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L’ANNUNCIO DEL VANGELO AI POPOLI DEL MEDITERRANEO (anche Paolo)
sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 5-6 novembre 1988
Il cristianesimo è sorto in un dato contesto storico culturale. Il modo in cui è avvenuta l’inculturazione alle origini può offrire indicazioni per le necessarie inculturazioni di oggi, su come impostare oggi il rapporto fede cultura.
uno spazio unitario per due culture
Il cristianesimo è nato in uno spazio unitario che racchiude due ambienti culturali, il giudaismo e la cultura greco-romana, ambienti non separati ma distinti.
Dal punto di vista geografico lo spazio unitario comprende i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La costa africana ha avuto contatti col cristianesimo alla fine del secondo secolo, con Cipriano, Tertulliano e successivamente con Agostino. Dall’Egitto (dove nasce il vangelo degli gnostici) alla Palestina, alla Siria, alla penisola anatolica, alla Grecia, all’Italia, alla Gallia (toccata alla fine del secondo secolo), alla Spagna.
È uno spazio unitario dal punto di vista politico, tutto sotto la dominazione romana. Il potere centrale era nelle mani dell’imperatore che governava coadiuvato dal Senato; il potere periferico era rappresentato dai governatori della varie province; c’era poi il potere municipale della diverse città stato. Sul piano amministrativo Roma lasciava molta autonomia alla municipalità locale.
Sul piano sociale nell’impero romano (60-70 milioni di persone) c’era l’aristocrazia (uno per cento) che deteneva il potere politico. I non aristocratici comprendevano i cittadini che godevano dei diritti politici, i peregrini che non avevano lo statuto legale di cittadini e gli schiavi che erano i meno protetti. Tra i cittadini bisogna distinguere i commercianti, i proprietari terrieri, gli artigiani o anche i contadini dalla plebe, che a Roma era mantenuta direttamente dall’imperatore.
Dal punto di vista sociologico la diffusione del cristianesimo è avvenuta tra gli artigiani e gli schiavi. Nei primi cento anni a Roma ci sono solo 5 o 6 aristocratici tra i cristiani. Nel mondo greco-romano chi lavorava, come gli artigiani, era molto disprezzato.
È poi uno spazio unitario anche dal punto di vista linguistico. Si parla la lingua greca, la koiné. A Roma, fino alla fine del secondo secolo i cristiani parlano e scrivono in greco. Il latino comincia ad imporsi con Tertulliano, Cipriano. Paolo parlava in greco e poteva farsi capire dovunque nell’impero romano.
In questo spazio unitario coesistono due culture egemoni. Cultura qui è intesa non come istruzione, ma in senso antropologico, come tutto ciò che è creato e prodotto dall’uomo (in contrapposizione a natura, a ciò che è già dato). La cultura è il risultato dell’azione creatrice e facitrice dell’uomo, sono i modi di pensare, di agire, di dire, di vivere, sono i simboli interpretativi del mondo, le istituzioni, la famiglia, i valori etici, le idee religiose, i riti. La cultura, che definisce l’uomo come storia, come libertà creatrice, non è un dato immutabile, ma muta continuamente.
La cultura giudaica esercitava una grande forza di attrazione sugli spiriti più nobili che avvertivano la crisi spirituale del mondo di allora. Gli ebrei costituivano più del 10 per cento della popolazione dell’impero romano calcolata intorno ai 60 milioni di persone. Dei 6-7 milioni di ebrei solo un milione viveva in Palestina. Un milione viveva in Egitto e un milione nella penisola anatolica e molte colonie ebraiche erano in Mesopotamia.
Il mondo giudaico aveva non solo il tempio di Gerusalemme, simile in questo ad altre religioni, ma anche la struttura capillare delle sinagoghe, luogo di preghiera, di lettura e interpretazione della bibbia. Questa struttura ha salvato l’identità giudaica quando il tempio è stato distrutto nel 70 d.C.
Nelle sinagoghe accanto agli ebrei c’erano i proseliti, pagani convertiti circoncisi e i timorati di Dio, pagani convertiti ma non circoncisi e non osservanti delle prescrizioni sul puro e l’impuro. Il cristianesimo si diffonde attraverso le sinagoghe.
Il mondo pagano aveva un’idea molto negativa dei cristiani, che riteneva empi, superstiziosi. La stima pubblica cresce con Giustino, che presenta il cristianesimo come una scuola filosofica.
La cultura ebraica in campo religioso consisteva in un monoteismo molto rigido, nella concezione di un Dio personale creatore del mondo, presente nella storia con un progetto di salvezza. Questo Dio aveva parlato e le Scritture contenevano la sua parola. Gli ebrei si ritenevano un popolo eletto la cui vita era regolata dalla legge divina. Il rigore etico, ad esempio in campo sessuale, era sconosciuto nel mondo di allora, come pure il grande senso di giustizia. Il mondo era visto come creatura in cui l’uomo aveva una centralità.
Al tempo di Gesù era importante l’apocalittica: si riteneva che il mondo creato da Dio fosse corrotto in modo irrimediabile e quindi destinato alla distruzione con l’avvento di un mondo nuovo già pronto.
Altra caratteristica è la concezione dell’uomo come essere in ascolto, chiamato ad ascoltare la parola di Dio (si privilegia l’orecchio) e ad osservarla. Non c’è spazio per la visione, per l’estetica, per l’architettura, la scultura, la pittura. Il frutto dello spirito ebraico è la letteratura, la bibbia.
La cultura greca è incentrata sull’occhio, sulla visione, sulla contemplazione, sul bello.
L’ideale nella cultura ebraica è il fare nell’obbedienza, il realizzare progetti, mentre l’ideale dell’uomo nel mondo greco è il signore che non lavora, che non si sporca le mani.
In campo religioso il mondo-greco romano non era giunto ad un’immagine di Dio personale (sacralizzazione del potere) ed era incapace di rispondere ai problemi dell’esistenza, con una visione sostanzialmente pessimistica dominata dal Fato. La religione ufficiale era in grave crisi e trionfavano le religioni misteriche che venivano dall’oriente, tra cui ebraismo e cristianesimo, più capaci di andare incontro ai bisogni fondamentali dell’uomo.
Per l’ebreo il mondo greco romano era dominato dalla impudicizia, dalla lussuria sfrenata, dalla omofilia, dalla violenza dall’amore per il denaro.
Nel mondo greco romano c’era anche la corrente stoica che affermava i grandi valori etici di un uomo distaccato dalle cose e libero dalle passioni in ottemperanza alle norme della legge naturale. Seneca è apparso come il grande santo del mondo greco-romano.
Il testo canonico dei cristiani, il Nuovo Testamento, è stato scritto nel greco comune.
l’inculturazione cristiana
Le fede cristiana ha un’origine divina, ma si è incarnata in questo mondo. Il processo di inculturazione è necessario pena l’estraneità della fede all’uomo. E l’inculturazione non è solo necessaria, ma provvidenziale, altrimenti non è una fede dell’uomo.
C’è il rischio dello svuotamento della fede da parte della cultura. La cultura può assorbire la provocazione della fede, svuotandola. L’inculturazione è incarnazione non svuotamento. Il figlio di Dio che diventa uno di noi, lo diventa per farci diventare figli di Dio: è una presenza critica, innovatrice.
L’inculturazione è un processo dialettico, dinamico, creativo, innovativo, che implica il passaggio da una cultura ad un’altra, pena l’insignificanza e l’estraneità.
Gesù e il suo ambiente
Gesù non appartiene al cristianesimo delle origini, ma ne è la fonte, il fondamento, il referente necessario.
La prima forma cristiana è il giudeo cristianesimo di lingua aramaica. Il cristianesimo nasce dalla fede nella resurrezione da parte dei discepoli di Gesù nelle prime comunità palestinesi della chiesa di Gerusalemme.
Quasi parallelo c’è un cristianesimo di giudeo-cristiani di lingua greca, la chiesa dei sette, tra cui Stefano. Inoltre nasce la chiesa di Antiochia, l’ambiente di Paolo.
Ci sono due grandi forme di comunità cristiane : quella giudeo-cristiana costituita da ex giudei e quella etnico-cristiana costituita da incirconcisi di lingua romana e greca.
Il processo di inculturazione è stato fatto soprattutto dai giudeo-cristiani di lingua greca, con Paolo grande artefice, che ha saputo esprimere i contenuti della fede cristiana nella cultura greca.
Il prevalere del cristianesimo sul giudaismo è opera di Paolo, che è riuscito a denazionalizzare il giudaismo troppo legato a Gerusalemme. Paolo recide i legami con il giudaismo, riuscendo a internazionalizzare il cristianesimo. Ha mantenuto le scritture che erano in lingua greca e ha abbandonato la legge mosaica, la circoncisione, il modo di vivere giudaico. « Con i giudei ho vissuto da giudeo, ma con quelli che non erano sottomessi alla legge ho vissuto da pagano » (1Cor 9). Per questo Paolo è stato giudicato dal mondo ebraico e dal mondo giudeo-cristiano osservante un rinnegato, un fedifrago.
Gesù, galileo di origine, nato 7-8 anni prima dell’era volgare e morto attorno al 30, è un giudeo in tutto per tutto, anche come condizionamenti culturali. Parla della indissolubilità del matrimonio da ebreo in termini di ripudio (Matteo) e non di divorzio come invece dirà il vangelo di Marco, in contatto con il mondo greco-romano.
Nel mondo giudaico di allora vi erano movimenti di riforma spirituale in opposizione alle grandi autorità sacerdotali molto corrotte, come i movimenti battisti, che volevano vivere in modo genuino la fede ebraica. Il movimento di Gesù è un movimento riformatore all’interno del giudaismo: non voleva fondare comunità a parte, ma rifondare il giudaismo. Anche i primi cristiani si muovevano in questa ottica. È stato Paolo a trasformare il cristianesimo.
Anche all’esterno Gesù appariva con i tratti del mondo giudaico, come un rabbi, interprete della bibbia e della legge mosaica, con uno stuolo di discepoli che imparavano dal maestro.
Gesù presenta però delle originalità: sceglie i propri discepoli (non sono gli allievi che fanno domanda), mette al centro la sua persona e non la legge, rimane l’unico rabbi (i discepoli non diventano rabbi). Inoltre Gesù, a differenza dei rabbi del tempo, era itinerante.
Gesù si presenta con alcuni tratti del profeta, annuncia la parla di Dio. Attorno al lui nascono sogni messianici, ma Gesù ha molte perplessità ad attribuirsi il titolo di Messia.
L’immagine che Gesù ha di Dio è tipica della tradizione ebraica. Nell’annunciare la prossimità del regno di Dio, di Dio che si fa re, si ricollega alla attesa giudaica della regalità di Dio, con la novità di affermarne la sua presenza nella storia attraverso i propri gesti: ci sono già manifestazioni del Dio re liberatore attraverso i gesti di Gesù. A differenza degli apocalittici assume la grande speranza di un mondo nuovo, che esce faticosamente dal di dentro del mondo attuale, dall’interno del cuore di ogni uomo, a differenza degli apocalittici e degli zeloti.
Anche l’immagine di Dio Padre è molto presente nel mondo ebraico (Dio padre dei miseri…). Gesù accentua la dimensione di familiarità (papà) e utilizza l’immagine paterna in senso antidiscriminatorio (fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti).
Gesù poi accetta la legge di Dio ma con originalità (il sabato è per l’uomo, superamento della legge del puro e dell’impuro, tutta la legge è racchiudibile nell’amore di Dio e del prossimo)
La fede di Gesù è giudaica, seppure di tipo riformista.
il giudeo-cristianesimo
Il cristianesimo nasce dopo la morte di Gesù e nasce come giudeocristianesimo di lingua aramaica a Gerusalemme, ancora non distinto dal giudaismo. Era una forma di giudaismo con in più la cena il giorno dopo il sabato e la fede in Gesù resuscitato come Messia. (E da subito ci sono varie interpretazioni di questa fede. Nel mondo giudaico si parla di risurrezione, Luca all’interno del mondo greco parla di Gesù che è vivo, Paolo di spirito vivificante. Anche l’esaltazione alla destra del Padre appartiene alla cultura ebraica. È una categoria apocalittica la concezione di Gesù come il figlio di Dio che verrà e che inaugurerà un mondo nuovo.) Queste comunità giudaicocristiane che parlavano aramaico erano particolaristiche e accoglievano i pagani solo se si giudaicizzavano, se si facevano circoncidere. Avevano una cristologia elementare, dell’uomo Gesù, risuscitato da Dio e che viene come figlio dell’uomo a giudicare. Erano fortemente antipaoline . Hanno fatto una inculturazione assorbente, perdendo la grande capacità di libertà di Gesù e appiattendosi totalmente sul giudaismo.
Il giudeocristianesimo di lingua greca appare a Gerusalemme nella comunità diretta da sette leaders. Paolo. I giudei della diaspora, rispetto a quelli di Palestina, insistevano meno sui sacrifici e sul tempio e molto più sul culto della vita. Il cristianesimo di lingua greca è molto critico del tempio, del culto sacrificale e della classe sacerdotale, approfondendo la critica già avviata da Gesù. La cosa importante non sono le prescrizioni alimentari, tabuistiche, ma il cuore dell’uomo. Queste concezioni fanno entrare in conflitto questi cristiani con la sinagoga e le autorità. Inoltre queste comunità hanno un’apertura universalistica al mondo pagano: non si richiede la circoncisione, ma solo la fede.
Questo gruppo, perseguitato a Gerusalemme, si disperde e ad Antiochia accoglie i pagani senza imporre la circoncisione. Matura anche un nuovo concetto di popolo di Dio, prima segnato dalla circoncisone, ora solo dalla fede in Cristo. La cristologia è maggiormente sviluppata. I giudeo cristiani di lingua greca applicano a Gesù le concezioni della sapienza, preesistente al mondo e che viene ad abitare tra gli uomini. Si applica a Gesù il nome di Signore riservato a Dio nell’Antico Testamento. Viene inoltre applicata a Gesù la categoria di « euanghelion », di lieta notizia. Gesù è l’evangelista ed è il contenuto della lieta notizia. È una nuova inculturazione della fede.
le comunità etnico-cristiane
L’ultimo grande sviluppo di inculturazione avviene con le comunità di etnico-cristiani, di cristiani di cultura greco romana, una cultura caratterizzata dallo stoicismo, dall’attenzione alle religioni misteriche, con i culti dell’imperatore, del potere.
Paolo costituisce nelle grandi città dell’impero comunità a netta prevalenza etnico cristiana (non legate alla tradizione ebraica). Paolo è il teorico più lucido di questa operazione di sganciamento, smontando gli argomenti dei giudaizzanti e cioè che Gesù era circonciso, che la legge mosaica viene da Dio, che il popolo eletto da Dio è la stirpe di Abramo, che il segno dell’alleanza è la circoncisione.
Paolo è il teorico della inculturazione più radicale, oltre che uomo di azione e dice che il Dio di Gesù Cristo è il Dio che ha procurato a tutti gli uomini un’unica via di salvezza in Cristo. La via della legge è ormai anacronistica e non è più una via di salvezza, come la circoncisione non è più il segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Tutti gli uomini sono su di un piede di parità di fronte alla salvezza.
Gli uomini, dice Paolo, restano culturalmente quello che sono, i giudei restano giudei e i greci restano greci, ognuno con le proprie tradizioni. A tutti si chiede una decisione personale, la fede in Cristo, che è un elemento transculturale, insieme comune a diverse culture, ma non avulso dalle culture. È stata la grande intuizione di Paolo quella di una umanità riunita nell’elemento comune della fede, una umanità riconciliata, senza che vengano tolte le differenze e senza che una cultura diventi egemone sulle altre. La grande frattura del tempo, tra mondo giudaico e pagano, per Paolo è superata in Cristo, in quanto le differenze culturali restano, ma depotenziate sulle cose fondamentali.
Paolo esprime la fede eucaristica in una cultura pagana, la comunione dell’uomo con Dio (i sacrifici pagani sono riti di comunione dei partecipanti con il loro dio) viene trasferita nella cena del Signore. Come pure Paolo per esprimere il battesimo usa la categoria dei misteri, la partecipazione dei fedeli al destino del dio.
Paolo sa cogliere nella cultura greco-romana anche altri valori: il valore dell’autarchia, dell’essere autosufficiente, come pure il valore della libertà, della coscienza, del vivere secondo natura, l’immagine della comunità come un corpo (apologo Menenio Agrippa).
Ma Paolo è anche molto critico nei confronti della cultura greco-romana, in particolare critica l’autosufficienza salvifica dell’uomo. La fede e l’agape sono più importanti della sapienza.
Il cristianesimo ha messo solide radici per la capacità di incarnarsi nelle diverse culture, di diventare la risposta valida ai grandi aneliti dell’uomo di allora.