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III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) (27/01/2019)

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III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) (27/01/2019)

Rivolto a chiunque voglia essere Teòfilo
mons. Roberto Brunelli

Il brano evangelico della Messa odierna si compone di due parti distinte. La prima (Luca 1,1-4) è data dall’esordio del vangelo prevalente quest’anno. Prima di mettersi a riferire della vita terrena di Gesù, l’evangelista Luca professa il suo scrupolo di storico: quanto scrive è frutto di « ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi » riguardo agli « avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari ». Segue la dedica e lo scopo del suo scritto: « per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto ».
Chi sia il personaggio per il quale Luca ha composto il suo vangelo non ci è dato sapere; ma considerando il suo nome (Teòfilo significa « amico di Dio ») non è escluso che esso indichi chiunque voglia essere appunto amico di Dio e perciò si preoccupi di conoscerlo meglio, per dare fondamento alla fede che professa. Questo è anche il senso in cui sin dagli inizi i cristiani hanno inteso lo scritto di Luca, accostandolo agli altri tre vangeli che espongono i fatti e gli insegnamenti del loro Signore.
La seconda parte della lettura odierna (Luca 4,14-21) narra un episodio avvenuto nella fase iniziale della vita pubblica di Gesù. A circa trent’anni, trascorsi nell’anonimato dell’insignificante villaggio di Nazaret, egli si era trasferito nella città di Cafarnao, e qui, come poi nei villaggi vicini, egli aveva parlato alle folle e risanato gran numero di malati, guadagnandosi grande notorietà e stima. Un giorno, per la prima volta egli fece ritorno al suo villaggio e, da buon ebreo rispettoso della legge, secondo l’usanza il sabato intervenne all’assemblea comunitaria nella sinagoga. Il momento centrale del rito consisteva nella lettura e relativo commento di un passo della Scrittura. Quella volta si alzò a leggere lui: e possiamo facilmente immaginare con quanta curiosità i presenti attendessero di vedere, quel loro compaesano divenuto famoso, quale brano avrebbe scelto e come l’avrebbe spiegato. Ma tutto potevano aspettarsi, i nazaretani, tranne quello che invece avvenne.
Gli fu dato lo scritto del profeta Isaia, ed egli vi cercò un passo ben noto a tutti, uno di quelli in cui meglio si delineavano i tratti del futuro Messia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio », eccetera. Il passo era di primaria importanza: il popolo d’Israele viveva dell’attesa del Messia; la promessa di un liberatore inviato da Dio accomunava tutti i discendenti di Abramo nella speranza di un riscatto dalle umiliazioni subite nei secoli ad opera di dominatori stranieri e tuttora in corso, con la dura soggezione all’imperatore di Roma. E tuttavia, i presenti a quell’ennesima lettura del profeta si saranno aspettati un commento simile ad altri già sentiti: il nostro Dio non ci ha dimenticato, secondo la sua promessa manderà il suo Inviato, del quale dobbiamo restare in fiduciosa attesa. E invece, mentre « nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui », il commento di Gesù risuonò come una bomba. Disse infatti: « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato »; vale a dire: la profezia sul Messia si realizza oggi, adesso, perché il Messia annunciato sono io!
Come si leggerà domenica prossima, gli abitanti di Nazaret non gli credettero, e anzi lo cacciarono dal paese. In qualche misura li si può capire; non era facile riconoscere il Messia in uno, vissuto sino ad allora in mezzo a loro come un uomo « qualunque ». E anche oggi non è facile, riconoscere nell’umile operaio di Nazaret il « consacrato con l’unzione » (o, per dirla all’ebraica, il Messia, e alla greca, il Cristo). Non è facile; ma è necessario, è vitale, per chiunque voglia essere Teòfilo, cioè amico di Dio.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 24 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

Conversione di San Paolo

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Publié dans:immagini sacre |on 23 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

LECTIO DIVINA: CONVERSIONE DI SAN PAOLO, APOSTOLO

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LECTIO DIVINA: CONVERSIONE DI SAN PAOLO, APOSTOLO

Lectio: Venerdì, 25 Gennaio, 2019

1) Preghiera
O Dio, che hai illuminato tutte le genti
con la parola dell’apostolo Paolo,
concedi anche a noi,
che oggi ricordiamo la sua conversione,
di essere testimoni della tua verità
e di camminare sempre nella via del Vangelo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Dal Vangelo secondo Marco 16,15-18
In quel tempo, apparendo agli Undici, Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, e se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

3) Riflessione
• I segnali che accompagnano l’annuncio della Buona Novella. Infine Gesù appare agli undici discepoli e li riprende perché non hanno creduto alle persone che avevano detto di averlo visto risorto. Di nuovo, Marco si riferisce alla resistenza dei discepoli che credono alla testimonianza di coloro, uomini e donne, che hanno fatto l’esperienza della risurrezione di Gesù. Perché sarà? Probabilmente, per insegnare due cose. In primo luogo, che la fede in Gesù passa per la fede nelle persone che ne danno testimonianza. Secondo, che nessuno deve scoraggiarsi, quando l’incredulità nasce nel cuore. Perfino gli undici discepoli ebbero dubbi!
• Poi Gesù dà loro la missione di annunciare la Buona Novella a tutte le creature. L’esigenza che indica è la seguente: credere ed essere battezzati. A coloro che ebbero il coraggio di credere alla Buona Novella e che sono battezzati, lui promette i segni seguenti: scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti ed il veleno non farà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Questo avviene fino ad oggi:
- scacciare i demoni: è combattere la forza del male che distrugge la vita. La vita di molte persone è migliorata perché sono entrate in una comunità e hanno incominciato a vivere la Buona Novella della presenza di Dio nella loro vita.
- parlare lingue nuove: è cominciare a comunicare con gli altri in una forma nuova. A volte, troviamo una persona che non abbiamo mai visto prima, ma sembra che l’abbiamo conosciuta da molto tempo. Ciò avviene perché parliamo la stessa lingua, la lingua dell’amore.
- vincere il veleno: ci sono molte cose che avvelenano la convivenza. Molte pettegolezzi che distruggono la relazione tra le persone. Chi vive in presenza di Dio ci passa sopra e riesce a non essere molestato da questo terribile veleno.
- guarisce i malati: ovunque spunta una coscienza più chiara e più viva della presenza di Dio, appare anche un’attenzione speciale verso le persone oppresse ed emarginate, soprattutto le persone malate. Ciò che più aiuta alla guarigione, è che la persona si senta accolta ed amata.
- Mediante la comunità Gesù continua la sua missione. Lo stesso Gesù che visse in Palestina, dove accoglieva i poveri del suo tempo, rivelando così l’amore del Padre, questo stesso Gesù continua vivo in mezzo a noi, nelle nostre comunità. Ed attraverso di noi continua la sua missione di rivelare la Buona Novella dell’Amore di Dio ai poveri. Fino ad oggi, avviene la risurrezione, che ci spinge a cantare: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? » (cf. Rom 8,38-39). Nessun potere di questo mondo è capace di neutralizzare la forza che viene dalla fede nella risurrezione (Rm 8,35-39). Una comunità che volesse essere testimone della Risurrezione deve essere segno di vita, deve lottare contro le forze della morte, in modo che il mondo sia un luogo favorevole alla vita, e deve credere che un altro mondo è possibile.

4) Per un confronto personale
• Scacciare i demoni, parlare lingue nuove, non farsi recare danno dal veleno dei serpenti, imporre le mani ai malati: tu hai compiuto alcuni di questi segni?
• Attraverso di noi e attraverso la nostra comunità Gesù continua la sua missione? Nella nostra comunità, riesce a compiere questa missione? Come, in che modo?

5) Preghiera finale
Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dategli gloria.
Forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura in eterno. (Sal 116)

IL Re della Gloria

il re della gloria

Publié dans:immagini sacre |on 22 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

TESSALONICA E LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI (MEDITAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA)

http://www.gliscritti.it/lbibbia/grecia2002/texts/tessa1.htm

TESSALONICA E LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI (MEDITAZIONE NELLA CHIESA CATTOLICA)

La prima lettera ai Tessalonicesi è scritta da Paolo da Atene (“Abbiamo deciso di restare soli ad Atene ed abbiamo inviato Timoteo per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede”, 1 Tess 3, 1, come anche “così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia”, 1 Tess 1, 7). Paolo vi è giunto, come poi vedremo, poiché si è dovuto allontanare, scacciato, da Tessalonica e da Berea. Siamo prima, quindi, del suo arrivo a Corinto, dove sarà condotto davanti al proconsole Gallione che fu proconsole dell’Acaia negli anni 51/52 o 52/53. Gallione era fratello del filosofo Seneca. Sappiamo con certezza gli anni del suo proconsolato a Corinto da una iscrizione ritrovata a Delfi, nella quale è l’imperatore Claudio che, volendo dichiarare la sua benevolenza verso l’oracolo di Apollo Pizio, ci lascia anche testimonianza di Gallione, definito “suo proconsole ed amico”, e della datazione del suo incarico (“Claudio acclamato imperatore per la ventiseiesima volta”, il che corrisponde agli anni che abbiamo già indicato). Questo elemento è importantissimo, perché ci fornisce una delle date certe della cronologia neotestamentaria. Paolo giunge quindi da Atene a Corinto in un lasso di tempo che può andare dal 51 al 52 d.C. e la prima lettera ai Tessalonicesi, che è scritta poco prima di questo evento, viene così ad essere datata fra il 50 ed il 51 d.C. e risulta così essere, probabilmente, il primo scritto neotestamentario in ordine cronologico.
Leggiamo i primi due capitoli della lettera:
Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete. Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l’ira è arrivata al colmo sul loro capo. Quanto a noi, fratelli, dopo poco tempo che eravamo separati da voi, di persona ma non col cuore, eravamo nell’impazienza di rivedere il vostro volto, tanto il nostro desiderio era vivo. Perciò abbiamo desiderato una volta, anzi due volte, proprio io Paolo, di venire da voi, ma satana ce lo ha impedito. Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia.
Vorrei sottolineare innanzitutto la consapevolezza di S.Paolo di annunciare il “Vangelo”. Al v.1, 5 troviamo “il nostro vangelo”, al v. 2,2 “il vangelo di Dio”, al v. 2, 8 ancora “il vangelo di Dio”, al v. 2, 9 ancora la stessa espressione, al v. 3, 6 che non abbiamo letto troviamo “il lieto annunzio della vostra fede”, riferito alla notizia che la fede dei tessalonicesi continua salda e viva. Nelle lettere paoline troviamo il sostantivo “vangelo” più che non il verbo “evangelizzare”. Di tutte le presenze del termine “vangelo” nel Nuovo Testamento ben il 79% è nel corpus paolinum. E’ tipico di Paolo l’uso del sostantivo, anche per molte altre espressioni (vedi, ad esempio, la prevalenza della parola “fede” sul verbo “credere”). E’ anche la fatica del concetto che Paolo insegna ala Chiesa di tutti i tempi. In 2 Tim 4, 13 troviamo l’invito: “Portami i libri e le pergamene”, rivolto a Timoteo, perché Paolo possa ancora servirsene nelle nuove tappe del suo ministero. Nelle lettere non troviamo il racconto della vita di Cristo. Per Paolo certo al vita di Cristo è un fatto assolutamente reale, ma essa è data già per conosciuta. La parola “vangelo” non ha ancora il senso che avrà poi di “scritto che narra la vita di Gesù”. Esprime invece, semplicemente il “lieto annunzio che Cristo è morto e risorto per te”. Questo è il vangelo e Paolo a più riprese lo annuncia e lo ripete. L’accento è tutto sulla morte e sulla resurrezione (non ci si sofferma sui particolari, sulle parole di Gesù o sui suoi miracoli). Ma non solo! E’ la morte e la resurrezione “per”. Cristo è morto e risorto “per i nostri peccati”. Ecco tutto il vangelo, espresso in pochissime parole Ricordo un ragazzo molto disturbato mentalmente che pure mi diceva con verità e semplicità: “Lo sai, io credo questo: se tu credi che Gesù è morto per te, sei salvo”. Ecco tutto il vangelo.
Non possiamo non notare anche le espressioni paoline che sottolineano due aspetti complementari ed ugualmente essenziali dell’amore dell’apostolo e di ogni amore: quelli materni e quelli paterni, quelli femminili e quelli maschili. Rileggiamo i versetti 2, 7-8 e 2, 11:
Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari… E sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio
In queste espressioni vediamo tutta la dolcezza e la disponibilità con cui una madre è disposta a perdere la propria vita perché una creatura possa vivere, come tutta la forza e la chiarezza con cui un padre deve indicare quale è il cammino da percorrere, divenendo punto di riferimento per il figlio.
La comunità cristiana di Tessalonica è nata da pochissimo (la lettera ce la mostra solo alcuni mesi dopo la sua nascita), ma già la sua vita fa parlare di sé:
E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Ancora una volta ci misuriamo con il dono della fede che non si arresta, ma continuamente genera altri credenti. E’ il bene che, se vero, non può non diffondersi. “Bonum diffusivum sui”.

 

Publié dans:Lettera ai Tessalonicesi - prima |on 22 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

La conversione di San Paolo (La Bibbia di Valenciennes)

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Publié dans:immagini sacre |on 21 janvier, 2019 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI – San Paolo (2) La vita di San Paolo prima e dopo Damasco

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20080827.html

BENEDETTO XVI – San Paolo (2) La vita di San Paolo prima e dopo Damasco

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 27 agosto 2008

Cari fratelli e sorelle,

nell’ultima catechesi prima delle vacanze – due mesi fa, ai primi di luglio – avevo iniziato una nuova serie di tematiche in occasione dell’anno paolino, considerando il mondo in cui visse san Paolo. Vorrei oggi riprendere e continuare la riflessione sull’Apostolo delle genti, proponendo una sua breve biografia. Poiché dedicheremo il prossimo mercoledì all’evento straordinario che si verificò sulla strada di Damasco, la conversione di Paolo, svolta fondamentale della sua esistenza a seguito dell’incontro con Cristo, oggi ci soffermiamo brevemente sull’insieme della sua vita. Gli estremi biografici di Paolo li abbiamo rispettivamente nella Lettera a Filemone, nella quale egli si dichiara “vecchio” (Fm 9: presbýtes) e negli Atti degli Apostoli, che al momento della lapidazione di Stefano lo qualificano “giovane” (7,58: neanías). Le due designazioni sono evidentemente generiche, ma, secondo i computi antichi, “giovane” era qualificato l’uomo sui trent’anni, mentre “vecchio” era detto quando giungeva sulla sessantina. In termini assoluti, la data della nascita di Paolo dipende in gran parte dalla datazione della Lettera a Filemone. Tradizionalmente la sua redazione è posta durante la prigionia romana, a metà degli anni 60. Paolo sarebbe nato l’anno 8, quindi avrebbe avuto più o meno sessant’anni, mentre al momento della lapidazione di Stefano ne aveva 30. Dovrebbe essere questa la cronologia giusta. E la celebrazione dell’anno paolino che facciamo segue proprio questa cronologia. È stato scelto il 2008 pensando a una nascita più o meno nell’anno 8. In ogni caso, egli nacque a Tarso in Cilicia (cfr At 22,3). La città era capoluogo amministrativo della regione e nel 51 a.C. aveva avuto come Proconsole nientemeno che Marco Tullio Cicerone, mentre dieci anni dopo, nel 41, Tarso era stato il luogo del primo incontro tra Marco Antonio e Cleopatra. Ebreo della diaspora, egli parlava greco pur avendo un nome di origine latina, peraltro derivato per assonanza dall’originario ebraico Saul/Saulos, ed era insignito della cittadinanza romana (cfr At 22,25-28). Paolo appare quindi collocato sulla frontiera di tre culture diverse — romana, greca, ebraica — e forse anche per questo era disponibile a feconde aperture universalistiche, a una mediazione tra le culture, a una vera universalità. Egli apprese anche un lavoro manuale, forse derivato dal padre, consistente nel mestiere di “fabbricatore di tende” (cfr At 18,3: skenopoiòs), da intendersi probabilmente come lavoratore della lana ruvida di capra o delle fibre di lino per farne stuoie o tende (cfr At 20,33-35). Verso i 12-13 anni, l’età in cui il ragazzo ebreo diventa bar mitzvà (“figlio del precetto”), Paolo lasciò Tarso e si trasferì a Gerusalemme per essere educato ai piedi di Rabbì Gamaliele il Vecchio, nipote del grande Rabbì Hillèl, secondo le più rigide norme del fariseismo e acquisendo un grande zelo per la Toràh mosaica (cfr Gal 1,14; Fil 3,5-6; At 22,3; 23,6; 26,5).
Sulla base di questa ortodossia profonda che aveva imparato alla scuola di Hillèl, in Gerusalemme, intravide nel nuovo movimento che si richiamava a Gesù di Nazaret un rischio, una minaccia per l’identità giudaica, per la vera ortodossia dei padri. Ciò spiega il fatto che egli abbia fieramente “perseguitato la Chiesa di Dio”, come per tre volte ammetterà nelle sue Lettere (1 Cor 15,9; Gal 1,13; Fil 3,6). Anche se non è facile immaginarsi concretamente in che cosa consistesse questa persecuzione, il suo fu comunque un atteggiamento di intolleranza. È qui che si colloca l’evento di Damasco, su cui torneremo nella prossima catechesi. Certo è che, da quel momento in poi, la sua vita cambiò ed egli diventò un apostolo instancabile del Vangelo. Di fatto, Paolo passò alla storia più per quanto fece da cristiano, anzi da apostolo, che non da fariseo. Tradizionalmente si suddivide la sua attività apostolica sulla base dei tre viaggi missionari, a cui si aggiunse il quarto dell’andata a Roma come prigioniero. Tutti sono raccontati da Luca negli Atti. A proposito dei tre viaggi missionari, però, bisogna distinguere il primo dagli altri due.
Del primo, infatti (cfr At 13-14), Paolo non ebbe la diretta responsabilità, che fu affidata invece al cipriota Barnaba. Insieme essi partirono da Antiochia sull’Oronte, inviati da quella Chiesa (cfr At 13,1-3), e, dopo essere salpati dal porto di Seleucia sulla costa siriana, attraversarono l’isola di Cipro da Salamina a Pafo; di qui giunsero alle coste meridionali dell’Anatolia, oggi Turchia, e toccarono le città di Attalìa, Perge di Panfilia, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe, da cui ritornarono al punto di partenza. Era così nata la Chiesa dei popoli, la Chiesa dei pagani. E nel frattempo, soprattutto a Gerusalemme, era nata una discussione dura fino a quale punto questi cristiani provenienti dal paganesimo fossero obbligati ad entrare anche nella vita e nella legge di Israele (varie osservanze e prescrizioni che separano Israele dal resto del mondo) per essere partecipi realmente delle promesse dei profeti e per entrare effettivamente nell’eredità di Israele. Per risolvere questo problema fondamentale per la nascita della Chiesa futura si riunì a Gerusalemme il cosiddetto Concilio degli Apostoli, per decidere su questo problema dal quale dipendeva la effettiva nascita di una Chiesa universale. E fu deciso di non imporre ai pagani convertiti l’osservanza della legge mosaica (cfr At 15,6-30): non erano cioè obbligati alle norme del giudaismo; l’unica necessità era essere di Cristo, di vivere con Cristo e secondo le sue parole. Così, essendo di Cristo, erano anche di Abramo, di Dio e partecipi di tutte le promesse. Dopo questo avvenimento decisivo, Paolo si separò da Barnaba, scelse Sila e iniziò il secondo viaggio missionario (cfr At 15,36-18,22). Oltrepassata la Siria e la Cilicia, rivide la città di Listra, dove accolse con sé Timoteo (figura molto importante della Chiesa nascente, figlio di un’ebrea e di un pagano), e lo fece circoncidere, attraversò l’Anatolia centrale e raggiunse la città di Troade sulla costa settentrionale del Mar Egeo. E qui si ebbe di nuovo un avvenimento importante: in sogno vide un macedone dall’altra parte del mare, cioè in Europa, che diceva, “Vieni e aiutaci!”. Era l’Europa futura che chiedeva l’aiuto e la luce del Vangelo. Sulla spinta di questa visione entrò in Europa. Di qui salpò per la Macedonia entrando così in Europa. Sbarcato a Neapoli, arrivò a Filippi, ove fondò una bella comunità, poi passò a Tessalonica, e, partito di qui per difficoltà procurategli dai Giudei, passò per Berea, giunse ad Atene. In questa capitale dell’antica cultura greca predicò, prima nell’Agorà e poi nell’Areòpago, ai pagani e ai greci. E il discorso dell’Areòpago, riferito negli Atti degli Apostoli, è modello di come tradurre il Vangelo in cultura greca, di come far capire ai greci che questo Dio dei cristiani, degli ebrei, non era un Dio straniero alla loro cultura ma il Dio sconosciuto aspettato da loro, la vera risposta alle più profonde domande della loro cultura. Poi da Atene arrivò a Corinto, dove si fermò un anno e mezzo. E qui abbiamo un evento cronologicamente molto sicuro, il più sicuro di tutta la sua biografia, perché durante questo primo soggiorno a Corinto egli dovette comparire davanti al Governatore della provincia senatoriale di Acaia, il Proconsole Gallione, accusato di un culto illegittimo. Su questo Gallione e sul suo tempo a Corinto esiste un’antica iscrizione trovata a Delfi, dove è detto che era Proconsole a Corinto tra gli anni 51 e 53. Quindi qui abbiamo una data assolutamente sicura. Il soggiorno di Paolo a Corinto si svolse in quegli anni. Pertanto possiamo supporre che sia arrivato più o meno nel 50 e sia rimasto fino al 52. Da Corinto, poi, passando per Cencre, porto orientale della città, si diresse verso la Palestina raggiungendo Cesarea Marittima, di dove salì a Gerusalemme per tornare poi ad Antiochia sull’Oronte.
Il terzo viaggio missionario (cfr At 18,23-21,16) ebbe inizio come sempre ad Antiochia, che era divenuta il punto di origine della Chiesa dei pagani, della missione ai pagani, ed era anche il luogo dove nacque il termine «cristiani». Qui per la prima volta, ci dice San Luca, i seguaci di Gesù furono chiamati «cristiani». Da lì Paolo puntò dritto su Efeso, capitale della provincia d’Asia, dove soggiornò per due anni, svolgendo un ministero che ebbe delle feconde ricadute sulla regione. Da Efeso Paolo scrisse le lettere ai Tessalonicesi e ai Corinzi. La popolazione della città però fu sobillata contro di lui dagli argentieri locali, che vedevano diminuire le loro entrate per la riduzione del culto di Artemide (il tempio a lei dedicato a Efeso, l’Artemysion, era una delle sette meraviglie del mondo antico); perciò egli dovette fuggire verso il nord. Riattraversata la Macedonia, scese di nuovo in Grecia, probabilmente a Corinto, rimanendovi tre mesi e scrivendo la celebre Lettera ai Romani.
Di qui tornò sui suoi passi: ripassò per la Macedonia, per nave raggiunse Troade e poi, toccando appena le isole di Mitilene, Chio, Samo, giunse a Mileto dove tenne un importante discorso agli Anziani della Chiesa di Efeso, dando un ritratto del pastore vero della Chiesa, cfr At 20. Di qui ripartì facendo vela verso Tiro, di dove raggiunse Cesarea Marittima per salire ancora una volta a Gerusalemme. Qui fu arrestato in base a un malinteso: alcuni Giudei avevano scambiato per pagani altri Giudei di origine greca, introdotti da Paolo nell’area templare riservata soltanto agli Israeliti. La prevista condanna a morte gli fu risparmiata per l’intervento del tribuno romano di guardia all’area del Tempio (cfr At 21,27-36); ciò si verificò mentre in Giudea era Procuratore imperiale Antonio Felice. Passato un periodo di carcerazione (la cui durata è discussa), ed essendosi Paolo, come cittadino romano, appellato a Cesare (che allora era Nerone), il successivo Procuratore Porcio Festo lo inviò a Roma sotto custodia militare.
Il viaggio verso Roma toccò le isole mediterranee di Creta e Malta, e poi le città di Siracusa, Reggio Calabria e Pozzuoli. I cristiani di Roma gli andarono incontro sulla Via Appia fino al Foro di Appio (ca. 70 km a sud della capitale ) e altri fino alle Tre Taverne (ca. 40 km). A Roma incontrò i delegati della comunità ebraica, a cui confidò che era per “la speranza d’Israele” che portava le sue catene (cfr At 28,20). Ma il racconto di Luca termina sulla menzione di due anni passati a Roma sotto una blanda custodia militare, senza accennare né a una sentenza di Cesare (Nerone) né tanto meno alla morte dell’accusato. Tradizioni successive parlano di una sua liberazione, che avrebbe favorito sia un viaggio missionario in Spagna, sia una successiva puntata in Oriente e specificamente a Creta, a Efeso e a Nicopoli in Epiro. Sempre su base ipotetica, si congettura di un nuovo arresto e una seconda prigionia a Roma (da cui avrebbe scritto le tre Lettere cosiddette Pastorali, cioè le due a Timoteo e quella a Tito) con un secondo processo, che gli sarebbe risultato sfavorevole. Tuttavia, una serie di motivi induce molti studiosi di san Paolo a terminare la biografia dell’Apostolo con il racconto lucano degli Atti.
Sul suo martirio torneremo più avanti nel ciclo di queste nostre catechesi. Per ora, in questo breve elenco dei viaggi di Paolo, è sufficiente prendere atto di come egli si sia dedicato all’annuncio del Vangelo senza risparmio di energie, affrontando una serie di prove gravose, di cui ci ha lasciato l’elenco nella seconda Lettera ai Corinzi (cfr 11,21-28). Del resto, è lui che scrive: “Tutto faccio per il Vangelo” (1 Cor 9,23), esercitando con assoluta generosità quella che egli chiama “preoccupazione per tutte le Chiese” (2 Cor 11,28). Vediamo un impegno che si spiega soltanto con un’anima realmente affascinata dalla luce del Vangelo, innamorata di Cristo, un’anima sostenuta da una convinzione profonda: è necessario portare al mondo la luce di Cristo, annunciare il Vangelo a tutti. Questo mi sembra sia quanto rimane da questa breve rassegna dei viaggi di san Paolo: vedere la sua passione per il Vangelo, intuire così la grandezza, la bellezza, anzi la necessità profonda del Vangelo per noi tutti. Preghiamo affinché il Signore, che ha fatto vedere la sua luce a Paolo, gli ha fatto sentire la sua Parola, ha toccato il suo cuore intimamente, faccia vedere anche a noi la sua luce, perché anche il nostro cuore sia toccato dalla sua Parola e possiamo così anche noi dare al mondo di oggi, che ne ha sete, la luce del Vangelo e la verità di Cristo.

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