alla missione profetica. Questa, per altro, gode della legge pedagogica della gradualità, come fa intendere la vicenda stessa di Eliseo con la dinamica misteriosa del mantello, in un primo tempo gettatogli sulle spalle da Elia, ma poi “recuperato” a terra dallo stesso Eliseo nel momento del congedo definitivo da lui, come se in precedenza glielo avesse restituito.
Infatti, “si ha l’impressione, pur se il testo non lo dice, che Eliseo abbia ridato il mantello al grande maestro, per indicare che deve prima imparare, deve prima assimilare i suoi insegnamenti di vita. Di fatto, questo mantello sarà consegnato definitivamente ad Eliseo nel momento del rapimento in cielo di Elia.” (C.M.M., id., p. 120).
E’ quest’ultima spiegazione pedagogica che ci consente di tornare al mantello come simbolo della persona e della vita, per osservare che la pienezza della verità sulla vita umana, da comunicare gradualmente al passo di chi ascolta, è comunque e per tutti solo quella rivelata dalla Parola di Gesù. Ne farà esperienza certa chiunque voglia avvicinarsi a Lui con la fede umile ed audace di quella donna malata, che “udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male” (Mc 5,25-29).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
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