Archive pour mars, 2019

I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) (10/03/2019)

https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45349

I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C) (10/03/2019)

Dal deserto al giardino, cammino verso la vita
padre Ermes Ronchi

Dal deserto al giardino: dal deserto di pietre e tentazioni al giardino del sepolcro vuoto, fresco e risplendente nell’alba, mentre fuori è primavera: è questo il percorso della Quaresima. Non penitenziale, quindi, ma vitale. Dalle ceneri sul capo, alla luce che «fa risplendere la vita» (2Tm 1,10). Deserto e giardino sono immagini bibliche che accompagnano la storia e i sogni di Israele, che contengono un progetto di salvezza integrale che avvolgerà e trasfigurerà ogni cosa esistente, umanità e creature tutte, che insieme compongono l’arazzo della creazione.
Con la Quaresima non ci avviamo lungo un percorso di penitenza, ma di immensa comunione; non di sacrifici ma di germogli. L’uomo non è polvere o cenere, ma figlio di Dio e simile a un angelo (Eb 2,7) e la cenere posta sul capo non è segno di tristezza ma di nuovo inizio: la ripartenza della creazione e della fecondità, sempre e comunque, anche partendo dal quasi niente che rimane fra le mani. Le tentazioni di Gesù nel deserto costituiscono la prova cui è sottoposto il suo progetto di mondo e di uomo, il suo modello di Messia, inedito e stravolgente, e il suo stesso Dio.
La tentazione è sempre una scelta tra due amori. Di’ a questa pietra che diventi pane. Trasforma le cose in beni di consumo, riduci a merce anche i sassi, tutto metti a servizio del profitto. Le parole del Nemico disegnano in filigrana un essere umano che può a suo piacimento usare e abusare di tutto ciò che esiste. E così facendo, distrugge anziché «coltivare e custodire» (Gen 2,15). Ognuno tentato di ridurre i sogni a denaro, di trasformare tutto, anche la terra e la bellezza, in cose da consumare. Ti darò tutto il potere, tutto sarà tuo. Il paradigma del potere che ha sedotto e distrutto regni e persone, falsi messia e nuovi profeti, è messo davanti a Gesù come il massimo dei sogni.
Ma Gesù non vuole potere su nessuno, lui è mendicante d’amore. E chi diventa come lui non si inginocchierà davanti a nessuno, eppure sarà servitore di tutti. Buttati giù, e Dio manderà i suoi angeli a portarti. Mostra a tutti un Dio immaginario che smonta e rimonta la natura e le sue leggi, a piacimento, come fosse il suo giocattolo; che è una assicurazione contro gli infortuni della vita, che salva da ogni problema, che ti protegge dalla fatica di avanzare passo passo, e talvolta nel buio. Gesù risponde che non gli angeli, ma «la Parola opera in voi che credete» (1Ts 2,13).
Che Dio interviene con il miracolo umile e tenace della sua Parola: lampada ai miei passi; pane alla mia fame; mutazione delle radici del cuore perché germoglino relazioni nuove con me stesso e con il creato, con gli altri e con Dio.

Publié dans:QUARESIMA 2019 |on 9 mars, 2019 |Pas de commentaires »

Mosè, passaggio del Mar Rosso

mose_009_toros_roslin _passaggio_mar_rosso

Publié dans:immagini sacre |on 7 mars, 2019 |Pas de commentaires »

IL SENSO DEL DESERTO E DEL SILENZIO (QUARESIMALE)

https://www.theologhia.com/2017/03/il-senso-del-deserto-e-del-silenzio.html

IL SENSO DEL DESERTO E DEL SILENZIO (QUARESIMALE)

ROBERT CHEAIB

Inizia la Quaresima. Tempo di digiuno, di distacco, di silenzio, di ascolto e di deserto. In questo estratto da Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio (pp.46-49), meditiamo sul senso biblico ed esistenziale del deserto e del silenzio (di Dio).
*Non è solo l’assonanza tra le parole ebraiche parola (dabar) e deserto (midbar) a implicare una prossimità tra la Parola di Dio e il suo silenzio, a segnalare una parola di Dio che avviene nel silenzio. Non di rado, Dio ci conduce nel deserto per parlare al nostro cuore dopo che ci siamo prostituiti con troppi rumori e finti infiniti[1]. «Il deserto ti spoglia. Ti riduce all’essenziale. Ti priva del guardaroba. Ti toglie di dosso gli abiti che finora hai considerato come assoluti, e ti fa capire che la tua identità va ben oltre le livree dell’apparenza»[2].
La privazione, esperienza tipica del deserto, è una prova che ci rende provati. Ci rafforza e ci eleva fino all’altezza del nostro destino, ci fa scoprire le nostre sorgenti nascoste. E, se lo vogliamo, ci mette in contatto con l’Acqua viva che zampilla nel nostro cuore[3]. Il deserto ci porta alla scoperta delle nostre oasi. Il deserto è – per evocare un poema di Madeleine Delbrêl – un’incudine che forgia l’anima: «Ma il deserto ha detto: “Sono un oceano / che possiede la vita nelle sue onde di fiamme, / un’incudine rovente dove le anime si forgiano, / sono il libro aperto sul bordo del nulla”»[4].
L’esperienza biblica del silenzio di Dio ci trasmette una lezione che possiamo verificare nella nostra vita: nel suo silenzio, nel suo tacere, Dio parla.
A volte Dio tace proprio per risvegliarci all’ascolto della sua Parola, per guarire la nostra assuefatta sordità, per farci riscoprire la fame e la sete della sua Parola: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore. Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno»[5].
A volte Dio tace per parlarci meglio. Chi ha figli sa che, a volte, qualche istante di silenzio è più eloquente di sermoni interminabili.
«Il Dio vivente non è solo un Dio che si manifesta, ma è anche un Dio “che si nasconde”»[6]. Questo suo nascondimento è un’espressiva manifestazione.
Il suo nascondimento non è per frustrare o scoraggiare la ricerca umana, bensì per suscitarla, per invitare l’uomo a entrare nel nascondiglio di Dio che è nel suo cuore, a entrare nel silenzio della sua cella interiore e, lì, leggere gli eventi e cogliere le parole del silenzio di Dio.
Il midbar, spazio vuoto, diventa grembo, spazio accogliente, diventa cassa di risonanza opportuna per l’eco della Parola. Il midbar, il deserto, diventa luogo in cui si purificano gli affetti, si riordina l’amore[7], si eliminano le distrazioni e si riscoprono le cose che valgono veramente.
La delusione a volte è l’unica cura per riacquisire la visione. Nella delusione dell’effimero si scopre l’essenziale. Traduce una grande verità di esperienza di fede questo verso di una canzone di Renato Zero: «In tutte le promesse disattese perdevo me e ritrovavo Dio».
Sono tanti nella Scrittura gli inviti a cogliere la fecondità del silenzio e la Presenza nell’assenza: «Nel silenzio, sul vostro letto, esaminate il vostro cuore»[8]. Il silenzio di Dio è un’opportunità per esercitare la fede che si fida, per esercitare la speranza: «Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui»[9].
Tra le rovine e nella disperazione della diaspora, Geremia sa benissimo che Dio rimane l’unica speranza e ricorda che «è bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore»[10].
Dio dimora nel silenzio e il silenzio dell’uomo dinanzi a lui è consonanza e lode, è fede fiduciale, amore che attende, è parola ineffabile e affabile della creazione dinanzi al Creatore. «Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion, a te si sciolgono i voti»[11]. Il silenzio colmo d’amore è un eloquente votarsi a Dio.

[1] Cf. Os 2,16.
[2] A. Bello, Il vangelo del coraggio. Riflessioni sull’impegno cristiano nel servizio sociale e nella politica, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996, 124.
[3] Cf. Gv 7,37-39.
[4] M. Delbrêl, La Route, Librairie Alphonse Lemerre, Paris 1927, 125-126 cit. in G. François – B. Pitaud, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, EDB, Bologna 2014, 60.
[5] Am 8,11-12.
[6] M. Buber, L’eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Mondadori, Milano 1990, 71.
[7] Cf. Ct 1,4.
[8] Sal 4,5.
[9] Sal 37,7.
[10] Lam 3,26.
[11] Sal 65,2.

 

Publié dans:QUARESIMA 2019 |on 7 mars, 2019 |Pas de commentaires »

Mercoledì delle ceneri

imm en 5e6c46818b6e6d60f70c7255a80a48b9

Publié dans:immagini sacre |on 4 mars, 2019 |Pas de commentaires »

QUARESIMA 2010. LE CENERI DI PAPA BENEDETTO

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1342144.html?refresh_ce

QUARESIMA 2010. LE CENERI DI PAPA BENEDETTO

Il suo cruccio è lo spegnersi della fede. Il suo programma è condurre gli uomini a Dio. Il suo strumento preferito è l’insegnamento. Ma la curia vaticana lo aiuta poco. E talvolta lo danneggia
di Sandro Magister (non metto tutto l’articolo)

« La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo »

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle, ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: « La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo » (cfr. Romani 3, 21-22).
Giustizia: “dare cuique suum”
Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine “giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare cuique suum”, dare a ciascuno il suo, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine –, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se “la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo… non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21).
Da dove viene l’ingiustizia?
L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro… Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Marco 7, 14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare – ammonisce Gesù – è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Salmo 51, 7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr. Genesi 3, 1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?
Giustizia e « sedaqah »
Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Salmo 113, 7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, « sedaqah », ben lo esprime. « Sedaqah » infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr. Esodo 20, 12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr. Deuteronomio 10, 18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha « ascoltato il lamento » del suo popolo ed è “sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr. Esodo 3, 8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr. Siracide 4, 4-5.8-9), il forestiero (cfr. Esodo 22, 20), lo schiavo (cfr. Deuteronomio 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?
Cristo, giustizia di Dio
L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio… per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3, 21-25).
Quale è dunque la giustizia di Cristo? È anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr. Galati 3, 13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza: indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.
Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr. Romani 13, 8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.
Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel triduo pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’apostolica benedizione.

Publié dans:MERCOLEDI DELLE CENERI |on 4 mars, 2019 |Pas de commentaires »

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?

la mia e paoloGESU-1-600x466 (1)

Publié dans:immagini sacre |on 1 mars, 2019 |Pas de commentaires »

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) (03/03/2019)

https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45282

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) (03/03/2019)

Guide, maestri e frutti buoni
padre Antonio Rungi

La parola di Dio di questa ottava domenica del tempo ordinario si ci concentra su alcuni concetti: guide, maestri e frutti buoni. Partendo dal Vangelo, tratto da San Luca, questo riporta alcune espressioni di Gesù molto adatte a descrivere questo nostro tempo: « Può forse un cieco guidare un altro cieco?.. Il discepolo non è più del maestro…Togli la trave dal tuo occhio. Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Si tratta del celebre discorso che Gesù pronuncia in pianura, dopo aver trascorso la notte in preghiera e dopo aver chiamato i Dodici ad essere suoi apostoli. Gran parte delle frasi sono state pronunciate da Gesù in altre circostanze, che però Luca le unificato in un solo gande discorso di nostro Signore. Gesù racconta una parabola ai discepoli: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?». Una parabola di una sola riga rivolta agli animatori delle comunità che si considerano padroni della verità, superiori agli altri. Per questo motivo sono guide cieche. Seguono poi alcune considerazioni che Gesù fa sulla figura del maestro e di conseguenza di quella del discepolo. E afferma che «Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro». Gesù è il Maestro che non impartisce lezioni, ma vive con i suoi discepoli. La materia del suo insegnamento è lui stesso, la sua testimonianza di vita, il suo modo di vivere le cose che insegna.
Gesù in questo discorso, fa riferimento poi a riconoscere i propri grandi difetti e non ad evidenziare i piccoli difetti altrui, al punto tale che parla di pagliuzza nell’occhio del fratello che si vede perfettamente e di trave nel proprio occhi che non si vede affatto. Come dire che i difetti minimi degli altri subito si evidenziano; mentre i propri gravi difetti non si vedono. Gesù definisce ipocriti coloro che si comportano così ed invita tali soggetti a togliere prima la trave dal proprio occhio per vederci bene e poi, eventualmente, togliere la pagliuzza dall’occhio del proprio fratello. In altri termini, Gesù chiede un atteggiamento creativo che ci renda capaci di andare incontro all’altro senza giudicarlo, senza preconcetti e razionalizzazioni, accogliendolo da fratello.
Infine, con la parabola dell’albero che dà buoni frutti e quello cattivo frutti pessimi, Gesù vuole indirizzare la riflessione dei suoi ascoltatori sulla coerenza. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo». Una persona ben formata alla scuola dell’amore fa crescere dentro di sé una buona indole che la porta a praticare il bene, cioè «trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore»; mentre la persona che non fa attenzione alla sua formazione avrà difficoltà a produrre cose buone. Anzi, «dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore».
E allora c’è da domandarsi: « Chi sono oggi le guide cieche? ». Chi oggi può essere « un riferimento che sia come un faro della vita da seguire »?
Le guide cieche sono quelle persone che non vedono con gli occhi della fede e di Dio ciò che succede, e che conducono gli altri ad allontanarsi dall’ idea stessa di Dio, della vita oltre la vita, del bene, della giustizia, della rettitudine, della vera morale e non dell’ipocrisia più totale.
Un giusto punto di riferimento, oggi, per seguire la luce del Vangelo, è il Santo Padre, Papa Francesco, ma sono pure tutti quei pastori che hanno a cuore il bene dei fedeli, che vivono santamente e coerentemente la loro fede, che non danno scandalo, come pure tutti i consacrati che si sono votati a Dio con la mente, il cuore e tutta l’esistenza e che seguono la via stretta dei consigli evangelici. Sono soprattutto quei genitori, adulti, educatori, a vario livello, che hanno a cuore il vero bene dei piccoli, dei giovani e dei grandi, bisognosi di essere guidati, mediante un opportuno discernimento della propria vocazione, partendo da una prospettiva di fede, che deve indirizzare le scelte.
In questo discernimento ci aiuta il testo della prima lettura di questa ottava domenica, tratta dal libro del Siràcide, noto come uno dei libri sapienziali dell’Antico Testamento, più seguito ed apprezzato per il suoi contenuti dottrinali ed operativi. Leggiamo, infatti, in esso che quando si scuote il setaccio restano i rifiuti ed è così per l’uomo quando parla e discute. Allora ne appaiono i difetti. Un esempio di come vanno vagliate le persone ci viene dal ceramista che mette a prova il valore della fornace, con la cottura dei vasi. Se essa è buona non rovina il cotto, ma se non è buona brucia il tutto. Così è anche per l’uomo. Se sa ragionare, diventa per lui il banco di prova del suo equilibrio mentale ed interiore. Altro esempio ci viene dalla coltivazione degli alberi. Se esso è coltivato bene, dà frutti adeguati, ma se è trascurato non produce nulla. Così avviene per chi usa la parola e il linguaggio umano. Se esso è coltivato bene esprime giusti pensieri del cuore, ma se non è coltivato, non dice nulla o dice cose assurde. A conclusione di tutta questa esemplificazione c’è un suggerimento molto utile da tenere in dovuta considerazione: “Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini”. Il valore della comunicazione è qui messo in risalto per dire che ogni persona che si relaziona ad altre deve essere accorta al modo di dire e a cosa dire.
Perciò, l’Apostolo Paolo nel testo della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla sua prima lettera ai Corìnzi, ci invita a rimanere saldi e irremovibili nella fede, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore. Ogni lavoro fatto con amore, passione e donazione porta il frutto che ci si aspetta per il proprio bene spirituale.
Una bellissima poesia del poeta romano Trilussa, adattata da me, dice: « Nella notte in cui mi sono perso in mezzo al bosco, incontrai una vecchietta cieca che mi disse: “Se la strada non la conosci ti ci accompagno io, che la conosco. Se hai la forza di venirmi dietro, di tanto in tanto, ti darò una voce, fino arrivare in fondo, dove c’è un cipresso o fino alla cima dove c’è una croce. Io risposi: Sarà, ma la trovo strana una simile proposta da chi non ci vede per niente. La cieca, allora, mi prese la mano e mi disse: guarda avanti e cammina con me accanto. Capii subito momento che si trattava di una cosa importante a tenermi per mano, a guidarmi nel buio della notte e nello smarrimento più totale. Era la fede che mi prese per mano in quel momento e poi mi guidò per sempre.
Con grande senso di responsabilità ci rivolgiamo a Dio con queste parole della colletta di oggi: “La parola che risuona nella tua Chiesa, o Padre, come fonte di saggezza e norma di vita, ci aiuti a comprendere e ad amare i nostri fratelli, perché non diventiamo giudici presuntuosi e cattivi, ma operatori instancabili di bontà e di pace”. Amen.

1234

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01