Archive pour janvier, 2019

BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C) (13/01/2019)

https://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44883

BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C) (13/01/2019)

Lo «stare in preghiera» fa la differenza
Vito Calella

Custodendo nel cuore e nella mente il racconto del Vangelo di Luca, scopriamo che il fatto in sé del battesimo di Gesù nel fiume Giordano è un dettaglio secondario. Giovanni Battista non è nemmeno nominato nella descrizione dell’evento. Gesù è mescolato tra la gente, ma anche quella scelta di stare in mezzo ai peccatori è secondaria. Lo stare inpreghiera fa la differenza. Grazie al suo stare in preghiera si realizzò una magnifica manifestazione divina: l’aprirsi dei cieli, il discendere corporeo dello Spirito Santo come colomba e l’ascolto della voce dal cielo, che rivelò l’identità di Gesù e il compiacimento del Padre: «Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: « Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento »» (Lc 3, 21-22).
All’evangelista Luca sta a cuore contemplare Gesù in atteggiamento costante di preghiera. Lo ripeterà per altre otto volte nel suo Vangelo (Lc 5,16; 6, 12; 9,18.28-29; 11,1; 22,41; 23,46). Praticare la preghiera fu la cura constante di Gesù di Nazareth, per perseverare in sintonia con la volontà del Padre e compiere la sua missione fino al compimento finale della sua morte di croce. Il tempo dedicato a pregare permetteva a Gesù di essere costantemente guidato dallo Spirito Santo nell’esercizio della sua missione a servizio del Regno di Dio.
Scegliere di pregare ogni giorno sia dunque la chiave essenziale per mantenere sempre vivo in noi il dono dello Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, per non soffocare l’efficacia del dono del nostro battesimo. Tra tutte le attività programmate e cronometrate, di cui è piena la nostra giornata, la sacra scelta del nostro stare in preghiera, per vivere il l’incontro orante con la Parola di Dio, è il segreto per la buona riuscita di tutte le molteplici attività quotidiane.
Lo «stare in preghiera» apre i cieli liberandoli dalle nuvole dell’egoismo e del peccato.
La preghiera di Gesù nel giorno del suo battesimo inaugurò l’apertura dei cieli a favore di tutta l’umanità, cioè il dono della liberazione dai nostri peccati e dalle forze del male che offuscano l’orizzonte della vita. In quel giorno si realizzò la supplica che troviamo espressa nel libro del profeta Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63, 19a). Il profeta Isaia vedeva solo il cielo coperto della ribellione del popolo, del suo vagare lontano dalle vie del Signore. La manifestazione pubblica di Gesù, iniziata nel giorno del suo battesimo, fu paragonata all’aprirsi dei cieli per far irrompere la luce dell’iniziativa d’amore di Dio, che in Gesù veniva a riscattare il popolo dalla chiusura del peccato e dell’egoismo. Quella luce scende ancora oggi per liberarci dalla schiavitù del nostro peccato e delle conseguenze su di noi dell’egoismo di tutta l’umanità. I cieli squarciati nel giorno del battesimo di Gesù sono il riflesso della consolazione del popolo ascoltata nella prima lettura: «Consolate il mio popolo, parlate al cuore di Gerusalemme e ditele: è finita la tua schiavitù, è stata scontata la tua iniquità» (Is 40,1). Gesù è il Dio buon pastore che viene con la potenza della misericordia del Padre per condurci e radunarci, noi suo gregge, ai pascoli della pace.
La preghiera personale ravviva in noi la forza trasformante del nostro battesimo.
La nostra preghiera squarcia le nubi grigie delle nostre inconsistenze, infedeltà e pessimismi, come abbiamo ascoltato per mezzo dell’apostolo Paolo: «È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13).
Lo «stare in preghiera» rende possibili relazioni di gratuità.
La preghiera di Gesù nel giorno del suo battesimo permise alla sua umanità di accogliere liberamente il dono dello Spirito Santo, posato su di lui in forma «corporea» di colomba, in modo che tutte le sue relazioni con la gente, nello svolgersi della sua missione pubblica, fossero caratterizzate dalla pratica concreta della gratuità dell’amore. E così noi possiamo contemplare l’agire di Gesù di Nazareth, documentato nei racconti evangelici, che si rivela in vere e autentiche relazioni di accoglienza, di perdono, di tenerezza, di servizio.
La nostra preghiera ci allena e ci abilita ad essere artefici di opere buone di gratuità in tutte le nostre relazioni quotidiane perché Gesù «ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,14).
Lo «stare in preghiera» ci fa vivere centralizzati nel mistero pasquale di Cristo.
La preghiera di Gesù nel giorno del suo battesimo rivelò quanto Gesù amava la Parola di Dio e in essa si rispecchiava per comprendere e confermare la sua missione. Quella voce del Padre, venuta dal cielo celebra la consapevolezza di Gesù, maturata nella preghiera alla luce delle Sacre Scritture, della sua identità messianica nella linea del servo sofferente, preannunciata dai testi del servo di JHWH del profeta Isaia e dal salmo 2. E Gesù fu fedele fino in fondo alla sua vocazione e missione, compiendola con l’offerta del suo corpo e del suo sangue per tutti noi e per la nostra salvezza.
La nostra preghiera rende sempre viva in noi la voce della Parola di Dio. La Parola (voce) di Dio pregata ci orienta a centrare la nostra esistenza nel mistero della morte e risurrezione di Gesù e ci fa sentire fortemente la gioia di essere peccatori già perdonati, figli amati del Padre, già giustificati prima ancora di aver dato prova delle opere giuste da noi compiute. E questo è uno degli annunci più belli che possiamo offrire nel nostro essere missionari della Parola del Signore, come abbiamo ascoltato: «Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna» (Tt 3, 4-7).

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 11 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

Basilica di San Pietro 1450

Basilica_di_San_Pietro_1450 - Copia

Publié dans:immagini di chiese |on 10 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO Identità ed eredità – 23 ottobre 2018 (anche Paolo)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2018/documents/papa-francesco-cotidie_20181023_identita-ed-eredita.html

PAPA FRANCESCO Identità ed eredità – 23 ottobre 2018 (anche Paolo)

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.242, 24/10/2018)

L’identità e l’eredità del cristiano sono fatte di speranza, forse «la virtù teologale più dimenticata» e «più difficile da capire». Lo ha sottolineato Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta martedì mattina, 23 ottobre.
Prendendo spunto come di consueto dalle letture (tratte dalla lettera di san Paolo agli Efesini 2, 12-22 e dal vangelo di Luca 12, 35-38), all’omelia il Pontefice ha subito individuato «due parole con le quali possiamo descrivere il messaggio liturgico di questa giornata: cittadinanza ed eredità».
Soffermandosi sulla prima ha quindi spiegato che nella lettura l’apostolo «ci parla di questo». Si tratta, ha chiarito di «un regalo che Dio ci ha fatto, a tutti noi: ci ha fatti cittadini, cioè ci ha dato identità. Ci ha dato la carta d’identità». Del resto il Signore «in Gesù ha abolito la Legge per ricreare in se stesso tutto, per riconciliare tutti, anche noi, tutti… eliminando l’inimicizia che noi avevamo con Lui. È venuto ad annunciare “pace a voi”, a tutti. E adesso, “possiamo presentarci gli uni e gli altri al Padre in un solo Spirito”; ci ha fatto “uno”». Insomma «questa è la nostra cittadinanza: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi” in Gesù e in Lui, anche voi “edificati insieme” per diventare abitazione dello Spirito Santo». Dunque per Francesco «la nostra identità è proprio questo essere guariti dal Signore, essere costruiti in comunità e avere lo Spirito Santo dentro. Un cristiano è quello. E la forza è lo Spirito che ha dentro». Di conseguenza «camminiamo, con questa forza, con questa sicurezza, con questa fermezza: siamo concittadini e Dio è con noi. Anzi, Lui ci porta avanti, ci fa camminare».
Verso dove? Verso «l’altra parola» che il Pontefice ha voluto proporre: ovvero «l’eredità. Identità ed eredità. E l’eredità è quello che Gesù nel Vangelo ci dice: l’eredità è quello che noi cerchiamo nel nostro cammino, quello che noi riceveremo alla fine; ma dobbiamo cercarlo ogni giorno, andare verso questa eredità». E tutto ciò è riassunto, ha detto ancora il Papa, nella «grande virtù della speranza, la virtù teologale forse più dimenticata, forse più difficile da capire», ma «quella che ci porta avanti nel cammino della nostra identità verso l’eredità». In effetti i cristiani sanno «cos’è la fede: è facile capirla e anche non è difficile praticarla. Tutte e tre — fede, carità e speranza — sono un dono. La fede, la capiamo bene. La carità è più facile ancora da capire: è fare del bene, con Dio e con gli altri. Ma la speranza, cosa è?», si è chiesto Francesco. E la risposta è stata che «la nostra eredità è un po’ difficile da capire». Quindi immaginando una sorta di dialogo ha chiarito: «“Sì, sì, è sperare: ma sperare, attendere… cosa è? Cosa speri, tu?” — “Io, sì, io spero il Cielo!” — “Ma cosa è il Cielo, per te?” — “Sì, è la luce, sì, è incontrare tutti i Santi, è una felicità eterna…” ma no è facile da capire, cosa è la speranza. Vivere in speranza è camminare, sì, verso un premio, verso la felicità che non abbiamo qui ma l’avremo là… è una virtù difficile da capire».
Ma al di là delle difficoltà, la speranza ha anche altre caratteristiche, che il Papa ha elencato: per esempio «è una virtù umile, molto umile»; e soprattutto «è una virtù che non delude mai: se tu speri, mai sarai deluso. Mai, mai». Inoltre «è anche una virtù concreta». Ma, potrebbe essere l’obiezione, «come può essere concreta, se io non conosco il Cielo o quello che mi aspetta?». E ancora una volta la risposta non lascia spazio a dubbi: la speranza è l’eredità del cristiano, dunque speranza «verso qualcosa», non verso «un’idea» o verso «un posto bello» Di più: essa «è un incontro». Al punto che «Gesù — ha fatto notare il Papa — sempre sottolinea questa parte della speranza, questo essere in attesa». Come nel Vangelo odierno, in cui essa è raffigurata nell’incontro «del padrone, quando torna da una festa». O come quando Gesù «parla, nella parabola, delle ragazze stolte e delle ragazze sagge»: anche in quel caso infatti è «un incontro con il Signore che viene dalle nozze, con lo sposo». Perché «sempre è un incontro, un incontro con il Signore. È concreto».
Purtroppo però, ha osservato Francesco, «tante volte, noi non sappiamo questo… o ci facciamo della speranza un’idea strana… “sì, saremo nel Cielo, lì… lì c’è la musica, ci sono i canti, una bella festa…” — “Ma sarà noiosa?!” — “No, no, no, ma sarà bella…”: no. È incontrare il Signore. È un incontro». E offrendo una confidenza personale il Papa ha spiegato che quando lui pensa alla speranza, gli viene in mente in particolare un’immagine: «La donna gravida, la donna che aspetta un bambino. Va dal medico, gli fa vedere l’ecografia — “ah, sì, il bambino… va bene”… No!». Al contrario «è gioiosa! E tutti i giorni si tocca la pancia per accarezzare quel bambino, è in aspettativa del bambino, vive aspettando quel figlio». E «questa immagine ci può far capire che cosa sia la speranza: vivere per quell’incontro. Quella donna immagina come saranno gli occhi del figlio, come sarà il sorriso, come sarà, biondo o moro… ma immagina l’incontro con il figlio. Immagina l’incontro con il figlio». Dunque, ha ribadito il Pontefice, «questa immagine, questa figura ci può aiutare tanto a capire che cosa è la speranza» e a «domandarci: “Io spero così, concretamente, o spero un po’ diffuso, un po’ gnosticamente?”. La speranza è concreta, è di tutti i giorni perché è un incontro. E ogni volta che incontriamo Gesù nell’Eucaristia, nella preghiera, nel Vangelo, nei poveri, nella vita comunitaria, ogni volta diamo un passo in più verso questo incontro definitivo». Da qui l’auspicio che i cristiani abbiano «la saggezza di saper gioire dei piccoli incontri della vita con Gesù, preparando quell’incontro definitivo».
Un auspicio riproposto nelle considerazioni conclusive in cui, ricapitolando, Francesco ha spiegato come l’identità sia il «grande regalo di Dio che ci ha fatti una comunità, ci ha fatti eredi di questo»; e come l’eredità sia «quella forza con cui lo Spirito Santo ci porta avanti con la speranza». Con l’esortazione finale a pensare «oggi a queste due parole: la mia carta d’identità, qual è? Come sono cristiano? E poi: com’è la mia speranza? Cosa aspetto in eredità?».

 

medioevo, sulla via Francigena

sulla via francigena

Publié dans:immagini varie |on 8 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

NEL CAMMINO VERSO DIO È IMPOSSIBILE FARE DA SOLI (anche Paolo)

http://www.donboscoland.it/nel-cammino-verso-dio-e-impossibile-fare-da-soli

NEL CAMMINO VERSO DIO È IMPOSSIBILE FARE DA SOLI

da Teologo Borèl

del 09 novembre 2012

« Grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo », scrive San Paolo ai cristiani di Tessalonica. « Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto. La vostra fede infatti cresce rigogliosamente e abbonda la vostra carità vicendevole ». Con l’assistenza dello Spirito Santo alla sua Chiesa i primi fedeli godettero della dedizione sacrificata dei loro pastori. I farisei non seppero invece guidare il popolo eletto perché, per loro colpa, rimasero senza luce, e caricarono i figli di Israele di un peso aspro e duro, che non li avvicinava a Dio. Il Signore nel Vangelo della Messa li chiama « guide cieche », incapaci di indicare ad altri la retta via.
Una delle maggiori Grazie che potevamo ricevere è di avere chi ci orienta nel cammino della vita interiore; e se ancora non abbiamo trovato chi ci dia dottrina e ci consigli, in nome di Dio, nella costruzione del nostro edificio spirituale, chiediamolo al Signore: « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto ». Egli non rimarrà sordo alla nostra richiesta.
Nella direzione spirituale troviamo la persona, voluta dal Signore, che conosce bene la strada; le apriremo l’anima e sarà per noi maestro, medico, amico, il buon pastore per tutto ciò che fa riferimento a Dio. Ci mostra i possibili ostacoli, ci suggerisce mete più alte di vita interiore e punti concreti di lotta; ci incoraggia sempre, ci aiuta a scoprire nuovi orizzonti e risveglia nell’anima fame e sete di Dio, che la tiepidezza, sempre in agguato, vorrebbe soffocare. La Chiesa fin dai primi secoli ha raccomandato la pratica della direzione spirituale personale come mezzo efficacissimo per progredire nella vita cristiana. E’ assai difficile che qualcuno possa essere guida di se stesso nella vita interiore. Spesso il coinvolgimento emotivo, la mancanza di obiettività con cui guardiamo a noi stessi, l’amore proprio, l’inclinazione ad abbandonarci a quel che più ci aggrada, che ci risulta più facile, tendono ad annebbiare la via che conduce a Dio (forse all’inizio cosi chiara!); e quando non c’è chiarezza sopravvengono la fiacchezza, lo scoraggiamento e la tiepidezza. « Colui che vuole restare solo senza il sostegno di un maestro e di una guida, è come un albero solo e senza padrone in un campo, i cui frutti, per quanto abbondanti verranno colti dai passanti e non giungeranno quindi alla maturità […]. L’anima virtuosa, ma sola e senza maestro è come il carbone acceso ma isolato, il quale invece di accendersi si raffredderà ». E’ una Grazia del Signore davvero speciale poter contare su di una persona che ci aiuti efficacemente nella nostra santificazione, alla quale poter dischiudere il nostro cuore con una confidenza piena di senso umano e soprannaturale. Sarà una grande gioia poter comunicare i nostri sentimenti più intimi, per orientarli al Signore, a chi ci comprende, ci incoraggia, ci apre orizzonti nuovi, prega per noi e ha una Grazia speciale per aiutarci. Nella direzione spirituale troviamo Cristo stesso che ci ascolta con attenzione, ci comprende e ci dà forza e luci nuove per procedere sicuri.
A chi dobbiamo rivolgerci visione soprannaturale nella direzione spirituale
Nella direzione spirituale dev’essere presente un profondo senso umano e un grande spirito soprannaturale; per questo, la confidenza « non si fa a una persona qualunque, ma a chi merita la nostra fiducia per quello che è o per ciò che Dio lo fa essere per noi ». Per San Paolo Dio aveva scelto Ananìa, che lo fortificasse nel cammino della conversione; per Tobia fu l’arcangelo San Raffaele, nella figura di un uomo incaricato da Dio di orientarlo e di consigliarlo nel suo lungo viaggio.
E’ imprescindibile per la direzione spirituale un clima soprannaturale: cerchiamo la voce di Dio. Per chiedere consiglio o per confidare una preoccupazione esclusivamente umana, tralasciando il piano soprannaturale, forse basterebbe rivolgersi a una persona capace di comprendere, discreta e prudente; ma per tutto quanto si riferisce all’anima, dobbiamo discernere nell’orazione chi sia il « buon pastore » per noi, « poiché si corre il pericolo, se ci si basa soltanto su motivi umani, di non essere ascoltati né capiti; e allora l’allegria si trasforma in amarezza, e l’amarezza sfocia nell’incomprensione che non dà sollievo; in ogni caso si prova disagio, l’intimo malessere di chi ha parlato troppo, con chi non doveva, di ciò che non doveva ». Non dobbiamo scegliere « guide cieche » che più che aiutarci ci porterebbero ad inciampare e cadere.
Se andiamo alla direzione spirituale con senso soprannaturale eviteremo anche di cercare un consiglio che favorisca il nostro egoismo, che tranquillizzi con una sua presunta autorità la voce della nostra anima; e addirittura che si continui a cambiare consigliere fino a trovare il più benevolo. Questa tentazione può manifestarsi specialmente in ambiti e casi particolarmente delicati, nei quali forse non si è disposti a cambiare, nell’intento di piegare la volontà di Dio alla propria: per esempio, la scoperta della propria vocazione, che comporta un impegno maggiore; il dover rompere con un’amicizia pericolosa; la generosità nel numero dei figli, per gli sposi, eccetera. Chiediamo al Signore che ci renda persone di coscienza retta, che cercano la sua volontà e che non si lasciano condurre da motivi umani: che cercano veramente di piacere a Lui, e non una falsa tranquillità o di far bella figura. Allo stesso modo, sarebbe una mancanza di visione soprannaturale essere eccessivamente preoccupati del « che cosa avranno pensato », di « che cosa penseranno », dell’opinione che si son fatti di noi. La visione soprannaturale conduce alla sincerità e alla semplicità.
La vita interiore matura nel tempo e non si improvvisa dalla sera alla mattina. Andremo incontro a sconfitte, che ci aiuteranno a essere più umili e a vittorie, che mostrano quanto la Grazia agisce efficacemente dentro di noi; avremo bisogno di cominciare e ricominciare molte volte, senza scoraggiarci e senza aspettare – anche se a volte vengono – risultati immediati, che talora il Signore vuole che non vi siano in vista di un bene maggiore. COSTANZA, SINCERITÀ E DOCILITÀ
Dietro questa lotta ascetica allegra dev’esserci la direzione spirituale, che non può essere sporadica o discontinua, ma seguire passo dopo passo gli alti e bassi del nostro sforzo.
1) Costanza anche nelle difficoltà: quando, per esempio, il tempo scarseggi a causa di un lavoro particolarmente assorbente, per chi è studente, per l’approssimarsi degli esami… Dio premia questo sforzo con nuove luci e Grazie. Altre volte le difficoltà sono interiori: pigrizia, superbia, scoraggiamento perché le cose vanno male, perché non si è riusciti a compiere quanto ci si era proposto.
E’ il momento in cui abbiamo maggior bisogno di una chiacchierata fraterna, o di una Confessione, dalla quale usciremo con più speranza e allegria, con una spinta nuova ad andare avanti nella lotta. Un quadro è fatto di pennellate e pennellate, e una corda robusta è un intreccio di molti fili: è nella continuità della direzione spirituale, settimana dopo settimana, che l’anima si va forgiando; a poco a poco, attraverso sconfitte e vittorie, lo Spirito Santo costruisce l’edificio della santità.
2) Accanto alla costanza, è imprescindibile la sincerità; cominciamo sempre col dire la cosa più importante, che forse è proprio quella che ci costa di più manifestare; questo è essenziale sia agli inizi sia per perseverare. I frutti possono farsi attendere proprio per non aver dato fin da subito una chiara immagine di quel che ci succede, di come siamo realmente; oppure per esserci soffermati su cose e fatti meramente accidentali, di contorno, non giungendo alla sostanza. Sincerità senza finzioni, esagerazioni o mezze verità: nel concreto, nel particolare, con delicatezza, quando sia necessario, chiamando i nostri errori, i difetti del carattere, col loro nome, senza volerli mascherare con eufemismi o palliativi: perché? Come? Quando?… circostanze che caratterizzano con più efficacia lo stato dell’anima.
3) Un’altra condizione perché la direzione spirituale dia frutto è la docilità. Furono docili quei lebbrosi che, come se fossero già stati mondati, andarono a presentarsi ai sacerdoti come Gesù aveva loro ordinato; furono docili gli apostoli quando il Signore disse loro da far sedere la folla che lo seguiva e dar loro da mangiare, nonostante che essi, avendo già fatto i calcoli, sapessero bene che le provviste raccolte erano del tutto insufficienti.
Pietro è docile quando getta le reti pur avendo più volte sperimentato che in quel luogo non c’erano pesci, e l’ora non era opportuna. San Paolo si lascerà guidare; la sua personalità forte, emersa in vari modi e in tante occasioni, gli serve ora per essere docile. Prima i suoi compagni di viaggio lo portarono a Damasco, poi Ananìa gli renderà la vista, ed eccolo divenuto un uomo capace di sostenere le battaglie del Signore.
Non potrà essere docile chi insiste a essere cocciuto, ostinato, incapace di accogliere un’idea diversa da quella che ha già o che gli detta l’esperienza. Il superbo è incapace di essere docile perché, per imparare e consentire che ci aiutino, è necessario che siamo convinti della nostra pochezza e indigenza in tanti aspetti della nostra vita spirituale. Rivolgiamoci alla Santissima Maria per essere costanti nel farci dirigere, sinceri, aprendo il cuore veramente, e docili, come « la creta in mano al vasaio ».

 

Publié dans:TEOLOGIA |on 8 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

red camelia

Red Camellia (Camellia sasanqua) after a light snowfallred camelia

Publié dans:immagini |on 7 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

L’ANNUNCIO DEL VANGELO AI POPOLI DEL MEDITERRANEO (anche Paolo)

http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Sintesi?num=48

L’ANNUNCIO DEL VANGELO AI POPOLI DEL MEDITERRANEO (anche Paolo)

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio

Verbania Pallanza, 5-6 novembre 1988

Il cristianesimo è sorto in un dato contesto storico culturale. Il modo in cui è avvenuta l’inculturazione alle origini può offrire indicazioni per le necessarie inculturazioni di oggi, su come impostare oggi il rapporto fede cultura.

uno spazio unitario per due culture
Il cristianesimo è nato in uno spazio unitario che racchiude due ambienti culturali, il giudaismo e la cultura greco-romana, ambienti non separati ma distinti.
Dal punto di vista geografico lo spazio unitario comprende i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La costa africana ha avuto contatti col cristianesimo alla fine del secondo secolo, con Cipriano, Tertulliano e successivamente con Agostino. Dall’Egitto (dove nasce il vangelo degli gnostici) alla Palestina, alla Siria, alla penisola anatolica, alla Grecia, all’Italia, alla Gallia (toccata alla fine del secondo secolo), alla Spagna.
È uno spazio unitario dal punto di vista politico, tutto sotto la dominazione romana. Il potere centrale era nelle mani dell’imperatore che governava coadiuvato dal Senato; il potere periferico era rappresentato dai governatori della varie province; c’era poi il potere municipale della diverse città stato. Sul piano amministrativo Roma lasciava molta autonomia alla municipalità locale.
Sul piano sociale nell’impero romano (60-70 milioni di persone) c’era l’aristocrazia (uno per cento) che deteneva il potere politico. I non aristocratici comprendevano i cittadini che godevano dei diritti politici, i peregrini che non avevano lo statuto legale di cittadini e gli schiavi che erano i meno protetti. Tra i cittadini bisogna distinguere i commercianti, i proprietari terrieri, gli artigiani o anche i contadini dalla plebe, che a Roma era mantenuta direttamente dall’imperatore.
Dal punto di vista sociologico la diffusione del cristianesimo è avvenuta tra gli artigiani e gli schiavi. Nei primi cento anni a Roma ci sono solo 5 o 6 aristocratici tra i cristiani. Nel mondo greco-romano chi lavorava, come gli artigiani, era molto disprezzato.
È poi uno spazio unitario anche dal punto di vista linguistico. Si parla la lingua greca, la koiné. A Roma, fino alla fine del secondo secolo i cristiani parlano e scrivono in greco. Il latino comincia ad imporsi con Tertulliano, Cipriano. Paolo parlava in greco e poteva farsi capire dovunque nell’impero romano.
In questo spazio unitario coesistono due culture egemoni. Cultura qui è intesa non come istruzione, ma in senso antropologico, come tutto ciò che è creato e prodotto dall’uomo (in contrapposizione a natura, a ciò che è già dato). La cultura è il risultato dell’azione creatrice e facitrice dell’uomo, sono i modi di pensare, di agire, di dire, di vivere, sono i simboli interpretativi del mondo, le istituzioni, la famiglia, i valori etici, le idee religiose, i riti. La cultura, che definisce l’uomo come storia, come libertà creatrice, non è un dato immutabile, ma muta continuamente.
La cultura giudaica esercitava una grande forza di attrazione sugli spiriti più nobili che avvertivano la crisi spirituale del mondo di allora. Gli ebrei costituivano più del 10 per cento della popolazione dell’impero romano calcolata intorno ai 60 milioni di persone. Dei 6-7 milioni di ebrei solo un milione viveva in Palestina. Un milione viveva in Egitto e un milione nella penisola anatolica e molte colonie ebraiche erano in Mesopotamia.
Il mondo giudaico aveva non solo il tempio di Gerusalemme, simile in questo ad altre religioni, ma anche la struttura capillare delle sinagoghe, luogo di preghiera, di lettura e interpretazione della bibbia. Questa struttura ha salvato l’identità giudaica quando il tempio è stato distrutto nel 70 d.C.
Nelle sinagoghe accanto agli ebrei c’erano i proseliti, pagani convertiti circoncisi e i timorati di Dio, pagani convertiti ma non circoncisi e non osservanti delle prescrizioni sul puro e l’impuro. Il cristianesimo si diffonde attraverso le sinagoghe.
Il mondo pagano aveva un’idea molto negativa dei cristiani, che riteneva empi, superstiziosi. La stima pubblica cresce con Giustino, che presenta il cristianesimo come una scuola filosofica.
La cultura ebraica in campo religioso consisteva in un monoteismo molto rigido, nella concezione di un Dio personale creatore del mondo, presente nella storia con un progetto di salvezza. Questo Dio aveva parlato e le Scritture contenevano la sua parola. Gli ebrei si ritenevano un popolo eletto la cui vita era regolata dalla legge divina. Il rigore etico, ad esempio in campo sessuale, era sconosciuto nel mondo di allora, come pure il grande senso di giustizia. Il mondo era visto come creatura in cui l’uomo aveva una centralità.
Al tempo di Gesù era importante l’apocalittica: si riteneva che il mondo creato da Dio fosse corrotto in modo irrimediabile e quindi destinato alla distruzione con l’avvento di un mondo nuovo già pronto.
Altra caratteristica è la concezione dell’uomo come essere in ascolto, chiamato ad ascoltare la parola di Dio (si privilegia l’orecchio) e ad osservarla. Non c’è spazio per la visione, per l’estetica, per l’architettura, la scultura, la pittura. Il frutto dello spirito ebraico è la letteratura, la bibbia.
La cultura greca è incentrata sull’occhio, sulla visione, sulla contemplazione, sul bello.
L’ideale nella cultura ebraica è il fare nell’obbedienza, il realizzare progetti, mentre l’ideale dell’uomo nel mondo greco è il signore che non lavora, che non si sporca le mani.
In campo religioso il mondo-greco romano non era giunto ad un’immagine di Dio personale (sacralizzazione del potere) ed era incapace di rispondere ai problemi dell’esistenza, con una visione sostanzialmente pessimistica dominata dal Fato. La religione ufficiale era in grave crisi e trionfavano le religioni misteriche che venivano dall’oriente, tra cui ebraismo e cristianesimo, più capaci di andare incontro ai bisogni fondamentali dell’uomo.
Per l’ebreo il mondo greco romano era dominato dalla impudicizia, dalla lussuria sfrenata, dalla omofilia, dalla violenza dall’amore per il denaro.
Nel mondo greco romano c’era anche la corrente stoica che affermava i grandi valori etici di un uomo distaccato dalle cose e libero dalle passioni in ottemperanza alle norme della legge naturale. Seneca è apparso come il grande santo del mondo greco-romano.
Il testo canonico dei cristiani, il Nuovo Testamento, è stato scritto nel greco comune.
l’inculturazione cristiana
Le fede cristiana ha un’origine divina, ma si è incarnata in questo mondo. Il processo di inculturazione è necessario pena l’estraneità della fede all’uomo. E l’inculturazione non è solo necessaria, ma provvidenziale, altrimenti non è una fede dell’uomo.
C’è il rischio dello svuotamento della fede da parte della cultura. La cultura può assorbire la provocazione della fede, svuotandola. L’inculturazione è incarnazione non svuotamento. Il figlio di Dio che diventa uno di noi, lo diventa per farci diventare figli di Dio: è una presenza critica, innovatrice.
L’inculturazione è un processo dialettico, dinamico, creativo, innovativo, che implica il passaggio da una cultura ad un’altra, pena l’insignificanza e l’estraneità.
Gesù e il suo ambiente
Gesù non appartiene al cristianesimo delle origini, ma ne è la fonte, il fondamento, il referente necessario.
La prima forma cristiana è il giudeo cristianesimo di lingua aramaica. Il cristianesimo nasce dalla fede nella resurrezione da parte dei discepoli di Gesù nelle prime comunità palestinesi della chiesa di Gerusalemme.
Quasi parallelo c’è un cristianesimo di giudeo-cristiani di lingua greca, la chiesa dei sette, tra cui Stefano. Inoltre nasce la chiesa di Antiochia, l’ambiente di Paolo.
Ci sono due grandi forme di comunità cristiane : quella giudeo-cristiana costituita da ex giudei e quella etnico-cristiana costituita da incirconcisi di lingua romana e greca.
Il processo di inculturazione è stato fatto soprattutto dai giudeo-cristiani di lingua greca, con Paolo grande artefice, che ha saputo esprimere i contenuti della fede cristiana nella cultura greca.
Il prevalere del cristianesimo sul giudaismo è opera di Paolo, che è riuscito a denazionalizzare il giudaismo troppo legato a Gerusalemme. Paolo recide i legami con il giudaismo, riuscendo a internazionalizzare il cristianesimo. Ha mantenuto le scritture che erano in lingua greca e ha abbandonato la legge mosaica, la circoncisione, il modo di vivere giudaico. « Con i giudei ho vissuto da giudeo, ma con quelli che non erano sottomessi alla legge ho vissuto da pagano » (1Cor 9). Per questo Paolo è stato giudicato dal mondo ebraico e dal mondo giudeo-cristiano osservante un rinnegato, un fedifrago.
Gesù, galileo di origine, nato 7-8 anni prima dell’era volgare e morto attorno al 30, è un giudeo in tutto per tutto, anche come condizionamenti culturali. Parla della indissolubilità del matrimonio da ebreo in termini di ripudio (Matteo) e non di divorzio come invece dirà il vangelo di Marco, in contatto con il mondo greco-romano.
Nel mondo giudaico di allora vi erano movimenti di riforma spirituale in opposizione alle grandi autorità sacerdotali molto corrotte, come i movimenti battisti, che volevano vivere in modo genuino la fede ebraica. Il movimento di Gesù è un movimento riformatore all’interno del giudaismo: non voleva fondare comunità a parte, ma rifondare il giudaismo. Anche i primi cristiani si muovevano in questa ottica. È stato Paolo a trasformare il cristianesimo.
Anche all’esterno Gesù appariva con i tratti del mondo giudaico, come un rabbi, interprete della bibbia e della legge mosaica, con uno stuolo di discepoli che imparavano dal maestro.
Gesù presenta però delle originalità: sceglie i propri discepoli (non sono gli allievi che fanno domanda), mette al centro la sua persona e non la legge, rimane l’unico rabbi (i discepoli non diventano rabbi). Inoltre Gesù, a differenza dei rabbi del tempo, era itinerante.
Gesù si presenta con alcuni tratti del profeta, annuncia la parla di Dio. Attorno al lui nascono sogni messianici, ma Gesù ha molte perplessità ad attribuirsi il titolo di Messia.
L’immagine che Gesù ha di Dio è tipica della tradizione ebraica. Nell’annunciare la prossimità del regno di Dio, di Dio che si fa re, si ricollega alla attesa giudaica della regalità di Dio, con la novità di affermarne la sua presenza nella storia attraverso i propri gesti: ci sono già manifestazioni del Dio re liberatore attraverso i gesti di Gesù. A differenza degli apocalittici assume la grande speranza di un mondo nuovo, che esce faticosamente dal di dentro del mondo attuale, dall’interno del cuore di ogni uomo, a differenza degli apocalittici e degli zeloti.
Anche l’immagine di Dio Padre è molto presente nel mondo ebraico (Dio padre dei miseri…). Gesù accentua la dimensione di familiarità (papà) e utilizza l’immagine paterna in senso antidiscriminatorio (fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti).
Gesù poi accetta la legge di Dio ma con originalità (il sabato è per l’uomo, superamento della legge del puro e dell’impuro, tutta la legge è racchiudibile nell’amore di Dio e del prossimo)
La fede di Gesù è giudaica, seppure di tipo riformista.
il giudeo-cristianesimo
Il cristianesimo nasce dopo la morte di Gesù e nasce come giudeocristianesimo di lingua aramaica a Gerusalemme, ancora non distinto dal giudaismo. Era una forma di giudaismo con in più la cena il giorno dopo il sabato e la fede in Gesù resuscitato come Messia. (E da subito ci sono varie interpretazioni di questa fede. Nel mondo giudaico si parla di risurrezione, Luca all’interno del mondo greco parla di Gesù che è vivo, Paolo di spirito vivificante. Anche l’esaltazione alla destra del Padre appartiene alla cultura ebraica. È una categoria apocalittica la concezione di Gesù come il figlio di Dio che verrà e che inaugurerà un mondo nuovo.) Queste comunità giudaicocristiane che parlavano aramaico erano particolaristiche e accoglievano i pagani solo se si giudaicizzavano, se si facevano circoncidere. Avevano una cristologia elementare, dell’uomo Gesù, risuscitato da Dio e che viene come figlio dell’uomo a giudicare. Erano fortemente antipaoline . Hanno fatto una inculturazione assorbente, perdendo la grande capacità di libertà di Gesù e appiattendosi totalmente sul giudaismo.
Il giudeocristianesimo di lingua greca appare a Gerusalemme nella comunità diretta da sette leaders. Paolo. I giudei della diaspora, rispetto a quelli di Palestina, insistevano meno sui sacrifici e sul tempio e molto più sul culto della vita. Il cristianesimo di lingua greca è molto critico del tempio, del culto sacrificale e della classe sacerdotale, approfondendo la critica già avviata da Gesù. La cosa importante non sono le prescrizioni alimentari, tabuistiche, ma il cuore dell’uomo. Queste concezioni fanno entrare in conflitto questi cristiani con la sinagoga e le autorità. Inoltre queste comunità hanno un’apertura universalistica al mondo pagano: non si richiede la circoncisione, ma solo la fede.
Questo gruppo, perseguitato a Gerusalemme, si disperde e ad Antiochia accoglie i pagani senza imporre la circoncisione. Matura anche un nuovo concetto di popolo di Dio, prima segnato dalla circoncisone, ora solo dalla fede in Cristo. La cristologia è maggiormente sviluppata. I giudeo cristiani di lingua greca applicano a Gesù le concezioni della sapienza, preesistente al mondo e che viene ad abitare tra gli uomini. Si applica a Gesù il nome di Signore riservato a Dio nell’Antico Testamento. Viene inoltre applicata a Gesù la categoria di « euanghelion », di lieta notizia. Gesù è l’evangelista ed è il contenuto della lieta notizia. È una nuova inculturazione della fede.
le comunità etnico-cristiane
L’ultimo grande sviluppo di inculturazione avviene con le comunità di etnico-cristiani, di cristiani di cultura greco romana, una cultura caratterizzata dallo stoicismo, dall’attenzione alle religioni misteriche, con i culti dell’imperatore, del potere.
Paolo costituisce nelle grandi città dell’impero comunità a netta prevalenza etnico cristiana (non legate alla tradizione ebraica). Paolo è il teorico più lucido di questa operazione di sganciamento, smontando gli argomenti dei giudaizzanti e cioè che Gesù era circonciso, che la legge mosaica viene da Dio, che il popolo eletto da Dio è la stirpe di Abramo, che il segno dell’alleanza è la circoncisione.
Paolo è il teorico della inculturazione più radicale, oltre che uomo di azione e dice che il Dio di Gesù Cristo è il Dio che ha procurato a tutti gli uomini un’unica via di salvezza in Cristo. La via della legge è ormai anacronistica e non è più una via di salvezza, come la circoncisione non è più il segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Tutti gli uomini sono su di un piede di parità di fronte alla salvezza.
Gli uomini, dice Paolo, restano culturalmente quello che sono, i giudei restano giudei e i greci restano greci, ognuno con le proprie tradizioni. A tutti si chiede una decisione personale, la fede in Cristo, che è un elemento transculturale, insieme comune a diverse culture, ma non avulso dalle culture. È stata la grande intuizione di Paolo quella di una umanità riunita nell’elemento comune della fede, una umanità riconciliata, senza che vengano tolte le differenze e senza che una cultura diventi egemone sulle altre. La grande frattura del tempo, tra mondo giudaico e pagano, per Paolo è superata in Cristo, in quanto le differenze culturali restano, ma depotenziate sulle cose fondamentali.
Paolo esprime la fede eucaristica in una cultura pagana, la comunione dell’uomo con Dio (i sacrifici pagani sono riti di comunione dei partecipanti con il loro dio) viene trasferita nella cena del Signore. Come pure Paolo per esprimere il battesimo usa la categoria dei misteri, la partecipazione dei fedeli al destino del dio.
Paolo sa cogliere nella cultura greco-romana anche altri valori: il valore dell’autarchia, dell’essere autosufficiente, come pure il valore della libertà, della coscienza, del vivere secondo natura, l’immagine della comunità come un corpo (apologo Menenio Agrippa).
Ma Paolo è anche molto critico nei confronti della cultura greco-romana, in particolare critica l’autosufficienza salvifica dell’uomo. La fede e l’agape sono più importanti della sapienza.
Il cristianesimo ha messo solide radici per la capacità di incarnarsi nelle diverse culture, di diventare la risposta valida ai grandi aneliti dell’uomo di allora.

Publié dans:STORIA DEL CRISTIANESIMO |on 7 janvier, 2019 |Pas de commentaires »
12345

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01